Legge - 27/07/1978 - n. 392 art. 30 - Procedura per il rilascio.

Mauro Di Marzio

Procedura per il rilascio.

Avvenuta la comunicazione di cui al terzo comma dell'articolo 29 e prima della data per la quale è richiesta la disponibilità ovvero quando tale data sia trascorsa senza che il conduttore abbia rilasciato l'immobile, il locatore può convenire in giudizio il conduttore, osservando le norme previste dall'art. 447-bis del codice di procedura civile (1).

[La controversia è di competenza del conciliatore qualora il canone annuo non superi lire seicentomila; negli altri casi è di competenza del pretore.] (2).

Competente per territorio è il giudice nella cui circoscrizione è posto l'immobile. Sono nulle le clausole derogative dalla competenza per territorio.

Alla prima udienza, se il convenuto compare e non si oppone, il giudice ad istanza del locatore, pronunzia ordinanza di rilascio per la scadenza di cui alla comunicazione prevista dall'articolo 29.

L'ordinanza costituisce titolo esecutivo e definisce il giudizio.

Nel caso di opposizione del convenuto il giudice esperisce il tentativo di conciliazione.

Se il tentativo riesce viene redatto verbale che costituisce titolo esecutivo. In caso contrario o nella contumacia del convenuto si procede a norma dell'articolo 420 e seguenti del codice di procedura civile .

Il giudice, su istanza del ricorrente, alla prima udienza e comunque in ogni stato del giudizio, valutate le ragioni addotte dalle parti e le prove raccolte, può disporre il rilascio dell'immobile con ordinanza costituente titolo esecutivo.

(1) Comma così modificato dall'articolo 89 della legge 26 novembre 1990, n. 353. Successivamente, il citato art. 89, L. 353/1990, come modificato dall’articolo 2, comma 2, della L.4 dicembre 1992, n. 477 ha disposto che la presente modifica decorra a partire del 2 gennaio 1994. Infine, il suddetto art. 89, L. 353/1990, come da ultimo modificato dall’articolo 3 del D.L. 7 ottobre 1994, n. 571, convertito, con modificazioni dalla L. 6 dicembre 1994, n. 673, ha disposto la decorrenza della presente modifica a partire dal 30 aprile 1995.

(2) Comma abrogato dall'art. 6, l. 30 luglio 1984, n. 399 e dall' articolo 89 della legge 26 novembre 1990, n. 353. Successivamente, il citato art. 89, L. 353/1990, come modificato dall’articolo 2, comma 2, della L.4 dicembre 1992, n. 477 ha disposto che la presente modifica decorra a partire del 2 gennaio 1994. Infine, il suddetto art. 89, L. 353/1990, come da ultimo modificato dall’articolo 3 del D.L. 7 ottobre 1994, n. 571, convertito, con modificazioni dalla L. 6 dicembre 1994, n. 673, ha disposto la decorrenza della presente modifica a partire dal 30 aprile 1995.

Inquadramento

Una volta dichiarata la propria volontà di denegare il rinnovo, nel quadro di applicazione dell'art. 29 l. n. 392/1978, il locatore può agire nei confronti del conduttore al fine di ottenere la pronuncia della cessazione della locazione e la condanna al rilascio, sia prima della scadenza («prima della data per la quale è richiesta la disponibilità», secondo l'art. 30, comma 1, l. n. 392/1978), sia dopo di essa («ovvero quando tale data sia trascorsa senza che il conduttore abbia rilasciato l'immobile» secondo lo stesso art. 30, comma 1, l. n. 392/1978).

Mette conto subito evidenziare che, nel caso in cui il conduttore, avendo ricevuto la notificazione del diniego di rinnovazione della locazione alla prima scadenza contrattuale, con le modalità e i termini di cui all' art. 29 l. n. 392 del 1978, non abbia spontaneamente adempiuto al rilascio, il locatore, non potrà esperire l'ordinario procedimento per convalida di sfratto per finita locazione, dovendosi avvalere della procedura di cui all' art. 30 successivo (Trib. Roma 4 giugno 2019, n. 11975).

Ciò vuol dire che, nella prima delle ipotesi considerate, la pronuncia prevista assume il contenuto di una condanna in futuro (Trisorio Liuzzi, 133; Bucci, Crescenzi, 258), così come accade per l'ordinanza di convalida di licenza per finita locazione.

L'atto introduttivo.

