Codice di Procedura Civile art. 667 - Mutamento del rito (1).

Vito Amendolagine

Mutamento del rito (1).

[I]. Pronunciati i provvedimenti previsti dagli articoli 665 e 666, il giudizio prosegue nelle forme del rito speciale, previa ordinanza di mutamento di rito ai sensi dell'articolo 426.

(1) Articolo così sostituito dall'art. 73 l. 26 novembre 1990, n. 353.

Inquadramento

L'art. 667 c.p.c. dispone che pronunciati i provvedimenti previsti dagli artt. 665 e 666 c.p.c., il giudizio prosegue nelle forme del rito speciale, previa ordinanza di mutamento di rito ai sensi dell'art. 426 c.p.c.

Il mutamento del rito va disposto quando non è possibile procedere alla convalida dell’intimato sfratto a causa dell’introduzione – da parte del conduttore – di questioni giuridicamente apprezzabili incompatibili con la decisione sulla convalida introdotta con l’intimazione, come nel caso in cui il conduttore contesti l’esistenza del proprio inadempimento non essendo imputabile ad un’attività riconducibile al medesimo e conseguentemente, la ex adverso dedotta morosità. Detta situazione – comportante la necessità di disporre il mutamento del rito – può crearsi per effetto dell’eccepita esistenza di un fatto riconducibile ad impossibilia nemo tenetur, riguardante la forzata chiusura del locale commerciale condotto in locazione per effetto di un provvedimento emesso dall’autorità sanitaria nel periodo di pandemia da coronavirus decretante la chiusura temporanea di ogni attività commerciale non essenziale comportante contatti diretti con il pubblico.

In tale ipotesi, la dichiarazione del locatore di volersi valere della clausola risolutiva espressa contenuta nel contratto di locazione è paralizzata dall'eccezione di inadempimento del conduttore, la cui fondatezza deve essere vagliata preliminarmente impedendo la convalida nella fase sommaria atteso che la normativa emergenziale dettata dal legislatore per contenere la pandemia in corso, rileva sotto un duplice profilo: quale causa di impossibilità parziale e temporanea della prestazione del locatore, che legittima, per un verso, l'eccezione di inadempimento sollevata dalla parte conduttrice, giustificandone la temporanea sospensione del pagamento, nonché la richiesta di riduzione del canone – in quanto l'eccezione di inadempimento può essere fatta valere anche nel caso in cui il mancato adempimento dipenda dalla sopravvenuta relativa impossibilità della prestazione per causa non imputabile al debitore – e quale causa di esenzione da responsabilità per il ritardo (Trib. Milano 7 febbraio 2022).

In dottrina, si è evidenziato che la pronuncia dei provvedimenti previsti a chiusura della fase sommaria ex art. 665 e 666 c.p.c. non incide sulla conversione del processo sommario in processo a cognizione piena (Luiso, 564).

Infatti, nelle more del passaggio alla cognizione ordinaria, il giudice adito nella fase sommaria, nel pronunciare l'ordinanza di mutamento del rito, concede o nega al locatore l'ordinanza ex art. 665 c.p.c. emettendo comunque l'ordinanza di mutamento del rito con l'assegnazione dei termini per il deposito di memorie integrative, il cui deposito è meramente eventuale, e quindi, facoltativo (Masoni, 494).

In dottrina (Masoni, 495), si ritiene che sebbene il dato normativo sembrerebbe deporre nel senso dell'unicità del termine, non possa escludersi la dispensa di un doppio termine per le parti al fine di garantire un migliore dispiegamento del contraddittorio in vista dell'udienza fissata ex art. 420 c.p.c.

L'ordinanza di mutamento del rito, che nel caso del procedimento per convalida di sfratto il giudice pronuncia a seguito dell'esaurimento della fase a cognizione sommaria, deve prevedere due distinti termini per il deposito di memorie difensive: entro il primo l'attore potrà proporre domande ed istanze istruttorie, mentre entro il secondo, il convenuto potrà formulare eccezioni, domande riconvenzionali ed istanze istruttorie (Pret. Venezia 23 maggio 1997).

In ordine alla scansione temporale si ritiene opportuna l'applicabilità di quella prevista dagli artt. 415 e 416 c.p.c. (Di Marzio 1998, 334; Magaraggia, 387) Altra autorevole opinione ritiene ammissibile il ricorso al suddetto criterio a condizione che la sua osservanza non sia considerata vincolante per il giudice (Masoni, 495).

La posizione non è comunque univoca a fronte di chi propende per l'unicità del termine (Carrato 2005, 687), e chi invece ritiene possa (Di Marzio 1998, 334) o debba (Frasca 1995, 2940) essere duplice.

L'ordinanza che dispone il mutamento di rito deve anche indicare la data per l'udienza ex art. 420 c.p.c. (Masoni, 494).

