Codice Civile art. 1581 - Vizi sopravvenuti.

Gian Andrea Chiesi

Vizi sopravvenuti.

[I]. Le disposizioni degli articoli precedenti [1577 ss.] si osservano, in quanto applicabili, anche nel caso di vizi della cosa sopravvenuti nel corso della locazione.

Inquadramento

L'obbligazione di mantenimento della cosa locata in buono stato ex art. 1575, n. 2) c.c., nella sua declinazione positiva (quale fonte, cioè, dell'obbligo del locatore di procedere alle riparazioni), va distinta dall'obbligazione di garanzia per i vizi della cosa locata prevista e disciplinata dagli artt. 1578 ss. c.c.: disciplina, quest'ultima, che trova la propria norma di chiusura nell'art. 1581 c.c. il quale dispone che le disposizioni degli articoli precedenti si osservano, in quanto applicabili, anche nel caso di vizi della cosa sopravvenuti nel corso della locazione.

SI tratta, nella sostanza, di un'applicazione dell'obbligo, che grava sul locatore, di mantenere il bene in uno stato idoneo all'uso per l'intera durata della locazione.

Molto si è discusso, invero, in relazione alla tempistica di applicabilità della norma: posto, infatti, che l'art. 1578 c.c. insiste in modo incisivo sul momento della “consegna”, quale riferimento temporale cui ancorare l'operatività della disciplina dei vizi della cosa locata (si rinvia, in proposito, al commento a tale articolo; v., comunque, infra, del commento al presente articolo), in dottrina v'è chi (Mirabelli, 420) sostiene che, coerentemente con tale impostazione, la norma debba trovare applicazione relativamente a quei vizi che sono già presenti al momento della consegna ma non ancora scoperti (cd. vizi occulti) e chi (Provera, 222; Tabet 1972, 519), al contrario, valorizzando proprio il concetto di sopravvenienza, da intendere in maniera non dissimile – ad esempio – da quanto avviene in ambito contrattualistico generale (v. gli artt. 1463 e 1467 c.c.) chi ritiene che dovrebbe trattarsi di vizi sopravvenuti (e, quindi non semplicemente scoperti ma venuti ad esistenza) dopo la consegna. La differenza non è, invero, di poco conto, giacché aderendo a tale ultima prima impostazione, ogni evento sorto (e, dunque non solo scoperto) dopo la consegna della cosa locata al conduttore dovrebbe essere qualificato, semplicemente per tale tempistica, in termini di “guasto” e sarebbe soggetto, per l'effetto, alla disciplina degli artt. 1576 e 1577 c.c., con il solo potere del conduttore di chiederne la riparazione; al contrario, seguendo il diverso orientamento, che fa perno, ai fini della individuazione della nozione di “vizio”, sull'idoneità della cosa a rendere utilità per il conduttore, al fine di valutare se si sia in presenza di vizio o guasto occorre valutare caso per caso.

Il contrasto appena evidenziato è riconducibile, in sostanza, alla stessa definizione di vizio quale difetto originariamente sussistente nella cosa (da ricondurre, quindi, alla nozione di errore, quale falsa rappresentazione della realtà da parte del conduttore) ovvero come difetto inerente alla cosa che ne limita l'utilità per il conduttore.

La giurisprudenza (Cass. III, 19744/2014; Cass. III, 18854/2008), al contrario, ha mostrato un orientamento univoco, nel senso per cui il locatore è tenuto a risarcire il danno alla salute subito dal conduttore in conseguenza delle condizioni abitative dell'immobile locato anche in relazione a vizi preesistenti la consegna ma manifestatisi successivamente ad essa qualora gli stessi, con l'uso dell'ordinaria diligenza, potessero essere a lui noti; né rileva che tali condizioni abitative fossero note al conduttore al momento della conclusione del contratto, in quanto la tutela del diritto alla salute prevale su qualsiasi patto interprivato di esclusione o limitazione della responsabilità.

Si esclude pacificamente, invece, che nel concetto di vizio sopravvenuto possano essere ricompresi eventi, pregiudizievoli per il godimento della cosa, ma esterni alla natura della cosa e tali da determinare comunque pregiudizio al godimento; ed infatti o detti eventi sono ascrivibili a fatto di un terzo, e nel caso in questione la tutela da accordare al conduttore sarà quella prevista dall'art. 1585 per le molestie (Provera, 222; contra, Tabet, 519), oppure l'evento sarà stato determinato da forza maggiore (quali inondazioni o terremoti) ed in questo caso opereranno le norme sull'impossibilità sopravvenuta della prestazione.

Il rinvio alla disciplina dettata dagli artt. 1578 ss. c.c., infine, è espressamente destinato ad operare nei limiti della compatibilità: ne consegue che, proprio perché trattasi di difetti insorti o, quantomeno, manifestatisi successivamente alla consegna della cosa, non trova applicazione, quale causa di esonero del locatore da responsabilità, secondo il dettato dell'art. 1578, comma 1, c.c., l'esimente della conoscenza o conoscibilità del vizio da parte del conduttore. Allo stesso modo non trova applicazione la previsione contenuta all'art. 1578, comma 2, c.c., relativamente all'ignoranza incolpevole dei vizi da parte del locatore, in ipotesi di azione risarcitoria proponibile dal conduttore.

Così, ad esempio, Cass. III, n. 6580/2013, per cui mentre, ai fini degli obblighi di manutenzione e di riparazione, ai sensi degli artt. 1575 e 1576 c.c., alla allegazione dell'inadempimento del locatore si accompagna naturalmente la domanda di risarcimento dei danni, la domanda risarcitoria, di cui all'art. 1578, comma 2, c.c., relativa ai danni derivati da vizi della cosa locata, oltre a non essere autonomamente proponibile rispetto a quella di risoluzione del contratto o di riduzione del corrispettivo, non è concepibile in caso di vizi sopravvenuti, non potendo di questi valutarsi la conoscenza da parte del conduttore o la colpevole ignoranza da parte del locatore al momento della consegna.