L'atto introduttivo del procedimento per il diniego di rinnovo alla prima scadenza è indubbiamente il ricorso di cui al combinato disposto degli artt. 447-bis e 414 c.p.c. Già in passato l'art. 46 l. n. 392/1978 stabiliva che il procedimento per le controversie di cui all'art. 30 l. n. 392/1978 fosse disciplinato dalle norme del rito del lavoro ivi richiamate. Oggi la stessa norma prevede che il locatore possa convenire in giudizio il conduttore, «osservando le norme previste dall'art. 447-bis c.p.c.» (art. 30 l. n. 392/1978 come modificato dall'art. 89 l. n. 353/1990).

Il ricorso, dovendo contenere «l'esposizione dei fatti» (art. 414, n. 4 c.p.c.), deve dunque menzionare la raccomandata con cui il diniego è stato esercitato – ed in mancanza della quale il contratto «si intende rinnovato» ex art. 29, comma 5, l. n. 392/1978 – in conformità alla disciplina dettata per le locazioni non abitative dall'art. 29, comma 3, l. n. 392/1978. La stessa raccomandata deve essere prodotta unitamente al ricorso ai sensi dell'art. 414, n. 5) c.p.c.: tale produzione, avendo ad oggetto un documento preesistente al giudizio ed operando lo sbarramento preclusivo di cui al combinato disposto degli artt. 414 e 416 c.p.c. anche con riguardo alle prove precostituite, non potrà avere successivamente ingresso.

L'ordinanza di rilascio definitiva del giudizio

Una significativa peculiarità del procedimento per il rilascio disciplinato dall'art. 30 l. n. 392/1978 è l'ordinanza di rilascio da pronunciarsi «se il convenuto compare e non si oppone» (art. 30, comma 4, l. n. 392/1978) e che «costituisce titolo esecutivo e definisce il giudizio» (art. 30, comma 5, l. n. 392/1978).

Si tratta di un ibrido – di rilievo pratico alquanto modesto, per le ragioni che subito si diranno – con taluni evidenti tratti di somiglianza con l'ordinanza di convalida di licenza o sfratto per finita locazione pronunciata ai sensi dell'art. 663 c.p.c. In entrambi i casi, infatti, la non opposizione del convenuto determina la conclusione del giudizio (ma, nel procedimento per convalida, lo stesso effetto è cagionato dalla mancata comparizione) con la pronuncia di un provvedimento in forma di ordinanza, mentre la comparizione ed opposizione dà luogo alla prosecuzione del giudizio, destinato in tal caso a concludersi con sentenza.

Sul piano della ratio, la scelta del legislatore di apprestare a favore del locatore un apposito strumento di tutela differenziata, ulteriore rispetto all'azione per convalida, sembra potersi giustificare con l'inammissibilità di quest'ultima nel caso dell'azione per convalida: di guisa che, in mancanza dell'art. 30 l. n. 392/1978, il locatore – pur facendo valere una fattispecie di cessazione della locazione motivata da una sua specifica esigenza di tornare nella disponibilità della cosa locata – sarebbe rimasto esposto, in caso di diniego, alla concreta eventualità che buona parte del secondo periodo di durata del contratto potesse trascorrere nelle more del normalmente non breve giudizio ordinario.

Per comprendere, poi, il concreto funzionamento dell'istituto – o, forse, per ricostruire un funzionamento ragionevole che altrimenti mancherebbe – occorre prendere posizione sul rapporto tra l'art. 30, comma 4, l. n. 392/1978, secondo cui: «Alla prima udienza, se il convenuto compare e non si oppone, il giudice... pronunzia ordinanza di rilascio» e l'art. 30, comma 7, l. n. 392/1978, secondo cui: «Nella contumacia del convenuto si procede a norma dell'art. 420 ss. c.p.c.». Ciò perché se si facesse ruotare l'intera «procedura per il rilascio» su quest'ultima disposizione, la concreta utilizzabilità dell'ordinanza di rilascio definitiva del giudizio risulterebbe pressoché nulla.