L'opposizione dell'intimato, comporta che il giudice non può pronunciare l'ordinanza di convalida dell'intimata licenza o sfratto, dovendo il giudizio proseguire a seguito della pronuncia dell'ordinanza di mutamento del rito, nelle forme del processo locatizio ai sensi dell'art. 447-bis c.p.c.

Pertanto, con l'ordinanza di mutamento del rito, si chiude la fase caratterizzata dalla cognizione sommaria, e si apre la fase di merito, connotata dalla cognizione piena, ma seguendo le forme proprie del rito speciale.

In dottrina, si è quindi evidenziato che per stabilire qual è il contenuto delle memorie integrative ex art. 426 c.p.c. occorre determinare preliminarmente i rapporti tra la fase sommaria e la fase a cognizione piena (Luiso, 562).

Infatti, tali memorie costituiscono gli atti preparatori alla trattazione, al fine di consentire all'intimante l'allegazione di ulteriori difese che non comportino modifica dell'oggetto del processo, ed all'intimato l'allegazione di ulteriori eccezioni o domande riconvenzionali che non possono ritenersi precluse dall'udienza di convalida nella precedente fase a cognizione sommaria (Luiso, 562).

Quando l'ordinanza sia stata pronunciata in violazione delle disposizioni che disciplinano il procedimento si è affermato che ai fini della pronuncia dell'ordinanza di convalida è necessaria non solo la sussistenza dei presupposti specificamente indicati nell'art. 663 c.p.c., ma anche la ricorrenza di quelle che sono definite condizioni generali dell'azione, tra le quali rientra la corretta evocazione in giudizio della parte intimata, dovendo ritenersi che quest'ultima proponga un'opposizione alla convalida che impedisce la pronuncia della relativa ordinanza, qualora comparendo eccepisca, non importa se fondatamente o meno, il mancato rispetto del termine di comparizione, pur senza opporre eccezioni di merito, perché con la sua eccezione deduce la mancanza di uno dei presupposti la cui ricorrenza è necessaria perché possa essere emessa l'ordinanza di convalida (Cass. III, n. 11298/2004).

Il provvedimento di trasformazione del rito delle controversie in materia di locazione, come disciplinata dalla l. n. 353/1990, in base al combinato disposto di cui agli artt. 667 e 426 c.p.c., ha effetto imperativo per tutto l'ulteriore corso del procedimento e non è suscettibile di revoca implicita (Cass. III, n. 9014/2009).

L'ordinanza che dispone il mutamento del rito ex art. 667 c.p.c. deve contenere termini differenziati per il deposito delle memorie integrative e dei documenti da parte, rispettivamente, del ricorrente e del resistente nonché l'indicazione dell'udienza di discussione ex art. 420 c.p.c. al fine di consentire l'esplicazione delle attività difensive (Trisorio Liuzzi 2005, 815).

Intimato costituito personalmente e comunicazione dell'ordinanza di mutamento del rito

L'ordinanza di mutamento del rito se pronunciata in udienza si ritiene conosciuta dalle parti presenti, mentre se assunta fuori udienza, a scioglimento della riserva formulata dal giudice in udienza, il relativo provvedimento va comunicato alle parti costituite, nel domicilio eletto ovvero, nell'ipotesi in cui la parte sia comparsa personalmente dinanzi al giudice della convalida, senza l'assistenza del difensore, nella residenza dichiarata ovvero in cancelleria (Frasca 2001, 367; Masoni 2007, 496).

L'ordinanza di mutamento del rito ex art. 426 c.p.c., pronunciata all'udienza fissata per la convalida, va notificata personalmente alla parte non costituita in detta fase di giudizio con il ministero di un difensore, in quanto, pur non potendosi la medesima considerare quale contumace nel procedimento speciale di convalida in cui è sufficiente la comparizione personale dell'intimato, è tuttavia innegabile che una volta trasformato il procedimento speciale in giudizio ordinario di cognizione, sia pure disciplinato dal rito speciale ex art. 447-bis c.p.c., a seguito dell'opposizione alla convalida, si viene con ciò stesso a modificare la posizione processuale dell'intimato medesimo, nel senso cioè che se esso non è in precedenza stato in giudizio col ministero di un difensore, viene a trovarsi inevitabilmente nella situazione di chi debba essere dichiarato contumace ai sensi dell'art. 171 c.p.c. (Cass. III, n. 2144/2006).

In dottrina (Luiso, 563), si condivide la tesi secondo cui all'intimato non costituitosi nell'udienza di convalida, laddove semplicemente comparso personalmente al fine di compiere le attività consentitegli in detta fase, deve essere notificata la fissazione della prima udienza nella fase a cognizione piena disciplinata dal rito locatizio ex art. 447-bis c.p.c.

Quid juris per la parte non comparsa – neanche personalmente – e non costituitasi a mezzo di un proprio difensore?

