Legge - 27/07/1978 - n. 392 art. 2 - Disciplina della sublocazione.

Massimo Falabella

Disciplina della sublocazione.

Il conduttore non può sublocare totalmente l'immobile, né può cedere ad altri il contratto senza il consenso del locatore.

Salvo patto contrario il conduttore ha la facoltà di sublocare parzialmente l'immobile, previa comunicazione al locatore con lettera raccomandata che indichi la persona del subconduttore, la durata del contratto ed i vani sublocati.

Inquadramento

L'art. 2 della l. n. 392/1978 regolamenta sia la sublocazione che la cessione del contratto di locazione (ancorché sia intitolato solo alla prima) ed è disposizione che continua a trovare applicazione a seguito dell'entrata in vigore della l. n. 431/1998: infatti il citato art. 2 non rientra tra le norme espressamente abrogate dall'art. 14 di questa, né è pensabile che la sua abrogazione possa essersi prodotta per una incompatibilità della norma con le nuove disposizioni, o per effetto di una regolamentazione dell'intera materia da parte della nominata legge del 1998 (la quale, pur contenendo una disciplina organica delle locazioni ad uso di abitazione, non ha certamente inteso ordinarne ogni aspetto, come è del resto attestato dalla volontà legislativa di mantenere in vita numerosi articoli della vecchia legge sull'equo canone).

La norma trova applicazione con riguardo ai contratti di locazione abitativa a canone libero. Con riguardo a quelli a canone concordato (art. 2, comma 3, l. n. 431/1998) e a quelli transitori (art. 5 l. n. 431/1998) vanno richiamati i modelli di contratto approvati con d.m. 16 gennaio 2017, emanato in esecuzione di quanto disposto dall'art. 4, comma 2, l. n. 431/1998, secondo cui i criteri generali individuati nella Convenzione nazionale per la realizzazione degli accordi da definire in sede locale per la stipula dei nominati contratti vengono indicati in apposito decreto del Ministro dei lavori pubblici, poi delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro delle finanze, poi dell'economia e delle finanze; in detti modelli è previsto che la sublocazione, totale e parziale, è vietata, salva diversa pattuizione.

Norme applicabili alla sublocazione

Ci si è interrogati, in passato, sull'estensione, alla sublocazione, delle norme della legge sull'equo canone dettate in tema di locazione. La questione nasceva dal fatto che, mentre la legislazione vincolistica menzionava spesso specificamente i contratti di sublocazione, associandoli nella disciplina dettata per la locazione (si vedano, ad esempio, gli artt. 1 e 12 della l. n. 253/1950, rispettivamente in tema di proroga legale e di misura dei canoni), i richiami della l. n. 392/1978 alla sublocazione era risultato frammentario e circoscritto ad alcuni istituti (oltre che nell'art. 2, la sublocazione, con riferimento agli immobili ad uso di abitazione, era espressamente menzionata, ai fini di una sua regolamentazione, dai soli artt. 12 e 58).

Si era così negato che alla sublocazione fosse applicabile la disciplina della durata dettata per le locazioni. Era stato osservato che l'art. 27 della l. n. 392/1978, in tema di locazioni non abitative, al contrario dell'art. 1, che taceva del tutto sul punto, aveva esplicitamente equiparato, per la durata del contratto, la sublocazione alla locazione; si era poi sottolineato che lo stesso obbligo del conduttore di comunicare al locatore la durata della sublocazione, sancito dall'art. 2, induceva ad escludere l'esistenza di vincoli e di durata e, in certa misura, anche la obbligatorietà, se non la stessa possibilità, di rinnovo tacito, siccome contrastante con il diritto del locatore di conoscere in anticipo l'esatta durata del sub-rapporto; si era rilevato, infine, che l'espressa menzione della sublocazione nella disciplina dell'equo canone autorizzava l'interprete a considerare la mancata previsione della durata non come una mera svista del legislatore ma come una tacita e voluta esclusione del vincolo. Tale opzione era del resto reputata coerente col concreto atteggiarsi del rapporto: si rilevava, infatti, che la sublocazione (quella parziale in particolar modo, perché implicante una coabitazione) avesse carattere transitorio, o perché diretta a soddisfare una esigenza di non lunga durata, o perché posta in essere come adattamento di ripiego accompagnato dalla aspirazione a un pronto reperimento di una migliore sistemazione abitativa (Bucci, Malpica, Redivo, 328).