Bisogna infatti rammentare che – come è ovvio – la comparizione personale del convenuto non equivale a costituzione e non esclude, dunque, la sua contumacia, la quale ha luogo, anzi, finanche se il convenuto conferisca procura alle liti ad un legale il quale, omettendo di depositare una memoria difensiva, si limiti a far constare soltanto dal verbale le difese svolte (Cass. III, n. 5555/1984; Cass. III, n. 7570/1983; Cass. III, n. 2213/1989). Perciò è ben possibile che il convenuto compaia alla prima udienza dichiarando espressamente di non opporsi alla pronuncia dell'ordinanza di rilascio definitiva del giudizio e che, tuttavia, egli sia al tempo stesso contumace. Sicché, qualora si propendesse, in tale frangente, per l'applicabilità del settimo comma, dovrebbe riconoscersi che il giudice non può pronunciare l'ordinanza in questione, ma deve procedere all'istruzione della causa in vista della pronuncia della sentenza. Questa restrittiva soluzione parrebbe in un'occasione accolta dalla Suprema Corte – se mal non si intende la motivazione qui trascritta – nella pronuncia che segue: «In considerazione del dato testuale, la emissione dell'ordinanza di rilascio a definizione del giudizio è prevista dall'art. 30, comma 4, l. n. 392/1978, per la sola ipotesi in cui il convenuto compaia in udienza e dichiari di non opporsi alla domanda; allorché il convenuto rimanga contumace, il giudice, analogamente a quanto previsto per il caso di opposizione, è tenuto a proseguire il giudizio, verificando la sussistenza della condizione della domanda e pronunciando sentenza, salva la possibilità di emissione (potere discrezionale del giudice sollecitato dalla parte istante) di ordinanza provvisoria in corso di causa, a norma dell'art. 30, ultimo comma, legge citata, che pur rimane provvedimento provvisorio, soggetto a riscontro ed a conferma o revoca in occasione della pronunzia della sentenza» (Cass. III, n. 6752/1987).

Così stando le cose, però, se la comparizione e non opposizione del convenuto giustificassero la pronuncia dell'ordinanza soltanto nel caso di costituzione del medesimo – dovendosi in caso di contumacia procedere ai sensi dell'art. 420 c.p.c. –, sarebbe assai raro il caso del conduttore che scelga di impegnare tempo e denaro (il tempo per organizzare la costituzione e per comparire in giudizio ed il denaro per retribuire l'avvocato necessario alla difesa tecnica) allo scopo di far vincere la causa al locatore in tempi più brevi di quelli occorrenti per il caso di contumacia.

Se, d'altra parte, si facesse discendere la pronuncia dell'ordinanza di rilascio definitiva del giudizio dalla comparizione e non opposizione del solo convenuto costituito – a meno di non considerare la strampalata ipotesi del conduttore che si costituisca mediante memoria difensiva contenente eccezioni e difese dirette a sostenere conclusioni di rigetto del ricorso e, quindi, folgorato dalla fondatezza della domanda attrice sulla via del tribunale, compaia e non si opponga – non potrebbe farsi a meno di ammettere che la condotta non oppositiva, a fronte dell'istanza, debba essere di norma coerente ad una memoria difensiva non oppositiva. Ma, allora, non si comprenderebbe la ragione di richiedere al conduttore, ai fini della pronuncia dell'ordinanza, di comparire e manifestare espressamente la volontà di non opporsi, quantunque egli l'abbia già manifestata attraverso la memoria difensiva.

Ed allora, il dettato dell'art. 30, comma 7, l. n. 392/1978 – che, in caso di contumacia, prevede lo sviluppo del giudizio secondo il rito locatizio – è da ritenere operante per il solo caso che il convenuto non sia comparso in udienza, sebbene non costituito, per manifestare la propria non opposizione e consentire, dunque, la pronuncia dell'ordinanza di rilascio definitiva del giudizio.

La contumacia del convenuto, cioè, comporta l'ulteriore corso del giudizio, così come previsto dal settimo comma citato, fuori del caso che ricorrano i presupposti per la pronuncia dell'ordinanza di cui all'art. 30, comma 4, l. n. 392/1978. Ciò induce a condividere l'opinione secondo cui se il conduttore compare direttamente in udienza e dichiara di non opporsi, senza essersi preventivamente costituito in cancelleria, il giudice deve pronunciare l'ordinanza di rilascio (Trisorio Liuzzi, 135).

