Codice di Procedura Civile art. 447 bis - Norme applicabili alle controversie in materia di locazione, di comodato e di affitto 1 .Norme applicabili alle controversie in materia di locazione, di comodato e di affitto 1. [I]. Le controversie in materia di locazione e di comodato di immobili urbani e quelle di affitto di aziende sono disciplinate dagli articoli 414, 415, 416, 417, 418, 419, 420, 421, primo comma, 422, 423, primo e terzo comma, 424, 425, 426, 427, 428, 429, primo e secondo comma, 430, 433, 434, 435, 436, 436-bis, 437, 438, 439, 440, 441, in quanto applicabili 2. [II]. Sono nulle le clausole di deroga alla competenza 3. [III]. Il giudice può disporre d'ufficio, in qualsiasi momento, l'ispezione della cosa e l'ammissione di ogni mezzo di prova, ad eccezione del giuramento decisorio, nonché la richiesta di informazioni, sia scritte che orali, alle associazioni di categoria indicate dalle parti. [IV]. Le sentenze di condanna di primo grado sono provvisoriamente esecutive. All'esecuzione si può procedere con la sola copia del dispositivo in pendenza del termine per il deposito della sentenza. Il giudice d'appello può disporre con ordinanza non impugnabile che l'efficacia esecutiva o l'esecuzione siano sospese quando dalle stesse possa derivare all'altra parte gravissimo danno.
[1] Articolo inserito dall'art. 70 l. 26 novembre 1990, n. 353. [2] L'art. 54, d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv., con modif., in l. 7 agosto, 2012, n. 134, ha modificato le parole « e secondo comma, 430, 433, 434, 435, 436, 437, 438, 439, 440, 441,», con le parole: «e secondo comma, 430, 433, 434, 435, 436, 436-bis, 437, 438, 439, 440, 441,». Ai sensi dell'art. 54, secondo comma, d.l. n. 83, cit., la disposizione si applica « ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto». V. anche il comma 3-bis dell'art. 54 d.l. n. 83, cit., ai sensi del quale tale disposizione non si applica al processo tributario di cui al d.lg. 31 dicembre 1992, n. 546. Precedentemente il comma era stato sostituito dall'art. 87 lett. a), d.lg. 19 febbraio 1998, n. 51, con effetto, ai sensi dell'art. 247 comma 1 dello stesso decreto quale modificato dall'art. 1 l. 16 giugno 1998, n. 188, dal 2 giugno 1999. [3] Comma così modificato dall'art. 87 lett. b) d.lg. n. 51, cit., con effetto, ai sensi dell'art. 247 comma 1 dello stesso decreto quale modificato dall'art. 1 l. 16 giugno 1998, n. 188, dal 2 giugno 1999. InquadramentoL'art. 447-bis, comma 1, c.p.c. indica espressamente quali norme del rito del lavoro trovano applicazione alle controversie oggetto del processo locatizio in quanto applicabili. La tecnica utilizzata dal legislatore è del richiamo nominativo delle disposizioni regolatrici del rito lavoristico con il limite della loro applicabilità alle controversie di locazione, comodato ed affitto d'azienda. Il criterio di competenza territoriale stabilito dall'art. 447-bis c.p.c., è inapplicabile se la controversia è stata erroneamente inquadrata come rientrante nell'affitto di azienda anziché nella preservazione della garanzia patrimoniale riconducibile all'istituto dell'art. 2901 c.c. poiché in tale ipotesi, non si controverte né della validità inter partes di un contratto di affitto di azienda né dei diritti da esso nascenti. Analogamente, si procede nel caso in cui la domanda proposta in via alternativa, inerisca alla simulazione di un contratto di affitto di azienda, in quanto proposta da un terzo, ad esempio un'istituto di credito, dovendo anche detta controversia ritenersi esclusa dall'àmbito della competenza di cui all'art. 447-bis c.p.c., atteso che essa concerne unicamente le controversie sul rapporto e, dunque, fra le parti del rapporto di affitto d'azienda (Cass. III, n. 23529/2024). L'art. 447-bis, comma 1, c.p.c. assume carattere meramente processuale concernente l'applicabilità del rito speciale, non essendo destinata ad incidere sulla disciplina sostanziale del contratto di locazione, comodato di immobile urbano od affitto d'azienda. La sussistenza di una competenza per materia del tribunale per tutte le controversie nascenti da un rapporto locatizio, ancorchè aventi ad oggetto il pagamento di canoni od altre obbligazioni pecuniarie, anche per importo non eccedente il limite di valore della competenza del giudice di pace, è stata affermata dalla giurisprudenza sulla base di una ricostruzione delle conseguenze della soppressione dell'ufficio del pretore, con la conseguente abrogazione dell'art. 8 c.p.c. ad opera del d.L.gs. n.51/1998 (Cass. III, n. 28041/2019). Infatti, la norma in commento – inserita dall'art. 70 della l. n. 353/1990 in coda alle norme sulle controversie di lavoro, assistenza e previdenza obbligatorie – nel descrivere il perimetro di applicazione dello rito speciale lavoristico alle controversie in materia di locazione e comodato di immobili urbani ed a quelle di affitto di aziende di cui all'abrogato art. 8, comma 2, n. 3) c.p.c., a tale fine, richiama gli artt. 414,415,416,417,418,419,420,421, comma 1, 422,423, comma 1 e 3,424,425,426,427,428,429, comma 1 e 2,430,433,434,435,436,436-bis, 437,438,439,440,441, c.p.c. L'intento perseguito dal legislatore con l'introduzione dell'art. 447-bis c.p.c. è stato quello di omogeneizzare il rito delle locazioni – modellato su quello del lavoro – abrogando con l'art. 89 della l. n. 353/1990 le disposizioni processuali della l. n. 392/1978, ad eccezione degli artt. 30, esclusa la parte attributiva della competenza al conciliatore ed al pretore, 45, ultima parte, 55 e 56 della stessa l.n. 392/1978. L'art. 447-bis c.p.c. disciplina unitariamente le controversie in materia di locazione, e, con esse, quelle in materia di comodato di immobili urbani e di affitto di azienda, che sono tendenzialmente trattate attraverso due modelli, quello previsto dall'art. 447-bis c.p.c. derivato dal rito del lavoro, e quello previsto dagli artt. 657 ss. c.p.c. con riguardo al procedimento per convalida di licenza e sfratto, che ove non dia luogo alla pronuncia dell'ordinanza di convalida, va anch'esso a confluire nel rito locatizio attraverso lo snodo dell'ordinanza di trasformazione del rito prevista dall'art. 667 c.p.c. (Di marzio, Di mauro, 18). In precedenza, il quadro normativo esistente era infatti totalmente diverso da quello attuale, atteso che anteriormente alla data di entrata in vigore dell'art. 3 della l. n. 353/1990, che ha sostituito con una nuova formulazione l'art. 8 c.p.c. – successivamente abrogato dall'art. 49 d.lgs. n. 51/1998 – non esisteva una disposizione, di carattere generale, che attribuisse alla competenza per materia di un determinato giudice tutte le cause comunque relative ai rapporti di locazione e di comodato di immobili urbani, e la competenza al riguardo era dunque divisa tra vari giudici. In ogni caso, va ricordato come la trattazione della causa con il rito locatizio, che si conforma, con alcuni adattamenti, a quello del lavoro, anziché con quello ordinario, non involge una questione di costituzione del giudice, cui è estranea la distinzione tra giudice ordinario e giudice del lavoro, e, determina, pertanto, solo una nullità relativa da considerarsi sanata allorché non sia fatta valere nella prima difesa o istanza successiva al compimento dell'atto processuale viziato (Cass. I, n. 1332/2017; Cass. III, n. 5847/1994). Tuttavia, se il giudizio deve essere proposto con ricorso da depositare in cancelleria, l'erronea introduzione del giudizio con atto di citazione è suscettibile di sanatoria, ex art. 156 c.p.c., a condizione che nel termine previsto dalla legge l'atto sia stato non solo notificato alla controparte ma anche depositato nella cancelleria del giudice adito, sia pure con velina, ragione per cui allorché l'opposizione a decreto ingiuntivo risulti essere stata erroneamente esperita con atto di citazione anziché con ricorso, l'opposizione è considerata valida nel caso in cui è depositata nella cancelleria del giudice adito nel termine previsto di quaranta giorni, diversamente sarebbe giudicata nulla e/od inammissibile l'opposizione a decreto ingiuntivo proposta con citazione notificata alla controparte ma non depositata nei termini