Che la sublocazione restasse estranea alla disciplina introdotta nel 1978, avendo particolare riguardo al tema della durata, era stato affermato muovendo delle indicazioni desumibili dai lavori parlamentari, giacché nel disegno di legge proposto dal Governo l'art. 1 prevedeva esplicitamente, al primo comma, una durata minima contrattuale di tre anni, tanto per i contratti di locazione quanto per quelli di sublocazione, salva la possibilità, per questi ultimi, di avere una durata inferiore, in deroga alla disciplina generale; si era così rimarcato come nella stesura del testo legislativo la disciplina della sublocazione avesse trovato intera collocazione all'art. 2 e come ciò facesse supporre che si fosse voluto riservare il disposto dell'art. 1 ai veri e propri contratti di locazione (Del Grosso, 16).

In contrario, si era giustamente obiettato che tale lettura avrebbe favorito l'elusione della norma contenuta nell'art. 1 attraverso la stipulazione di contratti di locazione per interposta persona (Confortini 1980, 22).

E del resto, la stessa rivisitazione dell'originario testo governativo, con riguardo all'art. 1 della legge, ben avrebbe potuto essere interpretata come espressione della volontà di eliminare per la sublocazione il limite di durata fissato per la locazione, equiparando, così, le due tipologie di rapporti ai fini della durata (Cosentino, Vitucci, 269).

Su di un piano più generale, si era poi osservato che negare l'applicabilità al contratto di sublocazione delle varie disposizioni della l. n. 392/1978 diverse da quelle sull'equo canone – come quelle sui criteri di ripartizione degli oneri accessori (art. 9) in materia di spese di registrazione del contratto (art. 8), in tema di deposito cauzionale (art. 11), di recesso convenzionale o legale del conduttore (art. 4) e di risoluzione per inadempimento (artt. 5, 55 e 80) – equivaleva a creare, nella rigida trama di imperativi della l. n. 392/1978, una profonda frattura, che non trovava alcuna giustificazione sul piano teorico e che, dal punto di vista pratico, rischiava di vanificare gli obiettivi che il legislatore si proponeva di conseguire (Confortini 1987, 601).

Questo secondo indirizzo interpretativo è stato seguito dalla giurisprudenza. In particolare, secondo Trib. Siena 1 febbraio 1986, poiché non sussiste alcuna regolamentazione speciale dei rapporti interni fra sublocatore e subconduttore, deve ritenersi che a tali rapporti siano applicabili nella loro interezza le norme regolanti la locazione, reputandosi pleonastica la menzione espressa negli artt. 27 e 58 della l. n. 392/1978 per la sublocazione, non menzionata invece nell'art. 1 della stessa legge, pur relativo alla durata minima di rapporto locativo. Nella sentenzaè spiegato che la l. n. 392/1978 ha realizzato una disciplina organica e unitaria della materia, con norme che non si pongono perciò come eccezionali rispetto alla normativa del codice sulla locazione, bensì come un sistema di norme speciali: e secondo il Tribunale senese ciò determina la necessità di procedere a un'interpretazione sistematica ed estensiva di tali norme ogni qual volta sia necessario colmare le eventuali lacune, ed eventualmente applicare l'analogia legis nell'ambito dell'autonomo sistema costituito dalle norme de quibus.

Non ha invece puntuale attinenza alla materia che qui interessa Cass. III, n. 10742/2002, che si occupa della generale disciplina della sublocazione: nella circostanza, la Suprema Corte ha, infatti, rilevato che le norme regolanti gli obblighi del locatore regolano nella stessa maniera anche gli obblighi del sublocatore e che, per converso, il subconduttore ha le stesse facoltà e gli stessi diritti del conduttore, e cioè di mantenere in buono stato il bene detenuto in sublocazione e di esigere la riparazione dei difetti e vizi, anche sopravvenuti, di tale bene.

L'estensione della disciplina della legislazione speciale in tema di locazioni urbane (non solo della l. n. 392/1978, ma anche quella della l. n. 431/1998) è sicuramente da condividere. Deve infatti considerarsi che la sublocazione è essa stessa una locazione: precisamente la locazione conclusa da chi assume la veste di locatore essendo a sua volta conduttore. Tanto spiega come non fosse necessario estendere espressamente ad essa le norme dettate per la locazione: in tal senso, il legislatore del 1978 non ha adottato una tecnica diversa da quella seguita nella codificazione del 1942, in cui la sublocazione non è presa in considerazione come autonoma figura contrattuale (salvo poi essere regolamentata nei profili di interferenza con la locazione: artt. 1594 e 1595 c.c.).

La sublocazione, per la sua natura, dipende però dal rapporto principale, sicché – pur essendo soggetta ai limiti minimi di durata di cui all'art artt. 2 della l. n. 431/1998 (ove il rapporto non abbia natura transitoria a norma dell'art. 5, naturalmente) – essa resta esposta alle conseguenze che spiega, nei suoi confronti il venir meno della locazione.