Ciononostante, rimane il fatto che, nella quotidiana esperienza giudiziaria, è infrequente anche la sola condotta del convenuto consistente nella comparizione in udienza e nella espressa non opposizione, pur in situazione di contumacia. Sembra, cioè, che la pronuncia dell'ordinanza di rilascio definitiva del giudizio, nel richiedere una condotta positiva del convenuto, sia stata condizionata alla sussistenza di un presupposto non esattamente proporzionato, senza che sia facilmente comprensibile la ragione per cui nel procedimento per convalida di licenza e sfratto assuma rilievo non soltanto la comparizione non oppositiva, ma anche la mancata comparizione, mentre nel procedimento per il rilascio di cui all'art. 30 l. n. 392/1978 quest'ultima condotta non rilevi.

Istanza. Nozione di «prima udienza». Memoria difensiva non oppositiva e mancata comparizione. Spese

Ciò detto, saranno sufficienti brevi considerazioni su talune altre questioni processuali poste dalla norma, muovendo dall'istanza del locatore prevista dall'art. 30, comma 4, l. n. 392/1978. Essa potrà essere contenuta nel ricorso introduttivo, per l'ipotesi di comparizione e non opposizione del convenuto, ovvero proposta verbalmente in udienza.

La norma, poi, contiene l'espressione «alla prima udienza», la quale sembra potersi intendere nel senso di «dalla prima udienza in poi». È da credere, cioè, che, non sia di ostacolo alla pronuncia dell'ordinanza di rilascio definitiva del giudizio la circostanza che il contegno non oppositivo del convenuto si manifesti in un'udienza successiva alla prima, anche per effetto della rinuncia all'eventuale opposizione precedentemente spiegata. L'opposta interpretazione sembrerebbe condurre, invece, a risultati distonici rispetto alle finalità di contenimento di tempi e costi del processo cui la norma tende. Né pare che la soluzione prospettata possa essere contrastata sull'assunto che l'ultimo comma dell'art. 30 l. n. 392/1978 si riferisca invece espressamente alla pronuncia dell'ordinanza provvisoria di rilascio «comunque in ogni stato del giudizio», giacché essa sta a significare, come si vedrà, che tale provvedimento può essere pronunciato anche in stato di sospensione, cancellazione della causa dal ruolo ed interruzione.

Occorre chiedersi, quindi, in proposito, cosa accada nel caso che il convenuto si costituisca con una memoria difensiva non oppositiva ma, poi, non compaia in udienza. Logica e buon senso hanno anche in questo caso indotto a strattonare la lettera della norma – la quale, si ricorda, stabilisce che l'ordinanza di rilascio definitiva del giudizio viene pronunciata «se il convenuto compare e non si oppone» sostenendo che l'esigenza della comparizione coniugata ad una memoria difensiva non oppositiva sarebbe in contrasto con lo spirito della legge, atteso che ciò che il legislatore richiede è che vi sia una non contestazione desumibile da un atteggiamento univoco del conduttore. Dobbiamo infatti considerare che, stante la natura del giudizio (a cognizione piena), la volontà del conduttore non necessariamente deve essere manifestata in udienza, ben potendo risultare nella memoria difensiva depositata in cancelleria dieci giorni prima (Trisorio Liuzzi, 135).

Quest'ultima soluzione pare essere l'unica che conferisce un senso accettabile al disegno complessivamente risultante dalla norma in esame. Certo, però, che si tratta di un'interpretazione antiletterale che non tutti accolgono (Frasca, 310).

È generalmente ritenuto che l'ordinanza di rilascio definitiva del giudizio debba contenere la pronuncia sulle spese in applicazione delle regole generali stabilite dagli artt. 91 ss. c.p.c. (Trisorio Liuzzi, 138; Carrato –Scarpa, 782).

Non c'è dubbio che l'ordinanza in questione contenendo un «provvedimento che dispone il rilascio» (art. 56 l. n. 392/1978) debba contenere la fissazione del termine per l'esecuzione.

Natura dell'ordinanza di rilascio definitiva del giudizio

La comparizione del convenuto il quale non si opponga all'istanza di ordinanza di rilascio definitiva del giudizio – ovvero, come si è visto, il deposito di una memoria difensiva non oppositiva, sebbene non seguita dalla comparizione – fa sì che il giudice debba ritenere per ammessi i fatti dedotti nel ricorso a fondamento della domanda, analogamente a quanto accade nel procedimento per convalida in dipendenza della mancata comparizione ovvero della comparizione e non opposizione dell'intimato.

