Codice di Procedura Civile art. 614 bis - Misure di coercizione indiretta 1Misure di coercizione indiretta1 [I]. Con il provvedimento di condanna all'adempimento di obblighi diversi dal pagamento di somme di denaro il giudice, salvo che ciò sia manifestamente iniquo, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dall'obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva ovvero per ogni ritardo nell'esecuzione del provvedimento, determinandone la decorrenza. Il giudice può fissare un termine di durata della misura, tenendo conto della finalità della stessa e di ogni circostanza utile.
[II]. Se non è stata richiesta nel processo di cognizione, ovvero il titolo esecutivo è diverso da un provvedimento di condanna, la somma di denaro dovuta dall'obbligato per ogni violazione o inosservanza o ritardo nell'esecuzione del provvedimento è determinata dal giudice dell'esecuzione, su ricorso dell'avente diritto, dopo la notificazione del precetto. Il provvedimento perde efficacia in caso di estinzione del processo esecutivo. Si applicano in quanto compatibili le disposizioni di cui all'articolo 6122. [III]. Il giudice determina l'ammontare della somma tenuto conto del valore della controversia, della natura della prestazione dovuta, del vantaggio per l'obbligato derivante dall'inadempimento, del danno quantificato o prevedibile e di ogni altra circostanza utile. [IV]. Il provvedimento costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute per ogni violazione, inosservanza o ritardo. [V]. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano alle controversie di lavoro subordinato pubblico o privato e ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all'articolo 409.
[1] Articolo inserito dall'art. 49, comma 1, della l. 18 giugno 2009, n. 69 e poi sostituito dall'art. 13 d.l. 27 giugno 2015, n. 83, conv. con modif. in l. 6 agosto 2015, n. 132 e, da ultimo, dall'art. 3, comma 44, del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (ai sensi dell'art. 52 d.lgs. n. 149 /2022 , il presente decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale). Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022 , come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 380, lett. a), l. 29 dicembre 2022, n.197, che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.". Si riporta il testo prima della sostituzione: «[I]. Con il provvedimento di condanna all'adempimento di obblighi diversi dal pagamento di somme di denaro il giudice, salvo che ciò sia manifestamente iniquo, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dall'obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva ovvero per ogni ritardo nell'esecuzione del provvedimento. Il provvedimento di condanna costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute per ogni violazione o inosservanza. Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano alle controversie di lavoro subordinato pubblico o privato e ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all'articolo 409. [II]. Il giudice determina l'ammontare della somma di cui al primo comma tenuto conto del valore della controversia, della natura della prestazione, del danno quantificato o prevedibile e di ogni altra circostanza utile.». [2] Comma così modificato dall'art. 3, comma 7, lett. r) d.lgs. 31 ottobre 2024, n. 164 , che ha inserito l'attuale secondo periodo con le parole «Il provvedimento perde efficacia in caso di estinzione del processo esecutivo.». Ai sensi dell’art. 7, comma 1, del medesimo decreto, le disposizioni di cui al d.lgs. n. 164/2024 cit. si applicano ai procedimenti introdotti successivamente al 28 febbraio 2023. InquadramentoL'art. 614-bis, comma 1, c.p.c. prevede una generalizzata misura coercitiva a contenuto pecuniario sul modello delle astreintes francesi con riferimento a qualsiasi provvedimento condannatorio – escluse le sole ipotesi indicate dall'art. 614, comma 1-bis, c.p.c. riguardanti il pagamento di somme di denaro ed i rapporti di lavoro indicati dalla stessa norma – all'adempimento di obblighi di fare e di non fare, a salvaguardia dell'interesse all'adempimento di colui che risulta beneficiario del relativo provvedimento di condanna. L'astreinte consiste quindi in una condanna pecuniaria accessoria ed eventuale, al provvedimento civile di condanna, generalmente fissata in una somma dovuta per una singola unità di tempo, che si somma alla condanna principale nell'ipotesi in cui quest'ultima non sia stata eseguita entro il termine stabilito dal giudice nello stesso provvedimento. L'attuale formulazione dell'art. 614-bis c.p.c. prevede dunque una misura coercitiva indiretta – a carattere generale perché applicabile a prescindere dalla materia cui inerisce l'obbligo al cui adempimento è funzionale, sebbene non può ritenersi di applicazione generalizzata, in quanto restano esclusi i provvedimenti condannatori al pagamento di somme di denaro (Consolo 2018, 1333) – finalizzata alla dovuta attuazione degli obblighi di fare e di non fare. La scelta si è ispirata al modello francese delle astreintes, in quanto la sanzione per il provvedimento di condanna ineseguito è esclusivamente pecuniaria, inoltre, malgrado il legislatore si sia dimenticato di precisarlo, la relativa somma di denaro sarà devoluta al creditore istante (Chiarloni, 2013, 2). L'originario testo dell'art. 614-bis c.p.c. introdotto dal legislatore del 2009 limitava l'applicazione dell'astreinte ai provvedimenti di condanna all'adempimento di obblighi di fare o non fare infungibili. La misura prevista dall'art. 614-bis c.p.c. tutela il diritto del creditore alla prestazione principale accertata con provvedimento giudiziale, dunque mira ad assicurare il rispetto di fondamentali e condivisi principi, quali il giusto processo civile, inteso come attuazione in tempi ragionevoli e con effettività delle situazioni di vantaggio, ed il diritto alla libera iniziativa economica (Cass. I, n. 7613/2015, sulla cui scorta si evince l'intento di favorire la compliance del debitore). La minaccia della sanzione pecuniaria all'obbligato ha il fine di convincerlo dell'opportunità di adempiere “spontaneamente” l'obbligazione dedotta in giudizio (Chiarloni, 2013, 1). La ratio della misura contemplata dall'art. 614-bis c.p.c. è dunque quella di rendere effettiva, e, quindi, efficiente la tutela giurisdizionale delle posizioni soggettive creditorie (Consolo, 2018, 1334). L'astreinte per tale ragione “lievita” in ragione del ritardo nell'adempimento, in quanto la caratteristica della tecnica di tutela apprestata dal legislatore è che più tarda l'attuazione della condotta dovuta dalla parte obbligata, più grande è la sanzione, dunque, basta adempiere per evitare l'evento sanzionatorio. Il provvedimento di condanna costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute per ogni violazione od inosservanza. L'art. 614-bis c.p.c. non prevede un termine per l'applicabilità dell'astreinte (Su tale questione, e le possibili criticità derivanti dall'omessa previsione legislativa di un limite massimo all'esigibilità dell'astreinte, laddove destinata a protrarsi a tempo indefinito, v. le considerazioni di