di cui all'art. 641 c.p.c., atteso che solo con il detto deposito in cancelleria la citazione può valere come ricorso raggiungendo lo scopo proprio di tale ultimo atto, là dove non può invece riconoscersi alcun valore alla notificazione della citazione eseguita prima del deposito, concernendo una opposizione ancora non venuta ad esistenza (Trib . Roma 7 luglio 2021). Il rito del lavoro e le controversie previste dall'art. 447-bis c.p.c.Un punto fondamentale è costituito dall'adattabilità del rito del lavoro alle controversie locatizie. In particolare, con riguardo agli artt. 426, 427, 428 e 433 c.p.c. il cui richiamo ai rapporti di cui all'art. 409 c.p.c. va qui inteso con riferimento ai rapporti indicati nell'abrogato art. 8, comma 2, n. 3) c.p.c., e, dunque, di locazione, comodato di immobili urbani ed affitto di aziende; all'art. 425 c.p.c. in cui la richiesta di informazioni deve intendersi riferita non alle associazioni sindacali ma a quelle di categoria; all'art. 438 c.p.c. il cui rinvio operato all'art. 431 c.p.c. deve intendersi riferito all'art. 447-bis, comma 4, c.p.c., per cui anche per la sentenza pronunciata in appello il dispositivo è titolo esecutivo; inoltre nel rito speciale locatizio è stato eliminato il potere del giudice ex art. 421, comma 2, c.p.c. di disporre d'ufficio i mezzi di prova anche fuori dei limiti stabiliti dal codice civile, i quali, dunque valgono oltre che per le parti anche per il giudice, così come si applica l'incapacità a testimoniare ex art. 246 c.p.c. Infatti, l'art. 447-bis c.p.c. richiama soltanto l'art. 421, comma 1, c.p.c. Inoltre non vengono richiamate le disposizioni contenute negli artt. 423, comma 2, c.p.c., 429, comma 3, c.p.c. e 431 c.p.c. in quanto riferite alla figura del “lavoratore”, così come l'art. 432 c.p.c. non trova applicazione nel rito speciale delle locazioni, non essendo prevista una valutazione equitativa delle prestazioni riferite alla persona del lavoratore. L'art. 447-bis, comma 2, c.p.c., dispone che sono nulle le clausole di deroga alla competenza. In seguito alla soppressione della figura del pretore ad opera della l. n. 51/1998, la competenza in materia di controversie relative a rapporti di locazione di immobili urbani, comodato di immobili urbani e di affitto d'azienda, rientrano nella competenza esclusiva del Tribunale del luogo in cui risulta situato l'immobile locato, o oggetto di affitto o di comodato. In dottrina, si è osservato che trattasi di inefficacia di deroghe convenzionali extraprocessuali (Giancotti, 576; Luiso, 76; contra, Arieta, 109; Costantino, 286; Proto Pisani, 9). L'art. 447-bis, comma 3, c.p.c. prevede che il giudice può disporre d'ufficio, in qualsiasi momento, l'ispezione della cosa e l'ammissione di ogni mezzo di prova, ad eccezione del giuramento decisorio, nonché la richiesta di informazioni, sia scritte che orali, alle associazioni di categoria indicate dalle parti. Qui non opera quindi l'art. 421, comma 3, c.p.c. che invece stabilisce che occorre l'istanza di parte per l'accesso sul luogo di lavoro. L'art. 447-bis c.p.c. richiama l'art. 429, comma 1 e 2, c.p.c., dunque non sembra potersi ritenere applicabile alle controversie decise con il rito locatizio la rivalutazione dei crediti derivante dai rapporti di cui all'abrogato art. 8, comma 2, n. 3), c.p.c. Con riferimento all'art. 431 c.p.c., va detto che il mancato richiamo è giustificato da quanto enunciato nell'art. 447-bis, comma 4, c.p.c. che si occupa dell'esecutorietà, stabilendo che le sentenze di condanna di primo grado sono provvisoriamente esecutive e che all'esecuzione si può procedere con la sola copia del dispositivo in pendenza del termine per il deposito della sentenza. Il giudice d'appello può disporre con ordinanza non impugnabile che l'efficacia esecutiva o l'esecuzione siano sospese quando dalle stesse possa derivare all'altra parte gravissimo danno. L'art. 431 c.p.c. non è richiamato, ma l'art. 447-bis, comma 4, c.p.c. ne riprende il contenuto, sebbene modificato, per cui non sembra potersi ammettere una sospensione parziale dell'efficacia esecutiva del titolo giudiziale, non essendo ripreso su tale punto l'art. 431, comma 4, c.p.c., inoltre, la sospensione può riguardare sia l'esecutorietà sia l'esecuzione, e, quindi può essere disposta sia prima che ad esecuzione in corso, sebbene, l'art. 433 c.p.c. viene richiamato senza alcuna modifica, e, quest'ultima norma consente l'appello con riserva dei motivi soltanto ad esecuzione già iniziata. In dottrina, si ritiene che l'appello con riserva dei motivi possa essere proposto anche prima dell'inizio dell'esecuzione forzata (Balena, 340; Giancotti, 578; Proto Pisani, 9). A fronte della domanda riconvenzionale proposta dalla parte opponente nel rito ordinario di cognizione, non appare meritevole di accoglimento la richiesta di mutamento del rito ordinario in rito ex art. 447-bis c.p.c. perché la prevalenza del rito del lavoro è prevista, a norma dell’art. 40 c.p.c., soltanto per le cause di lavoro in senso stretto e non anche per quelle in materia locatizia (Trib. Lecce 23 gennaio 2025). L'occupazione sine titulo di un immobile urbanoL'art 447-bis c.p.c. prevedendo una deroga al principio dell'applicabilità del rito ordinario di cognizione, non sarebbe dunque suscettibile di applicazione analogica a rapporti non espressamente richiamati che, pur avendo ad oggetto il godimento di un bene da parte di un terzo, non sono locatizi, come l'occupazione sine titulo, atteso che le controversie concernenti tale ipotesi di possesso o detenzione del bene immobile, comprese le azioni di rilascio, non sarebbero assoggettate al procedimento di cui all'art. 447-bis c.p.c., proprio perché poste a tutela del diritto di proprietà e, non anche, del distinto diritto contrattuale alla riconsegna della res e, ciò, quand'anche l'occupazione, ab origine lecita, divenga indebita a seguito del venire meno del relativo titolo giustificativo, perché dichiarato nullo, risolto o divenuto inefficace.
Come già affermato da Trib. Lecce 23 gennaio 2025, in relazione alla domanda riconvenzionale proposta nel rito ordinario di cognizione, la prevalenza del rito del lavoro è prevista, a norma dell’art. 40 c.p.c., soltanto per le cause di lavoro in senso stretto e non anche per quelle in materia locatizia (Trib. Bari 20 marzo 2025). In una fattispecie in cui il coniuge separato aveva occupato arbitrariamente l'immobile di proprietà dell'altro coniuge, costituente precedentemente la casa coniugale, nel contesto di rapporti personali divenuti assai conflittuali conseguenti alla separazione giudiziale, si è ritenuto che la causa petendi della pretesa avanzata dall'attrice non risiedesse in un rapporto di locazione od in altro rapporto ad esso assimilato come il comodato precario, bensì nell'occupazione sine titulo, con la conseguente inapplicabilità del rito locatizio (Trib. Reggio Calabria 23 gennaio 2014). Atteso che a seguito della introduzione del giudice unico, e la scomparsa della figura del pretore, la questione ha perso importanza sotto il profilo della competenza, risolvendosi in una questione concernente unicamente il rito applicabile, ordinario o locatizio, ciò premesso, la stessa dottrina ha evidenziato la circostanza che controversa appare la riconducibilità dell'azione di rilascio per assunta occupazione sine titulo nell'ambito delle controversie ricomprese nella sfera di operatività dell'art. 447-bis c.p.c., laddove, mancando la sussistenza di un contratto di locazione o comodato, la competenza deve essere regolata in base ai criteri generali, ovvero, con l'instaurazione del giudizio nei modi ordinari (Carrato, 413). In particolare, premessa la distinzione fra occupazione sine titulo in senso stretto ed occupazione sine titulo in senso lato, laddove sono riconducibili alla prima categoria le ipotesi in cui manca ab origine un titolo giuridicamente valido che legittimi l'autorizzazione al possesso od alla detenzione della res, rientrando invece nella seconda categoria le ipotesi in cui il contratto idoneo a legittimarne il possesso o la detenzione sia per una qualche ragione, venuto meno, e, dunque cessato o perento, la