Codice di Procedura Civile art. 438 - Deposito della sentenza di appello 1 2 .[I]. Fuori dei casi di cui all'articolo 436-bis, la sentenza deve essere depositata entro sessanta giorni dalla pronuncia. Il cancelliere ne dà immediata comunicazione alle parti3. [II]. Si applica il disposto del secondo comma dell'articolo 431.
[1] Articolo sostituito dall'art. 1, comma 1, l. 11 agosto 1973, n. 533. [3] Comma così sostituito dall'art. 3, comma 31, lett. d), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (ai sensi dell'art. 52 d.lgs. n. 149 /2022 , il presente decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale). Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come sostituito dall'art. 1, comma 380, lettera a), l. 29 dicembre 2022, n. 197, che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.- 4. Le norme dei capi I e II del titolo III del libro secondo e quelle degli articoli 283, 434, 436-bis, 437 e 438 del codice di procedura civile, come modificati dal presente decreto, si applicano alle impugnazioni proposte successivamente al 28 febbraio 2023".Si riporta il testo anteriore alla suddetta sostituzione: «Il deposito della sentenza di appello è effettuato con l'osservanza delle norme di cui all'articolo 430.». InquadramentoL'art. 438, comma 1, c.p.c. dispone che il deposito della sentenza di appello è effettuato con l'osservanza delle norme di cui all'art. 430 c.p.c. La sentenza è immediatamente esecutiva ex lege, trovando applicazione la regola generale di cui all'art. 337, comma 1, c.p.c., secondo cui l'esecuzione della sentenza non è sospesa per effetto dell'impugnazione di essa, salva l'osservanza delle disposizioni di cui agli artt. 283, 373, 401 e 407 c.p.c. L'inosservanza del termine ordinatorio stabilito dall'art. 430 c.p.c. (Cass., sez. lav., n. 7000/1986) per il deposito della sentenza emessa in grado d'appello nel rito del lavoro, non dà luogo a nullità della stessa sentenza, in quanto, mentre questa viene a giuridica esistenza con la lettura del dispositivo, il suddetto termine incide unicamente sul momento in cui può essere proposta l'impugnazione, salva l'ipotesi del gravame diretto contro lo stesso dispositivo, ai sensi dell'art. 433, comma 2, c.p.c., laddove l'esecuzione sia iniziata prima della notificazione della sentenza, nella quale ipotesi, l'appello può essere proposto con riserva dei motivi che dovranno essere presentati nel termine di cui all'art. 434 c.p.c. L'esecuzione del dispositivo e della sentenza d'appelloL'art. 438, comma 2, c.p.c. enuncia che si applica il disposto dell'art. 431, comma 2, c.p.c. nel senso che all'esecuzione si può procedere con la sola copia del dispositivo, in pendenza del termine per il deposito della sentenza. Ciò premesso, è noto che nel rito del lavoro la redazione del dispositivo non è, come nel rito ordinario, un atto puramente interno, modificabile dallo stesso giudice fino a quando la sentenza non venga pubblicata, ma è un atto di rilevanza esterna, dato che la sua lettura in udienza porta ad immediata conoscenza delle parti il contenuto della decisione e che di esso le parti possono avvalersi come titolo esecutivo autonomo. Il dispositivo letto in udienza e depositato in cancelleria ha una rilevanza autonoma poiché racchiude gli elementi del comando giudiziale, i quali non possono essere mutati in sede di redazione della motivazione, e non è suscettibile di interpretazione per mezzo della motivazione medesima, sicché le proposizioni contenute in quest'ultima, contrastanti col dispositivo, devono considerarsi come non apposte e non sono suscettibili di passare in giudicato od arrecare un pregiudizio giuridicamente apprezzabile (Cass. lav., n. 25406/2021). Pertanto, tale dispositivo non può essere modificato in sede di redazione della motivazione e l'eventuale difformità tra dispositivo e motivazione non può essere superata nè con la possibilità dell'integrazione del primo con