Consolo, 2018, 1350), il cui dies a quo, dovrà quindi essere fissato dallo stesso giudice che l'accoglie, nello stesso provvedimento di condanna all'adempimento dell'obbligazione di fare o non fare, indicando la data con riferimento alla quale inizia a decorrere la sua applicazione, laddove, invece, per quanto concerne il termine di scadenza (dies ad quem) per l'applicazione della suddetta misura, potrà farsi riferimento al mancato adempimento spontaneo dell'obbligazione da parte del debitore, in genere, coincidente con l'inizio dell'esecuzione forzata nelle forme ordinarie per consegna ex art. 606 c.p.c. o rilascio ex art. 608 c.p.c. A seguito dell'entrata in vigore della Riforma Cartabia con il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, l'art. 3, comma 44, al Libro III, Titolo IV-bis , del codice di procedura civile ha sostituito il testo previgente dell'art. 614 bis c.p.c., ragione per cui attualmente con il provvedimento di condanna all'adempimento di obblighi diversi dal pagamento di somme di denaro il giudice, salvo che ciò sia manifestamente iniquo, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dall'obbligato per ogni violazione od inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell'esecuzione del provvedimento, determinandone anche la relativa decorrenza. Il giudice può fissare un termine di durata della misura, tenendo conto della finalità della stessa e di ogni circostanza utile. Il nuovo testo della norma precisa altresì che, nell'ipotesi in cui non sia stata richiesta nel processo di cognizione, ovvero il titolo esecutivo risulti diverso da un provvedimento di condanna, la somma di denaro dovuta dall'obbligato per ogni violazione od inosservanza o ritardo nell'esecuzione del provvedimento è determinata dal giudice dell'esecuzione, su ricorso dell'avente diritto, dopo la notificazione del precetto, trovando applicazione, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all'art. 612 c.p.c. Il giudice determina l'ammontare della somma tenuto conto del valore della controversia, della natura della prestazione dovuta, del vantaggio per l'obbligato derivante dall'inadempimento, del danno quantificato o prevedibile e di ogni altra circostanza utile. Il provvedimento costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute per ogni violazione, inosservanza o ritardo. Le suddette disposizioni non si applicano alle controversie di lavoro subordinato pubblico o privato ed ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all'art. 409 c.p.c. La ratio dell'astreinte introdotta dal legislatore italianoLa misura prevista dall'art. 614-bis, comma 1, c.p.c. non è destinata a riparare il pregiudizio subito dal creditore, per il caso in cui si verifichi l'inadempimento dell'obbligo alla cui soddisfazione mira, bensì a sanzionare la disobbedienza ad un ordine del giudice. Infatti l'art.614 bis c.p.c. prevede che con il provvedimento di condanna all'adempimento di obblighi diversi dal pagamento di somme di denaro il giudice, salvo che ciò sia manifestamente iniquo, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dall'obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell'esecuzione del provvedimento. Un tale dato testuale palesa dunque in modo inequivocabile che la richiesta di applicazione dell'astreinte può essere concessa solo dal giudice della cognizione, come accessorio ad un provvedimento di condanna - e non anche quindi dal giudice dell'esecuzione - e deve essere pertanto avanzata dalla parte esclusivamente nel corso del giudizio finalizzato all'ottenimento di una condanna ad un fare infungibile o ad un non fare (Trib . Roma 9 giugno 2020). Tale conclusione è peraltro obbligata in ragione della natura stessa dello strumento in esame che consente alla parte del giudizio di cognizione la possibilità di precostituirsi un titolo esecutivo prima che si sia verificato l'inadempimento e proprio per l'eventualità che si verifichi detto inadempimento. Deve del resto essere anche considerato che il provvedimento di condanna presuppone un giudizio che può essere sviluppato dal solo giudice che emette la condanna principale dovendo quel giudice determinare l'ammontare della somma dovuta per violazione di tale condanna tenuto conto del valore della controversia, della natura della prestazione, del danno quantificato o prevedibile e di ogni altra circostanza utile. La legge di delega n. 206/2021 per la Riforma del processo civile, con particolare riferimento al criterio di cui alla lett. o) del comma 12 della stessa legge, nel prescrivere al legislatore delegato di prevedere criteri per la determinazione dell'ammontare, nonché del termine di durata delle misure di coercizione indiretta di cui all'art. 614 bis c.p.c. prevedendo altresì l'attribuzione al giudice dell'esecuzione del potere di disporre dette misure quando il titolo esecutivo è diverso da un provvedimento di condanna oppure la misura non è stata richiesta al giudice che ha pronunciato tale provvedimento, ha imposto diversi ordini di interventi sull'art. 614 bis c.p.c. Il primo concerne l'ammontare della somma che diviene dovuta – a seguito del provvedimento che la prevede – quando si verifichi l'inadempimento all'obbligo previsto nel titolo esecutivo. A tale riguardo, la previsione di cui al comma 2 del testo in precedenza vigente è stato integrato con il richiamo al vantaggio che l'obbligato trae dall'inadempimento. È infatti pacifico che l'esecuzione indiretta ha la finalità di indurre l'obbligato all'adempimento volontario, in quanto l'inadempimento produce nella sua sfera giuridica conseguenze negative superiori ai vantaggi che egli trae dall'inadempimento. Pertanto, la misura coercitiva, per poter essere effettiva, deve essere commisurata principalmente a questo parametro. Il danno che l'inadempimento produce nella sfera giuridica dell'avente diritto assume invece un ruolo secondario, posto che l'esecuzione indiretta si aggiunge al – e non sostituisce il – risarcimento del danno prodotto dall'inadempimento. Non è stato possibile determinare l'entità massima della sanzione pecuniaria, in quanto tale quantificazione esorbita da valutazioni di natura giuridica, investendo essenzialmente profili di politica legislativa. Un ulteriore intervento concerne la durata massima della misura coercitiva, atteso in particolare che si è integrato il comma 1 della norma con un ultimo periodo, che consente al giudice di fissare un termine di durata della misura stessa. Sembra evidente che una tale previsione ha rilevanza nei casi di inadempimento di un obbligo avente come contenuto una prestazione, mentre non ha rilevanza ove si tratti di un obbligo di astensione. In quest'ultimo caso, poiché la sanzione diviene operativa solo ove sia tenuto un comportamento contrario all'obbligo di astensione, non vi è necessità di assicurare che l'entità della somma da corrispondere non divenga esorbitante. Esemplificando: se ad un soggetto è fatto divieto, sotto comminatoria di una sanzione pecuniaria, di chiudere a chiave un cancello o di suonare la tromba dopo le 23, non ha senso prevede un termine massimo di durata della misura esecutiva. In