Sopravvenienza e perimetrazione del concetto di vizio rilevante ai sensi dell'art. 1581 c.c.

Come anticipato poc'anzi, secondo un'opinione parecchio invalsa in dottrina, sarebbe vizio ogni difetto della cosa al momento della consegna, giacché l'obbligo di riparare la cosa locata ex art. 1576 c.c. concerne i guasti insorgenti durante la locazione.

Accreditata dottrina (Mirabelli, 419) ha infatti osservato che, “dall'ambito della nozione di vizio e dei rimedi relativi esulano quelli che, siano chiamati guasti, degradazioni o deterioramenti, consistono in alterazioni della cosa, che parimenti comportano diminuzione dell'utilizzabilità, ma possono essere eliminati con opere di riparazione e danno luogo, pertanto, al corrispondente obbligo che, come si è detto, grava sul locatore; la distinzione viene posta, dunque, tradizionalmente a seconda che si tratti di difetti preesistenti, non eliminabili con opere, o di difetti sopravvenuti che possono essere eliminati con lavori opportuni. Ma è stato anche giustamente rilevato che questo criterio di distinzione, agevole a configurarsi sul piano astratto e nella maggior parte dei casi anche ad applicarsi nelle situazioni concrete, può dar luogo a gravi incertezze, giacché possono presentarsi vizi derivanti da fattori intrinseci e strutturali che potrebbero anche essere eliminati con opere adeguate e, può aggiungersi, deterioramenti sopravvenuti di tale gravità, che l'opera di riparazione non appaia sufficiente a riportare la cosa alla necessaria utilizzabilità. Tuttavia, la distinzione va mantenuta secondo i criteri tradizionali, nel senso che se si tratta di difetti che già esistevano al momento dell'inizio del rapporto, anche se si siano rilevati successivamente, si rientra nell'ambito dei vizi; se si tratta di alterazioni verificatesi successivamente si cade nell'ambito dell'obbligo di riparazioni; ed invero questo secondo attiene al più generale obbligo di mantenimento della cosa quale era, mentre i primi concernono le conseguenze dello stato della cosa all'inizio del rapporto”. Il proposto criterio cronologico ha, però, destato il disappunto di chi, prendendo le mosse proprio dall'art. 1581 c.c. in esame, ha evidenziato come tale norma, stabilendo che le disposizioni in tema di vizi “si osservano in quanto applicabili, anche nel caso di vizi della cosa sopravvenuti nel corso della locazione”, sembra escludere la validità del criterio temporale. Se ne è allora tratta la conclusione (Provera, 212) per cui la distinzione tra guasto e vizio non sarebbe enucleabile in termini generali ed astratti, ma andrebbe ricercata caso per caso, mediante l'utilizzazione di più criteri concorrenti, incluso (ma senza riconoscergli carattere di esclusività) quello temporale. “Sembra però agevole replicare che l'art. 1581 c.c. estende la garanzia dovuta dal locatore ai “vizi della cosa sopravvenuti nel corso della locazione”. Ora, per vizi sopravvenuti non possono evidentemente intendersi quelli già esistenti al momento della consegna e scoperti successivamente, perché tale nozione si attaglia in modo perfetto anche ai vizi previsti dall'articolo in esame [i.e., l'art. 1578 c.c.], vizi la cui rilevanza, ai fini della garanzia, dipende appunto dalla loro scoperta a consegna ormai effettuata. Né si dica che la norma di cui all'art. 1581 c.c. è stata dettata al solo scopo di evitare una falsa interpretazione dell'articolo in esame, il cui tenore letterale (“se al momento della consegna la cosa locata è affetta da vizi”) potrebbe far pensare a vizi scoperti all'atto della consegna (mentre si tratta evidentemente sempre di vizi scoperti dopo). Tale opinione ci sembra scarsamente attendibile: infatti, solo un'interpretazione letterale (e perciò stesso erronea) del testo della norma potrebbe condurre alla conclusione sopra indicata. E non è perciò credibile che il legislatore, preoccupato di evitare all'interprete un errore così grossolano, abbia voluto correre ai ripari dettando l'art. 1581 c.c., che invece fa riferimento ad un'ipotesi speciale di vizi della cosa. Il criterio sopra indicato non è perciò utilizzabile ai fini della distinzione tra vizio e guasto o almeno non è utilizzabile da solo, anche perché non crediamo che un vizio non possa sorgere [...] dopo la consegna della cosa [...] Ma se per vizi sopravvenuti devono intendersi quelli che non solo vengono accertati dopo la consegna, ma che sorgono anche dopo questo momento, è evidente che la distinzione fra vizio e guasto non può accogliersi alla luce del criterio in esame. Ma non può accogliersi nemmeno in funzione della circostanza che il guasto, a differenza del vizio, sarebbe prontamente eliminabile o almeno eliminabile con una spesa proporzionata al risultato. Infatti, non è escluso che il vizio possa essere eliminato senza eccessive difficoltà: il fatto è piuttosto che il conduttore, mentre può pretendere la riparazione del guasto, non può pretendere l'eliminazione del vizio. A ben vedere, dunque, la distinzione non è di carattere ontologico; essa va accolta perciò utilizzando insieme diversi criteri, dal cui esame comparativo potrà ricavarsi di volta in volta se si tratta di vizio oppure di guasto. I dati che interessano la soluzione del problema sono offerti dalla comune esperienza, la quale insegna ad esempio che il vizio, a differenza del guasto, non è normalmente eliminabile se non a prezzo di un sacrificio economico sproporzionato al risultato che si vuole conseguire. Il vizio non è di norma prontamente accertabile, mentre lo è quasi sempre il guasto. Il vizio preesiste secondo l'id quod plerumque accidit alla consegna della cosa, mentre il guasto è un deterioramento che si produce dopo la consegna in seguito ad un fatto naturale o volontario che altera la cosa [...] Il vizio, come d'altra parte le molestie, non è rilevante in sé e per sé, ma solo in quanto incide in modo apprezzabile sul godimento della cosa, rendendola meno idonea o del tutto inidonea all'uso pattuito”.

