Legge - 27/07/1978 - n. 392 art. 36 - Sublocazione e cessione del contratto di locazione.Sublocazione e cessione del contratto di locazione. Il conduttore può sublocare l'immobile o cedere il contratto di locazione anche senza il consenso del locatore, purché venga insieme ceduta o locata l'azienda, dandone comunicazione al locatore mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento. Il locatore può opporsi, per gravi motivi, entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione. Nel caso di cessione, il locatore, se non ha liberato il cedente, può agire contro il medesimo qualora il cessionario non adempia le obbligazioni assunte. Le indennità previste dall'articolo 34 sono liquidate a favore di colui che risulta conduttore al momento della cessazione effettiva della locazione. InquadramentoLa disposizione in commento, non suscettibile di deroga convenzionale, pone la disciplina della sublocazione e cessione del contratto di locazione ad uso diverso, stabilendo, anzitutto, che il conduttore può sublocare l'immobile o cedere il contratto di locazione anche senza il consenso del locatore, purché venga insieme ceduta o locata l'azienda, dandone comunicazione al locatore mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento: previsione, quella così concepita, volta a tutelare non già il solo avviamento commerciale, bensì l'attività di impresa come tale, considerata la sua applicabilità anche alle locazioni aventi ad oggetto immobili destinati ad attività che non comportino rapporti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori (Gabrielli, Padovini, 700). Per altro verso, l'ambito di applicazione dell'art. 36 della l. n. 392/1978, benché più ampio di quello delle norme strettamente poste a tutela dell'avviamento (indennità, prelazione e riscatto), non coincide, ed è cioè più ridotto, di quello desumibile dall'art. 27 della l. n. 392/1978, presupponendo la norma la destinazione dell'immobile locato ad elemento costitutivo di una struttura aziendale, con conseguente inapplicabilità in caso di destinazione dell'immobile allo svolgimento di un'attività professionale, sempre che essa non sia organizzata in forma imprenditoriale. Sublocazione e cessione devono essere oggetto di comunicazione al locatore, la quale deve essere effettuata dal conduttore cedente mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento, ma è riconosciuta l'ammissibilità di mezzi equipollenti, senza, tuttavia, che possa rilevare, ai fini dell'opponibilità della cessione o della sublocazione, la conoscenza acquisita aliunde dal locatore. La comunicazione ha l'effetto di determinare l'opponibilità al locatore della cessione o sublocazione, sicché la mancata comunicazione rende solo inopponibile tali pattuizioni. Il locatore può opporsi, per gravi motivi, entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione La cessione del contratto di locazione ad uso diverso in generaleLa cessione del contratto di locazione, ove l'immobile locato sia parte di un complesso aziendale, destinato a seguire la sorte del rapporto locatizio, presenta evidenti tratti di problematicità. Difatti, in ipotesi di cessione o di affitto di azienda, l'art. 2558 c.c. stabilisce che: i) se non è pattuito diversamente, l'acquirente dell'azienda subentra nei contratti stipulati per l'esercizio dell'azienda stessa che non abbiano carattere personale; ii) il terzo contraente può tuttavia recedere dal contratto entro tre mesi dalla notizia del trasferimento se sussiste una giusta causa, salvo, in questo caso, la responsabilità dell'alienante. Tale previsione ha da essere coordinata con la regola, radicalmente diversa, dettata per la locazione, art. 1594 c.c., secondo la quale non v'è cessione se non v'è consenso del locatore. E cioè, mentre l'art. 2558 c.c. istituisce un congegno di successione ex lege nei contratti stipulati per l'esercizio dell'azienda, nei casi di trasferimento o di affitto di essa, l'art. 1594 c.c. esclude l'automaticità della modificazione soggettiva della posizione contrattuale, salvo non vi sia adesione del locatore ceduto. In epoca remota, la Suprema Corte era orientata ad attribuire prevalenza all'art. 1594 c.c. (Cass. III, n. 2340/1961; Cass. III, n. 2472/1963), ammettendo, peraltro, che il trasferimento del contratto fosse reso possibile dalla volontà delle parti che avessero considerato il contratto di locazione come elemento strumentale indispensabile alla gestione dell'azienda ceduta (Cass. III, n. 3537/1969; Cass. III, n. 2540/1970; Cass. III, n. 6270/1980). La dottrina era perlopiù schierata sul fronte opposto, riconoscendo che la cessione o l'affitto dell'azienda comportava il trasferimento della posizione del conduttore in capo all'acquirente di questa. Si rese, dunque, necessario l'intervento del legislatore, che in un primo tempo regolò la materia con l'art. 5 della l. n. 19/1963, ma limitatamente alle sole ipotesi di contratti di locazione di immobili adibiti all'esercizio di attività commerciali o artigianali che avessero diretti contatti con il pubblico degli utenti e dei consumatori: secondo tale disposizione il conduttore poteva difatti sublocare l'immobile o cedere il contratto senza il consenso del locatore, purché, però, venisse insieme ceduta o affittata l'azienda. Rimaneva così il problema delle locazioni aventi ad oggetto immobili in cui non fosse esercitata attività implicante contatto diretto con il pubblico. La norma ora in commento ha adottato una soluzione che sostanzialmente riproduce quella del 1963, ma ne estende l'ambito di applicazione alla generalità dei contratti di locazione di immobili destinati a far parte di un complesso aziendale, senza più la limitazione dei contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori. È difatti rimasta del tutto isolata l'opinione contraria, per la quale la disposizione attuale avrebbe il medesimo ambito operativo dell'art. 5 della l. n. 19/1963 è rimasta infatti del tutto isolata: ad essa si è obiettato che la collocazione dell'art. 35 della l. n. 392/1978, posto a fondamento della tesi c.d. restrittiva, sta a dimostrare che la volontà del legislatore è nel senso di dare alla disposizione la più ampia portata applicativa, giacché la norma precede, e non segue come sarebbe stato altrimenti logico, l'art. 36 (Bucci –Malpica, Redivo, 448). D'altronde la norma in esame non contiene alcun rinvio all'art. 35 e discorre genericamente di azienda (Gabrielli, Padovini, 700). È inoltre sintomatico che l'art. 41, comma 2, della l. n. 392/1978 non richiami l'art. 36 tra le norme inapplicabili ai rapporti di locazione previsti dall'art. 35 (Lazzaro –Preden, 1089). In definitiva, la ratio della disposizione è costituita dalla salvaguardia dell'azienda o dell'attività di impresa in quanto tali, senza alcun necessario riferimento all'avviamento commerciale (Bucci –Malpica, Redivo, 448; Gabrielli, Padovini, 700). Fattispecie incluseCom'è stato detto, l'attuale normativa in tema di sublocazione e cessione del contratto può trovare applicazione per tutte le attività considerate dall'art. 27, in relazione alle quali l'immobile locato si presenti come elemento dell'organizzazione aziendale. È quest'ultima, quindi, che costituisce il connotato essenziale per usufruire del beneficio, che dovrà essere negato in relazione a quelle attività che non siano caratterizzate dalla presenza di un'azienda (Lazzaro, Preden, 1089). Non v'è dubbio che anche il piccolo imprenditore, il quale svolga abitualmente un'attività di lavoro autonomo e disponga di un'azienda, come l'artigiano, sia ricompreso tra i soggetti cui la disciplina in esame si estende. L'art. 36 si applica poi all'imprenditore agricolo che eserciti un'attività commerciale o industriale connessa, per accessorietà o complementarietà, a quella di coltivazione e di allevamento (art. 2135, comma 2, c.c.): è stato osservato, infatti, che la legge fa riferimento alla cessione dell'azienda, senza distinguere tra azienda commerciale e azienda agraria (Lazzaro, Preden, 1090; Papanti Pelletier, 407). Ove l'immobile locato sia destinato ad azienda, poi, non ha ragione di essere l'esclusione della tutela, altrove dettata da altre norme della legge del 1978 (locazioni stagionali, per attività transitorie, relative a immobili complementari e interni): sicché anche in tali ipotesi l'art. 36 si applica (Lazzaro, Preden, 1090). Fattispecie escluseLa disposizione, volta a salvaguardare l'integrità del complesso aziendale, è inapplicabile al contratto di locazione di immobile per lo svolgimento di attività professionale. Nel caso di attività professionale, infatti, è preponderante il carattere personale dell'attività del professionista, la quale sovrasta il rilievo del complesso di beni destinati allo svolgimento dell'attività medesima (Cass. III, n. 899/1979). Ed infatti, è stato escluso che nella cessione dello studio professionale possa individuarsi un valore di avviamento (Cass. III, n. 1889/1967). Occorre peraltro considerare che, come si desume dall'art. 2238, comma 1, c.c., l'esercizio di una professione intellettuale non costituisce radicale impedimento all'acquisto della qualità di imprenditore commerciale, in presenza di un'attività organizzata in forma d'impresa (Cass. III, n. 3679/1982). Tale eventualità è generalmente riconosciuta a quanti non esercitino un'attività «protetta», ossia a quanti svolgano una professione intellettuale per la quale non sia richiesta l'iscrizione in speciali albi o elenchi (art. 2229 c.c.). Diverso il discorso per l'esercizio, in senso imprenditoriale, di attività «protette», tradizionalmente precluso (Cass. III, n. 2645/1982). In particolare, si era ritenuto che in presenza di un'attività «protetta» non potesse aver luogo l'esercizio in forma societaria dell'attività professionale (Cass. III, n. 79/1993). Il divieto di costituire società tra professionisti, un tempo dettato dalla l. n. 1815/1939, ma ancor prima desumibile dalla regola generale stabilità dall'art. 2232 c.c., che impone al prestatore d'opera di eseguire personalmente l'incarico assunto, già abrogato dall'art. 24 della l. n. 226/1997, dopo qualche apertura da parte della giurisprudenza (si allude a Cass. I, n. 4628/1997, secondo cui lo studio professionale associato costituisce autonomo centro di imputazione di rapporti giuridici), è definitivamente caduto, con riguardo agli avvocati, per effetto del d.lgs. n. 96/2001, recante «Attuazione della direttiva 98/5/CE volta a facilitare l'esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquisita la qualifica professionale». Con l'art. 10 della l. n. 183/2011, si è poi ammessa la costituzione di società per l'esercizio di attività professionali regolamentate nel sistema ordinistico, secondo i modelli societari regolati dai titoli V e VI del libro V del codice civile. Già in precedenza la giurisprudenza si era occupata di alcune fattispecie: l'attività di insegnamento, coordinata dal titolare, che, pur svolgendo attività didattica, si avvalga dell'ausilio di collaboratori (App. Catania 10 ottobre 1975); l'attività di consulenza aziendale realizzata ponendo a disposizione di terzi gestori di imprese il lavoro di tecnici, per suggerire innovazioni e perfezionamenti atti a consentire una riduzione dei costi dell'organizzazione aziendale (Cass. III, n. 859/1967); la gestione di laboratori d'analisi, ove l'attività professionale integri l'elemento di un'attività organizzata in forma di impresa e risulti così inserita in una struttura che è frutto dell'impiego del capitale (Cass. III, n. 12444/1991; App. Roma 14 novembre 2007; App. Napoli 13 dicembre 1994); l'attività consistente nell'elaborazione meccanografica di dati contabili (Cass. III, n. 163/1996); l'attività della società di ingegneria per l'ipotesi in cui l'apporto intellettuale dell'ingegnere sia uno dei vari fattori del più complesso risultato promesso e non consista in un'opera di progettazione interamente rientrante nell'attività professionale tipica dell'ingegnere e dell'architetto (Cass. III, n. 10872/1999); quella dello spedizioniere doganale, quando l'esercizio della professione costituisca elemento di un'attività organizzata in forma d'impresa (Cass. III, n. 3679/1982); quella del mediatore professionale (Cass. III, n. 1637/1984). Con riguardo all'attività sanitaria, è stato detto che, ove l'immobile locato sia destinato ad attività organizzata (nella specie, in forma societaria), la qualificazione dell'attività stessa come non meramente professionale, ma commerciale, esige il riscontro di un'organizzazione d'impresa che non si esaurisca in sostrato strumentale delle prestazioni personali, e, correlativamente, il riscontro di un'esorbitanza di tali prestazioni dall'opera intellettuale in senso stretto, per trasmodare in coordinamento dei fattori produttivi indirizzato all'offerta di un servizio autonomamente rilevante. Pertanto, in relazione ad attività per loro natura riconducibili fra quelle proprie delle professioni sanitarie, come le attività di recupero