dottrina appare concorde nel ritenere che le controversie rientranti nell'occupazione sine titulo in senso stretto siano assoggettate al rito civile ordinario di cognizione (Mandrioli, 599; Masoni, 56; Monteleone, 57), mentre quelle rientranti nell'occupazione sine titulo in senso lato, stante l'ampia formula adoperata dall'art. 447-bis c.p.c., sarebbero riconducibili al rito locatizio (Frasca, 302; Masoni, 57, il quale, condivisibilmente, osserva che la scelta legislativa di creare una sorta di doppio binario rituale, applicabile a seconda delle ipotesi se rientranti nell'occupazione sine titulo in senso stretto o nell'occupazione sine titulo in senso lato, si presta a creare una disparità di trattamento pregiudizievole sul piano della tempistica processuale occorrente per la risoluzione delle relative controversie, stante la maggiore celerità del rito locatizio rispetto a quello ordinario, e, ciò, vale anche nell'ipotesi in cui si ritenga applicabile il differente rito sommario di cognizione per le controversie di occupazione sine titulo in senso stretto, stante la possibilità per la parte, di provocare con il proprio comportamento processuale la possibilità di mutare il rito da sommario in ordinario. In ogni caso esiste un contrasto di opinioni nella giurisprudenza di merito circa l'ammissibilità del rito sommario di cognizione nelle controversie locatizie; Montesano, Arieta 2002, 395). Inoltre, secondo un orientamento giurisprudenziale di merito, la domanda di rilascio dell'immobile occupato senza titolo traendo titolo da rapporto lato sensu locatizio deve scontare la preventiva ed obbligatoria procedura di mediazione, in materia prevista dall'art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 28/2010 (Trib. Modena 5 maggio 2011). Una pronuncia di merito ha statuito che la controversia relativa alla detenzione sine titulo di un immobile precedentemente condotto in locazione, comportando a carico dell'occupante il pagamento dell'indennità di occupazione in favore del proprietario, a titolo di risarcimento, la cui misura può convenirsi pattiziamente, può essere decisa sia con il rito ordinario sia con il rito di cui all'art.447-bis c.p.c., laddove nella domanda proposta risulti prevalente il carattere proprio della locazione, ritenendo dunque configurabile non un obbligo, ma una mera facoltà di optare per il rito speciale, quando prevalga il profilo locatizio (Trib. Bari 15 novembre 2005). La pronuncia di merito da ultimo citata sembra trarre il proprio convincimento dall'ampia dizione “materia di locazione” – cui fa riferimento il novellato art. 447-bis, comma 1, c.p.c. – ricomprensiva di qualunque pretesa collegata ad un contratto, per quanto lo stesso – sebbene non più efficace o giuridicamente esistente – ne costituisce comunque l'antefatto storico, ed in tale ottica, ritenendo dunque che l'art. 447-bis c.p.c. riguardi pur sempre rapporti locativi, sia in corso, che già risolti, essendo rilevante il collegamento genetico della domanda dedotta in giudizio ad un contratto di locazione immobiliare, nonché agli obblighi in questo previsti od a questo conseguenti. (In senso conforme v. Trib. Brindisi 17 gennaio 2014). La natura “urbana” dell'immobile oggetto del rapportoLa natura urbana dell'immobile non va desunta dalla sua posizione concreta, a seconda se faccia parte o meno del territorio ricompreso nell'aggregato urbano, ma in ragione della sua effettiva destinazione economica, e, dunque, dovendo considerarsi “urbano” l'immobile oggetto attuale o potenziale di disciplina urbanistica o quello in cui è svolta un'attività non agricola (Trisorio Liuzzi 2005, 51). Una ormai risalente giurisprudenza ha statuito che per locazione di immobile “urbano” deve intendersi quella avente ad oggetto un'immobile diverso da quello “rustico”, adibito all'attività agricola ed a quelle ad essa strettamente connesse, indipendentemente dall'ubicazione dell'immobile medesimo fuori dell'abitato cittadino (Cass. III, n. 6344/1985). In dottrina, non si è mancato di osservare che il rito locatizio si applica anche alle controversie relative ai contratti di comodato di immobili urbani, con esclusione di quelle attinenti ai rapporti di comodato di immobili extraurbani, la cui competenza non spetta alle sezioni specializzate agrarie – salva l'ipotesi in cui abbiano ad oggetto un rapporto agrario, in quanto, ricorrendo tale eventualità, sarebbero disciplinate dal rito del lavoro – ma al tribunale nella sua conformazione ordinaria, ed assoggettate al rito civile ordinario di cognizione (Carrato, 413; Trisorio Liuzzi, 2005, 51). L'art. 27 della l. n. 392/1978 che disciplina la durata delle locazioni di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, concerne tutti gli immobili urbani, di qualunque specie, in cui si eserciti una delle attività contemplate nella suddetta norma, comprese le locazioni di aree urbane non edificate – c.d. aree nude – destinate, per contratto, all'esercizio di una delle dette attività (Cass. III, n. 5157/1991; Cass. III, n. 6537/1990). L'individuazione del rito applicabile in funzione della qualificazione del rapporto dedotto dall'attoreL'art. 447-bis c.p.c. estende l'ambito di applicazione del rito locatizio alle controversie in materia di locazione, comodato di immobili urbani ed affitto di aziende, rimanendo esclusi i rapporti fondati sull'occupazione sine titulo , ed i rapporti c.d. “misti”, non riconducibili allo schema contrattuale della locazione, comodato di immobili urbani ed affitto d'azienda, anche se hanno ad oggetto il godimento di un'immobile urbano, come ad esempio le ipotesi del leasing immobiliare, ola stipula di contratti di albergo, pensione, residence, comodato gratuito, e finanche la gestione di un'area di servizio per la distribuzione del carburante, con il comodato delle relative attrezzature ed impianti (in relazione a quest'ultima fattispecie, v. Cass. VI, n.5684/2018). L'art. 447-bis c.p.c. non si riferisce all'affitto di un bene immobile.
In particolare, l'art. 21, comma 1, c.p.c., conferisce al giudice del luogo dove è posto l'immobile o l'azienda, oltre alle cause ulteriori ivi indicate dalla suddetta norma - relative a diritti reali su beni immobili, ad apposizione di termini e ad osservanza delle distanze relative al piantamento degli alberi e delle siepi - le cause in materia di locazione e comodato di immobili e di affitto di aziende. Parallelamente, l'art. 447 bis c.p.c. delinea il cd. rito locatizio per questo gruppo di cause, sulla cui scorta è dunque evidente che il contratto di affitto rientra nel cluster che ne deriva esclusivamente se ha per oggetto un'azienda, mentre non rientra, invece, il contratto di affitto di cosa produttiva di cui agli artt. 1615 ss. c.c., che costituisce un paradigma diverso. Ciò è stato inequivocamente ribadito - cfr. da ultimo Cass., VI, ord. 8 novembre 2012 n. 19384 - dalla più recente giurisprudenza di legittimità, laddove ebbe a statuire che il contratto avente ad oggetto la concessione del godimento di un fondo destinato a cava di lapillo e deposito di inerti, ivi compresi rifiuti pericolosi, va qualificato come affitto e non come locazione, con la conseguenza che, in caso di controversia avente ad oggetto il suddetto contratto, non troveranno applicazione le speciali norme sulla competenza dettate, in tema di locazione, dagli artt. 21 e 447--is c.p.c. E' stato dunque ribadito che il contratto avente per oggetto lo sfruttamento di una cava, che è un bene produttivo, va inquadrato nello schema dell'affitto e non nella diversa figura contrattuale della “locazione”, con la conseguenza che ad esso non sono applicabili le leggi speciali riguardanti le locazioni urbane, nè, in ragione della tassatività della previsione dell'art. 657 c.p.c., lo speciale procedimento di convalida di licenza o di sfratto per finita locazione o morosità, con la conseguenza che non è applicabile in particolare l'art. 447-bis c.p.c., letto in combinato con l'art. 21 c.p.c., e che non è configurabile una competenza territoriale inderogabile secondo il criterio del forum rei sitae (Cass. VI, 22 Ottobre 2020, n. 23110). Ad analoga conclusione si perviene in