caso, invece, di obblighi positivi, può essere opportuno porre un limite massimo alla durata della misura coercitiva, e così alla somma complessiva che divenga dovuta. Non è infatti possibile che essa divenga perpetua. Esemplificando: se ad un soggetto è prescritto, sotto comminatoria di una sanzione pecuniaria pari a X euro per ogni giorno di ritardo, di consegnare un certo bene, non è concepibile che la sanzione pecuniaria assuma entità stratosferiche. La seconda previsione della legge delega è volta a porre rimedio ad una lacuna della normativa vigente che attribuisce al solo giudice, che pronuncia la condanna, il potere di concedere la misura coercitiva: ciò che produce l'inconveniente di penalizzare i titoli esecutivi diversi dalle sentenze di condanna, che pure la recente legislazione ha equiparato ai titoli esecutivi giudiziali – si pensi solo alla disciplina della mediazione e della negoziazione assistita – onde rendere appetibili gli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie. Lo stesso deve dirsi per il lodo arbitrale. In ossequio alla legge delega, che imponeva di attribuire tale potere al giudice dell'esecuzione, la norma richiama le disposizioni di cui all'esecuzione per obblighi di fare. Dopo la notificazione del precetto, l'avente diritto presenta il ricorso al giudice dell'esecuzione competente, il quale – sentite le parti – provvede a determinare la misura esecutiva. Avverso tale provvedimento resta ovviamente proponibile l'opposizione agli atti esecutivi, mentre l'opposizione all'esecuzione può essere utilizzata nelle ipotesi di cui all'art. 615 c.p.c., anche nelle forme dell'opposizione a precetto. L'art. 614 bis c.p.c., consentiva al giudice del merito di fissare, con il provvedimento di condanna, una somma di denaro dovuta dall'obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nella esecuzione del provvedimento medesimo, che avesse ad oggetto obbligazioni di fare infungibile o di non fare, mentre non si applicava invece né alle obbligazioni di fare fungibile, né a quelle di consegna o rilascio, né tanto meno a quelle pecuniarie. La ratio dell'intervento del legislatore deve quindi essere ricondotta ad un'esigenza di rafforzamento della tutela esecutiva. Ciò avviene mediante la previsione di misure coercitive volte ad assicurare l'adempimento degli obblighi di fare infungibili e, perciò insuscettibili di esecuzione forzata in forma specifica, attesa la necessità che la prestazione sia eseguita dall'obbligato. Nella versione anteriore alla Riforma, non si prevedeva nella rubrica l'applicabilità della norma in caso di obbligazioni di facere fungibile, né, tantomeno, il titolo dell'art. 614 bis c.p.c. precisa la tipologia di obbligazioni cui fare riferimento, sulla cui scorta, tale norma ha, quindi, un limite naturale nell'infungibilità della prestazione positiva dovuta. Se l'interesse sotteso al diritto è realizzabile anche attraverso l'opera di un terzo, allora l'obbligazione è fungibile ed attuabile in via esecutiva, altrimenti, se esso è realizzabile solo per mezzo dell'attività dell'obbligato, allora l'obbligazione è infungibile e non è attuabile in via esecutiva. In quest'ultimo caso, restando pur sempre ammissibile la richiesta di un provvedimento di condanna al giudice della cognizione ove l'interessato non voglia trasformare la pretesa sostanziale nel suo equivalente economico, a seguito di una vittoria nell'ambito del processo dichiarativo non può seguire l'esecuzione forzata, nell'eventualità che il soccombente condannato non si adegui all'ordine di prestazione impartitogli. L'unico spazio per l'attuazione del diritto riconosciuto è dato allora dalla c.d. esecuzione indiretta ossia dalla previsione di una misura coercitiva. È indubbio che, alla luce dell'art. 614 bis c.p.c., la misura coercitiva va quindi a rafforzare un provvedimento di condanna, quindi è irrogata in funzione della realizzazione di un rapporto obbligatorio. Il limite naturale della norma è determinato dall'impossibilità materiale da parte di un terzo di surrogare l'attività dovuta dal debitore e soddisfare il creditore in via immediata e diretta (Cass. III, n. 5751/2024). L'astreinte mira a coartare l'adempimento di un obbligo già esistente all'interno della relazione diretta tra le parti, in quanto derivante dal provvedimento giudiziale e da adempiersi in futuro (Cass. I, n. 7613/2015, in cui si precisato che risarcimento del danno ed astreinte costituiscono misure fra loro diverse, con funzione l'uno reintegrativa e l'altra coercitiva al di fuori del processo esecutivo, volta a propiziare l'induzione all'adempimento). Più recentemente, la misura prevista dall'art. 614 bis c.p.c., è stata ritenuta ammissibile al fine di incentivare l'adempimento dell'obbligo imposto con un provvedimento d'urgenza riguardante un fare infungibile (Trib . Grosseto 23 aprile 2020). La Cassazione con la citata pronuncia (Cass. I, n. 7613/2015), ha tenuto quindi a precisare che anche i c.d. punitive damages (danno punitivo) sono una figura differente rispetto all'astreinte, in quanto quest'ultima non ha alcuna funzione riparatrice di un danno ma lo minaccia nei confronti del soggetto tenuto all'osservanza dell'obbligo enunciato nell'art. 614-bis, comma 1, c.p.c., e lo stesso dicasi per l'ulteriore distinzione con la misura enunciata dall'art. 96 c.p.c. anch'essa in funzione riparatrice di un danno già verificatosi. Conseguentemente, si è ritenuto che per la quantificazione della somma intesa a scoraggiare la violazione del provvedimento, è opportuno guardare ad alcuni parametri, come il danno subendo dal creditore; il valore della causa; le condizioni soggettive del debitore per rendere la sanzione efficace in concreto, il contegno processuale delle parti; il tipo di violazione posta in essere (Trib. Varese 16 febbraio 2011, in cui si evidenzia altresì il contenuto sanzionatorio della stessa misura). L'art. 614-bis c.p.c. potrà essere utilizzato anche per ottenere una coercizione indiretta dell'obbligato all'adempimento degli obblighi di fare di carattere fungibile e comunque di carattere specifico, in quanto la ratio della suddetta norma è di presidiare l'effettività dell'esecuzione forzata in forma specifica in tutte le sue forme, compresa quella relativa al rilascio di un bene immobile od alla consegna di un bene mobile (Giordano, 2). L'introduzione di una norma generale diretta ad assicurare l'attuazione dei diritti che non possono trovare tutela immediata in via esecutiva risponde ad un'esigenza di effettività della difesa giudiziale (Trapuzzano, 4). Infatti, la misura prevista dall'art. 614-bis c.p.c. è volta ad assicurare l'attuazione sollecita del provvedimento e, come per la condanna, è quindi funzionale, innanzi tutto, a favorire la conformazione a diritto della condotta della parte inadempiente, e, conseguentemente, ad evitare la produzione del danno o, quanto meno, a ridurre l'entità del possibile pregiudizio. I presupposti applicativi dell'astreinte a seguito della novella adottata nel 2015La norma in commento è stata introdotta dall'art. 49, comma 1, l. n. 69/2009, e successivamente sostituita dall'art. 13 