psico-fisico di soggetti minorati, la suddetta qualificazione non può essere fondata sul solo rilievo della complessità delle apparecchiature utilizzate o degli interventi del personale impiegato, occorrendo il positivo accertamento della presenza delle indicate connotazioni (Cass. III, n. 8291/1992). La disciplina della sublocazione e cessione, come disciplinata dall'art. 36, neppure si applica alle locazioni concluse per lo svolgimento delle attività particolari di cui all'art. 42 della l. n. 392/1978: sia perché tali rapporti concernono immobili di regola destinati ad attività non imprenditoriali, sia perché il comma 2, dell'art. 42 non richiama l'art. 36 (Lazzaro, Preden, 1092). La giurisprudenza ha quindi escluso che la disposizione di cui all'art. 36, al pari di quella di cui all'art. 37, possa estendersi agli enti pubblici non economici (Cass. III, n. 790/1992). Quanto al regime giuridico applicabile alla cessione e alla sublocazione di immobili locati ad uso diverso, ma sottratti alla disciplina dell'art. 36 della l. n. 392/1978, è sorta questione se debba farsi applicazione dell'art. 1594 c.c. ovvero dell'art. 2 della l. n. 392/1978. In effetti, il problema possiede concrete ricadute applicative esclusivamente con riguardo alla sublocazione, giacché entrambe le disposizioni dettano per la cessione la medesima regola, in forza della quale il conduttore può operare la cessione, in conformità alla regola generale stabilita dall'art. 1406 c.c., esclusivamente con il consenso del contraente ceduto, ossia del locatore: dunque il conduttore non titolare di un'azienda può cedere il contratto solo con il consenso del locatore; viceversa, quanto alla sublocazione, l'art. 1594 consente la sublocazione, indipendentemente dal consenso del locatore, mentre l'art. 2 della l. n. 392/1978 reca il divieto della sublocazione totale, salvo che il locatore non vi consenta. A quest'ultimo riguardo, in dottrina, è stata ritenuta l'applicabilità dell'art. 1594 c.c., dal momento che l'art. 2 detta una disciplina speciale inserita nel capo dedicato alle locazioni abitative, non estensibile perciò alle locazioni per uso diverso dall'abitazione (Papanti Pelletier, 408; Cosentino, Vitucci, 342). Analogamente, la Suprema Corte ha stabilito che per gli immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione l'art. 36 ha lasciato immutata la disciplina della sublocazione e della cessione dettata dall'art. 1594 c.c., a norma del quale il conduttore, salvo patto contrario, ha facoltà di sublocare la cosa locatagli, ma non può cedere il contratto senza il consenso del locatore (Cass. III, n. 10157/1994). In tale prospettiva merita di essere esaminato anche il caso della cessione della locazione o della sublocazione operate, in difetto di una disciplina pattizia, in mancanza di cessione o affitto dell'azienda. Quanto alla cessione del contratto di locazione, ove non venga integrata la fattispecie contemplata dall'art. 36, essa incontra nuovamente il divieto stabilito dall'art. 1594 c.c. Quanto alla sublocazione, invece, secondo un primo orientamento, anch'essa sarebbe vietata, qualora disgiunta dalla cessione o affitto dell'azienda, nel caso di mancanza di un patto che la consenta. Ha difatti talora affermato la Suprema Corte che, se l'azienda non viene ceduta o locata, il conduttore deve avere il consenso del locatore, sia nel caso in cui voglia sublocare l'immobile – sicché in deroga all'art. 1594 c.c., la mancanza di un patto contrario non consente più al conduttore l'esercizio della facoltà di sublocazione, occorrendo invece, per tale esercizio, il consenso del locatore – e sia nel caso in cui voglia cedere il contratto, come già prevede l'art. 1594 c.c. (Cass. III, n. 2655/1994). In senso opposto, si è però osservato che l'art. 36 non ha modificato la disciplina della sublocazione dettata dall'art. 1594 c.c., sicché il conduttore ben può sublocare l'immobile a prescindere dal consenso del locatore, salvo, ovviamente, il patto contrario (Cass. III, n. 1966/2000; Cass. III, n. 10157/1994). Anche la dottrina ha osservato che, una volta riconosciuta l'applicabilità dell'art. 36 alle locazioni non abitative caratterizzate da un collegamento con l'azienda, il limitato ambito oggettivo della disposizione in esame non consente di attribuirle la portata generale di norma recante la nuova disciplina della sublocazione per le locazioni non abitative (alla stessa stregua dell'art. 2, che invece tale valenza assume per le locazioni ad uso di abitazione), e quindi attitudine ad abrogare per incompatibilità, ai sensi dell'art. 84, l'art. 1594 c.c. con riferimento a tale categoria di locazioni (Lazzaro, Preden, 1096). Clausole contrattuali in materia di sub-locazione e cessioneSecondo il fermo insegnamento della giurisprudenza, in caso di affitto di azienda relativo ad attività svolta in un immobile condotto in locazione, non si produce l'automatica successione nel contratto di locazione dell'immobile, quale effetto necessario del trasferimento dell'azienda, ma la successione è soltanto eventuale e richiede, comunque, la conclusione di un apposito negozio di sublocazione o di cessione del contratto di locazione. L'esistenza di tale negozio si presume fino a prova contraria, alla stregua dei principi di cui all'articolo 2558 del codice civile, salvo che le parti, nello stipulare il contratto di affitto di azienda, non abbiano espressamente disciplinato le sorti di quello di locazione dell'immobile, nel qual caso la suddetta presunzione non opera (da ult. Trib. Pavia 12 marzo 2020, n. 135). La facoltà di cessione e sublocazione del contratto di locazione, sancita dall'art. 36, non inoltre può essere oggetto di esclusione pattizia. L'art. 36, che consente la sublocazione o la cessione del contratto di locazione di immobile adibito all'esercizio di attività commerciale «anche senza il consenso del locatore», va inteso nel senso che la sublocazione dell'immobile o la cessione della locazione è sempre permessa anche nei casi in cui manchi tale consenso, compreso, quindi, quello in cui il consenso stesso risulti escluso da apposito patto contrattuale contenente il divieto di sublocare l'immobile o di cedere il contratto (Cass. III, n. 623/1983; Cass. III, n. 1943/1988; Cass. III, n. 4802/2000). A sostegno della soluzione che ammette sublocazione e cessione anche in presenza di un patto di esclusione, si è evidenziato che una diversa conclusione non potrebbe essere fondata sul carattere eccezionale della disposizione, posto che nella fattispecie non viene in discorso l'analogia, ma l'interpretazione estensiva, volta a rendere esplicito ciò che per la norma è implicito (Lazzaro, Preden, 1093). D'altronde, si è aggiunto, se così non fosse la clausola volta a stabilire la necessità del preventivo consenso diverrebbe clausola di stile inserita in ogni contratto, che eliminerebbe, di fatto, la specialità dell'istituto (Bucci, Malpica, Redivo, 448). La Suprema Corte ha, però, ritenuto valida la clausola che conferisce al locatore il diritto di prelazione in caso di cessione o di affitto di azienda (Cass. III, n. 14495/2004). Al pari del divieto, neppure rileva il consenso preventivo manifestato dal locatore alla cessione e sublocazione. Tuttavia, è stato detto che, in simile ipotesi, il locatore ceduto non può avvalersi della facoltà, normativamente contemplata, di opposizione alla cessione per gravi motivi, salvo che essi non siano sopravvenuti (Papanti Pelletier, 414; Gazzoni, 198; Gabrielli, Padovini, 706). La cessione o locazione dell'aziendaUna volta osservato che la disciplina dell'art. 36 scatta in funzione della cessione o locazione (così si esprime l'art. 36, sebbene sia in questo caso più corretto discorrere di affitto) dell'azienda costituita nell'immobile locato, sorge anzitutto il quesito se il conduttore, nel cedere o affittare la propria azienda, debba pure convenire con la controparte contrattuale la cessione della locazione o la sublocazione, o se, invece, il subentro del cessionario o del subaffittuario nel contratto di locazione costituisca l'effetto di una successione ex lege, destinata a prodursi automaticamente per effetto della conclusione dei contratti concernenti l'azienda. Se fosse quest'ultima la soluzione, le ricadute sarebbero cospicue: come è stato osservato, infatti, la volontà delle parti entrerebbe in gioco al solo fine di escludere l'effetto del subentro, e non già per consentire lo stesso, come invece accadrebbe ove si postuli la necessità di una duplice attività contrattuale: l'una concernente l'azienda e l'altra, specificamente, la locazione (Gazzoni, 197). Nello sviluppare la tesi si è sostenuto che la previsione normativa non istituirebbe un collegamento negoziale necessario tra due contratti, e che invece la cessione di azienda costituirebbe il presupposto di fatto per il prodursi dell'effetto legale del passaggio della titolarità del diritto di godimento dell'immobile in capo al cessionario (Gazzoni, 199). Secondo l'opinione ampiamente prevalente, per contro, il mero trasferimento dell'azienda non è idoneo di per sé a far conseguire al cessionario il diritto di godimento dell'immobile, occorrendo invece anche un autonomo contratto di cessione della locazione o di sublocazione dell'immobile (Papanti Pelletier, 411; Trifone, 509; Lazzaro, Preden, 1082). Secondo un ulteriore isolato indirizzo sarebbe necessaria la stipula di un'apposita convenzione nel caso di sublocazione, ma non in ipotesi di cessione (Bucci, Malpica, Redivo, 450). La Suprema Corte ha, in un primo tempo, aderito al primo degli orientamenti riportati (Cass. III, n. 8065/1993). Successivamente, ha però sposato la soluzione contraria, secondo cui la cessione dell'azienda esercitata in un immobile adibito ad uso commerciale non comporta né ai sensi dell'art. 2558 c.c. né ai sensi dell'art. 36 l'automatica cessione del contratto di locazione, in quanto le norme suddette consentono ma non impongono rispettivamente all'acquirente dell'azienda di subentrare nei contratti stipulati per l'esercizio di essa, sempreché non sia pattuito diversamente, nonché al venditore dell'azienda, quale conduttore dell'immobile in cui la stessa si esercita, di sublocare l'immobile o di cedere il contratto di locazione senza il consenso del locatore (Cass. III, n. 1133/2000). Dopodiché l'orientamento che predica la necessità della conclusione di un negozio di cessione della locazione o di sublocazione si è stabilizzato (Cass. III, n. 5137/2003; Cass. III, n. 25279/2009; Cass. III, n. 7686/2008). È stata, d'altronde, riconosciuta la possibilità che, in astratto, possa farsi luogo a una cessione o a un affitto dell'azienda senza trasferire il contratto di locazione sia stata considerata pienamente legittima dalla corte di legittimità (Cass. III, n. 8844/1995). Una volta stabilito che le parti del contratto avente ad oggetto il trasferimento dell'azienda o il subaffitto della stessa debbano procedere, ai fini del subentro di cui all'art. 36, alla conclusione di un contratto di cessione della locazione o di sublocazione, deve però escludersi che le due stipulazioni debbano essere contestuali e che debbano essere racchiuse in un unico documento. L'art. 36 riconosce cioè al conduttore la facoltà di sublocare l'immobile o di cedere il contratto di locazione purché venga anche ceduta o locata l'azienda, senza che sia necessario che la sublocazione dell'immobile o la cessione del contratto di locazione da un lato o la cessione o l'affitto dell'azienda dall'altro, siano stati stipulati contemporaneamente, essendo sufficiente che i tra i due atti vi sia uno stretto collegamento funzionale o temporale (Cass. III, n. 8854/2001; Cass. III, n. 6402/1990; Cass. III, n. 9509/1995; Cass. III, n. 7091/1997). D'altro canto, l'autonomia dell'uno e dell'altro contratto non implica che essi debbano essere anche redatto in un distinto documento, ben potendo essere documentate la cessione o sublocazione insieme col negozio di alienazione o di affitto di azienda, o costituire addirittura una clausola di tale contratto (Papanti Pelletier, 412). Anche la Suprema Corte ha negato la necessità dell'unicità del contesto documentale (Cass. III, n. 6402/1990). Occorre aggiungere che non vi è un nesso di necessaria corrispondenza tra la cessione dell'azienda e la cessione del contratto di locazione e tra l'affitto e la sublocazione. La norma in commento prevede difatti che il conduttore possa «sublocare l'immobile o cedere il contratto di locazione» allorché venga insieme «ceduta o locata l'azienda». Anche sulla scorta di detto argomento testuale la dottrina è stata indotta a ritenere che non esista alcuna simmetria tra le ipotesi di cessione (dell'azienda e della locazione) o tra le fattispecie di attribuzioni in godimento (e cioè tra l'affitto e la sublocazione) (Papanti Pelletier, 412; Cosentino, Vitucci, 343; Bucci, Malpica, Redivo, 449). In particolare, si è osservato che nella norma l'affitto o la cessione di azienda non sono indicati