ordine alla consistenza complessiva dell'immobile che non vale a condurre il bene nella species locatizia, ed a distoglierlo, pertanto, dal paradigma dell'affitto di cui agli artt. 1615 e ss. c.c., perché si tratta, a ben guardare, di componenti dell'unica res produttiva. Il criterio di distinzione tra contratto di affitto e contratto di locazione è oggettivo e soggettivo, nel senso che, perché si configuri un contratto di affitto è necessario non solo che il contratto abbia ad oggetto una cosa produttiva, ma anche che la disponibilità del bene sia concessa al fine di consentire all'affittuario la gestione produttiva dello stesso (Cass. III, n. 592/1995). La locazione può avere ad oggetto il godimento di un cespite immobiliare unito ad un complesso di accessori o pertinenze, che in talune ipotesi, non influisce sulla natura locativa del contratto, ed in altre ipotesi, invece può determinare il sorgere di una locazione immobiliare oppure di un affitto di azienda. L'individuazione del criterio distintivo della locazione di un bene immobile con accessori o pertinenze dall'affitto di azienda consente di individuare la disciplina giuridica applicabile, ed a tale fine, occorre interpretare da un lato, la comune intenzione delle parti, e, dall'altro, l'oggettiva consistenza dei beni dedotti in contratto atteso che nella locazione l'immobile costituisce l'oggetto principale della pattuizione, mentre, nell'affitto di azienda, l'immobile è considerato come un bene che unitamente ad altri compone l'azienda. In ogni caso, l'attuale formulazione della disposizione in commento accoglie una nozione “globale” di “controversie in materia di locazione” (Di Marzio, Di Mauro, 1101). In base ad un orientamento emerso nella giurisprudenza di legittimità, nell'ampia nozione di cause relative a rapporti di locazione di immobili urbani, soggette al rito speciale di cui all'art. 447-bis c.p.c., sono da ricomprendere tutte le controversie comunque riferibili ad un contratto di locazione, che attengano, cioè, non solo alla sua esistenza, validità ed efficacia, ma altresì a tutte le altre possibili sue vicende, e, segnatamente, a quelle che involgano l'adempimento delle obbligazioni derivanti dal rapporto in base alla disciplina codicistica od a quella di settore della legislazione speciale, ed in primis, all'obbligazione di pagamento del canone (Cass. III, n. 10070/2001; Cass. III, n. 8114/2013, in cui premessa la qualificazione della natura della controversia dipendente sul piano processuale dal titolo invocato dall'attore a fondamento del bene richiesto, si è affermato che l'azione intrapresa per conseguire il pagamento di canoni locativi non pagati dal conduttore, rende incontestabile che la controversia verte in materia di locazione, e, come tale, soggetta al rito locatizio ex art. 447-bis c.p.c.). La nullità delle clausole derogative della competenza territorialeL'art. 447-bis, comma 2, c.p.c., sul piano della competenza territoriale, stabilisce il principio della nullità delle clausole derogative alla stessa, mentre per la relativa disciplina occorre guardare agli artt. 21 c.p.c. – il quale dispone che per le cause in materia di locazione e comodato di immobili e di affitto di aziende, è competente il giudice del luogo dove è posto l'immobile o l'azienda, con la precisazione che qualora l'immobile sia compreso in più circoscrizioni giudiziarie, è competente il giudice della circoscrizione nella quale è compresa la parte soggetta a maggior tributo verso lo Stato, mentre quando non è sottoposto a tributo, è competente ogni giudice nella cui circoscrizione si trova una parte dell'immobile – ed all'art. 661 c.p.c. laddove prevede che nei procedimenti sommari di convalida di licenza o sfratto, la citazione a comparire deve farsi inderogabilmente davanti al tribunaledel luogo in cui si trova la cosa locata. La giurisprudenza di legittimità ha chiarito la portata dell'art. 447-bis, comma 2, c.p.c., in materia di locazione, laddove prescrive la nullità delle clausole di deroga alla competenza, nel senso che essa si riferisce unicamente alla competenza territoriale, con la conseguenza che la clausola di compromissione in arbitrato di una controversia in materia locativa non è colpita dalla sanzione della nullità stabilita dalla norma citata (Cass. I, n. 21709/2015; Cass. I, n. 19393/2013). Un orientamento di merito, ritiene che i contratti di comodato, di fornitura e di affitto di azienda, in quanto inseriti in una più ampia operazione commerciale attuata attraverso contratti collegati di natura complessa, non rientrano nella previsione dell'art. 21 c.p.c. e dell'art. 447-bis, comma 1, c.p.c.,, e, sono soggetti alle disposizioni ordinarie sulla competenza territoriale, comprese quelle derivanti da deroga convenzionale (Trib. Roma 29 marzo 2019). In base ad un orientamento di legittimità, la competenza per territorio prevista dall'art. 21 c.p.c. nelle cause in materia di affitto di azienda è da ritenere una competenza inderogabile ai sensi dell'art. 28 c.p.c., che trova il proprio fondamento nell'art. 447-bis c.p.c., che sancisce la nullità delle clausole derogative della competenza nelle cause ivi previste (Cass. VI, n. 12371/2016; Cass. III, n. 15110/2007; Cass. III, n. 4873/2005). Gli artt. 21 e 447-bis c.p.c., nell'assegnare inderogabilmente la competenza territoriale al giudice del luogo in cui si trova l'immobile, fa espresso riferimento, fra l'altro, alle “cause in materia di locazione”, ed in tale formula, certamente più ampia rispetto al termine “rapporto”, devono allora ritenersi comprese tutte le controversie comunque collegate alla materia della locazione, e, quindi, anche quelle nelle quali si controverte in ordine ad un rapporto ancora da costituire ma di cui si invoca la costituzione in forma specifica ai sensi dell'art. 2932 c.c. sulla base di un contratto preliminare (Cass. I, n. 581/2003). L'opposizione a decreto ingiuntivo riguardante l'inadempimento da parte del conduttore di una delle prestazioni che il contratto di locazione pone a suo carico, ovvero quella di provvedere al pagamento degli oneri condominiali è soggetta al rito locatizio (Cass. VI, n. 27343/2016). La giurisprudenza, al riguardo, ha affermato che il merito della causa va individuato proprio nella qualificazione del rapporto, atteso che se trattasi di locazione, rientra nella competenza per materia del giudice adito, se invece trattasi di un rapporto diverso, allora è escluso dalla competenza del giudice delle locazioni, essendo una questione di merito che va decisa dal giudice competente sulla base del tipo di rapporto invocato nella domanda (Cass. III, n. 2368/2000). La controversia instaurata per il rilascio di un fondo rustico concesso in comodato è di competenza del giudice ordinario e non della sezione specializzata agraria, poiché il comodato non può essere qualificato come contratto agrario, anche se ha ad oggetto un fondo rustico, essendo inidoneo per la sua natura essenzialmente precaria, a realizzare la funzione tipica dei contratti agrari di consentire con carattere di stabilità la costituzione di una impresa agraria su fondi altrui, la cui causa, è estranea al comodato, anche nel caso in cui, trattandosi di comodato modale avente per oggetto una cosa produttiva, il comodatario non si limiti ad una semplice attività di custodia, ma svolga un'attività di gestione (Cass. II, n. 2861/2016; Cass. III, n. 21389/2005; Cass. III, n. 10273/1995). Infatti, perché, in presenza di una domanda di rilascio di fondo rustico concesso in comodato, la competenza del tribunale venga meno, in favore di quella della sezione specializzata agraria, è indispensabile non tanto che il convenuto si opponga alla domanda, quanto che lo stesso chieda, in via riconvenzionale – con una eccezione o una domanda – un accertamento, riservato al giudice specializzato (Cass. III, n. 11635/1997). In dottrina, si è osservato che la situazione sostanziale dedotta in giudizio va esaminata sulla scorta della domanda proposta dall'attore, e, che di conseguenza, al fine di statuire sul rito applicabile, il giudice deve esaminarla scendendo nel merito della questione dedotta (Luiso, 26). Vi