Ciò non esclude, però, data la natura giurisdizionale della procedura per il rilascio di cui all'art. 30 l. n. 392/1978, la quale – pur presentando analogia con il procedimento per convalida, della cui natura giurisdizionale, del resto, nessuno ormai dubita – si inscrive nel quadro di un procedimento di cognizione ordinaria disciplinato dall'art. 447-bis c.p.c., il giudice debba verificare l'intervenuta integrazione della fattispecie legale, ossia se ricorrono i presupposti processuali (giurisdizione, competenze), le condizioni dell'azione (interesse e legittimazione ad agire), le condizioni di ammissibilità del procedimento e quelle previste dalla legge per la pronuncia dell'ordinanza di rilascio, i fatti allegati dall'attore, qualificanti per l'emanazione del provvedimento; e così, ad esempio, deve verificare se la comunicazione è stata inviata, se ricorre una delle ipotesi di diniego previste dalla legge, se non vi è contestazione.

Ne deriva che il giudice deve negare l'ordinanza se il locatore non ha inviato la comunicazione, se il motivo per il quale si avvale della facoltà di diniego del rinnovo del contratto non rientra fra quelli previsti dalla legge (ad esempio dovevi adibire all'appartamento ad abitazione di un amico oppure avere affermato che il conduttore ha la disponibilità di un alloggio in altro comune) (Trisorio Liuzzi, 136).

Con riguardo alla natura del provvedimento in questione si ripropone il dibattito concernente l'ordinanza di convalida. Anche qui è stato sostenuto che l'ordinanza di rilascio definitiva del giudizio non conterrebbe alcun accertamento in ordine al diritto azionato dall'attore e non avrebbe attitudine ad acquistare l'autorità del giudicato (Sorace, 2). Secondo altri l'accertamento contenuto nell'ordinanza di rilascio definitiva del giudizio non avrebbe carattere di pienezza, non acquisterebbe autorità di cosa giudicata e sarebbe opponibile, al di fuori delle preclusioni già verificatesi ex art. 416 c.p.c., con l'opposizione all'esecuzione di cui all'art. 615 c.p.c. (Costantino, 1083). Altri ancora hanno sostenuto che la pronuncia dell'ordinanza in discorso, mancando dell'attitudine al giudicato, darebbe luogo «alla incontestabilità del diritto limitatamente agli effetti del provvedimento sommario “diretti” fra le parti» (Montesano, 296).

L'opinione maggioritaria – che, tenuto conto dell'inserimento del provvedimento in questione nell'ambito di un procedimento di cognizione ordinaria, è senz'altro da condividersi – giunge a conclusioni non dissimili da quelle cui è pervenuto il dibattito sull'ordinanza di convalida: poiché la pronuncia definisce il giudizio, cioè chiude il processo promosso a norma dell'art. 30, di cui il legislatore non prevede in alcun modo la continuazione, né davanti allo stesso giudice né davanti ad altro giudice, sulla base dell'impugnazione dell'ordinanza, ciò non può logicamente non significare che il diritto del locatore da essa consacrato diviene incontrovertibile, esattamente come se fosse accertato con una sentenza passata in giudicato (Garbagnati, 396).

Insomma, secondo quest'impostazione – condivisa tra gli altri da Bucci, Crescenzi, 264; Trisorio Liuzzi, 141 – l'ordinanza di rilascio definitiva del giudizio è indubbiamente provvedimento giurisdizionale decisorio tale da passare in giudicato ai sensi dell'art. 2909 c.c.

Il che, d'altronde, si desume con evidenza dall'intervento sulla materia del giudice delle leggi (Corte cost., n. 167/1984).

Impugnabilità dell'ordinanza di rilascio definitiva del giudizio

La giurisprudenza svolge con riguardo all'ordinanza di rilascio definitiva del giudizio un ragionamento sovrapponibile a quello svolto con riguardo all'ordinanza di convalida: essa, quando venga pronunciata al di fuori del paradigma legale, acquista natura di sentenza suscettibile di appello.

In tema di procedura di rilascio degli immobili locati, l'ordinanza prevista dai commi 3 e 4 dell'art. 30 l. n. 392/1978, al pari dell'ordinanza di convalida ex art. 663 c.p.c., è un provvedimento non impugnabile, ma qualora sia emesso al di fuori delle condizioni previste dalla legge, assume natura sostanziale di sentenza, impugnabile con appello e non con ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111, comma 2, Cost., che, se proposto, deve essere dichiarato inammissibile (Cass. III, n. 566/1988; Cass. III, n. 566/1988; Cass. III, n. 516/1992; Cass. III, n. 5996/1997).