Sulla stessa linea la giurisprudenza di legittimità, la quale ha evidenziato che, ove la distinzione tra vizio e guasto venga a fondarsi sul carattere originario o meno del difetto, non può non osservarsi come la disciplina dell'art. 1578 c.c. sia applicabile anche ai vizi che si manifestano successivamente alla conclusione del contratto di locazione, come si evince dall'equiparazione sancita dall'art. 1581 c.c. (Cass. III, n. 2605/1995). Così, muovendosi alla ricerca di criteri discretivi diversi, Trib. Milano 30 gennaio 2019 evidenzia come i vizi della cosa locata rilevanti exart. 1578 c.c., incidono sulla struttura materiale della cosa, alterandone l'integrità in modo tale da impedirne o ridurne notevolmente il godimento secondo la destinazione contrattuale, anche se sono eliminabili e si manifestano successivamente alla conclusione del contratto di locazione. Tali vizi alterano l'equilibrio delle prestazioni corrispettive, incidendo sull'idoneità all'uso della cosa locata, ed i rimedi previsti sono solo la risoluzione del contratto o la riduzione del corrispettivo, restando esclusa l'esperibilità dell'azione di esatto adempimento, non potendosi configurare in presenza di tali vizi intrinseci e strutturali un inadempimento del locatore alle obbligazioni assunte ex art. 1575 c.c. Invece, guasti o deterioramenti della cosa locata, dovuti alla naturale usura, effetto del tempo, o ad accadimenti accidentali, che determinino disagi limitati e transeunti nell'utilizzazione del bene, possono rilevare rispetto all'obbligo di manutenzione, posto dalla legge a carico del locatore, quale proiezione nel tempo dell'obbligo di consegna in buono stato di manutenzione ex art. 1575 c.c.), e rispetto all'obbligo di riparazione exart. 1576 c.c., l'inosservanza dei quali determina l'inadempimento contrattuale. Sostanzialmente nel medesimo senso Cass. III, n. 24459/2011, per cui costituiscono vizi della cosa locata agli effetti dell'art. 1578 c.c. – la cui presenza non configura un inadempimento del locatore alle obbligazioni assunte ai sensi dell'art. 1575 c.c., ma altera l'equilibrio delle prestazioni corrispettive, incidendo sull'idoneità all'uso della cosa stessa e consentendo la risoluzione del contratto o la riduzione del corrispettivo, ma non l'esperibilità dell'azione di esatto adempimento – quelli che investono la struttura materiale della cosa, alterandone l'integrità in modo tale da impedirne o ridurne notevolmente il godimento secondo la destinazione contrattuale, anche se eliminabili e manifestatisi successivamente alla conclusione del contratto di locazione: pertanto va escluso che possano essere ricompresi tra i vizi predetti quei guasti o deterioramenti dovuti alla naturale usura o quegli accadimenti che determinino disagi limitati e transeunti nell'utilizzazione del bene, posto che in questo caso diviene operante l'obbligo del locatore di provvedere alle necessarie riparazioni ai sensi dell'art. 1576 c.c., la cui inosservanza determina inadempimento contrattuale. Del pari, Trib. Bari, 12 ottobre 2006, per cui l'obbligazione ex art. 1575, n. 2) c.c., è del tutto distinta dalla garanzia per vizi prevista dall'art. 1578 c.c. in quanto quest'ultima norma si applica solo nell'ipotesi in cui la cosa presenti difetti che, a differenza di quelli contemplati dall'art. 1575, n. 2) c.c., incidono esclusivamente sullo stato di conservazione della cosa e ne compromettono la struttura materiale alterandone l'integrità; ne deriva una tutela differenziata del conduttore in funzione della presenza nell'immobile locato di anomalie conseguenti all'omesso adempimento della obbligazione di cui all'art. 1575 c.c. o di veri e propri vizi.