sono poi delle situazioni che potrebbero definirsi borderline, come quella in cui il contratto può essere stato stipulato in forma orale anziché scritta da un ente pubblico, nella quale ipotesi, la giurisprudenza ha ritenuto che in assenza della forma scritta, richiesta per tutti i contratti in cui sia parte una pubblica amministrazione, il rapporto di locazione deve considerarsi nullo e la detenzione dell'immobile sine titulo (Cass. III, n. 9137/2013; Trib. Napoli 2 ottobre 2017). Il contratto di comodato gratuito non rientra tra quelli per i quali è richiesta la forma scritta ad substantiam ai sensi dell'art. 1350 c.c., per cui il rapporto acquista consistenza giuridica anche mediante una stipulazione in forma orale, che legittima l'esperimento del rito locatizio ex art. 447-bis c.p.c. per la risoluzione delle controversie che lo riguardano (Trib. Lamezia Terme, 12 ottobre 2011). Quanto alla figura del c.d. “precario immobiliare oneroso” inteso come concessione in godimento ad altri di un bene immobile mediante corrispettivo per una durata precaria e per un fine di custodia, e, che quindi si distingue dal comodato anche precario di cui all'art. 1810 c.c. per la presenza di un corrispettivo, e dalla locazione per la possibilità riconosciuta al concedente di fare cessare in qualsiasi momento il godimento, la giurisprudenza di legittimità ritiene che allorquando la situazione di fatto denoti unicamente il fine diretto dello sfruttamento economico da parte del concessionario da conseguirsi in unità di tempo, pure esigue, che consentano in linea pratica la realizzazione dell'uso cui l'immobile è stato pattiziamente destinato, il rapporto dev'essere ricondotto negli schemi giuridici della locazione (Cass. III, n. 6146/1986; Cass. III, n. 392/1986, in cui si precisa che l'elemento della maggiore o minore durata non ha rilevanza al fine della qualificazione del contratto come precario immobiliare oneroso anziché come locazione, perché a tale fine determinante deve invece ritenersi la pattuizione di un'aleatorietà della durata nel senso che questa sia convenzionalmente condizionata all'arbitrio del concedente che ad nutum possa determinare la cessazione del rapporto, perché il contratto possa qualificarsi come precario oneroso, mentre sussiste per contro un contratto di locazione se contro il pagamento del compenso pattuito venga concesso il diritto di godimento dell'immobile per un determinato periodo di tempo). La dottrina non appare compatta nel ritenere che la controversia riguardante il precario immobiliare oneroso, trattandosi di una figura contrattuale con una causa atipica diversa tanto dalla locazione quanto dal comodato, anche precario, essendo sostanzialmente finalizzata alla custodia della res, debba ritenersi assoggettata al rito ordinario di cognizione (Carrato, 413; Masoni, 59; Sinisi, Troncone, 7; contra, Montesano, Arieta 2002, 402). La sospensione feriale dei terminiIn materia di locazione, la sospensione feriale dei termini non si applica ai soli procedimenti di convalida di licenza per finita locazione o di sfratto, in relazione alla fase sommaria – la quale si conclude con la pronuncia dell'ordinanza di convalida o col diniego della stessa, e presenta, per sua natura, carattere di urgenza, mentre trova applicazione, per la successiva fase a rito ordinario, salvo che l'urgenza venga dichiarata con apposito provvedimento del giudice – di cui all'art. 92 r.d. n. 12/1941, come richiamato dall'art. 3 della l. n. 742/1969, che si riferisce alle controversie individuali di lavoro, e, non a tutte le controversie che sono regolate dal rito del lavoro, facendo tale norma richiamo alla natura della causa e non al rito da cui essa è disciplinata (Cass. VI, n. 23193/2015; Cass. III, n. 1423/2011; Cass. III, n. 12979/2010; Cass. III, n. 977/2000; Cass. III, n. 4195/1997). Recentemente, sulla quaestio sono intervenute le Sezioni unite (Cass. S.U., n. 927/2022) confermando l’orientamento emerso nella costante giurisprudenza di legittimità, affermando che la sospensione del decorso dei termini processuali ai sensi dell'art. 1 della l. 7 ottobre 1969, n. 742, trova applicazione nelle controversie in materia di locazione di immobili urbani ex art. 447 bis c.p.c., atteso che la deroga stabilita dall'art. 3 della stessa l. n. 742 del 1969 per le controversie previste dall'art. 429 (poi 409) c.p.c. concerne le controversie individuali di lavoro, individuate in base alla natura della causa, e non invece quelle che sono comunque disciplinate dal rito del lavoro (tra le tante, Cass. VI, n. 23193/2015; Cass. III, n. 28291/2011; Cass.III, n.12979/2010; Cass. III, n. 11607/2010; Cass. III, n. 9022/2005; Cass. III, n.12028/2000; Cass. III, n. 3732/2000). Infatti, quando il provvedimento di rilascio viene emanato, non sussiste più il prevedibile pregiudizio che qualifica come urgente il procedimento instaurato dall'intimante e che giustifica la trattazione della causa eccezionalmente anche nel periodo feriale; mentre se detto provvedimento viene negato dal giudice – anche per implicito, come nel caso proceda direttamente alla trattazione del merito – e si passa al rito ordinario, l'urgenza supposta dal legislatore viene per ciò stesso a rimanere esclusa. In entrambi i casi, da una situazione particolarmente qualificata si passa a quella di generica urgenza che informa tutti i procedimenti di cognizione ordinaria. La disciplina processualeIl richiamo specifico operato dall'art. 447-bis c.p.c. alle norme disciplinati il rito del lavoro comporta che anche alle controversie locatizie si applicano le stesse modalità di introduzione della domanda, di costituzione dell'attore e del convenuto, anche per quanto concerne l'eventuale proposizione di domanda riconvenzionale e di successiva reconventio reconventionis da parte dell'attore, di intervento del terzo o di chiamata in causa di quest'ultimo, e del regime di preclusione e decadenza nell'attività difensiva di tipo istruttorio, fino all'udienza di discussione della causa. Il processo locatizio si differenzia da quello lavoristico per il differente potere del giudice nel disporre dei mezzi di prova, atteso che l'art. 447-bis, comma 2, c.p.c. richiama soltanto parzialmente l'art. 421 c.p.c. escludendo la parte in cui quest'ultima disposizione normativa consente al giudice del lavoro di ammettere anche d'ufficio in qualsiasi momento l'ammissione di ogni mezzo di prova, anche fuori dei limiti stabiliti dal codice civile. Ciò comporta, che nelle controversie locatizie i poteri d'indagine del giudice trovano ampio spazio nel rispetto dei limiti del codice civile, per cui, a differenza di quanto può accadere dinanzi al giudice del lavoro, non è ammissibile la prova testimoniale oltre i limiti sanciti dall'art. 2721 c.c. e dall'art. 1417 c.c., nè possono essere sottoposte ad interrogatorio libero le persone incapaci a testimoniare ex art. 246 c.p.c. Inoltre, si ritengono inapplicabili, in quanto non richiamate, le disposizioni dell'art. 423, commi 2 e 4, c.p.c. le quali, attribuiscono al giudice la facoltà di ordinare, su istanza del lavoratore, il pagamento di una provvisionale, nella misura del quantum per il quale sia già stata raggiunta la prova. Ai sensi dell'art. 447-bis, comma 3, c.p.c. il giudice può disporre d'ufficio, in qualsiasi momento, l'ispezione della cosa e l'ammissione di ogni mezzo di prova, ad eccezione del giuramento decisorio, nonché la richiesta di informazioni, sia scritte che orali, alle associazioni di categoria indicate dalle parti, diversamente da quanto accade nel processo dinanzi al giudice del lavoro atteso che l'art. 421, comma 3, c.p.c. in cui è necessaria l'istanza di parte per disporre l'accesso sul luogo di lavoro. La dottrina (Tarzia, Danovi, 84) ha evidenziato la necessità che quando il giudice si avvalga nel processo locatizio della facoltà prevista dall'art. 447-bis, comma 3, c.p.c. deve consentire alle parti la possibilità di dedurre i mezzi di prova pertinenti a quelli ammessi, applicando per analogia quanto disposto nel processo del lavoro dagli artt. 420, comma 6 e 7, c.p.c. e 421, comma 2, c.p.c. Non è previsto il richiamo all'art. 423, commi 