A seguito della dichiarata illegittimità costituzionale del combinato disposto dell'art. 426 c.p.c., come modificato dall'art. 1 della l. n. 533/1973, e dell'art. 20 della stessa l. n. 533/1973 nella parte in cui non è prevista la comunicazione anche alla parte contumace dell'ordinanza che fissa l'udienza di discussione ed il termine perentorio per l'integrazione degli atti (Corte cost., n.14/1977), si ritiene che l'ordinanza che dispone il mutamento di rito ex art. 667 c.p.c. contenente le disposizioni ex art. 426 c.p.c., su ordine espresso del giudice vada comunicata anche alla parte rimasta contumace nella fase della convalida, nel luogo in cui gli è stata precedentemente notificata l'intimazione a comparire (Frasca 2001, 368), posto che altrimenti, la stessa parte contumace non ricevendo comunicazione dell'ordinanza che fissa il termine perentorio per l'integrazione degli atti, non sarebbe posta in grado di conoscere il dies a quo di decorrenza del termine stesso per valutare la loro eventuale integrazione.

La posizione della dottrina è conforme all'orientamento desunto dalla citata pronuncia del giudice costituzionale (Carrato 2005, 688; Di Marzio 1998, 334; Frasca 2001, 368; Luiso, 563; Magaraggia, 388).

In tale ottica, si è quindi affermato che l'omessa notificazione dell'ordinanza di mutamento del rito di cui all'art. 426 c.p.c. al convenuto contumace – assimilabile alla mancata notifica dell'atto di citazione – implica la violazione del principio del contraddittorio e comporta la nullità di tutti gli atti successivi, fra i quali è compresa la sentenza che ha definito il giudizio di primo grado ed impone la remissione della causa al primo giudice ex art. 354 c.p.c. (App. Cagliari 16 dicembre 2000).

L'applicazione dell'art. 426 c.p.c. laddove impone alle parti di provvedere entro il termine perentorio fissato nell'ordinanza, all'eventuale integrazione degli atti introduttivi, mediante deposito di memoria e documenti in cancelleria importa infatti che – in difetto di tale integrazione – esse incorreranno nelle preclusioni discendenti dagli artt. 414 e 416 c.p.c. In tale occasione, la Consulta ha richiamato il principio già espresso in precedenti pronunce riferite ad ipotesi in cui un termine sia stabilito per il compimento di atti la cui omissione importi un pregiudizio per situazione soggettiva giuridicamente tutelata, in cui ebbe ad affermare che la garanzia di cui all'art. 24 Cost. deve estendersi alla conoscibilità del momento iniziale di decorrenza del termine stesso, al fine di assicurarne all'interessato l'utilizzazione nella sua interezza (Corte cost., n. 255/1974; Corte cost., n. 159/1971).

Mutamento di rito e costituzione della parte

È noto che nel procedimento per convalida di licenza per finita locazione ai sensi dell'art. 657 c.p.c., si distingue una fase sommaria che può avere un duplice svolgimento a seconda che l'intimato non sia comparso o, comparendo, non si sia opposto alla convalida, ovvero sia comparso ed abbia opposto eccezioni non fondate su prova scritta.

La natura unitaria del procedimento non è però contraddetta dalla sua distinzione in una fase sommaria ed una di merito, essendo al contrario, confermata dall'art. 667 c.p.c. ed in particolare, dall'art. 426 c.p.c. laddove si qualifica la natura di atti integrativi alle memorie, il cui deposito è inoltre previsto come meramente eventuale.

Conseguentemente se non viene depositata la memoria ex art. 426 c.p.c. il giudizio prosegue ugualmente nella fase di merito non potendosi ravvisare alcuna conseguenza negativa sullo svolgimento del processo (Masoni 2007, 498, il quale evidenzia altresì che la tesi militante a favore dell'instaurazione di un nuovo processo, sarebbe sostenibile soltanto se il precedente rapporto processuale sia giunto all'epilogo per effetto di un provvedimento giurisdizionale in grado di “terminare” il relativo giudizio, evidentemente ben diverso da quello che si limita a disporre il semplice mutamento del rito, trattandosi quest'ultimo di un atto endoprocessuale, interno allo stesso procedimento e di carattere ordinatorio).

Nella prima delle due ipotesi previste dalla legge (mancata comparizione dell'intimato, o mancata opposizione alla convalida), il procedimento si esaurisce, mentre nella seconda ipotesi (opposizione alla convalida), il processo deve proseguire davanti al giudice che ha emesso l'ordinanza provvisoria di rilascio.

Il processo che ne segue è un normale giudizio di cognizione – quale naturale prosecuzione della precedente fase caratterizzata dalla cognizione sommaria – avente per oggetto la domanda di risoluzione del contratto di locazione.