in posizione di necessaria rispettiva corrispondenza con l'ipotesi della sublocazione o della cessione della locazione dell'immobile, così da far pensare che dalla cessione di azienda derivi al conduttore solo la facoltà di cedere il contratto di locazione, e dall'affitto di azienda solo la facoltà di sublocare l'immobile, giacché si può osservare che le distinte fattispecie sono anzi enunciate in posizione, per così dire «chiastica», in quanto alla cessione di azienda fa riscontro non la cessione della locazione, ma la sublocazione dell'immobile, mentre alla locazione di azienda corrisponde non la sublocazione, ma la cessione del contratto di locazione dell'immobile (Papanti Pelletier, 412). Anche la Suprema Corte ha affermato che è legittima la sublocazione dell'immobile quando venga insieme ceduta (anziché locata) l'azienda. Infatti, nell'art. 36 l'affitto e la cessione dell'azienda non sono indicati in posizione di necessaria corrispondenza rispettivamente con le ipotesi della sublocazione o della cessione del contratto di locazione (anzi nel testo dell'articolo su indicato la corrispondenza puramente formale è nel senso inverso perché all'espressione «il conduttore può sublocare l'immobile o cedere il contratto di locazione» corrisponde quella «purché venga insieme ceduta o locata l'azienda») (Cass. III, n. 6402/1990). Si è, inoltre, ritenuto che nel caso di affitto di azienda comprendente un immobile goduto in forza di un contratto di locazione debba presumersi, fino a prova contraria, la cessione di tale contratto, piuttosto che la sublocazione: ciò in forza del disposto dell'art. 2558 c.c. (Cass. III, n. 7686/2008; Cass. III, n. 2491/2009). Ed invero, nella contrapposizione tra la tesi della sublocazione e la tesi della cessione del contratto di locazione, la carenza od insufficienza della prova circa il realizzarsi in concreto della prima delle due eventualità autorizza il giudicante a richiamarsi al disposto dell'art. 2558 c.c., secondo cui «se non è pattuito diversamente» l'acquirente dell'azienda, e così pure l'usufruttuario e l'affittuario, per la durata dell'usufrutto e dell'affitto, «subentra nei contratti stipulati per l'esercizio dell'azienda stessa che non abbiano carattere personale» (Cass. III, n. 2353/1992). Ciò non esclude che la qualificazione del negozio concernente il rapporto locatizio, come sublocazione o cessione della locazione, debba essere effettuata sulla scorta del contenuto dei relativi atti o del comportamento complessivo tenuto dalle parti (Lazzaro, Preden, 1086). In tale quadro, potrebbe assumere importanza, sul piano interpretativo, la condotta attuata con riferimento ai pagamenti del corrispettivo locatizio e, in particolare, il fatto che i ratei di pigione della locazione siano versati direttamente dal cessionario o affittuario dell'azienda al locatore dell'immobile. Quest'ultimo dato, difatti, è da ritenere particolarmente rilevante (ai fini ermeneutici indicati nel comma 2, dell'art. 1362 c.c.), in quanto nella ipotesi della sublocazione si ha la nascita di un ulteriore rapporto il quale si affianca (e dipende) da quello principale, che continua ad intercorrere tra il locatore ed il sublocatore, cosicché rimangono distinti i relativi rapporti di dare e di avere; nel caso, invece, della cessione del contratto di locazione, una volta che la cessione sia divenuta opponibile al locatore ceduto, si instaura un rapporto diretto tra questi ed il terzo cessionario, subentrata al conduttore originario, di modo che a ragione le ricevute di versamento dei canoni vengono rilasciate al nome di detto terzo il quale, pagando, assolve ad un debito proprio (Cass. III, n. 2353/1992). È stato dunque affermato che la sussistenza della cessione del contratto, in luogo della sublocazione, può desumersi dalla circostanza che il locatore abbia accettato il pagamento del canone direttamente in suo favore, così aderendo alla costituzione del rapporto con l'affittuario dell'azienda (Cass. III, n. 2491/2009; Cass. III, n. 4790/1998). Considerata la evidenziata connessione tra i due negozi, occorre ancora soffermarsi sull'individuazione dei soggetti che ne debbano essere parte, esaminando in particolare il quesito se le parti dell'una e dell'altra pattuizione debbano necessariamente essere le medesime. A tal riguardo, per quanto attiene alla posizione del cessionario, è stato osservato che, essendo la norma diretta a preservare l'entità aziendale assicurando al soggetto che subentri nel godimento di questa il diritto all'utilizzo dell'immobile, è evidente che il cessionario (o il subconduttore) si debba identificare nel cessionario (o affittuario) dell'azienda (Papanti Pelletier, 412; Cosentino, Vitucci, 343; Bucci, Malpica,Redivo, 450). Con riguardo alla posizione del cedente, è stata invece esclusa la necessità di un'analoga coincidenza. La norma si riferisce difatti in modo impersonale alla cessione dell'azienda; conseguentemente, il subentro sembra potersi attuare anche nel caso in cui il cessionario dell'azienda abbia acquistato la posizione di conduttore da un soggetto che non era titolare dell'azienda stessa (Bucci, Malpica, Redivo, 450). Fattispecie riconducibili alla cessione o locazione di aziendaAlla cessione di azienda vanno ricondotte tutte quelle pattuizioni attraverso cui si realizza un trasferimento della proprietà dell'azienda medesima: la vendita, la donazione, la permuta. Costituisce, inoltre, un'ipotesi di cessione il conferimento dell'azienda in società, sia essa di persone o di capitali (Cass. III, n. 3821/1995). Nella nozione di locazione di azienda sono ricompresi tutti i negozi di gestione dell'azienda, attraverso cui si realizza una scissione tra imprenditore e titolare dell'azienda medesima: in tal senso, la norma trova applicazione non solo con riguardo all'affitto, ma anche con riferimento al contratto di costituzione dell'usufrutto, che attribuisce all'usufruttuario un diritto reale di godimento sul complesso aziendale, che rimane in capo al concedente (Papanti Pelletier, 410). Come è stato detto, l'uso del termine «locazione», già in qualche misura eccessivamente ampio rispetto a quello più corretto di affitto, sta a significare la rilevanza del trasferimento del godimento dell'azienda, che può avere sia natura personale (affitto) sia reale (usufrutto di azienda disciplinato già in termini generali dalla norma dell'art. 2561 c.c.) (Gabrielli, Padovini, 701). La giurisprudenza prevalente non ritiene inoltre indispensabile che la cessione abbia ad oggetto l'intero complesso aziendale: l'art. 36 opera dunque anche in caso di cessione parziale dell'azienda, ma è necessario che il trasferimento investa una parte del complesso di beni che sia dotato di autonomia organizzativa, tale da consentire di assolvere, rispetto all'attività esercitata nell'immobile, alla funzione propria dell'azienda (Cass. III, n. 623/1983; Cass. III, n. 6346/1985; Cass. III, n. 7326/1986). La norma in commento è, dunque, riferibile anche ai casi in cui sia attuata la cessione di ciascun settore dell'azienda dotato di propria autonomia e individualità, come accade nel caso della cessione del ramo di azienda (Trib. Roma 22 maggio 1996). Egualmente occorre ragionare per la sede secondaria dell'azienda (App. Lecce 31 dicembre 1980). Secondo tale linea, la Suprema Corte ha ritenuto operante la disciplina dell'art. 36 all'ipotesi in cui il complesso ceduto faccia parte di un insieme più vasto di beni organizzati dall'imprenditore per l'esercizio della stessa impresa in varie sedi, ove esso sia dotato dell'autonomia organizzativa di cui si è appena detto: autonomia che consente di individuare, nell'operazione posta in essere, la vera e propria costituzione di un'azienda autonoma (Cass. III, n. 623/1983). È così da credere che lo stesso congegno debba trovare applicazione anche nell'ipotesi in cui sia trasferita o data in gestione una parte dell'azienda esercitata in un unico immobile. Tanto è stato ritenuto con particolare riferimento al caso dell'attività di bar esercitata in locale distinto da quello ove era esercitata l'attività di pubbliche attrazioni ricreative, in presenza di un'unica locazione riguardante tutti i locali considerati (App. Genova 30 agosto 1988). In precedenza, era stato detto che la cessione del contratto di locazione, secondo il meccanismo delineato dall'art. 36, richiederebbe l'integrale corrispondenza fra l'oggetto del contratto di locazione e l'oggetto del negozio di cessione dell'azienda, nel senso che l'immobile locato debba essere interamente assorbito nell'azienda ceduta, e cioè, rappresentare, nella sua totalità, elemento costitutivo dell'azienda ceduta (Trib. Milano 30 settembre 1982). Nella stessa linea restrittiva, si era altresì affermato che in caso di cessione delle attività aziendali solo parziale, il conduttore non avrebbe titolo a provocare la scissione dell'unitario rapporto di locazione introducendo così una modificazione non solo soggettiva ma anche oggettiva del contratto (Trib. Milano 23 dicembre 1982). In effetti, la cessione parziale dell'azienda produce ricadute sul rapporto di locazione o su quello di sublocazione sulle quali occorre soffermarsi. Può accadere che la parte dell'azienda che viene ceduta sia ubicata nella sua interezza nell'immobile locato: è questo, ad esempio, il caso del ramo di azienda gestito in un locale distinto da quelli in cui viene espletata la residua attività dell'impresa. Non sembra dubitabile, in simile caso, e, in presenza del trasferimento dell'azienda, il cedente possa validamente far subentrare il cessionario nel contratto di locazione o, alternativamente, sublocare l'immobile al predetto soggetto. Con riguardo al caso della scissione dell'azienda allocata in un unico immobile, è stato affermato che la cessione dell'intera azienda, pur se distinta in due rami, rende possibile, ai sensi dell'art. 36 della l. n. 392/1978, la cessione del contratto di locazione, che resta sempre unico, anche se sono divenuti (formalmente) due i soggetti subentrati nella posizione di conduttore, tanto più che il locatore ne risulta maggiormente garantito, potendo pretendere l'adempimento, per l'intero, da due soggetti, anziché da uno solo (Trib. Milano 24 aprile 1989). L'eventualità della cessione parziale del contratto di locazione è stata esaminata da una pronuncia che ha escluso che la conservazione della posizione contrattuale in capo al cedente, presupposto della scissione dell'originario rapporto locatizio, possa aver luogo ove il menzionato soggetto si sia interamente privato dell'azienda ubicata nell'immobile (Cass. III, n. 14139/2000). Nell'ipotesi in cui l'azienda sita nell'immobile sia scissa in parti autonome e distinte è poi da ritenere ammissibile, oltre alla cessione parziale, anche la sublocazione parziale, non sussistendo alcuna ragione per escludere una tale operazione dall'ambito di previsione dell'art. 36 (Cass. III, n. 7676/1991). Vanno, quindi, esaminati taluni casi in cui la cessione d'azienda deve reputarsi mancante. L'art. 36 non risulta applicabile anzitutto al caso di isolata alienazione di singoli beni, non collegati tra loro sul piano organizzativo (Cass. III, n. 6346/1985). Come è stato anche in tempi meno remoti ribadito, con riguardo a locazione di immobile urbano ad uso diverso da quello abitativo, l'art. 36 disciplina nello stesso modo il caso della sublocazione dell'immobile e quello della cessione del contratto di locazione stabilendo che il conduttore può, senza il consenso del locatore, sublocare l'immobile o cedere il contratto di locazione purché venga, insieme, ceduta o locata l'azienda o parte di essa, e cioè di una porzione dei beni destinati all'attività esercitata nell'immobile autonoma e funzionalmente sufficiente per tale attività; conseguentemente detta possibilità deve essere negata nel caso di mera alienazione di singoli beni privi degli indicati requisiti, nella quale ipotesi è necessario il consenso del locatore (Cass. III, n. 5817/2001). Costituisce azienda soltanto il complesso dei beni organizzato per l'esercizio di una specifica e ben individuata impresa, non di una qualsiasi possibile impresa astrattamente ipotizzabile, e, se è vero che per la configurabilità dell'azienda non è necessario che l'impresa sia in atto, nondimeno occorre che ne siano percepibili i potenziali elementi di identificazione, ed, in specie, il settore commerciale in cui quell'impresa opera od opererà, così come, se si può ammettere che i beni in tal modo organizzati siano poi utilizzabili dal cessionario dell'azienda (o di un suo ramo) per attività imprenditoriali anche diverse da quelle specificamente esercitate dal cedente, è pur sempre indispensabile che quel vincolo di organizzazione teleologica – il cui accertamento in concreto è riservato al giudice di merito – sussista (Cass. III, n. 3973/2004, che ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso la cessione di ramo di azienda, per difetto del vincolo di organizzazione teleologica, in un