la seconda, nè con il procedimento di correzione ex art. 287 c.p.c., stante la prevalenza del dispositivo sulla motivazione (Cass. III, n. 1335/2000). Nella giurisprudenza di legittimità, sono a suo tempo emersi due differenti orientamenti riguardanti l'eventualità in cui si verifichi una contraddizione tra il dispositivo ed i motivi espressi nella sentenza. Infatti, secondo un orientamento, ciò comporterebbe il verificarsi di un'ipotesi di nullità-annullabilità della sentenza (Cass., sez. lav., n. 1733/1998), laddove, secondo, altra linea giurisprudenziale, premessa la prevalenza da attribuirsi al dispositivo che, acquistando pubblicità con la lettura in udienza, cristallizza stabilmente la statuizione emanata nella fattispecie concreta, le enunciazioni contenute nella motivazione che dovessero risultare incompatibili con il dispositivo, devono considerarsi come non apposte ed inidonee a costituire la formazione del giudicato (Cass. III, n. 8912/2002; Cass., sez. lav., n. 11336/1998). Nel processo del lavoro, cui è improntato anche il rito locatizio in virtù della disposizione dell'art. 447-bis c.p.c., che espressamente richiama le norme sull'appello, non è configurabile un onere di impugnazione rispetto al dispositivo letto in udienza, poiché il potere d'impugnazione richiede che sia stata depositata la sentenza completa di tutti i suoi elementi costitutivi (Cass., sez. lav., n. 13984/2000). In tale ottica, l'art. 433 c.p.c., che prevede la proponibilità dell'appello prima del deposito della sentenza nell'ipotesi di esecuzione iniziata in base al dispositivo, costituisce, infatti, una norma di carattere eccezionale, la quale, ha il solo scopo di investire il giudice del gravame della decisione sull'istanza di sospensione dell'esecuzione, dato che è soltanto con il deposito dei motivi che si instaura propriamente il giudizio d'appello e si pongono le condizioni per provvedere ai successivi adempimenti, che concorrono ad integrare la complessa fattispecie introduttiva del giudizio medesimo (Cass. III, n. 13617/2004). L'appello proposto con riserva dei motivi ha il solo scopo d'investire il giudice di secondo grado della decisione sull'istanza di sospensione dell'esecuzione, mentre è soltanto con il deposito dei motivi – il quale deve essere effettuato nei termini previsti dall'art. 434 c.p.c., decorrenti dalla notificazione della sentenza, ovvero entro quello annuale ex art. 327 c.p.c., in caso di mancanza di tale notificazione – che si instaura propriamente il giudizio di appello, e si pongono le condizioni per provvedere ai successivi adempimenti che concorrono ad integrare la complessa fattispecie introduttiva del giudizio medesimo, compresa la notificazione all'appellato (Cass., sez. lav., n. 10266/1991). L'art. 447-bis c.p.c. per le controversie locatizie rinvia all'art. 433 c.p.c., sulla cui scorta consegue che nel rito locatizio l'appello con riserva dei motivi incontra gli stessi limiti che all'istituto in esame pone il rito del lavoro, atteso che all'istituto dell'appello con riserva dei motivi, nelle controversie locatizie il legislatore non ha riservato un ambito di più vasta operatività, estendendone l'applicazione, oltre l'ipotesi di effettivo inizio di esecuzione, anche al caso in cui la esecuzione sia stata soltanto minacciata, nel periodo intermedio tra la notificazione del precetto in base al solo dispositivo e l'accesso in loco dell'ufficiale giudiziario (Cass. III, n. 13617/2004). Il potere di proporre impugnazione avverso la sentenza del giudice del lavoro non sorge in conseguenza della semplice lettura del dispositivo in udienza, salva l'eccezionale ipotesi prevista dall'art. 433, comma 2, c.p.c., ma postula che la sentenza stessa sia completa nei suoi elementi strutturali, fra i quali, è essenziale la motivazione, e che sia stata depositata in cancelleria a norma degli artt. 430 e 438 c.p.c. (Cass., sez. lav., n. 18162/2015; Cass. III, n. 