Estremamente chiara è, in ogni caso, la motivazione di Cass. III, n. 8729/1991 la quale, muovendo dalla constatazione che l'art. 1578, comma 1, c.c. fa menzione dei vizi di cui la cosa locata è affetta al momento della consegna, al contrario dell'art. 1581 c.c., che si occupa dei vizi della cosa sopravvenuti nel corso della locazione, osserva che già da un punto di vista letterale (“Se al momento della consegna la casa locata è affetta da vizi”) appare come il discrimine tra le due disposizioni sia rappresentato non dal dato fenomenologico del manifestarsi del vizio prima o dopo la consegna, ma quello ontologico che il vizio preesista o attacchi la casa dopo la consegna: sicché vanno ricondotti nell'ambito di applicazione dell'art. 1578 e non dell'art. 1581 c.c. i casi in cui il vizio, esistente nella cosa al momento della consegna, si manifesti successivamente. Questo approccio trova conferma nell'analisi delle disposizioni che regolano la materia: l'art. 1578, comma 1 – prosegue la Corte – accorda al conduttore il rimedio alternativo della risoluzione o della riduzione del corrispettivo; la sperimentabilità di questi rimedi trova un limite nel fatto che il conduttore abbia conosciuto od avrebbe potuto facilmente riconoscere i vizi, non anche in quello che il locatore li abbia senza sua colpa ignorati. Ciò denunzia che i rimedi sono accordati al conduttore in ragione del dato obiettivo per cui l'equilibrio tra le prestazioni considerato dai contraenti viene a non trovare attuazione nello svolgimento del rapporto. Se ciò è non vi sarebbe ragione perché lo squilibrio tra le prestazioni fosse rilevante se indotto da un vizio preesistente e non lo fosse, per contro, se determinato da un vizio venuto ad esistenza dopo la consegna. Questo consente di affermare che, quando l'art. 1581 c.c. considera il caso di vizi della cosa sopravvenuti nel corso della locazione, e dispone che, in quanto applicabili, si osservano le disposizioni degli articoli precedenti, la norma contempla certamente (quanto meno anche) il caso del vizio che venga ad esistenza nel corso della locazione: sicché, non si tratta già di dare un contenuto alla norma riconducendovi il caso del vizio preesistente che si manifesti successivamente, quanto di stabilire se questo caso debba seguire la disciplina del vizio venuto ad esistenza successivamente (collocandolo così nell'ambito dell'art. 1581 c.c.) o quella del vizio preesistente (collocandolo nell'ambito dell'art. 1578 c.c.). Orbene, se in rapporto ai rimedi della risoluzione o della riduzione del corrispettivo l'art. 1578, comma 1, cod. civ. prescinde dal fatto che lo squilibrio tra le prestazioni sia da ricondurre ad un inadempimento imputabile, ciò non significa che un tale inadempimento non possa configurarsi. Appunto ad una situazione di inadempimento dà rilievo il comma 2 dell'art. 1578 c.c. con il quale. in presenza di danni derivanti da vizi della cosa, si attribuisce al conduttore il diritto al relativo risarcimento. Un inadempimento, peraltro, se è in linea di principio ipotizzabile a riguardo di cosa che al momento della consegna è affetta da vizi, non lo è certamente riguardo a cosa in cui il vizio venga ad esistenza successivamente. Ne risulta anche per questa via confermato che l'art. 1581 c.c. ha un proprio oggetto di disciplina nel vizio venuto ad esistenza successivamente: tale disciplina è costruita in relazione a quella del vizio preesistente in base al principio di applicabilità compatibilità con la conseguenza di dar luogo al rimedio della risoluzione riduzione del prezzo e non a quello del risarcimento del danno. Quanto al vizio preesistente, ma non ancora manifestatosi al momento della consegna, esso tuttavia dà luogo ad un'esecuzione della prestazione del locatore diversa da quella dovuta. Ora, se si considera che la disciplina generale dell'inadempimento e delle sue conseguenze (art. 1218 e ss. c.c.) è costruita sul dato oggettivo della mancanza della prestazione attesa, rispetto alla quale assume rilievo impeditivo la non imputabilità a colpa, che va provata dal debitore, risulta chiaro che il caso del vizio preesistente, ma non ancora manifestatosi, ricade nell'ambito dell'art. 1578 c.c., che certamente regola già il caso del vizio preesistente manifestatosi. Essere il vizio preesistente costituisce oggetto della disciplina dettata dall'art. 1578 c.c.; non essere il vizio manifesto al momento della consegna è circostanza che assume rilevanza nel giudizio sulla imputabilità dell'inadempimento, che però va compiuto in concreto.

Come anticipato, però, se in alcuni casi la differenza tra le due discipline è chiara, in altri essa permane sfumata: così ad esempio, mentre in caso di locazione di immobile ad uso abitativo, che sia dotato di elettrodomestici, quale uno scaldabagno, compete certamente al locatore, exart. 1575, n. 2) c.c., la sostituzione o riparazione di tali accessori, che si renda necessaria non in conseguenza di un'utilizzazione inadeguata od anomala da parte del conduttore, ma in esito a normale processo di deterioramento nel tempo, dopo un uso normale (Cass. III, n. 772/1982); al contrario, Trib. Brindisi, 15 marzo 2018, osserva che il crollo anche parziale del solaio può rilevare tanto ai fini dell'eventuale violazione dell'obbligo di mantenimento in buono stato locativo, ex art. 1575, n. 2) c.c. quanto sul piano di dimostrare la sussistenza di vizi del bene locato che ne diminuiscono in maniera apprezzabile l'idoneità all'uso convenuto, ex art. 1578 c.c., al punto da giustificare la risoluzione del contratto per inadempimento. Le due richiamate discipline, quella relativa alle obbligazioni del locatore, cui lo stesso è risultato essersi reso inadempiente, e quella dei vizi della cosa locata possono concorrere nel produrre, quale conseguenza, la risoluzione del contratto di locazione per inadempimento, determinando altresì i connessi effetti risarcitori a carico del locatore ivi compreso per quanto riguarda la corresponsione dell'indennità per la perdita dell'avviamento, dovuta in esito alla risoluzione del rapporto. Costituisce vizio l'alterazione non attinente allo stato di conservazione e manutenzione, bensì incidente sulla composizione, costruzione o funzionalità strutturale della cosa medesima, come in caso di infiltrazioni di umidità dipendenti da esecuzione della costruzione su terreno argilloso, senza adeguata protezione (Cass. III, n. 7260/1994); al contrario, Cass. III, n. 11198/2007, con riguardo ad un caso di temporanea inagibilità di un locale a causa di un fenomeno infiltrativo, ha escluso la possibilità, per il conduttore, di chiedere la riduzione del canone ex art. 1578 c.c., affermando che l'infiltrazione determina una alterazione soltanto transitoria della possibilità di godimento dell'immobile, rispetto alla quale il locatore ha solo l'obbligo di effettuare le necessarie riparazioni ex art. 1576 c.c., e non un alterazione strutturale dell'immobile.