caso in cui l'attività commerciale svolta dal cessionario risultava radicalmente diversa da quella in precedenza esercitata dal cedente, attività per la quale il cessionario non era neppure fornito della necessaria licenza). In mancanza della cessione dei beni strumentali e dell'avviamento, non può altresì assumere nessun rilievo la sola cessione della licenza commerciale, potendo un tale trasferimento rilevare, piuttosto, quale elemento del più ampio contesto del complesso dei beni costituenti l'azienda (Cass. III, n. 4800/2006). Neppure può parlarsi di cessione o di affitto di azienda nel caso della stipulazione di un contratto di franchising (Cass. III, n. 8618/1990), ed altresì nel caso in cui la cessione abbia ad oggetto un semplice punto vendita di un'unica azienda, ove nell'immobile ceduto sia stata esercitato il commercio di articoli che il cedente continui ad effettuare in altro locale (Cass. III, n. 4800/2006; Cass. III, n. 7326/1986). Difatti, quanto a quest'ultimo riguardo, è stato osservato che altro è la cessione del ramo di azienda, fattispecie riconducibile nella previsione dell'art. 36 della l. n. 392/1978, altro è il trasferimento del semplice punto vendita, costituente mera dipendenza locale dell'organizzazione aziendale (Trib. Roma 22 maggio 1996). L'assenza di autonomia organizzativa porta inoltre ad escludere che possa rinvenirsi un trasferimento di azienda nel semplice trasferimento di un locale destinato ad uso di deposito o magazzino (Trib. Milano 24 gennaio 1985). Ancora, non vi è cessione di azienda ove non venga trasferito alcun elemento dell'azienda precedentemente esercitata all'interno dell'immobile locato (Cass. III, n. 4614/1985). Perciò, la cessione del contratto di locazione unitamente alla cessione di azienda non può operarsi ove le attività svolte dal cedente e dal cessionario siano diverse e il trasferimento concerna, oltre al contratto di locazione, pochi beni, privi di obiettiva rilevanza: quindi, se non sono ceduti (Trib. Napoli 10 marzo 1988). Identiche conclusioni sono state raggiunte in un caso in cui l'immobile era stato adibito ad un'attività completamente diversa, quella di vendita di telefoni in luogo di articoli di abbigliamento e, poi, telefoni (Trib. Roma 10 aprile 2002), ovvero quella del commercio di vestiario in luogo della lavorazione di pellicce (Trib. Napoli 10 marzo 1988). È stata per converso riconosciuta la sussistenza di una cessione d'azienda nell'ipotesi in cui il cessionario della locazione esercitava nell'immobile la vendita di merci diverse da quelle vendute dal cedente, ma rientranti nella stessa categoria merceologica (Trib. Verona 26 luglio 1983: il cedente vendeva articoli in pelle e finta pelle, il cessionario articoli in finta pelle e accessori di abbigliamento). La giurisprudenza ha individuato due ulteriori ipotesi in cui, in presenza di un trasferimento dell'azienda, non può realizzarsi la cessione del contratto di locazione. La disciplina di cui all'art. 36 è stata ritenuta inapplicabile in caso di cessione a terzi dell'azienda del locatore gestita dal conduttore. Si è cioè precisato che il contratto di locazione segue come accessorio (consentito dalla legge) al trasferimento dell'azienda ceduta, sempre che questa sia da ricondursi in testa all'imprenditore-conduttore: ma la norma non estende la sua portata fino al punto di consentire a costui (imprenditore-conduttore) di trasferire anche l'azienda «propria» del locatore e a lui affittata (Trib. Napoli 5 novembre 1979). È stato, inoltre, detto che, in ipotesi di cessione del contratto di locazione e di cessione di azienda, il relativo negozio è invalido ove il cessionario trasferisca l'azienda in un immobile diverso da quello oggetto del contratto di locazione ceduto; di conseguenza, in tale ipotesi, il contratto in corso fra locatore e conduttore cedente potrebbe essere risolto per inadempimento di quest'ultimo (Pret. Viareggio 1° agosto 1988). Sul punto è stato affermato che la norma in commento rende evidente il collegamento fra permanenza dell'impresa e sublocazione o cessione del contratto: senza che la prima sussista nell'immobile oggetto della locazione non può essere concepibile né la sua cessione né la cessione del contratto di locazione. Si è invece escluso, in dottrina, che la cessione della locazione o la sublocazione siano precluse dal fatto che l'azienda ceduta sia improduttiva: in tal senso la disciplina in esame troverebbe un fondamento applicativo sia nel caso di azienda che non abbia mai concretamente operato (e risulti, quindi, priva di avviamento), sia nel caso di esercizio commerciale non ancora aperto al pubblico, ma già dotato di quanto è necessario per lo svolgimento dell'attività imprenditoriale (stigliature, scorte, contratti di fornitura, ecc.), sia nell'ipotesi di azienda dichiarata fallita (a tale proposito si è rilevato, infatti, che l'improduttività non sarebbe sintomo dell'inesistenza dell'azienda, ma di una cattiva gestione di essa) (Bucci, Malpica, Redivo, 451). Si è infine ritenuto, in giurisprudenza, che ove la cessione di azienda sia posta in essere da uno solo dei conduttori in favore di un terzo, questo venga a far parte del rapporto contrattuale, che continua ad essere riferibile anche all'altro, o agli altri, locatari. E cioè, la circostanza che la parte che ceda l'azienda sia soltanto uno dei due soggetti che rivesta la qualità di conduttore non comporta l'inefficacia del negozio di cessione; l'altro soggetto, che non è stato parte del negozio di cessione, rimane titolare, insieme al cessionario, del rapporto di locazione (Trib. Napoli 11 giugno 1996). È stato replicato che l'affermazione appare scarsamente coerente con il principio per cui per potersi attuare il subentro nel contratto di locazione è necessario che alla cessione dell'azienda si accompagni la cessione di quel contratto. Poiché tale cessione non potrebbe perfezionarsi senza il concorso degli altri conduttori, l'assunto del trasferimento della posizione di conduttore in capo al terzo si mostra privo di fondamento (Di Marzio, Falabella, 1593). Cessazione della locazione e vicende dell'azienda.La cessione del contratto di locazione ovvero la sublocazione di cui all'art. 36 non possono perfezionarsi nell'ipotesi in cui il rapporto di locazione sia già venuto meno. Quanto alla cessione, l'effetto del subentro nel contratto di locazione presuppone necessariamente, infatti, che il contratto sia in corso, ed il godimento del bene aziendale sia fruito in forza del contratto stesso, e non rappresenti un mero godimento di fatto, senza titolo (Cass. III, n. 667/1998). In simile eventualità, non producendosi alcun mutamento soggettivo del rapporto contrattuale, il conduttore cedente rimane passivamente legittimato nel giudizio di rilascio per finita locazione promosso dal locatore (Pret. Milano 17 giugno 1988), né si verifica alcuna successione nel diritto alla corresponsione dell'indennità per l'avviamento, salvo che il relativo diritto sia ceduto al cessionario tra quelli aziendali (Cass. III, n. 667/1998). Ha inoltre sottolineato la Suprema Corte che, in caso di risoluzione per inadempimento, la cessione rimane travolta dall'effetto caducatorio della pronuncia: questa ha infatti portata retroattiva e a detta operatività non si sottrae il cessionario, il quale non è tra i terzi che rimangono insensibili alla statuizione, ex art. 1458, comma 2, c.c. (Cass. III, n. 537/1996). Se la cessione si perfeziona in un momento successivo a quello cui retroagisce la sentenza di risoluzione, essa cessione resta senza effetto e il locatore ceduto può far valere nei confronti del cessionario l'eccezione di intervenuto scioglimento del contratto oggetto del subentro (art. 1409 c.c.): e ciò ancorché sul trasferimento della posizione contrattuale si sia formato il giudicato Forma della cessione e dell'affitto di aziendaVa qui rammentato il dettato dell'art. 2556 c.c., il quale stabilisce che, per le imprese soggette a registrazione, i contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà o il godimento dell'azienda devono essere provati per iscritto, salva l'osservanza delle forme stabilite dalla legge per il trasferimento dei singoli beni che compongono l'azienda o per la particolare natura del contratto. Inoltre, detti contratti, in forma pubblica o per scrittura privata autenticata, devono essere depositati per l'iscrizione nel registro delle imprese, nel termine di trenta giorni, a cura del notaio rogante o autenticante. Come chiarito dalla Suprema Corte, la norma non riguarda tutte le ipotesi di trasferimento o di cessione in godimento di azienda. Difatti, per il combinato disposto degli art. 2556, 2202, 2083 c.c., non è necessaria la prova scritta dei contratti aventi ad oggetto il trasferimento della proprietà o del godimento di una azienda, ad esempio, di piccolo commercio, non essendo la stessa soggetta a registrazione (Cass. III, n. 11851/1997). Analogamente, è stato detto che il citato art. 2556, comma 1 c.c., circa la forma scritta ad probationem dei contratti aventi per oggetto il trasferimento della proprietà o il godimento dell'azienda, non trova applicazione nel caso in cui il trasferimento della proprietà o il godimento dell'azienda formino oggetto di conferimento da parte dei membri di una società di fatto, essendo a questa applicabili le norme sulla società semplice, la cui costituzione è retta dal principio della libertà di forme, salve quelle richieste, ad substantiam, dalla natura dei beni conferiti (Cass. III, n. 1959/1982). La limitazione concerne, poi, le sole parti del contratto, e non riguarda i terzi (Cass. III, n. 6071/1987). Per i contraenti della cessione (o dell'affitto) dell'azienda l'esclusione della facoltà di avvalersi di prove diverse da quella documentale opera, invece, in ogni caso, ancorché la controversia riguardi pure altri soggetti, estranei al negozio di cui trattasi (Cass. III, n. 8618/1990). La comunicazioneLa norma in commento richiede che la cessione della locazione o la sublocazione, realizzati unitamente al trasferimento o l'affitto dell'azienda, vengano comunicati al locatore. Si tratta di un congegno utile ad alleggerire il rilievo della deroga al principio in forza del quale la cessione di una posizione contrattuale richiede l'adesione del contraente ceduto, secondo la regola generale stabilita dall'art. 1406 c.c. La soluzione adottata dal legislatore è, in sostanza, modellata sulla previsione dettata dall'art. 1407 c.c., concernente la comunicazione nel caso di cessione del contratto preventivamente autorizzata, e si armonizza con quella contemplata in tema di cessione del credito, ex art. 1264 c.c. Quanto alla comunicazione occorre anzitutto interrogarsi sulla relativa legittimazione e, cioè, chiedersi se essa possa essere effettuata indifferentemente dal conduttore cedente o dal cessionario, ovvero dal concedente o dall'affittuario. La soluzione più ampia ha avuto sostenitori in dottrina, i quali hanno evidenziato che, contemplando l'art. 36 una ipotesi di successione del contratto che si correla al dato della cessione di azienda (l'unico atto di autonomia privata configurabile nella fattispecie programmata legalmente), legittimate alla comunicazione risulterebbero essere le parti di quest'ultimo negozio (Gazzoni, 203). Altri hanno ammesso che la comunicazione possa provenire dal cessionario, purché corredata da atti che le conferiscano certezza, certezza che non potrebbe essere desunta dalla mera indicazione degli estremi del contratto di affitto e della sua registrazione (Bucci, Malpica, Redivo, 457). Anche la giurisprudenza di merito ha talora condiviso la soluzione che vede legittimati alla comunicazione entrambi i contraenti (Pret. Roma 9 maggio 1984). All'opposta soluzione è pervenuta la Suprema Corte, la quale ha escluso che la comunicazione proveniente dal cessionario possa soddisfare la condizione prevista dalla norma. Questa conclusione, già espressa nel vigore della l. 27 gennaio 1963, n. 19 (Cass. III, n. 4025/1976) è stata ribadita con particolare riferimento all'art. 36, essenzialmente in base al dato letterale (Cass. III, n. 5699/1990; Cass. III, n. 2675/1998; Cass. III, n. 5137/2003). Prive di rilievo, per i fini dell'applicazione dell'art. 36, sono altresì le dichiarazioni rese, nel corso del giudizio, dal difensore del conduttore cedente (Cass. III, n. 2675/1998). La norma in commento prescrive che la comunicazione sia data tramite lettera raccomandata con avviso di ricevimento. La dottrina ha affermato che la consente l'uso di mezzi equipollenti, o che offrano maggiore garanzia in ordine alla effettiva ricezione dell'atto e alla certezza della data in cui essa abbia avuto luogo. Si è così fatto l'esempio della notificazione a mezzo di ufficiale giudiziario (Bucci, Malpica, Redivo, 457). Questa soluzione non è tuttavia pacifica: è stato infatti osservato che la norma, determinando le condizioni della consegna della dichiarazione e qualificando l'evento della