Come precisato dalla Suprema Corte, infatti, la persistenza e la continuità del rapporto di sublocazione è subordinata alla esistenza della locazione, in virtù del principio resoluto jure dantis resolvitur et jus accipientis, enunciato dall'ultimo comma dell'art. 1595 c.c., in virtù del quale, appunto, la risoluzione del contratto ha effetto anche nei confronti del sublocatore: tale norma, in quanto contenuta nel codice civile, è di applicazione generale ed essa non è derogata dalla disciplina sull'equo canone (Cass. III, n. 1260/1990).

Considerazioni analoghe risultano svolte in altra pronuncia, ove si sottolinea che il contratto di sublocazione subisce gli effetti del venir meno del rapporto di locazione in conseguenza della nullità del contratto o di altra causa e pertanto cessa quando cessa il rapporto di locazione: sicché, come, in rapporto al locatore, è irrilevante che la durata del contratto di sublocazione sia stata programmata dalle parti di tale contratto per continuare oltre la data in cui si determina la cessazione del contratto di locazione, nello stesso modo non rileva che la durata del contratto di sublocazione sia stata prorogata per legge così da poter durare oltre la data in cui poi interviene la cessazione della locazione (Cass. III, n. 11003/1993).

La conclusione non muta se si conferisce all'art. 1595, comma 3, c.c., il significato di norma operante sul piano dell'inopponibilità, al locatore, della sublocazione conclusa dal conduttore che abbia cessato di essere tale, o non lo sia mai stato, stante l'invalidità del contratto principale (Di Marzio, Falabella, 1544): in tal caso, infatti, l'interrelazione tra la cessazione o la patologia di questo, da un lato, e la durata della sublocazione, dall'altro, si risolve sul piano della pratica inattuabilità del godimento programmato dal contratto derivato. Anche in tale prospettiva la penalizzazione del conduttore risulterà pienamente coerente col sistema: essa non discenderà, però, dall'automatica caducazione del subcontratto, quanto, piuttosto, dalla sopravvenuta impossibilità di dar corso all'esecuzione di esso per la condotta del locatore che a buon titolo vi si opponga, pretendendo la restituzione del bene. La preclusione all'ulteriore esercizio del diritto troverà in altri termini fondamento nel principio per cui il contratto non vincola i terzi cui è inopponibile.

La sublocazione totale

L'art. 2 in commento, discostandosi dalla regola generale contenuta nell'art. 1594 c.c., vieta la sublocazione totale dell'immobile senza il consenso del locatore.

Il senso di tale previsione è da ricercare nel proposito di tutelare il locatore a fronte di un uso dell'immobile, da parte del conduttore, che non è rivolto al soddisfacimento di una necessità abitativa primaria dello stesso: infatti, la disciplina del rapporto di locazione con riguardo ai termini minimi di durata si giustifica oggi (come si giustificava in passato, nel quadro della disciplina della l. n. 392/1978) avendo riguardo all'obiettivo di assicurare al conduttore il soddisfacimento di una esigenza abitativa stabile e continuativa; la sublocazione totale contravviene al soddisfacimento di tale esigenza in quanto priva il conduttore della possibilità di destinare l'immobile a centro della propria vita domestica.

Come è stato osservato in dottrina, la determinazione legale della durata della locazione si giustifica di fronte ad un continuativa esigenza abitativa del conduttore, onde non si può consentire un'utilizzazione, non autorizzata da chi è portatore dell'individuato contrapposto interesse (locatore), della posizione che al conduttore deriva proprio da una determinazione legale della durata del rapporto non più giustificata: in tal senso, dunque, quando la sublocazione è indice della fine dell'esigenza abitativa del conduttore, essa deve essere autorizzata dal locatore (Grasso, 237). Si è pure evidenziato che, nel mentre la locazione della casa di abitazione realizza un bisogno primario del conduttore, degno di protezione sino a quando si colleghi all'immobile locato senza interruzione della continuità abitativa, la sublocazione totale rivela la disponibilità di un altro alloggio e induce la presunzione (relativa) di un intento speculativo (Trifone, 508).

Muovendo da questi rilievi è possibile comprendere cosa si debba intendere per sublocazione totale: non è indispensabile che l'intero immobile locato sia oggetto della sublocazione: è sufficiente che la parte di esso residuata al conduttore sublocatore sia inidonea a soddisfare un'esigenza abitativa stabile del medesimo (Confortini 1980, 27). Il che significa, da un lato, che dovrà considerarsi totale, quindi vietata, salva l'autorizzazione del locatore, la sublocazione che conservi al sublocatore le sole pertinenze o parti accessorie dell'immobile (Bucci, Malpica, Redivo, 325) e che, dall'atro, anche una sublocazione attuata secondo uno schema di alternanza temporale sarà suscettibile di essere considerata totale: ciò accadrà ove l'uso turnario, per come concepito, non sia compatibile con la destinazione abitativa dell'immobile da parte del conduttore (in tal senso si è ritenuta vietata la sublocazione stagionale: Gabrielli, Padovini, 670).