Ulteriore specificazione dei molteplici criteri proposti è quella consistente nella valorizzazione della riparabilità del guasto, a fronte della non riparabilità del vizio.

La soluzione, però, non sembra allontanarsi sensibilmente dalla precedente, giacché la riparabilità ben può essere riguardata come riflesso del carattere intrinseco e strutturale del vizio, di contro alla riconducibilità del guasto ad usura o accidente (Di Marzio, Falabella, 835).

Né tale indirizzo appare, comunque, univocamente accolto dalla giurisprudenza: secondo Cass.III, n. 2605/1995, infatti, sussiste il vizio della cosa locata anche se l'alterazione della sua struttura materiale sia eliminabile e si manifesti successivamente alla conclusione del contratto di locazione (fattispecie relativa ad una condotta di scarico costruita in modo difforme dalle prescrizioni del regolamento edilizio con fuoriuscita di liquami).

Il limite di compatibilità

L'art. 1581 c.c. dispone – come anticipato – che le disposizioni degli articoli precedenti si osservano, in quanto applicabili, anche nel caso di vizi della cosa sopravvenuti nel corso della locazione.

La dottrina (Provera, 222; Tabet, 519) è concorde nel ritenere che si applicano alle ipotesi di vizi sopravvenuti, l'art. 1578, comma 1, c.c. (ma non il comma 2, non essendo logicamente possibile – come detto anche in precedenza – conoscere vizi non esistenti), con esclusione dell'esimente rappresentato dalla conoscenza o conoscibilità del vizio da parte del conduttore (stato soggettivo all'evidenza non compatibile con un vizio non ancora venuto ad esistenza) l'art. 1579 c.c. limitatamente alla parte in cui il vizio sopravvenuto renda impossibile il godimento (laddove non è configurabile il tacere vizi che non esistono), e l'art. 1580 c.c..

Le azioni esperibili dal conduttore

In conseguenza della pacifica applicabilità dell'art. 1578, comma 1, c.c., in presenza di vizi sopravvenuti della cosa locata il conduttore può domandare a.1) la risoluzione del contratto o a.2) una riduzione del corrispettivo; è, invece, esclusa la possibilità di esperire l'azione risarcitoria, come quella di esatto adempimento.

La scelta tra la risoluzione e la riduzione del corrispettivo spetta al conduttore (Mirabelli, 426; Provera, 215; Tabet 1972, 499): in caso di proposizione delle domande in via alternativa, si ritiene in dottrina (Tabet, 499) che debba essere considerata principale la domanda volta alla risoluzione del contratto. Ad ogni buon conto, secondo taluni (Tabet 1972, 500) – entro il perimetro di esercizio delle facoltà ex art. 183 c.p.c. – è possibile procedere al mutamento della domanda; secondo altri (Mirabelli, 227; Provera, 215), invece, analogamente rispetto a quanto previsto in tema di garanzia per i vizi della cosa venduta, la scelta fatta mediante l'introduzione del giudizio sarebbe irrevocabile.

Il conduttore, inoltre, è tenuto al pagamento del corrispettivo sino all'istante della restituzione della cosa o al suo cessato godimento, qualora continui a godere del bene nonostante la presenza di vizi (Cuffaro - Calvo, Ciatti, 147). In proposito, attenzione particolare merita la facoltà, riconosciuta al conduttore, di agire per la riduzione del corrispettivo del godimento della cosa locata, quando questo diminuisca in maniera apprezzabile: la questione, in particolare, concerne la possibilità che il conduttore, anziché svolgere una specifica domanda in tal senso, proceda unilateralmente (e stragiudizialmente) alla riduzione del canone di locazione.

Negativa è la risposta della ormai costante giurisprudenza di legittimità, la quale – anzi – individua in un simile comportamento del conduttore un atto arbitrario, concretizzante l'ipotesi di grave inadempimento del conduttore medesimo, idoneo ad esser sotteso alla risoluzione del contratto su istanza del locatore.

In questa prospettiva, dunque, è stato chiarito che l'azione di riduzione del corrispettivo ha natura costitutiva (Cass. III, n. 14737/2005) – viene da aggiungere – cd. necessaria.

Invero, già con riguardo alla legislazione vincolistica, Cass. S.U., n. 5384/1984, a composizione del contrasto che si era determinato in proposito, aveva stabilito che, in mancanza di accertamento giudiziale del canone legale, l'autoriduzione costituisse un fatto arbitrario ed illegittimo, determinante il venir meno dell'equilibrio sinallagmatico convenzionale. Tale principio è rimasto poi fermo anche successivamente all'introduzione della l. n. 392/1978 (c.d. legge sull'equo canone): in tal senso è chiara, ad esempio, Cass. III, n. 9955/1997, per cui la modifica unilaterale dell'entità del canone di locazione già corrisposto costituisce grave inadempimento comportante la risoluzione del contratto; ed infatti, la cd. autoriduzione del canone (e, cioè, il pagamento di questo in misura inferiore a quella convenzionalmente stabilita) costituisce fatto arbitrario ed illegittimo del conduttore che provoca il venir meno dell'equilibrio sinallagmatico del negozio, anche nell'ipotesi in cui detta autoriduzione sia stata effettuata dal conduttore in riferimento al canone dovuto a norma dell'art. 1578, comma 1, c.c., per ripristinare l'equilibrio del contratto, turbato dall'inadempimento del locatore e consistente nei vizi della cosa locata, giacché tale norma non dà facoltà al conduttore di operare detta autoriduzione, ma solo a domandare la risoluzione del contratto o una riduzione del corrispettivo, essendo devoluta al potere del giudice di valutare l'importanza dello squilibrio tra le prestazioni dei contraenti (Cass. III, n. 26540/2014; Cass. III, n. 10639/2012; Cass. III, n. 10271/2002). Nel medesimo senso, ancora, Cass. III, n. 12253/1998, per cui la cosiddetta autoriduzione del canone in relazione alla sua pretesa esorbitanza rispetto all'importo inderogabilmente fissato per legge costituisce fatto arbitrario che provoca il venir meno dell'equilibrio sinallagmatico convenzionale, restando nei poteri del giudice la valutazione dell'importanza dello squilibrio a fini risolutori: peraltro, il deposito dei canoni locativi su un libretto bancario o postale, non consegnato né messo a disposizione del locatore, non integra offerta non formale idonea ad escludere l'inadempimento del conduttore.