conoscibilità, abbia inteso escludere l'autonoma rilevanza di una comunicazione compiuta in altra forma: ciò in quanto a una determinata situazione di conoscibilità non potrebbe surrogarsene un'altra (Papanti Pelletier, 418). La Suprema Corte ammette che la comunicazione possa avvenire in forme diverse da quella prevista dall'art. 36. La cessione del contratto di locazione di immobile destinato ad attività di impresa, che avvenga con la cessione contestuale dell'azienda del conduttore, non ha difatti bisogno del consenso del locatore, ma deve essergli comunicata con lettera raccomandata con avviso di ritorno, o con modalità diverse, purché idonee a consentire la conoscenza della modificazione soggettiva del rapporto; tale comunicazione, se non costituisce requisito di validità della cessione nel rapporto tra conduttore cedente e terzo cessionario, condiziona l'efficacia della cessione stessa nei confronti del contraente ceduto, nel senso che essa non è opponibile al locatore sino a quando la comunicazione non avvenga, sicché la conoscenza aliunde della cessione da parte del locatore non rileva (Cass. III, n. 741/2002; Cass. III, n. 6237/1987; Cass. III, n. 5699/1990; Cass. III, n. 5102/1999; Cass. III, n. 2311/2003). Quanto al contenuto, la comunicazione deve avere ad oggetto gli elementi essenziali della vicenda. Tornando all'opinione prevalente, secondo cui l'applicazione dell'art. 36 presuppone che la cessione della locazione o la sublocazione siano state specificamente pattuite, è da ritenere che la comunicazione debba far menzione di detti negozi giacché, in caso contrario, il locatore ceduto si troverebbe ad essere notiziato di circostanze per lui non rilevanti (quali la cessione o l'affitto dell'azienda) senza essere informato del dato dell'intervenuto trasferimento della posizione contrattuale di conduttore. Ha in tal senso affermato la dottrina che il conduttore deve comunicare al locatore gli elementi essenziali di individuazione sia dell'atto di disposizione dell'azienda, sia del contratto di sublocazione o di cessione della locazione dell'immobile, nonché tutti gli altri elementi che possano mettere il locatore in condizione di valutare l'opportunità di proporre opposizione, e così, in particolare, la durata del contratto di cessione o affitto di azienda, la durata del contratto di sublocazione o cessione della locazione dell'immobile, l'esatta indicazione del cessionario o dell'affittuario (Papanti Pelletier, 416). Sostanzialmente sullo stesso piano l'orientamento della giurisprudenza, che, però, circoscrivere il numero delle informazioni da dare, ritenendo sufficiente che la comunicazione contenga gli elementi essenziali per l'individuazione dei contratti posti in essere, insieme alle altre notizie sulla persona del terzo subentrante, tali da mettere il locatore in grado di esercitare il suo diritto di opposizione per gravi motivi (Cass. III, n. 5817/2001; Cass. III, n. 6402/1990). Occorre così che la comunicazione consenta di identificare il cessionario (Cass. III, n. 11685/1993; Cass. III, n. 3730/1989). In dottrina, si ammette che la comunicazione possa sostanziarsi nella trasmissione del documento negoziale o di una copia autentica di esso (Papanti Pelettier, 417). La comunicazione, come si diceva, vale a rendere opponibile al locatore la cessione o sublocazione attuata. Con riguardo alla sublocazione (che, ancorché operata a seguito di affitto di azienda, non determina alcuna successione nell'originario rapporto di locazione, dando vita ad un rapporto derivato, senza alcun vincolo diretto tra il locatore ed il subconduttore: Cass. III, n. 11427/2002) il dato dell'inopponibilità si sostanzia in ciò, che, fino a comunicazione avvenuta, ovvero accettata, è sempre ammessa la proposizione dell'opposizione prevista dall'art. 36. Inoltre, la mancata notifica della cessione determina, oltre a tale conseguenza, quella della conservazione, in capo al cedente, e rispetto al locatore ceduto, della posizione contrattuale originaria. Difatti, la mancata comunicazione della sublocazione o della cessione del contratto, nel caso di immobile destinato ad uso diverso da quello abitativo, rende solo inopponibile l'avvenuta sublocazione o la cessione al locatore (Cass. III, n. 14454/2006; Cass. III, n. 10124/2000). Sicché, in mancanza di comunicazione, non decorre il termine per l'opposizione (Cass. III, n. 8031/1994; Cass. III, n. 6902/1986) ed il contratto di cessione non è efficace nei confronti del locatore e non può essergli opposto (Cass. III, n. 3985/1982). Val quanto dire che la cessione si perfeziona con l'incontro delle volontà del cedente e del terzo, indipendentemente dal consenso del locatore, ma solo la comunicazione produce l'effetto di rendere opponibile il contratto a quest'ultimo (Cass. III, n. 4357/1984). Le conclusioni che precedono trovano applicazione anche se la cessione sia stata comunicata nel corso del giudizio (Cass. III, n. 6237/1987). Peraltro, in applicazione del comma 3, dell'art. 111 c.p.c., il cedente può essere estromesso sull'accordo delle parti (Cass. III, n. 5235/1993; Cass. III, n. 3728/1984). L'inopponibilità della cessione non comunicata al locatore rende irrilevante la comunicazione intervenuta successivamente alla cessazione del rapporto locatizio. Difatti non ha più senso, a tal punto, comunicare al locatore la cessione del contratto ad un terzo cessionario, stante la impossibilità logica prima ancora che giuridica, del verificarsi del fenomeno del subingresso del cessionario al cedente nella posizione di conduttore nell'ambito di un rapporto locatizio ormai esaurito e non più esistente (Cass. III, n. 1269/1991). Per contro, se il rapporto locatizio è in corso, la comunicazione sana ogni eventuale situazione irregolare a partire dal momento in cui è effettuata, dal quale decorre altresì il termine di trenta giorni entro il quale il locatore può opporsi alla cessione, qualora ricorrano gravi motivi (Cass. III, n. 8031/1994; Cass. III, n. 6902/1986). Non produce effetti la comunicazione incompleta o mendace, non consentendo al locatore di valutare la sussistenza di eventuali ragioni per proporre opposizione. In tal senso, la Suprema Corte (Cass. III, n. 5817/2001) ha per un verso giudicato corretta la decisione di merito con la quale era stato affermato che la comunicazione incompleta (mancante, cioè, dell'indicazione degli elementi essenziali per l'individuazione dei contratti posti in essere, insieme alle altre notizie sulla persona del subentrante) non era idonea a far decorrere il termine di decadenza per proporre l'opposizione, per altro verso ha escluso la validità della comunicazione in cui si indicava al locatore un cessionario diverso da quello effettivo (Cass. III, n. 11685/1993, ove pure si chiarisce che il locatore non è onerato di richiedere chiarimenti al cedente). La mancanza di una efficace comunicazione non costituisce, secondo la dottrina, inadempimento tale da giustificare la risoluzione contrattuale. Può dirsi, in buona sostanza, che la comunicazione viene configurata non come un obbligo gravante sul conduttore cedente, bensì come un onere (Papanti Pelletier, 419; Cosentino, Vitucci, 344; Bucci, Malpica, Redivo, 456; Gabrielli, Padovini, 703). Nello stesso senso, si è pronunciata sia la giurisprudenza di merito (App. Genova 29 settembre 1986; Trib. Genova 17 gennaio 1985), che quella di legittimità, la quale ha evidenziato l'inesistenza di un obbligo, da parte del conduttore, di eseguire la comunicazione prima della cessione o della sublocazione (Cass. III, n. 2386/1991; Cass. III, n. 2028/1985), come pure nel periodo successivo all'attuata cessione o sublocazione (Cass. III, n. 2028/1985). In definitiva, la Suprema Corte ritiene che la mancata comunicazione non integri mai inadempimento (Cass. III, n. 14454/2006; Cass. III, n. 10124/2000; Cass. III, n. 4802/2000), sicché, a fronte della mancata comunicazione, il locatore, lungi dal potersi dolere dell'inadempimento del conduttore, può solo notificargli la sua opposizione (Cass. III, n. 14454/2006). Tanto la dottrina quanto la giurisprudenza affermano inoltre che la mancanza della comunicazione può essere supplita dall'adesione alla cessione da parte del locatore (Papanti Pelletier, 417; Cosentino, Vitucci, 343; Bucci, Malpica, Redivo 1989, 458). La mancata comunicazione al locatore dell'avvenuta cessione dell'azienda ai sensi dell'art. 36, è cioè giudicata improduttiva di effetti a carico del conduttore allorché il locatore abbia comunque accettato la cessione, la quale dal momento dell'accettazione diviene a lui opponibile anche in difetto della prescritta comunicazione (Cass. III, n. 189/1996; Cass. III, n. 2311/2003; Cass. III, n. 741/2002; Cass. III, n. 5102/1999; Cass. III, n. 5235/1993; Cass. III, n. 2770/1988). L'accettazione oltreché espressa, può essere manifestata anche in forma tacita, o per facta concludentia, come nel caso in cui, venuto a conoscenza della cessione, abbia consentito il godimento della cosa locata da parte del cessionario ed accettato gli effetti della cessione, ricevendo da quest'ultimo il canone locativo (Cass. III, n. 6055/1991; Cass. III, n. 6601/1987). Questa regola è stata però ritenuta incompatibile con la sottoposizione del contratto al requisito della forma scritta, come accade in ipotesi di contratti di locazione stipulati dalla Pubblica Amministrazione (Cass. III, n. 8621/2006). L'opposizioneA tenore della norma in commento, il locatore può opporsi, per gravi motivi, entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione. Si tratta di un meccanismo già utilizzato dall'art. 5 della l. n. 19/1963, il quale, a sua volta, presentava qualche affinità con la disciplina dettata dall'art. 2558 c.c. Anche la successione nei contratti dell'azienda ceduta si attua senza necessità dell'intervento di una preventiva adesione del ceduto all'atto traslativo della singola posizione contrattuale; e anche nella cessione di azienda è attribuito al ceduto il potere di reagire al trasferimento posto in essere. Mentre, però, l'art. 2558 c.c. consente, a tal fine, il recesso per giusta causa dal contratto oggetto di cessione, l'art. 36 fa salva l'opposizione per gravi motivi, che, come si vedrà, prelude a una vera e propria risoluzione per inadempimento del contratto di locazione. L'opposizione del locatore, secondo l'opinione comunemente accolta, non soggiace a modalità particolari di dichiarazione e comunicazione (Papanti Pelletier, 420; Trifone, 510; Cosentino, Vitucci, 344). In tal senso, come è stato detto, in primo luogo, vi è il dato testuale: la norma dell'art. 36 non richiede alcuna forma scritta per l'opposizione del locatore; anzi, la circostanza che la medesima norma prescriva per la comunicazione del cedente una particolare forma sta a significare che per l'opposizione tale forma non è richiesta. In secondo luogo, la necessità della forma scritta per la comunicazione e non per l'opposizione ben si spiega qualora si abbia presente che tale forma è strumentale rispetto all'inizio del decorso del termine decadenziale di trenta giorni, entro il quale vi deve essere l'opposizione. Da ultimo, e su un piano più generale, non deve trascurarsi che nel nostro ordinamento vige il principio della libertà delle forme e che, quindi, non può invocarsi il rispetto di una forma non richiesta da precise indicazioni della legge (Gabrielli, Padovini, 706). È dunque da escludere che nel termine di trenta giorni debba essere iniziata l'azione di accertamento giudiziale della sussistenza di validi motivi di opposizione: l'opposizione può quindi essere operata anche a mezzo di atto stragiudiziale. Trattasi indubbiamente di atto recettizio, onde la forma di trasmissione, quale che sia, deve essere idonea ad assicurare che la dichiarazione pervenga nella sfera giuridica del destinatario. Sul piano contenutistico, è stato affermato che i gravi motivi fondanti l'opposizione debbano essere esplicitati nell'atto di opposizione (Gabrielli, Padovini, 705). In senso analogo appare orientata la Suprema Corte, la quale asserisce, infatti, che nel notificare l'opposizione il locatore debba comunque specificare i gravi motivi che la giustificano (Cass. III, n. 10124/2000; Cass. III, n. 2386/1991; Cass. III, n. 2028/1985). In linea generale, i gravi motivi posti a base dell'opposizione alla cessione della locazione o alla sublocazione devono riguardare la persona del cessionario della locazione ovvero del subconduttore, o, altresì, il complesso dell'operazione progettata (Cass. III, n. 2386/1991). È escluso, pertanto, che il locatore possa opporsi alla cessione o alla sublocazione facendo valere proprie esigenze, queste potendo al più legittimare il recesso dal rapporto nei casi previsti dalla legge (Cass. III, n. 3730/1989). In sostanza, è quindi corretto affermare che non sono validamente opponibili i motivi che, pur se attinenti al rapporto, possono essere fatti valere anche nei confronti del cessionario, come la ricorrenza di una ragione