2 e 4, c.p.c. riferito all'ordinanza provvisionale trattandosi di istituto pertinente alla posizione del lavoratore, trovando invece applicazione l'ordinanza ex art. 186-bis c.p.c. relativa al pagamento delle somme non contestate, stante il richiamo dell'art. 423, comma 1, c.p.c. e, secondo l'orientamento emerso in una parte della dottrina, dell'ordinanza ex art. 186-ter c.p.c. (Giussani, 539; Trisorio Liuzzi, 2005, 182; contra, Verde, 420), concernente l'istanza di ingiunzione, non invece l'ordinanza ex art. 186-quater c.p.c. (Trisorio Liuzzi, 2005, 185). L'art. 447-bis c.p.c. richiama l'art. 429, commi 1 e 2 c.p.c. per la pronuncia della sentenza, per cui, così come accade nel processo del lavoro, all'udienza, il giudice, esaurita la discussione orale e udite le conclusioni delle parti, pronuncia sentenza con cui definisce il giudizio dando lettura del dispositivo e della esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione. In caso di particolare complessità della controversia, il giudice fissa nel dispositivo un termine – ordinatorio poiché i termini processuali perentori sono soltanto quelli indicati tali dalla norma di riferimento – non superiore a sessanta giorni, per il deposito della sentenza. Il giudice ha la facoltà, ove lo ritenga necessario, e sempre su richiesta delle parti, di concedere alle stesse un termine non superiore a dieci giorni per il deposito di note difensive, rinviando la causa all'udienza immediatamente successiva alla scadenza del termine suddetto, per la discussione e la pronuncia della sentenza. L'art. 447-bis c.p.c. non richiama l'art. 429, comma 3, c.p.c. per quanto attiene alla rivalutazione del credito di lavoro, evidentemente non applicabile nelle controversie locatizie, così come l'art. 432 c.p.c. sulla valutazione equitativa delle prestazioni. Le conseguenze derivanti dalla scelta del rito diverso da quello locatizio nella più recente giurisprudenza di legittimità Le Sezioni unite si sono recentemente espresse sulla natura dell'atto di opposizione a decreto ingiuntivo e le conseguenze derivanti dalla scelta della forma dell'atto di opposizione diversa da quella prevista dal rito applicabile. La quaestio juris esaminata dai giudici di legittimità nasce dall'atto di citazione con il quale viene proposta opposizione al decreto ingiuntivo avente ad oggetto il pagamento di somme per l'indennità di occupazione e oneri accessori inerenti alla locazione di un'immobile. Disposto il passaggio dal rito ordinario al rito speciale, il Tribunale quale giudice di prime cure, dichiara inammissibile l'opposizione perché tardiva rispetto al termine stabilito dall'art. 641, comma 1, c.p.c., avendo riguardo alla data del deposito in cancelleria dell'atto di citazione erroneamente adoperato dall'opponente, in quanto il decreto ingiuntivo intimato concerneva una controversia in materia di locazione, ai sensi dell'art. 447 bis c.p.c. La sentenza resa in grado d'appello viene quindi gravata da ricorso per cassazione, in relazione al quale, rilevato che la questione di diritto non è stata decisa in senso univoco da precedenti pronunce quanto alla natura dell'atto rilevante ai fini dell'impugnazione o dell'instaurazione di un'ordinario giudizio di cognizione nel procedimento per opposizione a decreto ingiuntivo, incidente anche sull'operatività del mutamento del rito ai sensi dell'art. 4 del d.lgs. n. 150/2011, con ordinanza interlocutoria (Cass. III, n. 13556/2021) la terza sezione civile della Corte di legittimità rimette gli atti al Primo Presidente affinchè valuti l'assegnazione alle sezioni unite. La citata ordinanza interlocutoria ricorda che la giurisprudenza formatasi in seno alle sezioni unite (Cass. S.U., n. 10984/1992; Cass. S.U., n. 10985/1992; Cass. S.U., n. 9769/2001) ha sostenuto l'assimilabilità del giudizio di opposizione a quello di impugnazione. La questione, controversa anche in dottrina, inerente alla qualificazione del procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo quale giudizio o grado autonomo, o quale semplice fase eventuale del giudizio ordinario già pendente, da rimeditare altresì alla luce del principio del giusto processo, è altresì rilevante ai fini dell'applicabilità dell'art. 4 del d. Igs. n. 150/2011, il quale si riferisce espressamente alla controversia che "viene promossa" in forme diverse da quelle previste dal medesimo decreto. Le Sezioni Unite, in pronunce anche più recenti di quelle menzionate nell'ordinanza interlocutoria, hanno avuto occasione di soffermarsi sulla natura del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, costantemente negando che esso dia vita ad un procedimento di impugnazione (Cass., n. 19596/2020; Cass., n. 14475/2015; Cass., n. 19246/2010; Cass., n. 20604/2008). In tale contesto, le Sezioni unite ribadiscono il principio secondo cui l'art. 4 d.lgs. n. 150/2011 non opera nelle ipotesi di mutamento dal rito ordinario al rito speciale delle controversie di lavoro, o viceversa, restando tali fattispecie tuttora regolate dagli artt. 426 e 427 c.p.c. Come infatti si evince dalla recente pronuncia di legittimità, ciò è dato intendere anche dall'art. 2 del d.lgs. n. 150/2011, che, per le controversie assoggettate al rito del lavoro dal Capo II del decreto legislativo, stabilisce espressamente l'inapplicabilità, fra gli altri, degli artt. 426,427 e 439 c.p.c. Ciò premesso, in relazione all'opposizione a decreto ingiuntivo per crediti relativi ad un rapporto di locazione di immobili urbani - e perciò disciplinata dall'art. 447 bis c.p.c. - che sia proposta con atto di citazione notificato alla controparte, anziché con ricorso depositato nella cancelleria, emerge piuttosto, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, la necessità di procedere alla conversione dell'atto introduttivo secondo il criterio di cui all'art. 156, comma 3, c.p.c., potendosi, cioè, ritenere tempestiva l'opposizione, nonostante l'errore sulla forma dell'atto, qualora sia avvenuta entro il termine stabilito dall'art. 641 c.p.c. l'iscrizione a ruolo mediante deposito in cancelleria della citazione, non essendo invece sufficiente che, entro tale data, la stessa sia stata notificata alla controparte. Secondo tale orientamento, l'errore sulla forma dell'atto introduttivo, come atto di citazione o come ricorso, ai fini del prodursi degli effetti sostanziali e processuali della domanda (inteso quale errore sul singolo atto, isolatamente considerato, e non già quale "errore sul rito"), se non comporta ex se una nullità comminata dalla legge, va comunque valutato alla luce dei requisiti indispensabili che l'atto deve avere per raggiungere il suo scopo (art. 156, secondo comma, c.p.c.). Essendo in gioco la valutazione della tempestività di un atto introduttivo di un processo al fine di impedire una decadenza, non rileva la manifestazione di volontà sostanziale ad esso sotteso, quanto la sua idoneità ad instaurare un valido rapporto processuale diretto ad ottenere l'intervento del giudice ai fini di una pronuncia nel merito. Per Le Sezioni unite la pendenza del giudizio, quale momento idoneo ad impedire una decadenza, anche in nome delle esigenze di instaurazione del contraddittorio con la controparte, finisce così per correlarsi al compimento dell'atto che rappresenta ex ante il corretto esercizio del diritto di azione nella sua tipica forma legalmente precostituita, oppure al verificarsi del medesimo effetto altrimenti prodotto ex post dall'atto difforme dal modello legale, allorché la fattispecie possa dirsi successivamente integrata dagli elementi necessari alla sua funzione tipica. Questo precedente indirizzo interpretativo sul funzionamento della conversione nelle ipotesi di introduzione del processo secondo un modello formale errato, già ribadito in occasione di recenti interventi delle Sezioni unite (Cass. S.U., n. 23675/2014; Cass. S.U., n. 13620/2012), viene quindi confermato con l'affermazione del principio di diritto secondo cui allorché l'opposizione a decreto ingiuntivo concesso in materia di locazione di immobili urbani, soggetta al rito speciale di cui all'art. 447 bis c.p.c., sia erroneamente proposta con atto di citazione, anziché