La giurisprudenza ha ribadito in varie occasioni che anche dopo la modifica dell'art. 667 c.p.c. con l'opposizione dell'intimato il procedimento speciale per convalida di licenza o di sfratto si trasforma in ordinario processo di cognizione, il tutto nell'ambito di un unico procedimento (Masoni 2007, 498, come l'ulteriore elemento che depone per l'unicità del procedimento che lega le due fasi – sommaria e di merito – è desumibile anche dall'assenza della previsione concernente la statuizione sulle spese di lite, che infatti verranno definite con la conclusione dell'intero procedimento), il quale, introdotto con l'azione di condanna nella forma speciale della citazione, continua a svolgersi nella fase diversa della cognizione piena, con la conseguenza che con le memorie integrative le parti, sebbene non possono proporre domande nuove – la cui inammissibilità è rilevabile d'ufficio e non è sanabile neppure in virtù dell'accettazione del contraddittorio sul punto, salvo soltanto il limite della formazione del giudicato (Cass. III, n. 15021/2004) – possono, tuttavia, vertendosi in tema di domande autodeterminate, introdurne le consentite modificazioni mediante allegazione di fatti secondari costitutivi del diritto o, comunque, con la prospettazione di una diversa strategia difensiva.

Il mutamento del rito da ordinario a speciale non comporta una rimessione in termini rispetto alle preclusioni già maturate alla stregua della normativa del rito ordinario, dovendosi correlare l'integrazione degli atti introduttivi alle decadenze di cui alle conseguenti norme valevoli per il rito speciale. In buona sostanza, gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono secondo le norme processuali seguite prima del mutamento in relazione alle quali, dunque, restano ferme le decadenze e le preclusioni maturate secondo le norme seguite prima del provvedimento che dispone il mutamento, in tale modo recependosi una regola generale già affermata con riferimento a tutte le ipotesi di mutamento del rito da speciale ad ordinario e viceversa da ordinario a speciale (Cass. I, n. 7696/2021).

Il thema dell'autonomia del giudizio di merito a seguito dell'ordinanza di mutamento di rito, è un principio che ha generato dei contrasti nella stessa giurisprudenza di legittimità, laddove si è affermato che nel procedimento per convalida di sfratto l'opposizione dell'intimato ex art. 665 c.p.c. determina la conclusione del procedimento a carattere sommario e l'instaurazione di un procedimento nuovo ed autonomo con rito ordinario, nel quale le parti possono esercitare tutte le facoltà connesse alle rispettive posizioni, ivi compresa per il locatore la possibilità di proporre a fondamento della domanda una causa petendi diversa da quella originariamente formulata, e per il conduttore la possibilità di dedurre nuove eccezioni e di spiegare domande riconvenzionali (Cass. III, n. 21242/2006).

Pertanto, il procedimento avente ad oggetto il giudizio nel merito, che si instaura con la trasformazione del rito dopo la definizione del procedimento speciale per la convalida, non è da questo del tutto autonomo e svincolato, sicché il relativo thema decidendum non può prescindere da quello svolto nella fase per convalida, dovendo essere determinato in relazione alle domande ed alle eccezioni, secondo la specificazione che le parti in esso ne abbiano fatto a seguito dell'ordinanza ex art. 426 c.p.c.

In tale contesto, in cui sono certamente ammissibili nuovi argomenti difensivi, è consentito anche rinunciare a fare valere eccezioni o difese prospettate nella fase della convalida, ma non sussiste, tuttavia, alcuna preclusione per le difese avanzate nel procedimento speciale di convalida se esse non vengano espressamente riproposte nel procedimento ordinario di cognizione, a meno che la parte interessata non vi abbia univocamente rinunciato.

Quando era vigente la precedente formulazione normativa, in caso di riassunzione del giudizio ex art. 667 c.p.c. era necessaria una nuova costituzione in giudizio anche delle parti già costituitesi nella fase sommaria del procedimento per convalida (Cass. III, n. 7088/1994).

Attualmente, si ritiene che la prosecuzione del giudizio di merito, non importa l'instaurazione di un nuovo rapporto processuale ma la semplice prosecuzione del rapporto originario, ragione per cui la parte costituitasi nella prima fase del giudizio deve considerarsi costituita (anche laddove non depositi alcuna memoria difensiva ex art. 426 c.p.c. nella fase di merito, così Frasca 2001, 365), non potendo essere dichiarata contumace qualora non rinnovi la costituzione dopo il mutamento del rito e l'assegnazione dei termini disposta dal giudice per il deposito di memorie difensive ex art. 426 c.p.c.

In tale senso, si è infatti sottolineato che la prosecuzione del processo necessita non tanto di un mutamento di rito in senso proprio, quanto del compimento di atti che l'art. 426 c.p.c. prescrive come connessi a tale mutamento, ovvero il deposito di memorie integrative degli atti introduttivi nel giudizio sommario di convalida (Luiso, 562).