di diniego di rinnovazione alla prima scadenza della locazione (Bucci, Malpica, Redivo, 460). Si è così negato che un motivo di opposizione possa consistere nel proposito del locatore di adibire l'immobile all'esercizio di una propria attività commerciale (Cass. III, n. 11767/1990). Con riguardo, in particolare, ai motivi di carattere soggettivo, relativi, cioè, alla persona del cessionario o del subconduttore, è pacifico che essi possano essere di natura economica o anche morale e debbano concernere il soggetto che si sia reso cessionario della locazione o subconduttore: la notoria insolvenza, il fallimento, lo sfratto per morosità da altri locali (Papanti Pelletier, 424), l'incompatibilità tra l'attività che si svolge nell'azienda ceduta o affittata e quella che il nuovo locatario o subconduttore continua ad esercitare altrove, con conseguente timore di depauperamento dell'azienda e perdita di valore dell'immobile, in ragione della praticata concorrenza (Gabrielli, Padovini, 705). Né tali conclusioni sono utilmente contrastate dal rilievo che il locatore rimane garantito dalla responsabilità patrimoniale del conduttore cedente che egli non abbia liberato. Occorre infatti rilevare che l'interesse del locatore all'esatto adempimento va valutato non solo nell'aspetto della garanzia del credito, ma altresì nell'ordinato svolgimento del rapporto contrattuale, con riferimento, per es., al puntuale pagamento del canone (Papanti Pelletier, 424). Del resto, come è stato pure osservato, la garanzia che il cedente è obbligato a offrire è un rimedio cui il locatore ceduto non è tenuto a ricorrere (Bucci, Malpica, Redivo, 460). L'inaffidabilità economica del cessionario o del subconduttore possono anche desumersi da episodi di grave insolvenza concernenti una società di persone, di carattere familiare o a ristretta base di partecipazione, di cui quel soggetto è socio (Cass. III, n. 2405/1998). Motivi di carattere soggettivo sono anche quelli di natura morale, della cui rilevanza non può dubitarsi, come è stato detto, se solo si abbia presente che la norma generale dell'art. 1174 c.c. stabilisce che la prestazione oggetto dell'obbligazione, oltre a dover essere suscettibile di valutazione economica, deve corrispondere a un interesse anche non patrimoniale, e dunque morale, del creditore (Gabrielli, Padovini, 705). Si tratta di motivi fondati sulla negativa reputazione del cessionario o subconduttore, che potrebbe così recare discredito all'immobile, ed in definitiva provocarne la svalutazione, come nel caso dell'esercente di albergo già condannato per reati di sfruttamento della prostituzione, del commerciante reo di frodi alimentari, dell'imprenditore che si sia reso responsabile di scandali di vasta risonanza). Il locatore può inoltre opporsi alla cessione anche contestando l'esistenza del trasferimento dell'azienda o deducendo che lo stesso è oggetto di simulazione. È stato però affermato che l'ipotesi considerata si colloca al di fuori dall'ambito di applicazione dell'art. 36, il quale presuppone una valida cessione del complesso aziendale, e che, pertanto, l'opposizione non è sottoposta ad alcun termine di decadenza (Bucci, Malpica, Redivo, 460). Anche in giurisprudenza è stato affermato che il termine di decadenza previsto a carico del locatore dall'art. 36 trova applicazione nei casi in cui vi sia stata effettivamente una cessione d'azienda alla quale il locatore stesso voglia opporsi, ma non già quando la cessione d'azienda sia stata soltanto simulata, al fine di mascherare una mera cessione del contratto di locazione (Trib. Roma 10 aprile 2002). Eguale conclusione è stata raggiunta dalla giurisprudenza nel caso dell'insussistenza del diritto del conduttore di cedere il contratto (Trib. Milano 30 settembre 1982). Quanto agli effetti dell'opposizione, occorre distinguere in base al momento in cui essa si colloca. L'opposizione svolta subito dopo la comunicazione del locatore di voler cedere il contratto o sublocare l'immobile, e prima ancora che la cessione o sublocazione abbia avuto luogo, è stata qualificata come opposizione preventiva, perché posta in essere prima ancora del negozio giuridico che essa mira a contrastare. Si è tuttavia negato che il locatore, mancando la cessione (o la sublocazione), sia tenuto a proporre opposizione nel termine perentorio di trenta giorni dall'avvenuta comunicazione, essendo la fattispecie indicata estranea alla previsione della norma (Bucci, Malpica, Redivo, 461). Qualora il conduttore proceda egualmente alla stipula, il locatore può agire in giudizio per avere il locatario concluso il negozio di cessione o di sublocazione nonostante il suo diniego (Papanti Pelletier, 421). Accade, però, di norma che l'opposizione segua la comunicazione di una cessione o di una sublocazione già realizzate: si tratterà dunque di opposizione successiva rispetto ai contratti stipulati dal conduttore con il cessionario o subconduttore, opposizione generalmente diretta a far valere una domanda di risoluzione, la quale comporta l'accertamento dell'esistenza dei gravi motivi (Cass. III, n. 10124/2000; Cass. III, n. 5305/1996; Cass. III, n. 2386/1991; Cass. III, n. 2028/1985). Particolare rilievo assume, al riguardo, la questione se l'opposizione spiegata dal locatore abbia effetti sospensivi e impedisca, cioè, che la cessione o sublocazione divenga opponibile al locatore. Si è sostenuto, in dottrina, che l'opposizione produrrebbe un immediato effetto sospensivo, effetto però transitorio, poiché, considerata l'avvenuta conclusione dei contratti di cessione e sublocazione, il locatore potrebbe ottenere tutela solo attraverso la risoluzione per inadempimento del contratto di locazione (Papanti Pelletier, 423). Secondo un primo orientamento della Suprema Corte, l'opposizione determina semplicemente una contestazione di inadempimento, preordinata ad una successiva ed eventuale pronuncia di risoluzione del contratto ex art. 1453 c.c.: fino a quanto non intervenga la sentenza di risoluzione, legittimato passivo nelle varie azioni contrattuali concernenti l'esistenza e la durata della locazione sarebbe il cessionario e non il cedente (Cass. III, n. 5305/1996). Altra parte della giurisprudenza ritiene invece che l'opposizione produca l'effetto immediato di sospendere l'efficacia della cessione, nei confronti del locatore ceduto, fino a quando il conduttore non abbia comprovato, in sede giudiziale, l'assenza dei gravi motivi dedotti, motivi in presenza dei quali gli effetti della cessione non si produrrebbero affatto (Cass. III, n. 201/2002). In tal senso è stato affermato che, rispetto alla ordinaria cessione di contratto, la cessione del contratto di locazione, nella fattispecie considerata, non contempla tra i propri elementi costitutivi il consenso del ceduto, mentre l'eventuale dissenso del locatore fondato su gravi motivi integra un elemento estraneo al negozio, siccome funzionale alla sospensione temporanea della cessione e – per il caso di accertamento giurisdizionale o di riconoscimento spontaneo da parte del cedente della fondatezza dell'opposizione – al venir meno degli effetti della medesima cessione ed eventualmente alla risoluzione del rapporto di locazione (Cass. III, n. 9486/2007). È stato affermato che l'opposizione può essere formulata anche nei confronti della cessione non comunicata. In tale ipotesi, tuttavia, essa non può basarsi sul semplice dato dell'omesso avviso, ma richiede la deduzione di autonome e diverse ragioni (Papanti Pelletier, 423). Una volta che l'opposizione alla cessione della locazione sia stata accolta, occorre interrogarsi sulle ricadute che l'accoglimento determina sul contratto avente ad oggetto il trasferimento dell'azienda: tale accoglimento fa sì che il trasferimento della locazione rimanga estraneo alla cessione dell'azienda, onde la mancata prosecuzione del rapporto di locazione non incide sulla validità del trasferimento dell'azienda, il quale può produrre i suoi effetti con un altro immobile, a meno che dal contratto non si evinca un collegamento tra i due negozi, tale da impegnare il cedente ad una condotta positiva necessaria a conseguire anche il trasferimento della locazione (Cass. III, n. 24854/2006). La responsabilità del cedenteL'irrilevanza del consenso del locatore ai fini del perfezionamento della cessione, è compensata dalla regola posta dal comma 1 della disposizione in commento, in forza della quale, ove non abbia liberato il cedente, il locatore può agire nei confronti di questi, qualora il cessionario si renda inadempiente. Poiché, cioè, la vicenda traslativa si realizza senza il concorso della volontà del locatore, questo può contare sul protrarsi della responsabilità del cedente, nel caso di inadempimento del cessionario, salvo che egli stesso dichiari espressamente di liberarlo (Cass. III, n. 26234/2007). La volontà del locatore, non idonea ad impedire la cessione o sublocazione, in difformità dal principio generale di cui all'art. 1406 c.c., recupera un ruolo centrale: solo attraverso il suo intervento, è stato detto, il cedente può uscire completamente di scena, rendendosi estraneo alle successive vicende contrattuali. Sul punto è stato giustamente osservato che la disposizione è coerente con la configurazione che nell'art. 36 assume la cessione della locazione: potendo, infatti, questa perfezionarsi indipendentemente dal consenso del locatore, è logico che il locatore stesso conservi, salva una sua rinuncia, la garanzia del contraente originario (Papanti Pelletier, 425). La disciplina in esame, ovviamente, trova applicazione con riguardo alla sola cessione e non anche la sublocazione; in questa seconda ipotesi, infatti, il conduttore che trasferisca o ceda in godimento l'azienda rimane comunque obbligato nei confronti del locatore in forza del contratto di locazione: in tema di sublocazione, quindi, un problema di liberazione dalle obbligazioni neppure si pone. Il congegno della permanente responsabilità del cedente opera con riguardo a tutte le obbligazioni contrattuali, da quella avente ad oggetto il canone a quella per il risarcimento dei danni cagionati all'immobile (Pret. Brescia 4 febbraio 1993), nonché a quella di risarcimento del danno da ritardata restituzione ex art. 1591 c.c., quanto meno per il pagamento della c.d. indennità di occupazione commisurata al canone locatizio (Trib. Milano 11 dicembre 1995), e, in via generale, ha quella di rilascio dell'immobile (Trib. Salerno 3 marzo 2006). È esclusa la responsabilità del cedente, però, nell'ipotesi in cui il cessionario e il locatore stipulino un nuovo contratto di locazione (Pret. Roma 13 dicembre 1989). Ha aggiunto la dottrina che alla stessa conclusione deve pervenirsi nel caso in cui il contratto, giunto alla sua naturale scadenza, si protragga per effetto di rinnovo tacito in mancanza di disdetta: in tale ipotesi, infatti, la prosecuzione del conduttore cessionario nel godimento dell'immobile non sarebbe ricollegabile al trasferimento della posizione contrattuale, dipendendo piuttosto da un'omissione del locatore stesso cui la legge attribuisce il significato e gli effetti di una volontà legale tipizzata (Piombo 1996, 853). La medesima conclusione è stata da altri raggiunta sul rilievo che il permanere della garanzia patrimoniale offerta dal cedente ha ragion d'essere con riguardo a quel solo periodo per cui il conduttore si era personalmente impegnato, e su cui il locatore poteva quindi fare iniziale affidamento (Di Marzio, Falabella, 1619). Si discute se l'art. 36 istituisca un'ipotesi di responsabilità solidale «pura» o invece soltanto sussidiaria del cedente: se, cioè, il locatore possa indistintamente rivolgersi all'uno o all'altro, ovvero se possa invocare la responsabilità del cedente solo dopo aver fatto valere quella del cessionario. Secondo un primo indirizzo, la disposizione ricalcherebbe la previsione dell'art. 5 della l. n. 19/1963, la quale prevedeva espressamente che il conduttore rimanesse obbligato in solido con il cessionario dell'azienda con riguardo al pagamento del fitto e per l'osservanza di tutte le condizioni del contratto (Papanti Pelletier, 424; Trifone, 513). Si è rilevato che la ratio del principio sancito dall'art. 36 sta nell'apprestare una garanzia più ampia al locatore ceduto per bilanciare la compressione del suo diritto di scegliere (anche in ragione delle garanzie offerte) la controparte, di guisa che, se si obbligasse il locatore ad agire previamente contro il cessionario anche nell'ipotesi in cui fosse evidente la maggiore solidità patrimoniale del cedente, si renderebbe più difficoltosa per il locatore la realizzazione del suo diritto (Bucci –Malpica, Redivo, 463). Anche nella giurisprudenza di merito è stato affermato il principio secondo cui non vi sarebbe alcun ordine preferenziale tra gli obbligati (Trib. Alessandria 16 aprile 1986). Altri qualificano la responsabilità del cedente come sussidiaria (Gazzoni, 205). Si evidenzia che il meccanismo dell'accollo cumulativo non