del d.l. n. 83/2015, convertito con modificazioni in l. n. 132/2015, allo scopo di ampliarne l'ambito di applicazione, che attualmente non è più limitato all'attuazione degli obblighi di fare di carattere infungibile e di non fare, trattandosi di una misura di coercizione indiretta il cui unico limite è ravvisabile nell'art. 614-bis, comma 1, c.p.c. riferito all'adempimento di obblighi diversi dal pagamento di somme di denaro. Infatti, in precedenza, il legislatore del 2009 aveva ristretto il possibile ambito applicativo della misura prevista dall'art. 614-bis c.p.c., a cui ha invece rimediato nel 2015, attraverso una sua generalizzata estensione agli obblighi diversi dal pagamento di somme di denaro, essendo stato escluso il contraddittorio riferimento nella rubrica all'attuazione delle sole obbligazioni di fare infungibile o di non fare, introducendo la dignità di un titolo autonomo, il IV-bis del libro III del codice di procedura civile. Come precisato dalla dottrina, il passo in avanti è stato notevole, si pensi alle condanne al rilascio di beni immobili (De Stefano, 2016, 2.12). Conseguentemente, i presupposti per l'applicazione della norma in commento sono divenuti l'esistenza di un provvedimento di condanna all'adempimento di obblighi diversi dal pagamento di una somma di denaro e l'istanza di parte volta ad ottenere la fissazione dal giudice di una somma di denaro dall'obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva ovvero per ogni ritardo nell'esecuzione del provvedimento. Il limite dell'iniquità all'applicazione dell'astreinteIl giudice, con il provvedimento di condanna all'adempimento di obblighi diversi dal pagamento di somme di denaro, salvo che ciò sia manifestamente iniquo, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dall'obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva ovvero per ogni ritardo nell'esecuzione del provvedimento. Pertanto, in ordine all'adempimento di obblighi diversi dal pagamento di somme di denaro la misura coercitiva è sempre ammessa, salva la sua manifesta iniquità, come forma di pressione sul debitore affinché quest'ultimo adempia volontariamente senza costringere il creditore ad attivarsi in executivis. La valutazione dell'iniquità è distinta da quella concernente il quantum dell'astreinte, trattandosi di valutazioni da compiere distintamente, la prima ex art. 614-bis, comma 1, c.p.c. e la seconda ex art. 614-bis, comma 2, c.p.c. L'iniquità attiene dunque alla valutazione dell'ammissibilità della misura richiesta, non alla sua successiva quantificazione, in relazione alla quale, l'art. 614-bis, comma 2, c.p.c. indica i criteri a cui il giudice deve attenersi nel concederla. La formula adottata dall'art. 614-bis c.p.c. secondo cui il giudice deve sì concedere la misura, ma solo se ciò non sia manifestamente iniquo, è stata ritenuta alquanto infelice, sebbene le misure coercitive indirizzate all'adempimento dei provvedimenti che condannano ad un “fare” od a un “non fare” sono generalmente affidate alla discrezionalità giurisdizionale (Chiarloni, 2013, 4). Non è chiaro a quali criteri il giudice debba ispirarsi per valutare la manifesta iniquità della misura contemplata dall'art. 614-bis c.p.c. non emergendo in forma palese cosa intenda il legislatore per «manifestamente iniquo», apparendo la formula normativa eccessivamente ambigua con il rischio concreto di essere applicata con un eccessivo margine di discrezionalità, integrando una valutazione di fatto (sull'ambito applicativo dell'art. 614-bis c.p.c., Carratta, 3, il quale, evidenzia l'importanza di situazioni o rapporti che involgono qualificate sfere giuridiche di libertà od interesse di chi subisce il provvedimento di condanna come ad es., in tema di locazioni a carattere abitativo o commerciale). Il riferimento negativo inserito dal legislatore nell'art. 614-bis, comma 1, c.p.c. senza averne chiari gli esatti termini, è potenzialmente in grado di porre fuori gioco la tutela esecutiva indiretta (Capponi 2017, 3). Secondo una autorevole dottrina (Chizzini, 171; Consolo, 2018, 1340; Mandrioli, Carratta, 2009, 98), l'iniquità potrebbe essere ravvisata quando l'adempimento in regime di compliance che l'astreinte intende perseguire finisce per ledere interessi non patrimoniali del debitore o riguardanti qualificate sfere giuridiche di libertà della parte che subisce il provvedimento condannatorio. Nella giurisprudenza di merito del tutto sporadicamente si è tenuta in considerazione la valutazione del richiesto provvedimento ex art. 614-bis c.p.c. Il giudice accolta la domanda di parte ricorrente relativa alle modalità e tempistiche di frequentazione dell'altro genitore con i propri figli, non ravvisa, allo stato, adeguate ragioni di equità che possano indurre a rafforzare il presente provvedimento con la condanna ex art. 614-bis c.p.c. (Trib. Bologna 1 agosto 2017). Il provvedimento di condannaIl provvedimento di condanna costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute ex art. 614-bis c.p.c. per ogni violazione od inosservanza (Trib. Cagliari 19 ottobre 2009). Il riferimento al “provvedimento di condanna” come presupposto per la pronuncia della misura coercitiva, porta a ritenere che essa possa essere pronunciata sia nel caso in cui la condanna ad un fare o ad un non fare sia contenuta in una sentenza, sia quando sia contenuta in provvedimenti di natura condannatoria diversi dalla sentenza, come ad esempio in provvedimenti cautelari, provvedimenti sommari decisori pronunciati a norma dell'art. 702-bis c.p.c., o pronunciati dagli arbitri con gli effetti della sentenza pronunciata dall'autorità giudiziaria (Carratta, 3). L'art. 614-bis c.p.c., concernente la richiesta della ricorrente di fissazione di una somma di denaro dovuta dai convenuti per ogni violazione od inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell'esecuzione dell'emanando provvedimento, è applicabile anche ai provvedimenti emanati in sede cautelare (Trib Cosenza 20 luglio 2016, in tema di ricorso ex art. 700 c.p.c. avverso l'illegittima segnalazione presso la Centrale rischi Eurisc — Crif; Trib. Bari 16 luglio 2016; Trib. S.M. Capua Vetere 22 aprile 2015, con riferimento all'entità del ritardo nella attivazione della linea fax; Trib. Reggio Emilia 15 aprile 2015, concernente un ricorso ex art. 700 c.p.c.; Trib. Palermo 27 marzo 2014, in tema di cancellazione ex art. 700 c.p.c. dell'erronea levata ed iscrizione di protesto per errore materiale riguardante i dati identificativi dell'impresa). In altra pronuncia di merito (Trib. Asti 17 gennaio 2018, v. infra) il giudice sembra implicitamente sostenere la compatibilità delle misure di coercizione indiretta con il provvedimento cautelare, escludendone unicamente l'adozione in sede di attuazione del provvedimento stesso ex art. 669-duodecies c.p.c. In dottrina, prima della riforma del 2015, molti studiosi si erano espressi per l'ammissibilità dell'applicazione della misura prevista dall'art. 614-bis c.p.c. anche in sede cautelare (Frus, 2383; Lombardi 2010, 398; Luiso 2013, 243; Recchioni, 1476; Tommaseo, 267). L'astreinte può dunque accedere anche al decreto ingiuntivo