Questa impostazione incontra le critiche della dottrina, la quale, non diversamente da quanto accade per l'ordinanza di convalida, ritiene insufficiente il rimedio dell'appello, trattandosi, in effetti, di un appello sui generis con ambito di applicazione limitato, e propende per il ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. (da ultimo Trisorio Liuzzi, 145).

L'ordinanza di rilascio definitiva del giudizio, inoltre, è impugnabile con l'opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c. per effetto dell'intervento del giudice delle leggi (Corte cost., n. 167/1984).

L'ordinanza provvisoria di rilascio

Se l'attore non fa istanza di ordinanza di rilascio definitiva del giudizio, ovvero se il convenuto si costituisce e si oppone o se rimane contumace – neppure essendo comparso in udienza per dichiarare di non opporsi –, sì da precludere la pronuncia del menzionato provvedimento definitivo, il procedimento deve proseguire nelle forme ordinarie, in vista della pronuncia della sentenza sulla domanda fatta valere con il ricorso introduttivo.

In proposito, occorre anzitutto dire che, come di regola, il convenuto deve costituirsi nelle forme e nei termini di cui all'art. 416 c.p.c., sicché operano le consuete preclusioni. È pacifico che il convenuto possa costituirsi ed opporsi anche tardivamente, incorrendo però, come al solito, negli sbarramenti preclusivi previsti.

Si passa, quindi, al tentativo di conciliazione, la cui omissione, però, non determina pregiudizi all'ulteriore corso del processo. Nel procedimento disciplinato dall'art. 30 l. n. 392/1978, l'esperimento del tentativo di conciliazione previsto nel caso di opposizione del convenuto all'ordinanza di rilascio, pur costituendo un adempimento doveroso per il giudice di primo grado, non è prescritto né a pena di nullità né a pena di improcedibilità, e quindi, la sua omissione non produce effetti invalidanti sullo svolgimento del rapporto processuale (Cass. III, n. 9646/1996).

Se il tentativo di conciliazione riesce, ne viene redatto verbale che costituisce titolo esecutivo (art. 30, comma 7, l. n. 392/1978) con conseguente dichiarazione di estinzione del giudizio per l'avvenuta conciliazione. Se non riesce, ovvero se è impedito dall'assenza del convenuto, il giudizio prosegue a cognizione piena nelle forme del rito locatizio. In questa fase può avere ingresso – dunque non soltanto se il convenuto sia costituito, ma anche se sia contumace, nonostante il diverso avviso di qualche autore – un'ordinanza provvisoria di rilascio, la quale non definisce il giudizio, che è destinato a proseguire nel senso indicato.

L'ordinanza in questione, stando alla lettera della legge, può essere pronunciata se ricorre l'istanza dell'attore. Essa può essere proposta già nel ricorso introduttivo, ma può essere avanzata anche in udienza e quindi verbalizzata, una volta che l'attore abbia preso atto dell'opposizione del convenuto ovvero della sua contumacia.

Il provvedimento può essere reso fin dalla prima udienza, dopo l'esperimento del tentativo di conciliazione. Quanto al termine ultimo, invece, è stato detto che esso dovrebbe identificarsi con quello dell'apertura della discussione orale, dopo la quale il giudice deve ormai pronunciare sentenza (Trisorio Liuzzi, 149). Tuttavia, pur entro l'arco temporale così delimitato, sembra da ritenere che l'ordinanza provvisoria di rilascio non possa avere ingresso quando il giudice ritenga la causa matura per la decisione (v., in tal senso, Carrato, Scarpa, 784). Tale ordinanza ha natura anticipatoria della pronuncia definitiva e si giustifica sulla base dell'impossibilità di decidere immediatamente con sentenza in ragione dell'esigenza di completare l'istruttoria al momento compiuta: ma, se così è, pare evidente che, ove la causa sia matura, debba privilegiarsi la sollecita definizione del giudizio e non procrastinare il medesimo attraverso una prima pronuncia interinale da confermare con la statuizione definitiva.

Tra il termine a quo e quello ad quem non vi è, per così dire, soluzione di continuità, nel senso che l'ordinanza può essere emessa «in ogni stato del giudizio». Val quanto dire che essa può essere pronunciata durante la sospensione del processo ovvero la cancellazione della causa dal ruolo (Trisorio Liuzzi, 149; Frasca, 310). Se il processo versa in fase di interruzione, invece, occorre senza dubbio previamente ricostituire il contraddittorio, di modo da consentire al convenuto di interloquire sull'istanza.