implicherebbe che il creditore possa indifferentemente rivolgersi all'accollato o all'assuntore. Viene pure posto l'accento sulla diversità di formulazione dell'art. 36 rispetto all'art. 5 della l. n. 19/1963 (Cosentino, Vitucci, 344). Nella giurisprudenza di merito, è stato parimenti affermato che la norma in commento non configura un'obbligazione solidale fra cedente e cessionario nei confronti del locatore, bensì un'obbligazione del cedente con responsabilità subordinata all'inadempimento del cessionario; ne deriva che, nel caso in cui il locatore pretenda il risarcimento del danno relativo all'inadempimento contrattuale di mantenere la cosa locata in buono stato locativo, inadempimento che sorge necessariamente dalla messa in mora del cessionario, ex art. 1219 c.c., una volta che la messa in mora suddetta non sia stata effettuata il locatore non può agire nei confronti del cedente (App. Torino 24 ottobre 1986). In ipotesi di cessione di contratto di locazione, qualora il locatore ceduto non abbia liberato il cedente, quest'ultimo non è dunque responsabile in solido con il cessionario; il locatore non può pertanto agire direttamente contro di lui, che è solo un obbligato con responsabilità subordinata all'inadempimento del cessionario (Pret. Varese 29 settembre 1994). Lo stesso orientamento è stato fatto proprio anche dalla Suprema Corte, secondo cui il significato della norma starebbe in ciò, che la responsabilità del cedente è subordinata all'inadempimento del cessionario. Pertanto, verificatasi tale condizione, il locatore-ceduto, il quale pretenda l'adempimento degli obblighi contrattuali non adempiuti dal cessionario, può rivolgersi direttamente contro il conduttore-cedente, senza necessità di chiamare in giudizio il conduttore-cessionario (Cass. III, n. 1833/1993). In seguito, si è ribadito che l'art. 36 della l. n. 392/1978 consente al locatore che non abbia liberato il cedente di agire contro quest'ultimo qualora il cessionario non adempia alle obbligazioni assunte, il che sta a significare che la responsabilità del cedente è subordinata all'inadempimento del cessionario, responsabilità quindi, sussidiaria e non solidale (Cass. III, n. 13297/2002). Dalla ricostruzione prospettata nelle decisioni testé citate, deriva che il locatore non sia tenuto a citare in giudizio il cessionario, con conseguente esclusione di un beneficium excussionis in favore del cedente (Trib. Milano 11 dicembre 1995). La posizione del cedente sarebbe piuttosto da accostare a quella di chi si giovi del c.d. beneficium ordinis (art. 1268, comma 2, c.c.), in forza del quale il creditore, senza essere obbligato ad agire preventivamente nei confronti di un certo debitore, deve comunque indirizzare a questo la propria prima richiesta di adempimento. La Suprema Corte ha escluso, in un primo tempo, che il cedente goda del beneficium ordinis (Cass. III, n. 10485/2004). Successivamente il giudice di legittimità è andato in contrario avviso ed ha ribadito la natura sussidiaria della responsabilità del cedente motivando nei termini che seguono (Cass. III, n. 9486/2007). Il principio secondo cui l'azione nei confronti del cedente sarebbe subordinata all'inadempimento del cessionario, cui andrebbe rivolta la prima richiesta, riassunto della massima secondo cui, in caso di cessione del contratto di locazione ai sensi dell'art. 36, qualora il locatore non abbia liberato il cedente, tra quest'ultimo e il cessionario, divenuto successivo conduttore dell'immobile, viene ad instaurarsi un vincolo di responsabilità sussidiaria, caratterizzato dal beneficium ordinis, che consente, perciò, al locatore di agire nei confronti del cedente per il soddisfacimento delle obbligazioni inerenti al suddetto contratto (ivi comprese quelle riguardanti le pretese risarcitorie connesse alla perdita o al deterioramento del bene locato, di cui all'art. 1588 c.c.), solo dopo che si sia venuto a configurare l'inadempimento del nuovo conduttore, nei cui confronti è necessaria la preventiva richiesta di adempimento mediante la semplice modalità della messa in mora (Cass. III, n. 12896/2009). Dalla premessa che la responsabilità del conduttore cedente, essendo subordinata all'inadempimento del cessionario, ha carattere eventuale e natura sussidiaria, non può desumersi l'erroneo corollario che, per questo, l'art. 36 non configuri un'ipotesi di solidarietà di cedente e cessionario in ordine alle obbligazioni contrattualmente assunte dal primo nei confronti del locatore. Per un verso, invero, la sussidiarietà non esclude la solidarietà dell'obbligazione, purché questa abbia ad oggetto la medesima prestazione); per altro verso, la circostanza che l'art. 36 non qualifichi espressamente come solidale l'obbligazione di cedente e cessionario del contratto di locazione nei confronti del locatore, come invece faceva la l. n. 19/1963, all'art. 5, non consente di individuare nella più recente disposizione una ratio diversa da quella che connotava la prima, essendo volte entrambe a bilanciare la sottrazione al locatore della facoltà di scegliere la controparte, prevedendo che il soggetto con il quale egli ha trattato intuitu personae resti tenuto per le obbligazioni del cessionario. Di qui l'affermazione che l'obbligazione del cedente del contratto di locazione di pagare il canone dovuto al locatore dal cessionario e da questi non corrisposto, quale prevista dall'art. 36, integra un'ipotesi di solidarietà, con la conseguenza che, trovando applicazione l'art. 1310 c.c., gli atti con i quali il locatore abbia interrotto la prescrizione nei confronti del cessionario hanno effetto anche verso il cedente (Cass. III, n. 23914/2006). Comunicazione al cedente dell'inadempimento del cessionarioIn collegamento col tema della responsabilità del cedente, sorge il quesito se, in tema di cessione del contratto di locazione di immobile urbano destinato ad uso non abitativo, trovi applicazione la disposizione di cui all'art. 1408, comma 3, c.c., secondo cui il contraente ceduto è tenuto a dare notizia al cedente dell'inadempimento del cessionario, entro quindici giorni dalla data in cui questo si è verificato. La tesi negativa è stata sostenuta in dottrina sul rilievo che un temine di decadenza, connesso a un onere di avviso, non potrebbe essere esteso a fattispecie per le quali esso non sia espressamente richiamato (Cosentino, Vitucci, 345). Si è inoltre osservato che, mentre nell'ipotesi regolata dal comma 3, dell'art. 1408 c.c. l'obbligo di comunicazione è collegato a un patto espresso, nella cessione di cui all'art. 36 esso sarebbe correlato a un effetto legale: ciò che indurrebbe perplessità quanto all'applicabilità, all'ipotesi in esame, della disciplina codicistica (Gabrielli, Padovini, 707). La giurisprudenza non è uniforme. L'assoggettamento del locatore ceduto all'obbligo di cui all'art. 1408, comma 3, c.c. è stato talora accolto dalla giurisprudenza di merito (Trib. Pavia 24 giugno 1988), in base all'assunto secondo cui la specialità della disciplina posta dall'art. 36 non impedirebbe l'applicazione delle norme codicistiche laddove non incompatibili. In senso contrario, altra pronuncia ha all'opposto ritenuto che la specialità dell'istituto della cosiddetta cessione forzata del contratto di locazione prevista dall'art. 36 impone di far riferimento solo a tale disposizione, con esclusione dell'applicazione in via estensiva o analogica di qualsiasi altra norma (App. Milano 14 marzo 1995). Quest'ultima soluzione è stata accolta anche dalla Suprema Corte, la quale ha affermato che l'obbligo di comunicazione al cedente dell'inadempimento del cessionario entro un termine stabilito è previsto per l'istituto generale della cessione del contratto, ma non anche per la cessione della locazione ex art. 36. E, trattandosi di un onere gravante sul contraente «debole» della vicenda trilatera, non è lecito invocarne l'applicazione nemmeno in via analogica in favore del cedente (Cass. III, n. 9486/2007). La liberazione del cedenteSi è già visto che l'ultimo periodo del comma 1 dell'art. 36 fissa la regola della responsabilità del cedente per l'inadempimento da parte del cessionario delle obbligazioni assunte, fatta salva la facoltà dello stesso locatore di liberare il cedente medesimo. La volontà del locatore di liberare il cedente può essere manifestata in ogni modo, non essendo dalla legge previsto alcun requisito di forma: può essere dunque manifestata sia espressamente, sia per fatti concludenti, senza che sia necessaria la contestualità della liberazione rispetto alla cessione del contratto (Piombo, 853). La liberazione del cedente ben può essere condizionata a una controprestazione, e in particolare al versamento di un corrispettivo o indennizzo, da parte del cedente, senza che il relativo accordo sia sanzionato dalla nullità prevista dall'art. 79 della l. n. 392/1978 (Trib. Milano 27 ottobre 1994). Gli effetti della cessione rispetto al cessionario.La cessione comunicata o accettata determina il subentro del cessionario nel contratto di locazione. Nel caso di cessione del contratto di locazione d'immobile ex art. 36 si determina cioè la sostituzione del cessionario nei diritti e negli obblighi del cedente, sicché l'originario conduttore risulta del tutto estraneo al rapporto locatizio che, pur restando assoggettato al medesimo regime giuridico, viene ad instaurarsi, con il consenso del locatore, direttamente tra il cessionario ed il locatore (Cass. III, n. 3996/2003). Non sembra dunque persuasiva l'opposta affermazione secondo cui, in caso di opponibilità non seguita dalla liberazione del conduttore cedente, permane, sul piano processuale, la legittimazione passiva dell'originario conduttore per tutte le azioni attinenti alla prosecuzione o alla estinzione del rapporto locatizio, senza che il terzo cessionario del contratto abbia titolo per pretendere una estensione necessaria del contraddittorio nei suoi confronti e per rivendicare la posizione di legittimato passivo (Cass. III, n. 19772/2003 Cass. III, n. 6427/2009). È il cessionario, cioè, la parte necessaria del giudizio di rilascio promosso dal locatore cui la cessione sia stata comunicata; si è conseguentemente affermato che avverso il provvedimento di rilascio emesso nei confronti del conduttore cedente, detto cessionario, siccome titolare di un diritto autonomo e incompatibile con la decisione resa inter alios, è legittimato a spiegare opposizione di terzo semplice, a norma dell'art. 404, comma 1 c.p.c. (Cass. III, n. 7110/1997). Viceversa, se la cessione al luogo nel corso del giudizio vertente sulla locazione, è attribuito al cessionario il rimedio dell'opposizione all'esecuzione (Cass. III, n. 23289/2007). La Suprema Corte ha affermato che il cessionario risponde anche delle obbligazioni non adempiute dal cedente (Cass. III, n. 10485/2004). Tale responsabilità del cessionario ha natura solidale, ed i rapporti interni tra i coobbligati sono disciplinati dall'art. 1298 c.c. Pertanto, mentre tutti i cedenti e tutti i cessionari sono responsabili solidalmente verso il locatore per il danno prodotto alla cosa locata, nell'ambito dei rapporti interni tra i vari conduttori il debito va ripartito secondo il criterio dell'imputabilità; e, nell'ipotesi in cui non sia possibile riferire i deterioramenti all'uno o all'altro conduttore, deve presumersi che le parti del debito solidale siano uguali (Cass. III, n. 10485/2004). L'affermazione secondo cui il cessionario è responsabile nei confronti del locatore ceduto per le obbligazioni a carico del conduttore cedente che siano rimaste inadempiute ha trovato conferma anche successivamente (Cass. III, n. 7686/2008). In un'occasione, nel vigore della l. n. 19/1963, la Suprema Corte ha così ritenuto costituisse inadempimento la condotta del locatore che aveva rifiutato la volturazione del contratto di locazione: volturazione necessaria al cessionario per l'espletamento delle pratiche amministrative per il rilascio, a nome proprio, delle autorizzazioni all'esercizio dell'attività nell'immobile ceduto (Cass. III, n. 8351/1987). Merita ancora rammentare che, ove il conduttore ceda l'azienda e il contratto di locazione relativo all'immobile in cui essa è esercitata, ma, a seguito della preannunciata opposizione del locatore, anziché consegnare l'immobile al cessionario, lo restituisca al locatore, il quale, a sua volta, lo dia in locazione a un terzo, il conflitto tra cessionario e terzo va risolto in favore del primo: questo, infatti, essendo subentrato nel rapporto locatizio nella medesima posizione del conduttore cedente quale si configurava al momento della cessione, ne ha mutuato anche la situazione di priorità nel godimento del bene, preferenziale ex art. 1380, comma 1, c.c. (Cass. III, n. 8872/1987). Con riferimento alla ripetizione dei canoni corrisposti indebitamente, si è affermato, in giurisprudenza, che il cessionario possa agire per ottenere anche le somme corrisposte dal cedente prima del suo subentro. Ciò perché la cessione, da