Discusso è, in dottrina, il contenuto del consenso che debba esprimere il locatore, a norma del primo comma dell'articolo in commento, perché si determini il superamento del divieto della sublocazione totale.

Si è sostenuto, al riguardo, che le modalità del consenso del locatore restano affidate alle clausole contrattuali: in tale prospettiva un consenso generico conferirebbe al conduttore “maggiori spazi” con riguardo alla sublocazione per soddisfare l'esigenza primaria del subconduttore (Lazzaro, Di Marzio, 450). L'assunto che la norma ammetta un consenso solo generico, espresso nel contratto di locazione una volta per tutte, si traduce, come è stato ben osservato da chi è favorevole a questa lettura, in un sostanziale ritorno, per via pattizia, alla regola di diritto comune (art. 1594 c.c.), in forza della quale il conduttore può sublocare senza la necessità di consenso alcuno da parte del locatore (Gabrielli, Padovini, 671).

La tesi contraria argomenta dall'istanza di una maggiore tutela accordata al locatore e dal generale sfavore circa la sublocazione, in quanto potenzialmente idonea a mutare la sostanza di uno schema contrattuale tipico della locazione del quale è elemento essenziale l'uso abitativo: il consenso dovrebbe allora essere specifico, prestato in relazione a un determinato contratto, che il locatore deve essere in grado di valutare nelle sue modalità di svolgimento (Trifone, 508, il, quale riprende, al riguardo, le considerazioni svolte da Confortini 1980, 27). Un tale consenso presupporrebbe, poi, una precedente comunicazione e il contenuto minimo di essa dovrebbe essere tale da non frustrare la funzione di consentire al locatore un penetrante controllo circa l'uso dell'immobile locato e la durata del rapporto di sublocazione (Confortini 1980, 28).

È pacifico che il consenso alla sublocazione totale possa essere espresso sia al momento della conclusione del contratto che successivamente. Ci si può domandare se tale consenso sia suscettibile di essere dato in forma verbale o per fatti concludenti, tenuto conto della prescrizione formale contenuta nell'art. 1, comma 4, della l. n. 431/1998; deve considerarsi, al riguardo, che, sul piano generale, nei contratti per i quali è richiesta la forma scritta ad substantiam, la volontà comune delle parti deve rivestire tale forma soltanto nella parte riguardante gli elementi essenziali (per tutte, v. Cass. II, n. 5197/2008): la risposta al quesito sembra quindi debba dipendere dalla possibilità di considerare la volontà negoziale espressa quanto alla sublocazione come elemento essenziale del contratto di locazione.

La sublocazione conclusa in assenza del consenso del locatore integra naturalmente inadempimento. I rimedi contro di questo sono quelli tradizionali, principalmente il risarcimento del danno e la risoluzione per inadempimento. Va qui ricordato che la violazione del divieto di sublocazione dell'immobile, pur costituendo inadempimento, non è tuttavia di per sé sufficiente a giustificare la risoluzione del contratto di locazione, ove non rivesta il carattere di gravità richiesto dall'art. 1455 c.c. da valutarsi con riferimento all'interesse dell'altra parte ed alle circostanze del caso concreto (Cass. III, n. 16111/2010; con riferimento al caso in cui il divieto di sublocazione sia formulato pattiziamente: Cass. III, n. 17348/2011; Cass. III, n. 15763/2000; diversamente ha ritenuto Cass. III, n. 10882/1990, secondo cui, ove vi sia cessione a terzi o sublocazione di un immobile locato ad uso abitativo, nonostante il divieto espressamente convenuto tra le parti, l'inadempimento del conduttore in ordine all'obbligazione primaria ed essenziale scaturente dal contratto determina la risoluzione del contratto, senza che occorra una specifica valutazione della gravità dell'inadempimento; sul punto, v. anche la pur datata Cass. III, n. 1757/1970, per la quale, nell'ipotesi di sublocazione convenuta nonostante che il contratto di locazione la vietasse, il principio applicabile, ai fini della risoluzione di quest'ultimo, e che, qualora l'inadempimento di una parte sia totale e riguardi una delle obbligazioni primarie ed essenziali scaturenti dal contratto, non è necessaria alcuna valutazione specifica della gravità dell'inadempimento stesso, essendo questa implicita nella circostanza stessa del mancato adempimento).