Dall'ammissibilità dell'ordinanza «in ogni stato del giudizio», per altro verso, si desume che essa non può essere pronunciata in grado d'appello (tra gli altri Trisorio Liuzzi, 150).

Una volta pronunciata l'ordinanza interinale di rilascio il giudice deve naturalmente disporre per la prosecuzione del giudizio ai fini della pronuncia della sentenza definitiva di esso. Tuttavia, è stato in un'occasione ha affermato dalla Suprema Corte: che, qualora il giudice, nel pronunziare l'ordinanza di rilascio dell'immobile prevista dall'art. 30, comma 8, l. n. 392/1978, ometta di fissare l'udienza per il prosieguo e la discussione della causa (ai sensi dell'art. 420 c.p.c.), siffatta omissione non vale a conferire a tale provvedimento provvisorio carattere definitivo, con la conseguente sua impugnabilità ex art. 111 Cost., ma dà esclusivamente luogo alla procedura d'integrazione di cui all'art. 289 c.p.c. (Cass. III, n. 1124/1982).

L'affermazione che precede non sembra tuttavia ferma, essendo stato ritenuto, in analogo frangente, che, avendo rilievo ai fini dell'individuazione della natura di un provvedimento giurisdizionale non già la sua forma esteriore o la denominazione che il giudice gli abbia dato, bensì il suo estrinseco contenuto, ha natura di sentenza ed è pertanto impugnabile con l'appello la pronuncia del giudice che – sebbene emanata ai sensi dell'art. 30, ultimo comma, l. n. 392/1978, abbia definito conclusivamente il merito della causa (Cass. III, n. 6595/1984). E parimenti è stato detto che, nel caso in cui il giudice, nel disporre il rilascio dell'immobile, abbia stabilito la data dell'esecuzione, senza fissare alcuna udienza per la prosecuzione del giudizio, il provvedimento può essere impugnato con l'appello, essendo evidente che in tali ipotesi il conduttore deve essere posto in grado di denunciare l'eventuale lesione del suo diritto, derivante da una pronuncia, che viene ad acquistare carattere di definitività (Cass. III, n. 4803/1986, in motivazione).

Le ragioni addotte dalle parti e le prove raccolte

Talune difficoltà interpretative, con riguardo all'ordinanza provvisoria di rilascio prevista dall'art. 30, ultimo comma, l. n. 392/1978, si appuntano sul significato da attribuire all'espressione «valutate le ragioni addotte dalle parti e le prove raccolte».

Quanto alle «ragioni addotte dalle parti» sembra tuttora attuale l'insegnamento – sostanzialmente condiviso da Trisorio Liuzzi, 150 – secondo cui esse dovranno riferirsi non solo alle esigenze del locatore attore, ma anche alla condizione del conduttore convenuto, allo status sociale di entrambe le parti, alle difficoltà, per ciascuna di esse, di reperire un altro immobile per adibirlo agli usi cui è destinato quello oggetto di locazione ecc. (Costantino, 1093).

Quanto alle «prove raccolte», merita sottolineare che la lettera della legge stabilisce inequivocabilmente che la pronuncia dell'ordinanza provvisoria di rilascio debba in tal caso trovare fondamento su vere e proprie «prove» e non, invece, su meri indizi o argomenti di prova. Se si pone in correlazione siffatta previsione con l'evidente constatazione che l'ordinanza provvisoria di rilascio in tanto si giustifica, in quanto la causa non sia ancora matura per la decisione con sentenza, deve senz'altro credersi che l'esigenza di completamento delle attività istruttorie si collochi tutta dal versante del convenuto e che, cioè, l'ordinanza in questione possa essere pronunciata quando l'attore abbia dato la prova dei fatti costitutivi della domanda, mentre il convenuto, pur avendo dedotto fatti modificativi, impeditivi o estintivi, non abbia ancora fatto assumere le prove costituende poste a sostegno di essi.

Secondo questa ricostruzione – patrocinata da Trisorio Liuzzi, 151; Garbagnati, 401; Costantino, 1093 – la cognizione del giudice ai fini della pronuncia dell'ordinanza provvisoria di rilascio ha natura sommaria non già perché superficiale (destinata, cioè, ad essere approfondita da ambo i versanti), bensì perché parziale (in quanto fondata sulle prove addotte dall'attore in attesa di assumere le prove dedotte dal convenuto).