Ciò si desume anche sulla scorta dell'ordinanza con cui il giudice dispone il mutamento del rito, ed accorda alle parti costituite i termini per l'integrazione degli atti introduttivi, che, dunque, restano tali, ovvero meri atti integrativi di domande già introdotte dinanzi allo stesso giudice nella precedente fase sommaria della convalida, non trattandosi di atti comportanti la costituzione della stessa parte nel giudizio di merito, atteso che lo stesso thema decidendum risulta cristallizzato soltanto con la combinazione degli atti introduttivi della fase sommaria e delle memorie integrative di cui all'art. 426 c.p.c. (Cass. VI, n. 4771/2019; Cass. III, n. 12247/2013; Cass. III, n. 16635/2008, in cui si precisano i contorni di ammissibilità delle difese circoscrivendole alla sola emendatio libelli, cioè ad una mera specificazione dell'originaria domanda avanzata dinanzi al giudice della convalida).

In base all'attuale formulazione della norma, quest'ultima – dopo che il giudice ha disposto il mutamento del rito – consente alle parti solamente il deposito di memorie integrative, che non possono contenere domande nuove, a pena di inammissibilità rilevabile anche d'ufficio dallo stesso giudice, la quale, non può essere sanata neppure dall'accettazione del contraddittorio sul punto, con il solo limite della formazione del giudicato (Trib. Roma 6 settembre 2017).

Al riguardo occorre tuttavia distinguere la posizione dell'intimato da quella dell'intimante, perché come risulta dall'art. 660, comma 3, c.p.c., la citazione per la convalida non deve contenere l'invito al convenuto a costituirsi nel termine previsto dall'art. 163, n. 7) c.p.c., né l'avvertimento sulla comminatoria delle decadenze previste dall'art.167 c.p.c.

Tale previsione si collega in modo coerente con l'art. 660, comma 5, c.p.c., il quale consente la costituzione del convenuto nel procedimento di convalida anche nell'udienza stessa.

Da ciò consegue che il convenuto nel giudizio di convalida, nel costituirsi a norma dell'art.660, comma 5, c.p.c., come non deve osservare i termini previsti dall'art.166 c.p.c., così non è soggetto alle prescrizioni ed alle decadenze previste nell'art.167 c.p.c.

Non a caso, mentre la difesa nel giudizio di convalida è strumentale alla fase sommaria per l'emanazione dei provvedimenti previsti dagli artt. 665 e 666 c.p.c., la difesa del convenuto rispetto al giudizio di cognizione piena, conseguente al mutamento del rito previsto dall'art. 667 c.p.c. ha modo di esplicarsi completamente a seguito dell'ordinanza prevista dall'art. 426 c.p.c., con cui si fissa un termine perentorio proprio per l'integrazione degli atti introduttivi.

Pertanto, la domanda riconvenzionale del convenuto non deve essere necessariamente proposta con la comparsa di risposta prevista dall'art.660, comma 5, c.p.c., ma può essere formulata anche nella memoria presentata nel termine perentorio fissato con l'ordinanza ex art. 426 c.p.c., richiamato dall'art. 667 c.p.c. (Cass. III, n. 13963/2005).

Conseguentemente, si è affermato che il carattere unitario dell'azione speciale di convalida e dell'azione ordinaria, quando il processo, a seguito dell'opposizione dell'intimato, previo mutamento del rito, prosegue per il merito, esclude la necessità di una nuova procura alle liti al difensore della parte già costituita nella fase sommaria (Cass. III, n. 12288/2004), così come non è necessaria una nuova costituzione nella fase di merito, ai fini della prosecuzione del giudizio, atteso che l'originario difensore è abilitato ad espletare l'attività difensiva sulla base del mandato iniziale conferito per il procedimento speciale, non contenente alcuna limitazione per la fase successiva di merito.

In dottrina, si è osservato che nelle ipotesi in cui il legislatore ha voluto rendere, con riguardo alle preclusioni relative all'esercizio dei poteri processuali delle parti, autonome la prima fase sommaria del giudizio da quella ordinaria e successiva lo ha sempre esplicitato così come è avvenuto, ad esempio, con riguardo ai procedimenti di separazione e divorzio (Giordano 2015, 281).

Quid juris sul piano della tempestività se il ricorrente ha introdotto l’opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso nei suoi confronti con atto di citazione notificato in forma telematica il quarantesimo giorno dalla notificazione del decreto opposto e soltanto in un momento successivo all’instaurazione del suddetto giudizio, il Tribunale ritenendo che alla controversia si applicasse il rito delle locazioni, ha disposto il mutamento del rito da ordinario a speciale?

Secondo una recente pronuncia di legittimità, da tale statuizione, il giudice di prime cure non potrebbe fare discendere l’applicabilità delle decadenze previste dagli artt. 414 e ss. c.p.c. anche in relazione al segmento processuale svoltosi anteriormente alla modifica, perché il mutamento del rito da ordinario a speciale non determina la rimessione in termini rispetto alle preclusioni già maturate alla stregua del rito ordinario, atteso che, sul piano formale, gli atti posti in essere anteriormente al passaggio al rito speciale devono essere valutati in base alle regole di quello ordinario. Ciò significa che l’opposizione a decreto ingiuntivo va considerata tempestivamente introdotta con la notificazione dell’atto di citazione nell’ultimo giorno utile e la successiva iscrizione della causa al ruolo generale nei termini previsti dal rito ordinario di cognizione. Pertanto, occorre verificare se, in concreto, la fattispecie oggetto del giudizio sia assoggettabile al rito speciale delle locazioni, ed in ogni caso applicando le regole e le decadenze previste da detto rito, ove ritenuto applicabile, soltanto a decorrere dalla data del provvedimento di mutamento adottato dal giudice di prima istanza (Cass. VI, 31 maggio 2022, n. 17705).