La sublocazione parziale

A norma del comma 2 dell'art. 2 in commento, la sublocazione parziale è sempre ammessa “salvo patto contrario”: si ripropone, qui, il problema del rilievo che assuma, sul piano dell'osservanza della prescrizione di cui all'art. 1, comma 4, della l. n. 431/1998, la disposizione pattizia che ammetta o vieti la sublocazione (in questo caso parziale).

È indiscusso, in ogni caso, che il divieto di sublocazione non possa farsi rientrare fra le clausole particolarmente onerose, per la cui validità l'art. 1341, comma 2, c.c. richiede la specifica approvazione per iscritto (Cass. III, n. 337/1979; Cass. III, n. 1757/1970).

È in facoltà delle parti non solo vietare – o consentire espressamente – la sublocazione parziale, ma ammettere la sublocazione nei soli confronti di “persona gradita”; allo stesso modo la sublocazione potrà essere consentita con riferimento a parti speciali dell'immobile o in favore di soggetti ben determinati o comunque individuabili con l'utilizzazione di indici di identificazione (come, ad esempio, la solvibilità) (Confortini 1980, 30).

La comunicazione va fatta con lettera raccomandata, anche se la prova della data e della conoscenza può essere fornite attraverso mezzi equipollenti (sul punto, Carleo, 194); si esclude, tuttavia, che la comunicazione possa prescindere dall'atto scritto (Cosentino, Vitucci, 341, e Carleo, 194, che argomentano sulla base della giurisprudenza formatasi nel periodo vincolistico, v. per tutte Cass. III, n. 1179/1957).

È utile rammentare che l'adozione di una modalità di comunicazione diversa rispetto a quella prescritta, ma idonea a far conoscere la vicenda intercorsa, è specificatamente ammessa dalla giurisprudenza con riguardo alla corrispondente fattispecie prevista per la locazione non abitativa disciplinata dall'art. 36 della l. n. 392/1978 (Cass. III, n. 17545/2018 e Cass. III, n. 4067/2014, entrambe con riferimento alla cessione della locazione).

La comunicazione deve essere poi preventiva – essere cioè attuata prima che il sub-rapporto abbia avuto un inizio di esecuzione (Gabrielli, Padovini, 671) – ed indicare la persona del sub-conduttore, la durata del contratto e i vani sublocati: ciò al fine di consentire al locatore di valutare l'affidabilità dello stesso sublocatario e la legittimità dell'operazione posta in atto, ma anche il successivo controllo circa l'andamento del rapporto (Confortini 1980, 32; Cosentino, Vitucci, 341; Bucci, Malpica, Redivo, 326).

Quanto alle conseguenze dell'omessa comunicazione, va anzitutto ricordato che, secondo un'opinione espressa in dottrina, tale mancanza rileverebbe, oltre che ai fini della risoluzione del contratto di locazione, sul diverso piano della inopponibilità della sublocazione al locatore: sul piano pratico accadrebbe, cioè, che l'occupazione del bene da parte del sub-conduttore sia da ritenere sfornita di titolo: il locatore potrebbe, quindi, agire direttamente verso lo stesso sub-conduttore per ottenere il rilascio dell'immobile (Confortini 1980, 33).

La risoluzione del contratto di locazione, d'altro canto, non costituisce conseguenza necessitata della mancata comunicazione, dovendosi pur sempre apprezzare se l'inadempimento posto in atto dal conduttore sia di non scarsa importanza, a mente dell'art. 1455 c.c.

Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha valorizzato il superamento, da parte dell'art. 2, comma 2, della l. n. 392/1978, della vecchia disciplina vincolistica. La Suprema Corte ha ben riassunto il mutato quadro normativo, sottolineando come l'art. 2, in commento, abbia regolato compiutamente l'istituto della sublocazione di immobili ad uso abitativo, sicché vanno considerate abrogate, essendo incompatibili con la nuova disciplina di detta legge, le norme della l. n. 253/1950 che disciplinavano diversamente la medesima materia: così, in particolare, l'art. 23 l. n. 253/1950, che prevedeva, tra l'altro, la risoluzione automatica del contratto se il conduttore sebbene diffidato dal locatore, avesse omesso di fare la prescritta comunicazione al locatore (contemplata dall'art. 20 della stessa legge). È stato spiegato che la disciplina contenuta nel citato art. 23, che aveva principalmente il fine di consentire al locatore di percepire gli aumenti supplementari del canone, previsti dall'art. 17 in caso di sublocazione, non è stata recepita nella nuova disciplina della l. n. 392/1978 in quanto detta legge non contempla tali aumenti supplementari: si è detto, così, che la previsione di una risoluzione automatica del contratto non aveva più ragion d'essere, dato che essa si giustificava in funzione del pregiudizio economico sofferto dal locatore, il quale, per la mancata comunicazione della sublocazione, veniva ad essere privato dei predetti aumenti (Cass. III, n. 5757/1988). Diversamente da quanto accadeva in passato, dunque, qualora il locatore invochi oggi la risoluzione del contratto facendo valere l'omissione della comunicazione, troveranno applicazione le norme ordinarie di cui agli artt. 1453 ss. c.c. (Cass. III, n. 1682/1999; sul punto, v. altresì Cass. III, n. 5923/1993, e Cass. III, n. 3365/1987, che pure sottolineano come, nel mentre l'omessa comunicazione era di per sé causa di risoluzione del contratto, ai sensi del combinato disposto degli artt. 20 e 23 della l. n. 253/1950, la stessa omissione, a norma dell'art. 2 della vigente l. n. 392/1978, non é più sanzionata con un'identica causa di risoluzione del rapporto locativo).