Il regime della revocabilità, dell'ultrattività e dell'impugnabilità

Si discute se l'ordinanza provvisoria di rilascio sia assoggettata al regime delle ordinanze revocabili di cui all'art. 177 c.p.c. Secondo un primo indirizzo: l'ordinanza di condanna parziale o emessa a cognizione parziale di cui alla disposizione in esame, infatti, al pari di quella ex art. 665 c.p.c., non definisce il giudizio. Per individuarne i rimedi, nel silenzio della legge sul punto, è quindi opportuno riferirsi alle soluzioni accolte rispetto alla ordinanza ex art. 665 c.p.c. e, soprattutto, alle indicazioni della Corte Costituzionale con la più volte ricordata sentenza 94/1973. L'ordinanza de qua potrà perciò essere senz'altro modificata o revocata con la sentenza definitiva di merito. Probabilmente è più opportuno ammettere che essa possa essere anche modificato o revocata in corso di giudizio, richiamando, semmai, l'art. 177 c.p.c.

Tale soluzione tende ad evitare la pendolarità del conduttore consentendogli di ottenere la revoca del provvedimento prima della sua esecuzione; egli, infatti, condannato in base all'ordinanza, dovrebbe rilasciare l'immobile; poi, vincitore in base alla sentenza di primo grado, potrebbe rientrare; infine, soccombente in appello, potrebbe essere nuovamente costretto a uscire. Nel caso sia stata pronunciata in base a cognizione parziale, se l'accertamento dei fatti impeditivi, modificativi o estintivi induce a mutare opinione prima che la causa sia matura per la decisione e prima della sua esecuzione, non si vede perché bisognerebbe negargli, nel silenzio della legge sul punto, il potere di modificarla o revocarla (Costantino, 1095)

A fronte di questa opinione – condivisa con diverse accentuazioni, tra gli altri, da Trisorio Liuzzi, 154; Bucci, Crescenzi, 269 – ve ne è una contrapposta secondo cui all'ordinanza non si applica l'art. 177 c.p.c., avendo essa per contenuto, non un provvedimento di natura istruttoria, od ordinatoria, ma un provvedimento dichiarativo del diritto del locatore al rilascio, destinato ad essere sostituito, in prosecuzione di giudizio, da un altro provvedimento in merito al diritto controverso, emanato con una cognizione completa di tutti i fatti controversi e dei relativi mezzi di prova (Garbagnati, 401; concordi Carrato, Scarpa, 784)

Questa seconda impostazione è stata accolta in più occasioni dalla giurisprudenza della Suprema Corte, la quale ha avuto modo di affermare che l'ordinanza di cui all'ultimo comma dell'art. 30 l. n. 392/1978 – con la quale il giudice, su istanza del locatore, alla prima udienza e comunque in ogni stato del giudizio, valutate le ragioni addotte dalle parti e le prove raccolte, può disporre il rilascio dell'immobile – ha natura di provvedimento provvisorio, soggetto a riscontro ed a conferma o revoca in occasione della pronunzia della successiva sentenza di merito (Cass. III, n. 4803/1986, Cass. III, n. 1124/1982; Cass. III, n. 6440/1981).

Vi è dissenso, in dottrina, anche con riguardo alla questione della sopravvivenza dell'ordinanza provvisoria di rilascio all'estinzione del giudizio. Secondo alcuni detta sopravvivenza discenderebbe dalla natura anticipatoria del provvedimento (Trisorio Liuzzi, 159; Carrato, Scarpa, 785). Questa soluzione sembra preferibile anche per ragioni di omogeneità con l'atteggiamento assunto dalla Suprema Corte in tema di ordinanza provvisoria di rilascio ex art. 665 c.p.c.

L'ordinanza di cui all'art. 30, ultimo comma, l. n. 392/1978 è ritenuta dalla giurisprudenza non impugnabile né con l'appello né con il ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. (v. le già citate Cass. III, n. 1124/1982; Cass. n. 6440/1981; Cass. III, n. 923/1981).

In dottrina, l'assenza di un immediato controllo sull'ordinanza in questione susciterebbe forti dubbi di incostituzionalità per violazione del diritto di difesa di cui all'art. 24 Cost. e del principio di parità di cui all'art. 111 Cost. (Trisorio Liuzzi, 158).

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