Il passaggio al rito speciale locatizio a seguito dell'ordinanza di mutamento del rito

Il provvedimento di trasformazione del rito nelle controversie in materia di locazione, come disciplinato dalla l. n. 353/1990, in base al combinato disposto di cui agli artt. 667 e 426 c.p.c., ha effetto imperativo per tutto l'ulteriore corso del procedimento e non è suscettibile di revoca implicita (Cass. III, n. 9014/2009).

L'applicazione dell'art. 667 c.p.c. comporta che nel passaggio alla fase di merito, le controversie riguardanti immobili urbani sono disciplinate dal rito locatizio, dinanzi al giudice monocratico, mentre quelle inerenti beni immobili non urbani, sono disciplinate dal rito ordinario, salvo le ipotesi in cui le controversie devono essere rimesse dinanzi al giudice del lavoro (quando il procedimento di convalida di licenza o sfratto riguarda un rapporto di locazione d'opera ex art. 659 c.p.c.) od alla sezione specializzata ex art. 428 c.p.c.

Le conseguenze derivanti dall'omesso mutamento del rito

L'art. 447-bis c.p.c. introdotto dall'art. 70 della l. n. 353/1990, ha unificato tutte le controversie in materia di locazione, comodato di immobili urbani e affitto di aziende, quanto al rito applicabile ed alla competenza territoriale, superando così i problemi di qualificazione dei rapporti che, prima della riforma, avevano dato luogo a soluzioni interpretative contrastanti.

La stessa novella, tuttavia, non ha modificato il concetto di rito nelle relative controversie ed la portata dell'osservanza delle norme che statuiscono su esso, da ciò discendendo che l'omesso mutamento del rito, anche in grado di appello, non spiega effetti invalidanti sulla sentenza, tranne che abbia inciso sulla determinazione della competenza, sul contraddittorio, sui diritti della difesa o sul regime delle prove (Cass. III, n. 4159/1999; Cass., sez. lav., n. 11148/1992).

Mutamento di rito e mutatio libelli

In base al combinato disposto degli artt. 667 e 426 c.p.c., pronunciati o rigettati i provvedimenti previsti dall'art. 665 e 666 c.p.c., il giudizio prosegue nelle forme del rito speciale, previa ordinanza di mutamento del rito, con la quale ultima le stesse parti sono autorizzate all'integrazione degli atti introduttivi mediante deposito di memorie e documenti in cancelleria.

Nel procedimento per convalida di sfratto, l'opposizione dell'intimato determina la conclusione del procedimento a carattere sommario e l'instaurazione di un nuovo e autonomo procedimento con rito ordinario, nel quale le parti possono esercitare tutte le facoltà connesse alle rispettive posizioni, ivi compresa per il locatore la possibilità di porre a fondamento della domanda una causa petendi diversa da quella originariamente formulata, e per il conduttore la possibilità di dedurre nuove eccezioni e di spiegare domanda riconvenzionale (Cass. III, n. 17955/2021).