La presunzione di sublocazione

All'obiettiva difficolta cui va incontro il locatore nel fornire la prova della sublocazione sovviene una norma della legislazione vincolistica. L'art. 21 della l. n. 253/1950 dispone infatti, al comma 1, che si presume l'esistenza della sublocazione quando l'immobile risulti occupato da persone che non sono al servizio del conduttore o che non sono a questo legate da vincoli di parentela o di affinità entro il quarto grado, salvo che si tratti di ospiti con carattere transitorio; precisa lo stesso articolo, al secondo comma, che la presunzione non si applica nei confronti delle persone che si sono trasferite nell'immobile assieme al conduttore. La norma è stata poi ripresa, praticamente ad litteram, dall'art. 59, n. 7), della l. n. 392/1978, nel quadro della regolamentazione transitoria delle locazioni concluse prima dell'entrata in vigore di detta legge.

La Cassazione si è pronunciata nel senso della mancata abrogazione del cit. art. 23 da parte della l. n. 392/1978. L'abrogazione implicita, a norma dell'art. 84 della detta legge, ha infatti riguardato gli artt. 20, 23 e 24 della l. n. 253/1950, non anche l'art. 23, il quale determina solo una inversione dell'onere della prova a favore del locatore, giustificata dalla generale difficoltà di provare la sublocazione. Ha spiegato il giudice di legittimità che quest'ultima norma non risulta incompatibile con la nuova disciplina in materia di sublocazione stabilita dalla l. n. 392/1978: la ratio del citato art. 23, che è quella di agevolare la posizione del locatore, senza essere strumentale alla disciplina specifica dei soli contratti in regime transitorio – come invece è il richiamato art. 59, n. 7) – risulta infatti comune ai contratti soggetti al regime ordinario (Cass. III, n. 5190/1993). La mancata abrogazione della norma da parte della legge sull'equo canone è stata ribadita, più di recente, da Cass. VI, n. 19486/2013.

Deve segnalarsi, per mera completezza, che una vicenda abrogativa ha per la verità interessato il citato art. 23. L'intera l. n. 253/1950 è stata infatti abrogata dall'art. 24 del d.l. n. 112/2008 (denominato “taglia-leggi”), ma l'efficacia del provvedimento legislativo è stata successivamente ripristinata a norma dell'art. 3, comma 1-bis, del d.l. n. 200/2008; da ultimo, l'art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 179/2009 ha dichiarato indispensabile la permanenza in vigore del testo normativo.

È da osservare che la presunzione non opera nemmeno nel caso di presenza nell'immobile del convivente more uxorio: ciò è stato riconosciuto da tempo dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. III, n. 626/1961; Cass. III, n. 1992/1957).

Tale approdo è del resto oggi coerente con la piena equiparazione, operata dalla Corte Costituzionale, del convivente stesso al coniuge del locatario defunto (Corte cost. n. 404/1988): come è stato giustamente osservato, infatti, con tale equiparazione il giudice delle leggi ha implicitamente riconosciuto che il detto convivente non è titolare di un rapporto di sublocazione e non può quindi presumersi subconduttore (Carleo, 187).