emesso per la consegna di una cosa mobile, ed all'ordinanza emanata nel procedimento sommario di cognizione (Merlin, 1548). Le controversie di lavoro escluse dall'applicazione dell'astreinteLe disposizioni dell'art. art. 614-bis, comma 1, c.p.c. non si applicano alle controversie di lavoro subordinato pubblico o privato ed ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all'art. 409 c.p.c. In dottrina si è precisato che l'esclusione non riguarda tutte le controversie soggette al rito del lavoro (Merlin, 1557, laddove osserva che l'art. 614-bis c.p.c. non contiene alcun riferimento alle controversie di lavoro autonomo, in tale modo distinguendole implicitamente da quelle di lavoro dipendente, pubblico e privato) ma soltanto quelle concernenti i rapporti richiamati dall'art. 614-bis c.p.c. fondati sulla qualifica soggettiva del lavoratore (Consolo, 2018, 1336), previsione che ha fatto sollevare tra alcuni studiosi (Chiarloni, 2009, 20) dubbi di illegittimità costituzionale della norma innanzi richiamata, in quanto ritenuta irragionevole e discriminatoria. Infatti, è stato altresì precisato che l'esclusione nei termini generalizzati in cui viene prevista dall'art. 614-bis c.p.c. non si giustifica se non con la scelta del legislatore di favorire alcune tipologie di debitori per particolari obblighi di fare o di non fare, come sono i datori di lavoro nell'ambito dei rapporti di lavoro subordinato pubblico e privato e di collaborazione coordinata e continuativa (Carratta, 4). L'eccezione alla regola della misura coercitiva indiretta stabilita dalla norma del codice stenta oggi a giustificarsi di fronte all'introduzione del c.d. Codice del processo amministrativo e della previsione, in quella sede, di una misura coercitiva indiretta di carattere generale applicabile in sede di giudizio di ottemperanza del giudice amministrativo senza alcuna limitazione ex art. 114, comma 4, lett. e), d.lgs. n. 104/2010 (Trib. Milano 19 giugno 2017, in cui l'eccezione di illegittimità costituzionale non è stata sollevata soltanto perché l'art. 23 della l. n. 87/1953 richiede al giudice che intende sollevare questione di legittimità costituzionale, di indicare le disposizioni viziate e le norme costituzionali violate nonché di riferire i termini del processo in corso, motivando sulla rilevanza e sulla non manifesta infondatezza dell'eccezione; ciò premesso, posto che il requisito della rilevanza è quello per cui il processo di merito non può essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale ed è elemento caratterizzante il giudizio incidentale, rendendo la giurisdizione della Consulta di natura concreta, secondo il giudice milanese non pare che il procedimento in questione trovasse un ostacolo alla sua definizione nella stessa norma sopra indicata, cosicché la questione di legittimità incostituzionale sembrava effettivamente irrilevante). I criteri per la determinazione del quantum nell'astreinteIl giudice determina l'ammontare della somma di cui all'art. 614-bis, comma 1, c.p.c. tenuto conto del valore della controversia, della natura della prestazione, del danno quantificato o prevedibile e di ogni altra circostanza utile. Nella quantificazione della condanna accessoria, l'art. 614-bis c.p.c. introduce, di fatto, una sanzione civile che mira a scoraggiare, prima, e sanzionare, dopo, l'atteggiamento refrattario del debitore nei confronti dell'adempimento, ragione per cui, la forza della misura introdotta sul modello francese dell'astreinte è quella di rendere, per il debitore, più conveniente l'adempimento anziché l'inadempimento. Il giudice, nell'emanare il provvedimento di condanna al termine del procedimento, indica anche la somma che dovrà essere corrisposta dall'obbligato per ogni violazione od inosservanza successiva all'emissione del provvedimento, ovvero alla scadenza dell'indicato termine per adempiere, come potrebbe accadere alla scadenza del termine per l'esecuzione nell'ipotesi di convalida dell'intimato sfratto per morosità o finita locazione. In particolare, il giudice dovrà indicare nel provvedimento che accoglie la misura ex art. 614-bis, comma 1, c.p.c. da quando inizia a decorrere l'applicazione dell'astreinte, l'unità temporale di riferimento (per ogni singolo giorno, settimana, mese) per determinare l'applicazione dell'importo pecuniario, con l'indicazione di una soglia massima per l'operatività dell'astreinte, al fine di delimitarne l'applicazione temporale, evitando così il suo perpetuarsi sine die, e la sua stessa modulazione – crescente o decrescente – in relazione al “genere” di inadempimento, all'obbligazione da soddisfare, ed al protrarsi di quest'ultimo. L'auto-liquidazione dell'astreinteL'art. 614-bis c.p.c. enuncia i criteri di calcolo per la determinazione dell'astreinte, ma non si occupa della sua liquidazione giudiziale, sulla quale – al pari delle possibili criticità che può comportare l'autoliquidazione da parte dello stesso creditore – è silente. L'astreinte è anteriore ad un inadempimento solo eventuale, dell'obbligo accertato nella condanna giudiziale alla quale essa accede, e, dunque, nel momento nel quale è accolta, si configura come una condanna condizionale futura (Recchioni, 1485; Giordano, 4), essendo per l'appunto, condizionata quanto alla sua applicazione, dal verificarsi dell'inadempimento dell'obbligo statuito nel provvedimento di condanna, per effetto del quale, sorge il diritto dell'istante ad avvalersene per compulsare il debitore ad adempiere la prestazione. Conseguentemente, non essendo prevista la liquidazione giudiziale della somma da corrispondere a titolo di astreinte, la sua concreta quantificazione dipenderà dall'autonoma determinazione dello stesso creditore – indicata nell'atto di precetto – della prestazione principale statuita nel provvedimento di condanna, al cui adempimento è funzionale la stessa misura prevista ex art. 614-bis c.p.c. In dottrina, si è infatti osservato che il creditore può procedere ad esecuzione forzata in forza delle somme dovute per effetto dell'astreinte, a tale fine, deducendo l'inadempimento o l'inosservanza delle statuizioni contenute nel provvedimento di condanna a cui essa accede (Balena, 3). La stessa dottrina ha, quindi, evidenziato la criticità della mancata previsione legislativa di un sistema di liquidazione giudiziale dell'astreinte, in quanto, essendo quest'ultima portata in un titolo esecutivo – lo stesso titolo giudiziale contenente il provvedimento principale di condanna all'adempimento dell'obbligo di fare o non fare, rispetto al quale, costituisce un unicum – il debitore potrà avvalersi dell'opposizione ex art. 615 c.p.c. laddove ritenga non dovuta, in tutto od in parte, il pagamento della somma intimata per effetto dell'inesistenza, anche solo parziale, dell'inadempimento riguardante l'obbligazione principale “garantita”, ovvero, non corretta l'autoliquidazione effettuata dal creditore nell'atto di precetto, sulla scorta dei criteri di calcolo indicati nella statuizione giudiziale di condanna (Consolo 2018, 1354). Quanto all'assolvimento dell'onere probatorio, si è evidenziata la necessaria applicabilità del