Il principio così esposto vale, peraltro, tanto per le locazioni ad uso abitativo, quanto per quelle ad uso diverso.

La natura (costitutiva) dell'azione in commento pone poi, un ulteriore problema di carattere pratico: se la riduzione del canone, cioé possa essere invocata successivamente alla risoluzione del contratto.

Invero, una volta che il rapporto negoziale sia venuto meno, per qualsiasi causa, il rimedio in questione non appare utilmente esperibile, mancando l'oggetto stesso dell'intervento richiesto e, di conseguenza, un interesse attuale che sorregga la legittimazione attiva del ricorrente; “semmai, vi è la possibilità che quanto prestato dal conduttore, in esecuzione del contratto, possa qualificarsi come tipico esempio di indebito oggettivo, dovendosi ammettere che, indipendentemente dalla causa che abbia fatto venire meno il vincolo negoziale, l'azione accordata per ottenere la restituzione dei versamenti privi di giustificazione causale sia unicamente quella di ripetizione. Sul piano processuale, la circostanza che al conduttore, una volta intervenuta la risoluzione del contratto, sia disconosciuta la facoltà di agire in riduzione del canone, dovendosi privilegiare, sempre che ne ricorrano i presupposti, la diversa azione di ripetizione, non è priva di conseguenze in ordine al contenuto dell'onere probatorio a carico dell'istante. Invero, affinché la misura del corrispettivo possa essere rideterminata, chi acquista il godimento dell'immobile è tenuto a dare prova che, al momento della consegna, il bene locato fosse affetto da vizi da lui ignorati senza colpa e, comunque, tali da ridurne l'idoneità all'uso pattuito, a prescindere dall'imputabilità al locatore. Nel mentre, per la ripetizione di indebito oggettivo, l'attore deve provare, oltre al fatto materiale del pagamento eseguito, l'inesistenza o la successiva caducazione del titolo che giustifichi l'attribuzione patrimoniale. Peraltro, solo in caso di contestazione del locatore, il conduttore che agisca in ripetizione delle somme versate oltre la misura dovuta non può limitarsi a produrre il contratto (di locazione), in cui sia indicato l'ammontare della relativa prestazione, ma ha l'onere di dimostrare anche l'effettiva corresponsione” (così Ballerini, 1122).

Esistono, tuttavia, alcune eccezioni al principio innanzi esposto: a) anzitutto il caso previsto dall'ultimo comma dell'art. 45 della l. n. 392/1978. Tale norma, nel disporre che, ove penda giudizio sulla determinazione dell'equo canone, il conduttore “è obbligato a corrispondere, salvo conguaglio, l'importo non contestato”, attribuisce al conduttore medesimo espressamente la facoltà di limitare il versamento del corrispettivo, per tutta la durata del giudizio stesso, alla misura che reputa dovuta, anche se – al fine di evitare la sanzione risolutoria per inadempienza da morosità – quella misura deve essere ragionevole, non temeraria e, comunque, congrua, atteso che l'autoriduzione del canone di locazione costituisce una forma di autotutela riconosciuta al conduttore nell'ambito del giudizio di determinazione dell'equo canone, concretando, al di fuori di questo ambito, inadempimento che, in relazione alla sua qualificazione in termini d'importanza, è idoneo a produrre effetti risolutori; b) l'ipotesi in cui la controprestazione del locatore venga completamente meno: caso in cui è consentita non tanto l'autoriduzione quanto – piuttosto – la sospensione (totale o parziale) del pagamento del canone.

Conforme è la posizione della giurisprudenza: con riferimento alla prima circostanza, Cass. III, n. 12915/1015 (ma, nel medesimo senso, v. anche Cass. III, n. 9548/2010) evidenzia che l'art. 45, ultimo comma, della l. n. 392/1978, consente al conduttore, nella pendenza del giudizio sulla determinazione dell'equo canone, di corrispondere, salvo conguaglio, l'importo non contestato, sì da assicurare, con l'autoriduzione del canone, una forma di autotutela che, se realizzata in misura ragionevole, non temeraria e, comunque, congrua, non concreta morosità, mentre, al di fuori di questo ambito, integra un inadempimento che, in relazione alla sua qualificazione in termini d'importanza, è idoneo a produrre effetti risolutori; quanto alla seconda evenienza, Cass. III, n. 11783/2017 e Cass. III, n. 13887/2011 chiariscono che la sospensione totale o parziale dell'adempimento dell'obbligazione del conduttore è, difatti, legittima soltanto qualora venga completamente a mancare la controprestazione da parte del locatore, costituendo altrimenti un'alterazione del sinallagma contrattuale che determina uno squilibrio tra le prestazioni delle parti.