Ha chiarito poi la giurisprudenza che allorquando la sublocazione non è presunta, ad escluderla e sufficiente la semplice dimostrazione del vincolo di parentela o di affinità entro il quarto grado, ovvero del rapporto di servizio, senza che sia necessaria alcuna altra precisazione in proposito mentre, nei casi in cui è operante la praesumptio juris, la prova a carico del conduttore deve assumere un contenuto più ampio e concreto, attraverso la specifica indicazione dei motivi intesi ad escludere la sublocazione (Cass. III, n. 1664/1968). Il fatto che gli occupanti dell'immobile siano ospiti con carattere transitorio deve essere dunque provato dal conduttore (Cass. III, n. 4805/1979, che evidenzia come ciò si giustifichi in quanto detta circostanza è idonea a vincere la presunzione posta a carico del conduttore; nel medesimo senso, con riferimento alla fattispecie prevista dall'art. 59, n. 7), della l. n. 392/1978, Cass. III, 4972/1988, secondo cui la presunzione juris tantum di sublocazione prevista da tale norma quando l'immobile risulta occupato da persone che non sono alle dipendenze del conduttore o che non sono a questo legate da vincoli di parentela o di affinità entro il quarto grado, può essere superata soltanto con la dimostrazione specifica e concreta di un rapporto di ospitalità di natura esclusivamente transitoria).

Va pure richiamata, in argomento, Cass. III, n. 477/1988, secondo cui, ai sensi dell'art. 21 della l. n. 253/1950, la presunzione di sublocazione (al fine della risoluzione del contratto di locazione) nell'ipotesi in cui l'immobile locato risulti occupato da persona che non sia al servizio del conduttore o non sia parente o affine di quest'ultimo entro il quarto grado, può essere superata anche dalla prova che l'occupazione dell'appartamento da parte di estranei è avvenuta a titolo di comodato. Occorre, tuttavia, notare che, in base alla stessa giurisprudenza della Suprema Corte, il fatto che l'immobile sia dal conduttore concesso in comodato gratuito a terzi non varrebbe ad escludere l'inadempimento: si afferma, infatti, che divieto pattizio di sublocazione è violato, con il conseguente inadempimento idoneo a giustificare la risoluzione del contratto, ogni qualvolta venga trasferito a terzi, da parte del conduttore, il godimento, anche parziale, della res locata, indipendentemente dal titolo che tra conduttore e terzo possa legittimare il trasferimento (Cass. III, n. 4252/1988, che richiama, in motivazione, i precedenti di Cass. n. 1095/1959, Cass. III, n. 3111/1955 e Cass. III, n. 2355/1954).

Quest'ultima soluzione trova, del resto, conferma nella dottrina più autorevole, secondo cui il divieto di sublocare deve intendersi il comprensivo del divieto di dare in comodato o comunque di abilitare il terzo al godimento, sia a titolo oneroso che a titolo gratuito (Mirabelli, 582).

La distinzione tra mera ospitalità e concessione dell'immobile in comodato è poi, marcata in una più recente sentenza della stessa Suprema Corte, secondo la quale il divieto di sublocazione o di comodato, previsto da una clausola del contratto di locazione, non può ritenersi violato per il solo fatto che il conduttore abbia ospitato, sebbene per un cospicuo periodo di tempo (nella specie, tre anni), un prossimo congiunto (nella specie, sorella e nipote ex fratre), costituendo tale circostanza un mero indizio, privo di rilievo probatorio ai fini della prova dell'inadempimento, se non accompagnato da ulteriori circostanze idonee a dimostrare che il conduttore avesse accordato agli ospiti le facoltà proprie del comodatario (Cass. III, n. 9931/2012).

La presunzione posta dall'art. 21 della l. n. 253/1950 non incontra alcun limite nella soggezione della locazione abitativa alla forma scritta e nella correlativa preclusione a provare l'esistenza del rapporto a mezzo di presunzioni, a norma dell'art. 2729, comma 2, c.c. Infatti, Il divieto di fare ricorso alle presunzioni nei casi in cui la legge esclude la prova per testimoni investe solo le presunzioni semplici, non anche le presunzioni legali, quale è la presunzione di sublocazione in questione (Cass. VI, n. 19486/2013).

Il divieto di cessione della locazione abitativa.

La previsione dell'art. 2, comma 1, con particolare riferimento al divieto di cessione del contratto senza il consenso del locatore, replica il disposto dell'art. 1594, comma 2, c.c., al cui commento deve necessariamente farsi rinvio.

Merita solo ricordare, su di un piano generale, che nella cessione del contratto l'adesione del contraente ceduto costituisce un elemento costitutivo della fattispecie negoziale, la quale senza detta adesione non si perfeziona affatto. In tal senso, va escluso che l'accordo intercorso tra cedente e cessionario, avente ad oggetto il trasferimento della posizione contrattuale del conduttore, possa integrare un inadempimento: come è stato osservato in dottrina, un negozio in itinere non può di per sé costituire violazione di un divieto, ma un semplice tentativo di porre in essere una cessione che si perfezionerà solo se accettata dal locatore (Tabet, 606). Ne discende che la violazione del divieto si configurerà non per la conclusione di tale accordo, con cui non è ancora realizzata alcuna cessione contrattuale, quanto piuttosto in ragione del fatto che il conduttore ha materialmente sostituito a sé un terzo nel godimento dell'immobile (per tutti, v. Gabrielli, Padovini, 695).