principio negativa non sunt probandam (Luiso 2009, 239), in forza del quale, grava sul debitore l'onere di allegare l'esatto adempimento dell'obbligazione principale – in presenza del quale non può trovare applicazione l'astreinte – salvo che trattasi di obbligazione di non fare, in relazione alla quale, sarà invece il creditore a dovere documentare la sua violazione (Consolo 2018, 1355). Il procedimentoL'applicazione della misura prevista dall'art. 614-bis, comma 1, c.p.c. necessita dell'istanza formulata dalla parte che abbia formulato domanda giudiziale di adempimento di obblighi diversi dal pagamento di una somma di denaro e che non attenga ad uno dei rapporti di lavoro considerati dalla norma in esame, il cui esame è riservato al giudice dopo avere scrutinato positivamente, la domanda di condanna a cui detta istanza accede. Tuttavia, in base ad un orientamento di merito, si è affermato che sebbene l'art. 614-bis c.p.c. preveda l'istanza di parte, ai sensi dell'art. 709-ter c.p.c. – che autorizza il giudice ad adottare anche ex officio tutte le misure necessarie per l'attuazione dei provvedimenti inerenti l'affidamento, tra le quali rientrano le misure di carattere esecutivo, e le misure a tutela del minore – in materia di obblighi connessi all'esercizio della responsabilità genitoriale, l'astreinte può essere disposta d'ufficio, e, dunque, anche in assenza di domanda di parte, a maggiore garanzia dell'interesse del figlio, e, in quanto collegato a questo, dell'interesse del genitore a cui spetta pretendere il rispetto di quegli obblighi (Trib. Roma 23 dicembre 2017; Trib. Roma 16 dicembre 2016). La forma ed il tempo di proposizione dell'istanza L'art. 614-bis, comma 1, c.p.c. non contiene alcuna enunciazione riguardante la forma dell'istanza, dovendosene presumere la libertà di proposizione anche orale in udienza e raccolta a verbale. Tuttavia, appare evidente che la forma scritta sia necessaria, dovendo detta istanza essere corredata degli elementi indicati dall'art. 614-bis c.p.c. il cui positivo riscontro da parte del giudice è indispensabile per poterla successivamente accogliere. Non è chiaro se la proposizione dell'istanza in parola sia soggetta o meno ai termini di preclusione e decadenza processuali. La dottrina non si è espressa in modo unanime su tale questione. All'opinione maggioritaria di chi sostiene che l'istanza formulata ex art. 614-bis, comma 1, c.p.c. non sia soggetta a termini di preclusione o decadenza previsti dal codice di rito, potendo essere introdotta sino all'udienza di precisazione delle conclusioni (per il rito ordinario di cognizione, Chizzini, 178; Luiso 2009, 238), non comportando alcuna influenza sulla causa petendi e sul petitum della domanda a cui accede, mirando unicamente alla compliance del soggetto tenuto all'adempimento della relativa obbligazione, si contrappone l'opinione di chi invece sostiene la necessità del rispetto dei termini ex art. 183 c.p.c. (Costantino, 742; Merlin, 1549). Le stesse considerazioni valgono anche per i procedimenti non disciplinati dal rito ordinario, e, dunque, per quelli rientranti nell'alveo dell'art. 702-bis c.p.c. o per i procedimenti cautelari. La prima soluzione sembra preferibile in quanto l'applicazione dell'astreinte – che è una misura squisitamente sanzionatoria ed accessoria alla condanna all'adempimento degli obblighi considerati dall'art. 614-bis, comma 1, c.p.c. – non richiede altra valutazione che quella dei presupposti enunciati dalla stessa norma in commento, la cui esatta interpretazione – anche in punto di esame della manifesta iniquità enunciata dalla stessa norma – è riservata esclusivamente al giudice non alle parti in causa, cui spetta unicamente l'impulso ad “introdurla” nel thema decidendum, senza però alcuna possibilità di interloquire sull'esistenza delle condizioni o presupposti concernenti la sua applicazione, peraltro già predeterminati ex lege, trattandosi di valutazioni rientranti nelle prerogative proprie del giudice adito. La stessa formulazione dell'art. 614-bis c.p.c. induce infatti a ritenere in forma palese che ove non vi sia stata una condanna all'adempimento degli obblighi previsti dall'anzidetta norma – su cui si svolge la trattazione, acquisizione delle relative prove e discussione nel contraddittorio delle parti in causa – non potrà esservi alcuna astreinte, la quale, in tanto potrà essere esaminata dal giudice, soltanto laddove vi sia stata una richiesta formulata in tale senso dalla parte interessata, la quale, risolvendosi in un provvedimento squisitamente sanzionatorio ed accessorio alla condanna, richiederà per la sua applicazione, unicamente la valutazione da parte del giudice adito, delle condizioni e presupposti indicati dalla stessa norma, l'esame e la trattazione dei quali, deriverà dall'esame e trattazione – oltre che dal comportamento sostanziale e processuale osservato dalle stesse parti in causa – già scrutinato dal giudice in sede di accoglimento o rigetto della domanda di condanna c.d. “principale”. Ove si propendesse per la seconda tesi, si incorrerebbe in una sorta di duplice e distinta valutazione: un primo esame concernente l'accoglimento o rigetto della domanda principale, ed in caso di accoglimento, la successiva valutazione sull'applicazione dell'astreinte, la quale, stante la ratio della stessa norma in commento, può soltanto “seguire” il provvedimento di condanna (ad esempio, nel caso di convalida di sfratto per morosità o per finita locazione, in occasione del quale, il locatore chieda l'applicazione dell'astreinte al conduttore che si opponga ingiustificatamente al rilascio dell'immobile, una volta convalidato lo sfratto, l'esame concernente l'applicabilità o meno della misura anzidetta sarà condotto dal giudice sulla scorta delle risultanze allegati in atti dello stesso procedimento che hanno consentito al medesimo giudicante di convalidare lo sfratto accogliendo la domanda di condanna del conduttore). La proposizione dell'astreinte in appello o in fase di reclamo L'art. 614-bis, comma 1, c.p.c. si limita ad enunciare che insieme al provvedimento di condanna all'adempimento di obblighi diversi dal pagamento di somme di denaro il giudice, salvo che ciò sia manifestamente iniquo, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dall'obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell'esecuzione del provvedimento. È opportuno ricordare come anche in dottrina si è osservato che la pronuncia dell'astreinte è fatta dallo stesso giudice che emette il provvedimento di condanna per l'adempimento di obblighi diversi dal pagamento di somme di denaro, e, dunque, contestualmente con lo stesso provvedimento di condanna (Luiso 2009, 235; Punzi, 210) non essendo prevista ex lege una possibilità di statuizione disgiunta e successiva (in dottrina sono state mosse varie critiche su tale questione, concernente la rigidità mostrata dal legislatore, giudicata eccessiva e sostanzialmente inappropriata, con particolare riferimento al verificarsi di determinate ipotesi concrete. In ordine alla mancata previsione della possibilità di rivedere la misura di astreinte, Consolo, 2018, 