Segue. L'avviso al locatore della sopravvenienza del vizio

Nel rapporto tra diritti e doveri reciproci di locatore e conduttore si colloca normalmente l'art. 1577 c.c., norma che, nel disciplinare il c.d. obbligo di avviso (per cui, quando la cosa locata abbisogna di riparazioni che non sono a carico del conduttore, questi è tenuto a darne avviso al locatore ovvero, ove si tratti di riparazioni urgenti, ha la facoltà di eseguirle direttamente, salvo rimborso, purché ne dia contemporaneamente avviso al locatore), rappresenta una chiara applicazione, in materia locatizia, del principio di buona fede: il locatore, infatti, pur restandone parzialmente custode e pur dovendone garantire l'idoneità all'uso convenuto (v. l'art. 1575 c.c.), non ha la detenzione del bene e, quindi, nemmeno la vigilanza dello stesso, ciò che invece ha il conduttore.

Si è osservato (Bucci, Malpica, Redivo, 55), in proposito, che l'obbligo di avviso gravante sul conduttore risponde sia all'interesse del conduttore medesimo al mantenimento della cosa locata in buono stato, sia a quello del locatore ad evitare, con un intervento tempestivo, un eventuale aggravamento delle condizioni del bene.

Nulla disponendo al riguardo l'art. 1578 c.c. si è posta, dunque, la questione concernente l'esistenza, nel caso di insorgenza di vizi della cosa locata, di un analogo obbligo di avviso a carico del conduttore.

Si è occupata espressamente della questione, relativamente alla disciplina generale, Cass. III, n. 2605/1995 la quale ha osservato che la presunzione di conoscenza del vizio da parte del locatore, ed anche l'eventuale prova ad abundantiam di detta conoscenza, non escludono che, in presenza di una specifica manifestazione del vizio idonea a produrre in concreto alterazioni e danni alla cosa locata ed a tutto ciò che in essa si trovi, il conduttore sia tenuto a segnalare al locatore il fatto, perché egli possa provvedere alle necessarie riparazioni che prevengano o limitino i danni. Trattandosi di fenomeni non appariscenti, pur collegati ad un vizio preesistente, se non può escludersi la responsabilità del locatore per non avere eseguito gli interventi radicali atti ad eliminare il vizio, è del pari configurabile l'obbligo del conduttore di avvisare il locatore dell'insorgenza del fatto che, in dipendenza del vizio preesistente, venga a manifestarsi progressivamente in guisa da provocare la concreta menomazione del godimento dell'immobile ed eventuali danni alle cose che ivi si trovino, in quanto il dovere di intervento comunque configurabile per il locatore non esime il conduttore dall'obbligo di segnalargli la necessità di interventi specifici atti a far fronte al concreto manifestarsi del vizio e ad impedire o limitare i conseguenti danni, che pur nella preesistente inadempienza del locatore non si erano ancora prodotti. Nulla osta, quindi, a che il precetto speciale dell'art. 1577, comma 1, c.c., sia applicabile a carico del conduttore anche in ipotesi in cui, inerendo le riparazioni ad un vizio dell'immobile la cui conoscenza da parte del locatore non sia esclusa, sia comunque configurabile un obbligo di intervento da parte dello stesso locatore, in quanto la riparazione inerisca ad una concreta manifestazione del vizio in sé pregiudizievole e non conosciuta, né altrimenti agevolmente conoscibile in quanto tale dal locatore. Altra cosa, infatti, sotto tale profilo è la conoscenza del vizio rispetto alla conoscenza di una specifica manifestazione di esso che sopravvenga nel corso della locazione in guisa da esigere interventi immediati. Come del pari può essere diverso l'atteggiamento del locatore di fronte ad un vizio che solo nel tempo si presenta idoneo a provocare concreti pregiudizi rispetto al quale un ritardato intervento, sia pure a rischio del locatore, può rivelarsi in concreto privo di apprezzabili conseguenze, anziché di fronte ad un fenomeno che, pur derivante dal vizio stesso, si presenti come produttivo di immediate conseguenze lesive ed imponga interventi senza alcun ritardo. Ne consegue, secondo la Corte, che il tenore generale dell'obbligo di avviso comminato dall'art. 1577, comma 1, c.c. a carico del conduttore consente, quindi, di ricondurre in esso qualunque ipotesi di riparazione che si renda necessaria, ancorché riconducibile ad un vizio preesistente conosciuto o conoscibile dal locatore – effettivamente o presuntivamente.

Discende da quanto precede, all'evidenza, l'applicazione, anche in relazione al caso di vizi della cosa locata, dei principi sviluppati a proposito dei guasti:

1) nel caso di omesso avviso del conduttore, se il locatore non può opporre ai danneggiati, al fine di sottrarsi da responsabilità, la violazione dell'obbligo predetto, cionondimeno egli ha la possibilità di agire nei confronti del conduttore medesimo per ottenere da questi il risarcimento del danno conseguente al pregiudizio arrecato a terzi dal mancato pronto intervento riparatore.

Assolutamente in linea è la posizione della migliore dottrina (Mirabelli, 408), per la quale la mancata ottemperanza all'obbligo di avviso può essere fonte di responsabilità a carico del conduttore.

Analogamente la giurisprudenza di legittimità, la quale osserva come il dovere di intervento del locatore non esime il conduttore dall'obbligo di segnalargli la necessità di interventi specifici atti a far fronte al concreto manifestarsi del vizio e ad impedire o limitare i conseguenti danni, che pur nella preesistente inadempienza del locatore non si erano ancora prodotti, derivandone, in caso contrario, la possibilità di esperire un'azione di risarcimento del danno nei confronti del conduttore che abbia omesso di avvisarlo tempestivamente della necessità di riparazioni a lui spettanti (Cass. III, n. 11321/1996).