con ricorso, non opera la disciplina di mutamento del rito di cui all'art. 4 del d.lgs. n. 150/2011 - che è applicabile quando una controversia viene promossa in forme diverse da quelle previste dai modelli regolati dal medesimo decreto legislativo n. 150/2011 - producendo l'atto gli effetti del ricorso, in virtù del principio di conversione, se comunque venga depositato in cancelleria entro il termine di cui all'art. 641 c.p.c. (Cass. S.U., n.927/2022). Il pregio della pronuncia delle Sezioni unite resa nel gennaio 2022 è quindi riassumibile nell'avere stabilito un'ordine tra le precedenti interpretazioni dell'attuale quadro normativo sia dalla citata giurisprudenza di legittimità sia dalla giurisprudenza di merito (da ultimo Trib . Roma 7 luglio 2021, secondo cui, qualora la causa sia stata introdotta erroneamente con atto di citazione, anziché con ricorso, con specifico riguardo all'opposizione a decreto ingiuntivo, il giudizio deve ritenersi validamente instaurato allorquando l'atto di citazione sia stato depositato in cancelleria entro il termine perentorio previsto dall'art. 641 c.p.c.), a seguito dell'opera di sintesi svolta dall'ordinanza interlocutoria di rimessione (Su tale punto, v. AMENDOLAGINE, 1586 e ss.), e delle precedenti indicazioni formatesi in dottrina, fissando un “paletto” per così dire definitivo – almeno per ora – sul piano dell'esegesi di cui occorrerà tenere conto nell'applicazione delle disposizioni da cui dipende la valutazione della tempestività dell'atto di opposizione a decreto ingiuntivo proposto in materia locatizia, non senza ricordare proprio con riferimento a quest'ultimo, che, si tratta di un'atto che, non essendo riassumibile, l'errore commesso nell'iniziale impostazione del giudizio attraverso una forma sbagliata dell'atto introduttivo – atto di citazione anziché ricorso in opposizione – potrebbe costare assai caro alla stessa parte in corsa in detto errore, laddove non risulti “emendato” dalla tempestiva iscrizione a ruolo della causa nel termine previsto ex lege. L'opposizione a decreto ingiuntivo non avvia una nuova controversia, non introduce un giudizio autonomo ma apre solo una nuova fase di un giudizio già avviato in sede monitoria, ragione per cui la tardività nella costituzione dell'opponente, che nelle cause governate dal rito locatizio è segnata dal deposito del ricorso ovvero dall'iscrizione a ruolo dell'atto di citazione nel rispetto del termine previsto ex lege, comporterebbe infatti l'inammissibilità dell'opposizione a decreto ingiuntivo, e, con essa, la definitiva perdita del diritto dell'opponente nel fare valere le proprie ragioni, per effetto dell'irrevocabilità del decreto ingiuntivo. Va tuttavia ricordato quanto enunciato in precedenza da Cass. VI, in. 70971/2019 che nel pervenire alle medesime conclusioni delle Sezioni unite nel 2022, circa le conseguenze dell'opposizione a decreto ingiuntivo in materia di controversie locatizie che sia erroneamente proposta con citazione, la quale deve ritenersi tempestiva se entro il termine di cui all'art. 641 c.p.c. avvenga l'iscrizione a ruolo mediante deposito in cancelleria dell'atto di citazione, non potendo trovare applicazione l'art. 4 del d.lgs. n. 150 del 2011, il quale concerne i giudizi di primo grado erroneamente introdotti in forme diverse da quelle prescritte da tale decreto legislativo, ribadendo però la natura impugnatoria del giudizio di opposizione, confermata dalla persistenza del decreto dopo l'opposizione e dalla previsione di meccanismi di possibile definizione del giudizio tipici delle impugnazioni, quali il consolidamento del provvedimento impugnato in caso di inattività dell'opponente o di estinzione del giudizio. A dirimere definitivamente ogni questione legittimamente sollevata in dottrina e giurisprudenza sulla natura dell'atto di opposizione a decreto ingiuntivo, sarebbe quindi auspicabile un'intervento chiarificatore del legislatore che ne definisca compiutamente la sottostante ratio. In particolare si è affermato che nell'ipotesi di opposizione a decreto ingiuntivo concesso in materia di locazione di immobili urbani, soggetta al rito speciale di cui all'art. 447 bis c.p.c., erroneamente proposta con citazione, anziché con ricorso, non opera la disciplina di mutamento del rito di cui all'art. 4 del d.lgs. n. 150/2011 – che è applicabile quando una controversia viene promossa in forme diverse da quelle previste dai modelli regolati dal medesimo decreto – producendo l'atto gli effetti del ricorso, in virtù del principio di conversione, se comunque venga depositato in cancelleria entro il termine di cui all'art. 641 c.p.c. (Cass. III, n. 5541/2024). La sospensione dell'efficacia esecutiva o dell'esecuzione della sentenza di primo gradoL'art. 447-bis, comma 4 c.p.c. enuncia che le sentenze di condanna di primo grado sono provvisoriamente esecutive, così come prevede l'art. 282 c.p.c. per le pronunce emesse nel rito ordinario di cognizione, ed all'esecuzione si può procedere con la sola copia del dispositivo in pendenza del termine per il deposito della sentenza, così come del resto dispone l'art. 431, comma 2, c.p.c. nel processo dinanzi al giudice del lavoro. Il giudice d'appello può disporre con ordinanza non impugnabile che l'efficacia esecutiva o l'esecuzione siano sospese, quando dalle stesse possa derivare all'altra parte un gravissimo danno, in ciò, differenziandosi dall'analoga misura – non richiamata nel processo locatizio – ma prevista nel processo dinanzi al giudice del lavoro, dall'art. 431, comma 3, c.p.c., che prevede soltanto la sospensione dell'esecuzione non anche dell'efficacia esecutiva del titolo giudiziale. In realtà, come acutamente osservato in dottrina (Mandrioli, Carratta, 271; Montesano, Vaccarella, 320; Proto Pisani, 108), il riferimento contenuto nell'art. 431, comma 3, c.p.c. alla sospensione dell'esecuzione deve essere inteso come comprensivo anche dell'efficacia esecutiva del titolo giudiziale, la cui inibitoria può essere disposta soltanto dal giudice d'appello in caso di gravame con riserva dei motivi. Va anche detto però che ogni qualvolta il legislatore ha inteso considerare la possibilità di sospendere sia l'efficacia esecutiva sia l'esecuzione della pronuncia di primo grado lo ha sempre enunciato espressamente, come si evince nel processo ordinario di cognizione dal disposto dell'art. 283, comma 1, c.p.c., laddove è detto chiaramente che quando sussistono gravi e fondati motivi, anche in relazione alla possibilità di insolvenza di una delle parti, il giudice sospende in tutto od in parte l'efficacia esecutiva o l'esecuzione della sentenza impugnata, o, nel caso dell'art. 447-bis, comma 4, c.p.c. per le controversie locatizie, in cui, altrettanto chiaramente, si afferma che il giudice d'appello può disporre con ordinanza non impugnabile che l'efficacia esecutiva o l'esecuzione siano sospese. La precisazione contenuta nell'art. 447-bis, comma 4, c.p.c. riferita alla sospensione dell'efficacia esecutiva o dell'esecuzione del titolo giudiziale ripropone – quanto ai requisiti – l'allegazione del “gravissimo danno” che potrebbe derivare alla controparte – formula quest'ultima diversa da quella adoperata nell'art. 283, comma 1, c.p.c. in cui si fa invece riferimento ai “gravi e fondati motivi”, anche in relazione alla possibilità di insolvenza di una delle parti – usando la stessa formula dell'art. 431, comma 3, c.p.c. di maggiore protezione per gli interessi del lavoratore-creditore della prestazione pecuniaria, sotto tale aspetto, parificando la tutela concessa al credito vantato dal lavoratore nel processo del lavoro alla tutela del credito vantato dal locatore o conduttore nel processo locatizio. Inoltre, l'art. 447-bis, comma 4, c.p.c. sotto tale aspetto, sembra non fare alcuna differenza tra le posizioni del locatore e quella del conduttore, diversamente da quanto accade invece nel processo del lavoro con l'art. 431 c.p.c., che differenzia la tutela delle ragioni di credito, graduandola, a seconda se ad agire in executivis è il lavoratore ex art. 431, comma 3, c.p.c., a favore del quale, la suddetta norma fa gravare sulla controparte l'onere di allegare