24100/2006; Cass., sez. lav., n. 6375/1987). L'esercizio del potere di impugnazione postula che la sentenza sia compiutamente venuta ad esistenza, nella sintesi di dispositivo e motivazione ed attraverso il compimento delle formalità di pubblicazione, con la conseguenza che l'impugnazione proposta contro il solo dispositivo va dichiarata inammissibile, salva la possibilità, qualora non siano decorsi i termini, di proporre una nuova impugnazione contro la sentenza ritualmente pubblicata (Cass., S.U., n. 5617/1998; Cass., S.U., n. 12261/1993). L'inibitoria in appelloLa sentenza di condanna pronunciata in sede di appello può essere oggetto di istanza per la sospensione dell'esecuzione, ai sensi dell'art. 373 c.p.c., la quale può essere disposta con ordinanza non impugnabile qualora dalla stessa esecuzione possa derivare grave ed irreparabile danno. Ai sensi dell'art. 131-bis disp. att. c.p.c., sull'istanza di sospensione dell'esecuzione della sentenza prevista dall'art. 373 c.p.c., il giudice non può decidere se la parte istante non ha dimostrato di avere depositato il ricorso per cassazione contro la sentenza medesima. In dottrina, si è osservato che l'istanza volta a conseguire l'inibitoria della sentenza d'appello sarebbe ammissibile soltanto dopo l'avvenuto deposito dei motivi della sentenza (Montesano, Vaccarella, 345; Proto Pisani, 121). In tale ipotesi, secondo una risalente giurisprudenza, nelle more del deposito della motivazione della sentenza di appello, nel caso di inizio dell'esecuzione in base al dispositivo, in eccezione a quanto previsto dall'art. 131-bis disp. att. c.p.c. l'inibitoria può essere richiesta anche senza la prova del deposito del ricorso per cassazione (Cass., sez. lav., n. 2012/1978). L'istanza si propone con ricorso al presidente del collegio, il quale, con decreto steso in calce al ricorso, ordina la comparizione delle parti dinanzi al collegio in camera di consiglio. Copia del ricorso e del decreto sono notificate al difensore dell'altra parte costituita, ovvero alla parte stessa se questa non si sia costituita nel giudizio definito con la sentenza impugnata. Con lo stesso decreto, emesso inaudita altera parte, in caso di eccezionale urgenza, può essere disposta provvisoriamente l'immediata sospensione dell'esecuzione (Montesano, Vaccarella, 346). 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Dalla formazione all'esecuzione del titolo, Milano, 2011; Fabbrini, Dei mezzi di impugnazione nel nuovo processo del lavoro, in Riva Sanseverino, Mazzoni (diretto da), Nuovo trattato di diritto del lavoro, IV, Padova, 1975; Fraioli, Brattoli, Il giudizio di appello, in Vallebona (a cura di), Il diritto processuale del lavoro, Padova, 2011; Foglia, Dispositivo di sentenza di appello ed esecutorietà della sentenza di primo grado in materia di lavoro, in Il diritto del lavoro, 1975; Guarnieri, Sulla lettura del dispositivo in udienza nel processo del lavoro, in Riv. dir. proc., 1983; Luiso, Il processo del lavoro, Torino, 1992; Masoni, Le locazioni, II, Il processo (a cura di) Grasselli, Masoni, Padova, 2007; Messuti, Dell'esecutorietà del dispositivo letto in udienza nel processo del lavoro, in Mass. giur. lav., 1987; Montesano, Vaccarella, Manuale di diritto processuale del lavoro, Napoli, 1996; Montesano, Arieta, Diritto processuale del lavoro, Napoli, 1996; Montesano, Arieta, Trattato di diritto processuale civile, II, 1, Padova, 2002; Proto Pisani, La nuova disciplina del processo civile, Napoli, 1991; Proto Pisani, Controversie individuali di lavoro, Torino, 1993; Tarzia, Manuale del processo del lavoro, Milano, 1987; Tarzia, Dittrich, Manuale del processo del lavoro, Milano, 2015; Tesoriere, Diritto processuale del lavoro, Padova, 2004; Verde, Olivieri, Processo del lavoro, in Enc. dir., Milano, 1987; Vocino, Verde, Appunti sul processo del lavoro, Napoli, 1989; Vullo, Il nuovo processo del lavoro, Bologna, 2015. |