Quanto, poi, alla cessione consentita dal locatore, deve ricordarsi come la giurisprudenza di legittimità abbia osservato, in passato, che, quando per il contratto ceduto non è richiesta la forma scritta, essa si perfeziona e produce effetto, nei confronti del locatore, nel momento in cui questo vi acconsente anche tacitamente o per facta concludentia, come nel caso in cui, venuto a conoscenza della cessione, abbia consentito il godimento della cosa locata da parte del cessionario ed accettato gli effetti della cessione, ricevendo da quest'ultimo il canone locativo (Cass. III, n. 6055/1991). Le cose stanno diversamente se per la stipula del contratto di locazione sia necessario adottare la forma scritta, come accade per la locazione abitativa, stante la prescrizione contenuta nell'art. 1, comma 4, della l. n. 431/1998. In tal caso va fatta allora applicazione del principio per cui, ai fini della cessione del contratto, devono essere osservate le stesse forme prescritte per il contratto trasferito: sicché anche il consenso del contraente ceduto (il locatore, quindi), che è elemento della fattispecie, dovrà essere espresso nel rispetto delle medesime (si veda, per un'affermazione del principio al di fuori della materia che qui interessa, Cass. III, n. 5244/2004).

È da segnalare, per concludere, che l'art. 2 non fa menzione della cessione del contratto da parte del locatore, eventualità statisticamente rara, ma che, secondo quanto avvertito in dottrina, non incontrerebbe preclusioni sul piano dei principi. Come è stato osservato, una volta ammesso che la cessione di contratto è istituto di carattere generale, applicabile ad ogni contratto e ad ogni posizione contrattuale e una volta negato che legittimato a locare è non soltanto l'effettivo titolare di un diritto sulla cosa, essendo consentita la locazione di cosa altrui, coerenza impone che si ammetta l'ipotizzabilità della cessione della posizione di locatore indipendentemente dal trasferimento di una posizione di diritto sulla cosa locata, che potrebbe anche non sussistere (Mirabelli, 575).

Contraria a tale soluzione risulta essere una pronuncia della Suprema Corte, secondo la quale la cessione della locazione per iniziativa del locatore, per essere valida ed efficace, non potrebbe dissociarsi dal trasferimento, in favore del cessionario, della stessa posizione giuridica di cui è titolare, rispetto alla cosa, il locatore cedente e che lo abilita a trasferirne e ad assicurarne il godimento al conduttore (non necessariamente la proprietà o altro diritto reale, ma anche un diritto personale di godimento): solo in tal modo il cessionario sarebbe in grado di continuare a far godere la cosa al conduttore e quest'ultimo non vedrà peggiorato il proprio status di fronte a un locatore non dominus né titolare di un'altra valida condizione legittimante (Cass. III, n. 9374/2003, non massimata sul punto).

Bibliografia

Bucci, Malpica, Redivo, Manuale delle locazioni, Padova, 1989; Carleo, Sublocazione, alienazione della cosa locata, cessione del contratto e successione nel contratto di locazione, in Patti (a cura di), Il contratto di locazione, in Giur. sist. civ. e comm., fondata da Bigiavi, Torino, 1996, 175; Confortini, Art. 2. Disciplina della sublocazione, in Bianca, Irti, Lipari, Proto Pisani, Tarzia (a cura di), Equo canone. Disciplina delle locazioni di immobili urbani, Padova, 1980; Confortini, Sublocazione di immobili ad uso abitativo, in Noviss. dig. it, app., Torino, 1987; Cosentino, Vitucci, Le locazioni dopo le riforme del 1978-1985, Torino, 1986; Del Grosso, Art. 1. Durata della locazione, in Bianca, Irti, Lipari, Proto Pisani, Tarzia (a cura di), Equo canone. Disciplina delle locazioni di immobili urbani, Padova, 1980; Di Marzio, Falabella, La locazione, Torino, 2010; Gabrielli, Padovini, La locazione di immobili urbani, Padova, 2001; Grasso, Il consenso del locatore nella sublocazione di immobile urbano per uso abitativo, in Riv. dir. civ.,1979, II, 229; Lazzaro, Di Marzio, Le locazioni per uso abitativo, Milano, 2002; Mirabelli, La locazione, Torino, 1972; Tabet, La locazione-conduzione, Milano, 1972; Trifone, La locazione. Disposizioni generali e locazione di fondi urbani, in Trattato di diritto privato, diretto da Rescigno, IX, Torino, 1984.

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