parte del conduttore, del contratto di locazione cui si accompagni la cessione dell'azienda si perfeziona con l'incontro delle volontà del cedente e del terzo, indipendentemente dal consenso del locatore, con la conseguenza che, perfezionatasi la cessione, si trasferisce l'intero contratto, nel suo insieme unitario di diritti ed obbligazioni. Deriva da ciò la possibilità per il conduttore cessionario di agire in giudizio per ottenere la restituzione di quanto versato, a titolo di canone, oltre il dovuto, nel corso di tutto il rapporto locatizio (Pret. Verona 7 novembre 1986). Anche in dottrina si è osservato che il cessionario che agisce per la restituzione degli importi corrisposti in eccedenza rispetto al dovuto fa valere un diritto di credito inerente all'azienda ceduta, e con essa trasferito, configurandosi la cessione della locazione avente ad oggetto l'immobile in cui è ubicata l'azienda come un effetto naturale della cessione d'azienda (Piombo, 852). Ove la cosa locata sia affetta da vizi che ne diminuiscano il godimento, il cessionario non può avvalersi delle azioni di risoluzione del contratto o di riduzione del canone: difetta in detta ipotesi il presupposto primo per l'applicabilità dell'art. 1578 c.c., e cioè la consegna della cosa dal locatore al conduttore, e conseguentemente non si applica neppure l'art. 1579 c.c., concernente la deroga pattizia con la quale si escluda o si limiti la responsabilità del locatore per i vizi della cosa (Cass. III, n. 10298/2007). Come è stato ribadito, in caso di subentro nel contratto di locazione di immobile adibito ad uso non locativo, conseguente ex art. 36 della l. n. 392 del 1978 alla cessione d'azienda, al cessionario non è consentito l'esercizio dell'azione di risoluzione ovvero di riduzione del canone, previsti dall' art. 1578 c.c. per l'ipotesi che la cosa locata, al momento della consegna, presenti vizi non noti o facilmente riconoscibili che ne diminuiscano in modo apprezzabile l'idoneità all'uso pattuito per il conduttore, difettando in detta ipotesi il presupposto primo per l'applicabilità dell' art. 1578 c.c. , e cioè la consegna della cosa dal locatore al conduttore (Cass. III, n. 14067/2023). Occorre aggiungere che non è precluso al cessionario il mutamento del tipo di attività commerciale esercitata nell'immobile, salvi gli effetti che dal mutamento possano derivare in applicazione di specifiche clausole del contratto, ostative in materia (Cass. III, n. 8816/1996). Una volta subentrato nel contratto, il cessionario ha il medesimo diritto del cedente di intimare disdetta e sconta, altresì, la stessa soggezione che aveva il proprio dante causa nei confronti delle iniziative poste in essere dal locatore per far cessare il rapporto (artt. 28 e 29 l. n. 392/1978). Non solo: egli evidentemente succede nella situazione soggettiva che sia già insorta per effetto della comunicazione di disdetta, onde subentra nell'obbligo di rilascio che il locatore faccia valere servendosi della disdetta precedentemente intimata dal cedente o da lui stesso. In giurisprudenza, si è sottolineato come l'azione di recesso del locatore per necessità debba essere tenuta ben distinta da quella intentata per ottenere la riconsegna dell'immobile in presenza dei gravi motivi di opposizione alla sublocazione o alla cessione. Nell'ipotesi dell'azione di recesso del locatore per necessità, l'indagine del giudice deve essere unicamente rivolta all'accertamento se sussistano, o meno, le circostanze di fatto dedotte dall'istante e se esse integrino quella situazione di intenso disagio che giustifica a cessazione anticipata del rapporto locatizio, mentre le esigenze del conduttore non hanno alcun rilievo ai fini di detta indagine, avendo il legislatore preventivamente valutato, per insindacabili ragioni di politica legislativa, la prevalenza della necessità del locatore rispetto quella del conduttore. Nel caso, invece, di sublocazione dell'immobile e di cessione del contratto di locazione da parte del conduttore, assumono invece rilievo i gravi motivi di opposizione, i quali debbono essere attinenti alla persona del nuovo conduttore, alla sua affidabilità e posizione economica ovvero al complesso della operazione progettata, con esclusione di motivi che attengano, in via immediata e diretta, alle esigenze e alla situazione del locatore (Cass. III, n. 5357/1985). Si è affermato che il cessionario possa far valere, nei confronti del locatore, i diritti in tema di migliorie e addizioni, ancorché queste siano state realizzate dal cedente in epoca precedente alla cessione. Alla scadenza del contratto, e a seguito della riconsegna, il cessionario avrà altresì diritto alla restituzione del deposito cauzionale costituto dal cedente, e detenuto dal locatore: é questa, infatti, una ulteriore conseguenza del trasferimento, al cessionario, della posizione contrattuale facente già capo all'originario conduttore (Di Marzio, Falabella, 1640). In giurisprudenza, è stato detto che il cessionario succede anche nell'obbligazione avente ad oggetto la riconsegna della cosa locata nelle condizioni indicate dall'art. 1590 c.c. (Cass. III, n. 12325/1997), rimanendo obbligato di rimborsare al cedente quanto a suo tempo versato al locatore a titolo di deposito cauzionale (Pret. Firenze 29 marzo 1993; Trib. Milano 14 novembre 1994). Quest'ultima soluzione è stata giudicata scarsamente persuasiva. Invero, il credito avente ad oggetto la restituzione del deposito cauzionale è un diritto che trova il proprio fondamento nel contratto di locazione (ove in esso sia previsto il versamento della somma da dare in garanzia) o che, comunque, inerisce all'azienda ceduta (ove l'accordo relativo non sia inserito nella convenzione locatizia, ma integri un contratto separato, ancorché funzionalmente collegato con quella). Ebbene, nell'un caso come nell'altro non potrà il cedente pretendere in restituzione la somma con cui la garanzia è stata costituita, perché, così facendo, egli farà valere una pretesa contrastante col regolamento pattizio. Il corrispettivo della cessione della locazione (nel caso in cui il deposito si inserisca in detto rapporto contrattuale), o della cessione dell'azienda (nel caso opposto) è infatti per certo comprensivo di tutti i diritti che attengono, rispettivamente, alla locazione o all'azienda ceduta: in particolare, la cessione di azienda, secondo la giurisprudenza, ha carattere unitario ed importa il trasferimento al cessionario di tutti gli elementi costituenti l'universitas, senza necessità di una specifica pattuizione nell'atto di trasferimento. Ciò implica che, a meno che le parti non abbiano diversamente pattuito, la cessione (a seconda dei casi, della locazione o dell'azienda) attribuirà al cessionario il diritto di pretendere, dal locatore, la restituzione della cauzione: onde è escluso che il cedente possa accampare pretese quanto al rimborso dell'importo relativo. In tal senso è la pronuncia, inedita, che viene di seguito riportata (Di Marzio, Falabella, 1641). La sub-cessione.Trova applicazione l'art. 36 l. n. 392/1978 anche in caso di sub-cessione del contratto di locazione, che si realizza quando ad una prima cessione ne seguano altre. La dottrina ha ritenuto che un indice normativo in favore di tale soluzione emerga dal capoverso dell'art. 36, laddove prende in considerazione la posizione di chi, al momento della cessazione effettiva della locazione, risulti conduttore: è stato rilevato, al riguardo, che qualora si fosse voluto escludere la subcessione, si sarebbe più precisamente parlato di cessionario (Gazzoni, 210). Né, è da aggiungere, l'uso del termine sopra indicato potrebbe spiegarsi, in via esclusiva, con l'intendimento di precisare quale sia il soggetto cui spetti l'indennità di avviamento in caso di sublocazione: perché, a tale riguardo, sarebbe bastato il riferimento a chi sia sublocatore. In ogni caso, non esiste alcun argomento, non solo testuale, ma anche logico, idoneo ad escludere che pure le ulteriori cessioni del contratto di locazione – legate a trasferimenti di azienda o a locazioni di questa – siano attuabili senza il consenso del locatore. La sub-cessione pone il problema dell'individuazione del soggetto su cui grava la responsabilità sussidiaria posta dall'ultimo periodo del comma 1 dell'art. 36: si tratta cioè di stabilire se, in caso di sub-cessione la responsabilità sussidiaria ricada anche sull'originario cedente, solo sull'ultimo cedente, oppure sull'intera catena dei successivi cedenti. La giurisprudenza di legittimità ha in un primo tempo ritenuto che anche l'originario cedente debba rispondere del debito facente capo al conduttore, ultimo cessionario (Cass. III, n. 894/1986; Cass. III, n. 2435/1989; Cass. III, n. 17201/2002; Cass. III, n. 10485/2004). Questa soluzione è stata criticata in ragione dell'estraneità del cedente anteriore alle vicende successive della locazione, tanto più che il locatore sarebbe sufficientemente tutelato dalla facoltà di opposizione alla cessione (Grasselli, 1927). Si è però obiettato che, se l'opposizione fosse sufficiente per tutelare le ragioni creditorie del locatore ceduto, non vi sarebbe stato alcun bisogno di stabilire normativamente anche la corresponsabilità del cedente (Izzo, 3038). Altro aspetto del problema è se delle obbligazioni che l'ultimo cessionario debba adempiere siano tenuti a rispondere anche i cedenti intermedi. Parte della dottrina ha dato al quesito risposta negativa. È stato infatti rilevato che i menzionati soggetti non sono legati al locatore da quel vincolo di originaria «personalizzazione patrimoniale» che caratterizza il rapporto di locazione di immobile in cui sia esercitata un'attività aziendale (Gazzoni, 210). Si è di contro osservato che i cedenti intermedi, pur non rientrando nella previsione dell'art. 36 l. n. 392/1978, continuano a rispondere dei debiti anteriori al trasferimento dell'azienda, a norma dell'art. 2560 c.c. (Bucci, Malpica, Redivo, 464). La tesi della concorrente responsabilità dell'originario conduttore e dei successivi cedenti è stata accolta dalla Suprema Corte, che, nel 2004, ha stabilito che, in caso di cessione, senza il consenso del locatore, del contratto di locazione insieme all'azienda ai sensi dell'art. 36 della l. n. 392/1978, il conduttore cedente che non sia stato liberato dal locatore ceduto, risponde solidalmente dell'inadempimento del cessionario. Tale obbligazione di garanzia, il cui fondamento va ravvisato nel potere esclusivo di scelta del cessionario da parte del cedente e nella corrispondente esigenza di tenere il locatore, che a tale scelta non ha titolo, indenne dalle negative conseguenze che possano derivarne, trova applicazione anche nelle ipotesi di c.d. cessioni intermedie, e cioè qualora alla prima cessione ne segua una seconda ad opera del cessionario, con la conseguenza che l'originario conduttore e primo cedente rimane obbligato in solido con l'ultimo cessionario per le obbligazioni di costui, essendo tenuto a rispondere del meccanismo dei subentri automatici da lui posto in essere e che il locatore non può evitare (Cass. III, n. 10485/2004). Ad analoghe conclusioni è pervenuta la giurisprudenza successiva (Cass. III, n. 9486/2007). Nella stessa prospettiva è stato da ultimo affermato che, in materia di locazione, in caso di plurime cessioni - senza il consenso del locatore - del contratto di locazione insieme all'azienda, tra i cedenti intermedi viene a configurarsi, in presenza dell'inadempimento dei cessionari, un vincolo di corresponsabilità nei confronti del locatore, a prescindere dal numero delle cessioni ed indipendentemente dal loro rapporto diretto di garanzia con i singoli cessionari; tale meccanismo di cumulatività indeterminata della responsabilità tra coobbligati costituisce adeguato contrappeso per riequilibrare la vicenda contrattuale, che si sviluppa in deroga al generale principio di incedibilità del rapporto obbligatorio in mancanza dell'assenso del contraente ceduto (Cass. III, n. 28809/2019). Opponibilità al cedente del giudicato tra locatore e cessionarioIl locatore non può avvalersi nei confronti del cedente della pronuncia conseguita verso il cessionario e delle affermazioni in essa contenute; questa, infatti, non fa stato nei suoi confronti (Pret. Scandiano 21 settembre 1983, con riferimento alla ipotesi di sentenza di risoluzione emessa nei confronti del cessionario). Egualmente è da escludere che il giudicato della convalida di sfratto per morosità conseguito nei confronti del cessionario implichi l'accertamento della qualità di conduttori in capo ai soggetti succedutisi nel rapporto in forza delle intercorse cessioni (Cass. III, n. 9486/2007). BibliografiaBarrasso, Di Marzio, Falabella, La locazione. Percorsi giurisprudenziali, Milano, 2008; Benedetti, La locazione tra codice civile e leggi speciali, in AA.VV., Contratti non soggetti all'equo canone, Milano, 1981; Bernardi, Coen, Del Grosso, Art. 4. 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