La natura “prosecutoria” del giudizio instaurato con l'ordinanza di mutamento del rito ex art. 426 c.p.c. è stata affermata dalla giurisprudenza di merito, tenuto conto che dopo la riforma del 1990, nel nuovo rito locatizio, modellato su quello speciale del lavoro, per il combinato disposto degli artt. 667 e 426 c.p.c. le parti non possono proporre domande nuove dopo che il giudice ha disposto il mutamento del rito, in quanto, dopo tale adempimento è consentito soltanto il deposito di memorie integrative, a pena d'inammissibilità rilevabile anche d'ufficio dal giudice, posto che la proposizione di domande nuove non è sanata neppure dall'accettazione del contraddittorio, con il solo limite della formazione del giudicato (Trib.Latina 2 aprile 2013; Trib. Nola 9 ottobre 2007, in una controversia in cui la richiesta di declaratoria di nullità del rapporto di locazione per mancanza di forma scritta e la conseguente domanda di rilascio dell'immobile avanzate solo con la memoria integrativa autorizzata a seguito del disposto mutamento del rito, sono state ritenute una vera e propria mutatio libelli rispetto all'iniziale domanda di rilascio per cessata locazione, e, dunque inammissibili poiché tardive; Trib. Modena 29 novembre 2006, secondo cui la domanda di pagamento dei canoni impagati – rispetto alla domanda risolutoria del contratto per grave inadempimento – deve ritenersi diversa, e perciò nuova quanto al petitum; conseguentemente, ove proposta per la prima volta nella memoria integrativa a seguito di mutamento del rito, va dichiarata tardiva; Trib.Savona 26 novembre 2005, in cui si è affermato che nel processo iniziato con il rito di cognizione sommaria mediante intimazione di sfratto per morosità e proseguito dopo l'opposizione dell'intimato con il rito locatizio exartt. 667,426 e 447-bis c.p.c., non è ammissibile la proposizione di domande nuove con memoria integrativa depositata dopo l'ordinanza di mutamento del rito, poiché il processo deve considerarsi iniziato con l'atto di intimazione e contestuale citazione per la convalida, non con le memorie depositate dopo il passaggio alla cognizione piena; Cass. III, n. 11596/2005; Trib. Roma 16 aprile 2004; Trib. Palermo 3 dicembre 2002, secondo cui all'adozione del provvedimento di mutamento del rito ex art. 426 c.p.c. segue soltanto la trasformazione dello strumento processuale prescelto per ottenere la pronuncia giudiziale di risoluzione del contratto di locazione ed il rilascio del bene locato, non già l'instaurazione di un nuovo giudizio, sicché sono inammissibili in questa fase domande nuove; Trib. Foggia 22 aprile 2002, da cui si evince che dopo l'ordinanza di mutamento di rito non è ammissibile la proposizione di domande nuove, perché il processo deve considerarsi iniziato con l'atto di intimazione e contestuale citazione per la convalida e non già con le memorie depositate dopo il passaggio alla cognizione piena).

Un'ulteriore indicazione in tale senso, si può ravvisare nella circostanza che non è necessaria una distinta iscrizione a ruolo, con deposito di fascicolo separato, sia di parte sia dell'ufficio, quali adempimenti riferiti alla causa introdotta nella fase di merito, anche da ciò potendo desumersi l'unicità del procedimento complessivamente considerato, il cui inizio è costituito dalla fase sommaria dinanzi al giudice della convalida.

In dottrina, si condivide la non necessità di procedere al versamento del contributo unificato riferito al solo giudizio di merito (Masoni 2007, 499), che diversamente argomentando, comporterebbe anche la necessità di procedere ad una seconda distinta iscrizione a ruolo, in aggiunta a quella già effettuata all'inizio della fase sommaria dinanzi al giudice della convalida, trattandosi di parti già costituite, le quali, “possono” soltanto procedere ad integrare i rispettivi scritti difensivi depositando le memorie ex art. 426 c.p.c.

Pertanto, non potranno essere proposte nuove domande ma soltanto modificate quelle già allegate nelle forme e termini previsti dall'art. 420, comma 1, c.p.c. (Proto Pisani 1988, 1372).

La giurisprudenza di legittimità nel corso degli anni non appare però avere assunto un'orientamento condiviso e consolidato sullo specifico thema qui considerato.

Infatti, in alcune pronunce si è affermato che l'opposizione dell'intimato non coincide con l'instaurazione di un nuovo ed autonomo giudizio di cognizione, ma produce soltanto un mutamento nella struttura del procedimento, che continua a svolgersi, davanti al medesimo giudice, non ponendosi più questioni di competenza per valore, in una nuova fase, quella di merito che si concluderà con la pronuncia di accoglimento o rigetto della domanda di condanna del conduttore al rilascio dell'immobile locato, ovvero, in altri termini, che prosegue, con la cognizione ordinaria ma con rito speciale, quell'unico procedimento, iniziatosi con l'esercizio, da parte del locatore, di un'azione di condanna nella forma speciale della citazione per convalida (Cass. III, n. 8411/2003).

In altre pronunce, si è invece affermato che l'opposizione dell'intimato ex art. 665 c.p.c. determina, senza che occorra all'uopo un provvedimento del giudice, la conclusione del procedimento di convalida, a carattere sommario, e l'instaurazione di un nuovo ed autonomo processo con rito e cognizione ordinari, in cui non si discute più di accoglimento o di rigetto della domanda di convalida, e che si conclude con la pronuncia di una normale sentenza di condanna del conduttore al rilascio dell'immobile locato, se la domanda del locatore viene accolta, ovvero di accertamento negativo del diritto al rilascio, se la domanda di accertamento viene, viceversa, rigettata. Ne consegue che nel giudizio di merito le parti possono esercitare tutte le facoltà connesse con le rispettive posizioni e che, in particolare, il locatore può dedurre una nuova causa petendi e proporre anche una nuova domanda, non incidendo sullo stesso l'eventuale illegittima instaurazione del precedente giudizio sommario (Cass. III, n. 7066/1993; Cass. III, n. 3930/1984; Cass. III, n. 828/1981).