1351, salvo che la misura sia stata concessa in sede cautelare, trovando allora applicazione l'art. 669-decies c.p.c.), in quanto trattasi di misura il cui fine è di garantire l'adempimento concreto dell'obbligazione principale da parte del soggetto tenuto ad eseguirla, rispetto alla quale, si pone in termini di evidente accessorietà funzionale. Null'altro, esprime detta norma con riferimento alla possibilità che l'astreinte possa essere chiesta dalla parte interessata per la prima volta soltanto in primo grado od anche in appello. L'astreinte può dunque essere proposta per la prima volta anche in appello od in fase di reclamo avverso un provvedimento cautelare? Un'autorevole dottrina si è espressa in termini positivi su tale questione specificamente considerata. Le stesse ragioni innanzi prospettate sull'astreinte, comportano secondo parte della dottrina (Consolo 2009, 103) a rendere possibile la proponibilità dell'istanza ex art. 614-bis, comma 1, c.p.c. per la prima volta anche in appello, od in fase di reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c., a ciò non ostando il divieto sancito dall'art. 345 c.p.c. Ovviamente, è chiaro che in tale ipotesi, il presupposto per la presentazione dell'istanza anzidetta è ravvisabile nell'instaurazione del giudizio d'appello su uno o più capi condannatori riguardanti la pronuncia giudiziale inerente la condanna principale, non potendo in appello o con un giudizio di reclamo l'astreinte essere proposta per la prima volta da sola, e, quindi, come richiesta autonoma disgiunta da quella di condanna all'obbligazione principale a cui invece deve necessariamente accedere al fine di garantire la compliance del debitore all'adempimento. Tuttavia, sebbene autorevole dottrina ritenga che l'astreinte – in quanto concessa con il provvedimento di condanna – possa essere domandata fino alla precisazione delle conclusioni ed anche in appello, non costituendo una mutatio libelli e, anzi, trattandosi di un capo meramente accessorio come quello riguardante le spese di lite, recentemente, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che l'istanza ex art. 614-bis c.p.c. costituisca una vera e propria domanda e, come tale, debba soggiacere alle barriere preclusive del rito e, quindi, che la stessa debba essere formulata prima della maturazione delle preclusioni assertive (Cass. III, n. 14461/2024). Oltre al precedente di Cass. I, n. 32023/2019, secondo cui la domanda di condanna all'astreinteex art. 614-bis c.p.c. laddove proposta solo nel giudizio di secondo grado, è inammissibile ex art. 345, comma 1, c.p.c., militano a favore della predetta conclusione argomenti logici e sistematici. Innanzitutto, a differenza di altri capi accessori, la misura di coercizione non è conseguenza necessaria della condanna, com'è invece la pronuncia sulle spese, che dall'istanza e dalla quantificazione della parte prescinde totalmente, ufficiosamente procedendovi il giudicante nel definire il procedimento. Infatti, la coercitoria è determinata in base a circostanze di fatto – tenuto conto del valore della controversia, della natura della prestazione, del danno quantificato o prevedibile e di ogni altra circostanza utile, e dopo la modifica normativa del d. lgs. n. 149/2022, anche della natura della prestazione dovuta, e del vantaggio per l'obbligato derivante dall'inadempimento – che devono essere tempestivamente allegate e, se del caso, provate, consentendo così alla parte avversaria una compiuta difesa che non sarebbe possibile se la domanda potesse essere avanzata oltre la barriera preclusiva stabilita per la proposizione delle domande e delle eccezioni o persino dopo la delimitazione del thema probandum che potrebbe comprendere prove contrarie od elementi idonei ad incidere sulla relativa statuizione giudiziale. Peraltro, a volere ritenere ammissibile la domanda di misura ex art. 614-bis c.p.c. in appello in quanto agganciata al provvedimento di condanna, si dovrebbe ammettere la sua proponibilità anche in sede di precisazione delle conclusioni del secondo grado, il che limiterebbe ulteriormente il diritto di difesa della parte avversaria, inibita ad introdurre elementi di fatto idonei ad escludere od a mitigare l'astreinte ed abilitata soltanto all'impugnazione di legittimità, i cui limiti non permetterebbero un riesame delle circostanze fattuali considerate per la valutazione od il merito di quest'ultima, come peraltro già statuito da Cass. III, n. 7927/2024. Dal punto di vista sistematico, poi, la delimitazione di un momento preclusivo certo per la proposizione della domanda di condanna ex art. 614-bis c.p.c. nel processo di cognizione elimina le incertezze sulla possibilità di avanzare la medesima domanda al giudice dell'esecuzione, ipotesi ammessa dalla modifica apportata dal d. lgs. n. 149/2022 per il titolo esecutivo stragiudiziale oppure se la misura non è stata richiesta nel processo di cognizione, essendo evidente, infatti, che ad ammettere la proponibilità della domanda anche alla fine del processo di primo o di secondo grado si renderebbe incerto il presupposto che permette di adire il giudice dell'esecuzione, col rischio oltretutto di innescare possibili conflitti tra le decisioni di quest'ultimo e quelli del giudice della cognizione successivamente investito dell'istanza. L'impugnazione avverso il provvedimento di prime cure che nega o concede l'astreinte I rimedi azionabili indirettamente avverso il provvedimento di condanna all'adempimento di un'obbligazione di facere o non facere che in primo grado nega od irroga una misura di astreinte sono l'appello ed il reclamo previsto dall'art. 669-terdecies c.p.c., a seconda del procedimento nel quale è stata emessa la relativa decisione, se appartenente al giudice della cognizione o della cautela. In particolare, per quanto concerna l'appello, è importante precisare che quest'ultimo riguarderà direttamente il provvedimento che accoglie o rigetta la domanda di condanna all'adempimento di un'obbligazione di fare o non fare, con al suo interno anche l'irrogazione dell'astreinte, od anche solo quest'ultima misura, che tuttavia, stante il suo carattere di accessorietà, potrà essere oggetto di successivo gravame, direttamente ed isolatamente rispetto alla decisione emessa dal giudice di prime cure sulla domanda principale di condanna ad adempiere l'obbligazione di fare o non fare, soltanto se risulti essere stata già proposta dinanzi al giudice di primo grado, poiché, diversamente, ove proposta per la prima volta in appello, non potrà essere chiesta disgiunta dall'impugnazione del provvedimento condannatorio principale, come del resto già anticipato nel precedente paragrafo 9.3. In buona sostanza, come affermato da un'autorevole linea di pensiero che si condivide (Consolo, 2018, 1357), non può essere proposto appello – ovvero reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c. – soltanto per ottenere l'applicazione dell'astreinte mai in precedenza richiesta, la quale, potrà invece essere formulata ex novo dinanzi al giudice del gravame – o del reclamo – nel procedimento già reso pendente dalla parte soccombente (in senso parzialmente