2) l'omissione di tempestivo avviso al locatore può integrare, altresì, un comportamento colpevole del conduttore, idoneo a configurarne la responsabilità, eventualmente sotto il profilo del concorso di colpa, per il pregiudizio subito da sé stesso come dal terzo. Quanto alla prima evenienza, l'esistenza di una responsabilità presunta – peraltro iuris tantum – non è incompatibile con la prospettazione di una condotta colposa del danneggiato concorrente nella produzione dell'evento lesivo, afferendo la presunzione al regime probatorio, senza immutare la struttura sostanziale della responsabilità – nella specie contrattuale – a carico del locatore, e non operando essa in contrasto con il principio della responsabilità per inadempimento o per fatto illecito: sicché la presunzione in esame incide sull'esistenza e non sulla misura della responsabilità, la quale è in ogni caso suscettibile di essere ridotta in dipendenza del concorrente fatto colposo del conduttore/creditore (così Cass. III, n. 2605/1995). Quanto, alla responsabilità nei confronti dei terzi, poi, Cass. III, n. 6044/1985, ad esempio, chiarisce che, sebbene la responsabilità del proprietario di un edifici, stabilita dall'art. 2053 c.c. per ogni disgregazione delle strutture e degli elementi accessori stabilmente incorporati in esso, non venga meno nel caso in cui l'edificio stesso sia concesso in locazione, in quanto la temporanea sottrazione dell'immobile alla disponibilità del proprietario non dispensa il primo dal vigilare – mediante periodiche visite anche a mezzo di incaricati – affinché l'efficienza del fabbricato e degli elementi accessori non subisca modificazioni che ne compromettano saldezza e resistenza – cionondimeno siffatto dovere di controllo è compatibile con il potere-dovere di custodia e vigilanza, in ordine a possibili deterioramenti dell'immobile, che incombe al conduttore, il quale, ai sensi dell'art. 1577 c.c., deve avvertire il proprietario delle riparazioni di cui la cosa abbisogna, potendo, pertanto, le relative responsabilità concorrere in rapporto ad un evento dannoso verificatosi per il mancato esercizio di quei poteri nell'ambito delle rispettive sfere.

Quanto precede appare in linea con le conclusioni raggiunte da attenta dottrina (Gabrielli, Padovini, 271), stando alla quale “la ragione più profonda dell'obbligo di comunicazione risiede non tanto nell'opportunità di consentire al conduttore di esigere dal locatore l'adempimento della sua obbligazione, ma soprattutto nell'interesse del locatore a contenere i costi delle riparazioni. Ciò significa, allora, che, se non viene dato l'avviso tempestivamente, sorge in capo al conduttore, come in ogni caso di inadempimento, l'obbligazione risarcitoria, la quale, pur non essendo espressamente menzionata nella norma dell'art. 1577 c.c., è coerente alla natura di obbligo dell'avviso ed il cui fondamento normativo può individuarsi nella norma parallela di cui all'art. 1587 c.c., che, nell'imporre al conduttore l'obbligo di dare «pronto avviso» al locatore delle molestie di diritto di terzi, prevede espressamente il risarcimento del danno come conseguenza dell'inadempimento di tale obbligo”.

La derogabilità della garanzia

Rispetto alla disciplina dettata dall'art. 1578 c.c., l'art. 1579 c.c. contiene – come noto – una previsione di carattere derogatorio: la garanzia per i vizi della cosa locata può essere, infatti, esclusa in virtù di una clausola convenzionale di limitazione della responsabilità del locatore, salvo che 1) il locatore abbia in mala fede taciuto al conduttore l'esistenza dei vizi ovvero se 2) questi siano tali da rendere impossibile il godimento della cosa. La legge, cioè, ha specificamente fissato i limiti di efficacia della pattuizione di limitazione della responsabilità, da un lato, negando tutela giuridica al pactum de dolo non praestando e, dall'altro, escludendo l'operatività del patto di rinuncia per i vizi che rendano impossibile il godimento del bene.

La norma costituisce, all'evidenza, una applicazione pratica della regola posta, in linea generale, dall'art. 1229, comma 1, c.c., relativamente all'ipotesi vizi taciuti in mala fede dal locatore mentre, per quanto concerne l'impossibilità del godimento, l'inefficacia del patto poggia sul piano, oggettivo, dell'inidoneità della cosa all'uso convenuto.

Rinviando al commento all'art. 1579 c.c. per i relativi approfondimenti, si ritiene che la clausola di esclusione della garanzia possa concernere, negli stessi limiti fissati proprio dall'art. 1579 (e dal successivo art. 1580 c.c.) per i vizi disciplinati dall'art. 1578 c.c., anche i vi sopravvenuti.

L'esclusione della garanzia, peraltro, può riguardare anche eventuali vizi sopravvenuti: osserva in proposito Cass. III, n. 16220/2002, infatti, che la rinuncia alla garanzia, ex art. 1579 c.c., può riguardare sia le pretese per vizi che si manifestano immediatamente, sia quelle per i cd. vizi sopravvenuti (art. 1581 c.c.), in quanto la sopravvenienza concerne il momento di effettiva incidenza del vizio sul godimento, ma non integra la ragione stessa della pretesa.

Relativamente ai vizi sopravvenuti, non appare dubbio che anche in tal caso trovi pacifica applicazione la disciplina contenuta nell'art. 1580 c.c. (Provera, 222; Tabet 1972, 520).

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