l'esistenza del gravissimo danno che riceverebbe dall'esecuzione – od il datore di lavoro ex art. 431, comma 6, c.p.c., nella cui ipotesi, per conseguire la sospensione della sentenza è sufficiente che la controparte alleghi l'esistenza di “gravi motivi”, formula quest'ultima che ricorda quella dei “gravi e fondati motivi” dell'art. 283, comma 1, c.p.c. per conseguire la sospensione dell'esecutorietà o dell'esecuzione provvisoria nell'ordinario rito di cognizione. In buona sostanza, rispetto all'analoga ipotesi contemplata dall'art. 283 c.p.c. nel rito ordinario di cognizione, il potere discrezionale riconosciuto al giudice di appello per la concessione della sospensione della provvisoria esecuzione della sentenza emessa nel giudizio di primo grado è più ristretto sia nel caso dell'appello proposto avverso la sentenza di primo grado favorevole al lavoratore ex art. 431, comma 3, c.p.c., sia della sentenza di condanna relativa a rapporti di locazione, comodato ed affitto di immobili urbani ex art. 447-bis, comma 4, c.p.c. (Cass. III, n. 4060/2005, in cui si afferma che il potere discrezionale riconosciuto al giudice d'appello nel procedimento ordinario di cognizione dagli artt. 283 e 351 c.p.c. è più ampio di quello riconosciuto al medesimo giudice con riferimento alla sentenza impugnata di primo grado favorevole al lavoratore od a quella di condanna relativa a rapporti di locazione, comodato ed affitto d'immobili urbani, per la sospensione dell'esecutività o esecuzione delle quali, è richiesta l'esistenza di un “gravissimo danno”). La locazione ultranovennale di immobili in comproprietà richiede il consenso di tutti i partecipanti alla cosa comune ai sensi dell'art. 1108 comma 3 c.c. ragione per cui al comproprietario non locatore va riconosciuto il diritto al risarcimento del danno preteso nei confronti del locatore stipulante, quando l'attività posta in essere da quest'ultimo comporti un danno risarcibile, conseguente anche per effetto della stipula di canoni di locazione irrisori rispetto all'effettivo valore locatizio dell'immobile in comproprietà espresso all'attualità dal mercato, la cui allegazione può essere data quanto al quantum a mezzo di c.t.u. espletata nel giudizio intrapreso ex art. 702 bis c.p.c. ritenuto quest'ultimo compatibile con la materia locatizia, ed essendo altresì procedibile la domanda risarcitoria nonostante l'assenza del preventivo esperimento della procedura di mediazione obbligatoria non avendo ad oggetto il contratto di locazione in sé considerato ma l'azione risarcitoria derivante dall'inosservanza della norma in tema di comunione (Trib. Benevento 14 gennaio 2022). Quid juris per la cessazione degli effetti del contratto di affitto si verifica prima della dichiarazione di fallimento? Il fatto che la cessazione degli effetti del contratto di affitto si sia verificata in epoca antecedente alla dichiarazione di fallimento dell’affittuaria non fa venire meno la sussistenza del credito della concedente per i danni da ritardata restituzione del complesso aziendale affittato nella forma dei canoni convenuti e maturati. In particolare, la protrazione della detenzione del bene da parte della curatela risulta – coma risultava per il medesimo detentore prima del fallimento, a fare data dalla risoluzione consensuale del contratto – carente di titolo giuridico e quindi, in quanto non compatibile col pieno godimento del bene medesimo da parte del proprietario, fonte di responsabilità extracontrattuale, quand'anche il verificarsi di siffatta situazione non fosse imputabile a dolo oppure a colpa del curatore ma dovesse considerarsi dipendente da necessità contingenti o da prevalenti interessi della massa. Conseguentemente, il credito risarcitorio del concedente va posto a carico del fallimento e rientra nel novero di quelli di cui all'art. 111, n. 1, l.fall., la cui applicazione deve intendersi non già circoscritta agli effetti dell'attività negoziale della curatela, bensì estesa alle situazioni obbligatorie che di tale connotazione negoziale sono carenti, quali i fatti illeciti riferibili alla curatela stessa e, più in generale, ogni altro atto o fatto idoneo a dare vita ad una obbligazione in conformità all'ordinamento giuridico, purché si pongano in connessione di dipendenza causale dalla procedura concorsuale (Cass. I, 7 giugno 2022, n. 18289).
BibliografiaAcone, Commento sub Art. 8 c.p.c., in Tarzia, Cipriani (a cura di), Provvedimenti urgenti per il processo civile, Padova, 1992; Amendolagine, L’atto di opposizione a decreto ingiuntivo ha natura impugnatoria? in Corr. giur., 2021, 1586 e ss.; Andrioli, Barone, Pezzano, Proto Pisani, Le controversie in materia di lavoro, Bologna-Roma, 1987; Arieta, in Montesano, Arieta (a cura di), Il nuovo processo civile. Legge 353 del 1990, Napoli, 1991; Balena, La riforma del processo di cognizione, Napoli, 1994; Carrato, Le locazioni e il processo, in Carrato, Scarpa (a cura di), Milano, 2005; Consolo, Codice di procedura civile commentario, diretto da Consolo, tomo III, Milano, 2018; Costantino, Commento all'art. 70 l. 26 novembre 1990, n. 353, (art. 447-bis “Norme applicabili alle controversie in materia di locazione, di comodato e di affitto”), in Provvedimenti urgenti per il processo civile Legge 26 novembre 1990, n. 353, come modificata dalla l. 21 novembre 1991, n. 374 (a cura di Cipriani e Tarzia), Padova, 1992; De Angelis, in Carpi, Taruffo (a cura di) Commentario breve al codice di procedura civile, Milano, Padova, 2018; Denti, Simoneschi, Il nuovo processo del lavoro, Milano, 1974; Di Marzio, Codice di procedura civile commentato, Milano, 2020; Di Marzio, Di Mauro, Il processo locatizio. Dalla formazione all'esecuzione del titolo, Milano, 2011; Fabbrini, Diritto processuale del lavoro, Milano, 1975; Fazzalari, Appunti sul diritto del lavoro, in Giur. it., 1974, IV; Frasca, Il rito delle locazioni, in Rass. loc., 2001; Giancotti, Commento all'art. 70 l. n. 353/1990, in Chiarloni (a cura di), Le riforme del processo civile, Bologna, 1992; Giussani, Il rito delle locazioni, in Taruffo (a cura di), Le riforme della giustizia civile, Torino, 2000; Lazzaro, Questioni in materia locatizia, in Lazzaro, Guerrieri, D'Avino, L'esordio del nuovo processo civile, Milano, 1997; Luiso, Il processo del lavoro, Torino, 1992; Mandrioli, Diritto processuale civile, tomi I, II, III, Torino, 2000; Mandrioli, Carratta, Diritto processuale civile, III, Torino, 2017; Masoni, Le locazioni, II, Il processo (a cura di) Grasselli, Masoni, Padova, 2007; Monteleone, Diritto processuale civile, Padova, 2000; Montesano, Vaccarella, Manuale di diritto processuale del lavoro, Napoli, 1996; Montesano, Arieta, Diritto processuale del lavoro, Napoli, 1996; Montesano, Arieta, Trattato di diritto processuale civile, II, 1, Padova, 2002; Perone, Il nuovo processo del lavoro, Padova, 1975; Picardi, Codice di procedura civile (a cura di), tomo I, artt. 1-473, Milano, 2008; Proto Pisani, La nuova disciplina del processo civile, Napoli, 1991; Proto Pisani, Controversie individuali di lavoro, Torino, 1993; Sinisi, Troncone, Diritto processuale delle locazioni, Napoli, 2006; Satta, Punzi, Diritto processuale civile, Padova, 2000; Socci, in Sandulli, Socci (a cura di) Il processo del lavoro, Milano, 2000; Tarzia, Manuale del processo del lavoro, Milano, 1987; Tarzia, Danovi, Lineamenti del processo civile di cognizione, Milano, 2014; Tarzia, Dittrich, Manuale del processo del lavoro, Milano, 2015; Tedioli, Commento agli artt. 438-441 e 447-bis c.p.c., in Zaccaria (a cura di), Commentario breve alla disciplina delle locazioni immobiliari, Padova, 2017; Tesoriere, Diritto processuale del lavoro, Padova, 2004; Trisorio Liuzzi, Procedimenti in materia di locazione, in Dig. disc. civ., XIV, Torino, 1997; Trisorio Liuzzi, Tutela giurisdizionale delle locazioni in Tratt. dir. civ. notariato, Napoli, 2005; Verde, Diritto processuale civile, Bologna, 2017; Verde, Olivieri, Processo del lavoro, in Enc. dir., Milano, 1987; Verde, Di Nanni, Codice di procedura civile, Torino, 1993; Vocino, Verde, Appunti sul processo del lavoro, Napoli, 1989; Vullo, Il nuovo processo del lavoro, Bologna, 2015. |