difforme, Bertillo, 1132, che senza operare distinzione di sorta in ordine in ordine al momento in cui l'astreinte viene ad essere proposta per la prima volta, ritiene sic et simpliciter che l'appellante possa agire esclusivamente avverso il capo di sentenza relativo all'astreinte, senza gravare la condanna principale cui esso accede). La produzione di documenti ed istanze istruttorie per la valutazione dell'astreinte La produzione di documenti ed istanze istruttorie è un adempimento processuale diverso ed ulteriore rispetto alla semplice proposizione dell'istanza scritta od orale ex art. 614-bis, comma 1, c.p.c. L'allegazione di documentazione od istanze istruttorie – ad esempio, l'articolazione di prove testimoniali o per interpello – volte a dimostrare l'opportunità o necessità della misura richiesta ex art. 614-bis, comma 1, c.p.c., o la sua stessa quantificazione, certamente deve rispettare i termini di preclusione e decadenza previsti dal codice di rito in relazione al procedimento ordinario, sommario, cautelare, cui inerisce la stessa istanza (Consolo 2018, 1343). È dunque evidente che la proposizione in qualsiasi momento – purché anteriore alla decisione del giudice – dell'istanza ex art. 614-bis, comma 1, c.p.c. avrà senso soltanto quando la sua valutazione non necessità di alcuna allegazione difensiva od istruttoria diversa ed ulteriore rispetto a quella occorrente per l'accoglimento della domanda di condanna principale, giacché, nel caso in cui dovesse invece rendersi necessario il compimento di tale ulteriore attività, la parte istante dovrà necessariamente tenerne conto, rispettando anche per la sua stessa proposizione i termini processuali stabiliti per il genere di procedimento ed il grado di giudizio in cui la stessa istanza viene formulata. Casistica La funzione propria dell'art. 614-bis c.p.c. è quella di “compulsare” la parte debitrice della prestazione all'adempimento degli obblighi considerati dall'art. 614 bis, comma 1, c.p.c., a tutela del creditore beneficiario della condanna principale e dell'interesse generale all'esecuzione dei provvedimenti giudiziari. L'art. 614-bis c.p.c. trova applicazione in varie e differenti situazioni, come nel caso in cui, il locatore abbia proposto giudizio di risoluzione del contratto locatizio per l'inadempimento del conduttore e, con il medesimo provvedimento, abbia chiesto l'applicazione dell'astreinte nel caso di inadempimento della parte convenuta, a fare data dalla scadenza del termine di rilascio dell'unità immobiliare precedentemente locata, tenuto conto del valore della controversia, della natura della prestazione, del prevedibile danno nell'ipotesi di continuato inadempimento, fissando equamente l'importo di € 50,00 al giorno per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione della condanna alla consegna dell'immobile successivo al settimo giorno dalla notifica – a cura della stessa ricorrente – del dispositivo della presente sentenza, previa scadenza del termine della data fissata per il rilascio dello stesso immobile (Trib. Bologna 19 aprile 2018). Convalidato lo sfratto per finita locazione e fissata la data di esecuzione per rilascio dell'immobile al 20 gennaio 2016, la parte tenuta al rilascio è condannata a corrispondere la somma di € 50,00 al giorno a decorrere dal 21 gennaio 2016, in caso di mancato o ritardato rilascio dello stesso immobile (Trib. Busto Arsizio 17 dicembre 2015). Ai sensi dell'art. 63 disp. att. c.c., il condominio e per esso il suo amministratore ha l'obbligo di comunicare al proprio creditore insoddisfatto i dati dei condomini morosi nel pagamento dei contributi condominiali relativi al credito stesso, per cui, ove il condominio convenuto non provi di avervi provveduto, né che di tali dati la società creditrice fosse comunque a conoscenza, merita accoglimento la richiesta di quest'ultima di fissare, ai sensi dell'art. 614-bis c.p.c., una somma a carico dell'obbligato per l'eventuale ritardo nella esecuzione di tale condanna, tenuto conto dell'ammontare del credito e di ogni altra circostanza, determinata in euro 2000,00 per ogni mese di ritardo successivo a quello decorrente dalla data di notifica del presente provvedimento (Trib. Roma 1 febbraio 2017). Il proprietario esclusivo del lastrico solare ed il condominio vanno condannati ad eseguire le opere e gli interventi, individuati nella c.t.u. espletata, atti ad eliminare definitivamente le cause delle infiltrazioni manifestatesi all'interno della proprietà dell'attore, unitamente alla condanna ex art. 614-bis c.p.c. al pagamento della somma di Euro 100,00 per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione del provvedimento emesso (Trib. Milano 7 gennaio 2014). In caso di provvedimento ex art. 614-bis c.p.c. emesso nell'ambito di un provvedimento cautelare, ogni controversia che riguardi l'attuazione del provvedimento inclusa la sussistenza dei presupposti per il pagamento della somma ex art. 614-bis c.p.c. deve essere proposta davanti al giudice della cautela il quale, anche prima di prendere la sua decisione definitiva, potrà sospendere l'efficacia del suo provvedimento di condanna, mentre se nonostante il provvedimento del giudice cautelare di sospensione dell'efficacia o di accertamento di non debenza della somma ex art. 614-bis c.p.c. l'asserito creditore procede nell'esecuzione, sarà proponibile l'opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c. per fare valere quanto stabilito dal giudice della cautela (Trib. Genova 16 novembre 2015). Non può emettersi una pronuncia ai sensi dell'art. 614-bis c.p.c., in un procedimento attivato ex art. 669 duodecies c.p.c. – per conseguire il rilascio dell'azienda in favore dell'avente diritto, in attuazione del provvedimento emesso in sede di reclamo con cui è stato riformato il precedente provvedimento ex art. 700 c.p.c. – considerata la sua natura essenzialmente esecutiva, ed essendo il giudice della cognizione competente sulle misure di coercizione indiretta, sia in forza del disposto letterale della norma, sia in considerazione della ratio legis essendo stata la misura di coercizione indiretta introdotta al fine di spingere l'obbligato all'adempimento spontaneo, sanzionando la sua eventuale inerzia con l'applicazione di una condanna pecuniaria, finalità che appare vieppiù rafforzata a seguito dell'estensione, con l. n. 132/2015, di tale misura anche agli obblighi di fare fungibili (Trib. Asti 17 gennaio 2018). L'art. 614-bis c.p.c. trova applicazione anche con riferimento ai provvedimenti cautelari, tenuto conto dell'ampia formulazione dell'anzidetta norma, che consente di riferirne l'applicabilità ad ogni provvedimento giudiziale di condanna (Trib. Verona 9 marzo 2010). Nel caso di ritardata esecuzione nell'opera di sostituzione del collettore fognario condominiale, il rimedio cautelare invocato ex art. 1172 c.c. deve ritenersi ammissibile, unitamente – ai sensi e per gli effetti dell'art. 614-bis c.p.c. – alla fissazione di una somma per l'eventuale ritardo nell'esecuzione della chiesta misura cautelare (Trib. Matera 1 dicembre 2012). 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