In particolare, nel corso dell'evoluzione giurisprudenziale avutasi negli ultimi anni, si è affermato che nel procedimento per convalida di licenza o sfratto, l'opposizione dell'intimato dà luogo alla trasformazione del procedimento speciale in un processo di cognizione ordinaria, destinato a svolgersi nelle forme di cui all'art. 447-bis c.p.c. con la conseguenza che non essendo previsti – tanto meno a pena di inammissibilità – gli specifici contenuti degli atti introduttivi della fase di merito anche per quelli della fase sommaria, il thema decidendum risulta cristallizzato soltanto con la combinazione degli atti introduttivi della fase sommaria e delle memorie integrative di cui all'art. 426 c.p.c. (Cass. III, n. 4771/2019; Cass. III, n. 26356/2014), mentre l'attore originario è, in queste ultime, in grado di emendare le sue domande (Cass. III, n. 16635/2008) od anche di modificarle, soprattutto se in evidente dipendenza dalle difese di controparte (Cass. III, n. 12247/2013), ivi compresa, per il locatore la possibilità di chiedere la risoluzione per inadempimento del conduttore in relazione al mancato pagamento di canoni od oneri condominiali non considerati nel ricorso per convalida di sfratto, e per il conduttore la possibilità di dedurre nuove eccezioni e/o di spiegare domanda riconvenzionale (Cass. III, n. 3696/2012, in cui si è infatti precisato che l'intimato non ha l'onere di costituirsi in cancelleria, potendosi presentare all'udienza fissata per la convalida anche personalmente, ex art. 660, commi 5 e 6 c.p.c., e, con la memoria integrativa, potrà quindi proporre domanda riconvenzionale unitamente alla domanda di fissazione di nuova udienza di discussione, ai sensi dell'art. 418 c.p.c.; Cass. III, n. 5356/2009).

È pertanto inammissibile qualsiasi modificazione che non sia stata operata ai sensi dell'art. 426 c.p.c., attraverso l'integrazione dell'atto introduttivo nel termine perentorio fissato dal giudice (Cass. III, n. 23908/2006), e, tale inammissibilità, non è sanata dall'accettazione del contraddittorio, è rilevabile d'ufficio e può essere dedotta per la prima volta davanti al giudice di legittimità (Cass. S.U., n. 7708/1993).

Più di recente è stato affermato il principio che nel procedimento per convalida di licenza o sfratto, l'opposizione dell'intimato dà luogo alla trasformazione dello stesso in un processo di cognizione, destinato a svolgersi nelle forme di cui all'art.447 bis c.p.c., con la conseguenza che, essendo previsti specifici contenuti degli atti introduttivi del giudizio, il thema decidendum risulta cristallizzato solo in virtù della combinazione degli atti della fase sommaria e delle memorie integrative, potendo, pertanto, l'originario intimante, in occasione di tale incombente, non solo emendare le sue domande, ma anche modificarle, soprattutto se in dipendenza dalle difese svolte da controparte (Cass. II, n. 5385/2024).

La domanda “nuova” introdotta a seguito del mutamento di rito con le memorie “integrative”

La giurisprudenza di legittimità (Cass. S.U., n. 15408/2003) ha chiarito che si ha una domanda nuova quando gli elementi, dedotti nel corso del giudizio, comportino il mutamento dei fatti costitutivi del diritto azionato (Cass. I, n. 22473/2004; Cass., sez. lav., n. 12133/2003), e quindi della causa petendi, modificando, attraverso l'introduzione di una pretesa diversa, per la sua intrinseca essenza, da quella fatta valere con l'atto introduttivo, l'oggetto sostanziale dell'azione ed i termini precedentemente individuati della stessa controversia, anche attraverso l'introduzione nel processo di un nuovo tema d'indagine e decisione (Cass. III, n. 4185/2004; Cass. III, n. 11202/2003).

In tale prospettiva, è stato quindi affermato che in una fattispecie concernente la convalida della licenza per finita locazione alla sua scadenza, qualora, a seguito dell'opposizione dell'intimato, al procedimento speciale subentri il giudizio nelle forme del rito speciale, ai sensi dell'art. 667 c.p.c., non concretizza una domanda nuova quella che abbia ad oggetto la richiesta di risoluzione del rapporto di locazione per intervenuta sua scadenza, poiché detta domanda costituisce soltanto una specificazione dell'originaria richiesta di condanna in futuro (Cass. III, n. 11960/2010; Cass. III, n. 674/2005; Trib. Modena 28 dicembre 2004).

Mutamento del rito e assolvimento dell'onere di avviare la media-conciliazione

Ai sensi dell'art. 5, comma 1 bis, D. Lgs. n.28/2010, chi intende esercitare in giudizio un'azione relativa ad una controversia in materia di locazione, comodato od affitto di aziende, è tenuto, assistito dall'avvocato, preliminarmente ad esperire il procedimento di mediazione ai sensi dello stesso decreto. L'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale, e l'improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il giudice ove rilevi che la mediazione è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all'art. 6 del citato decreto. Allo stesso modo provvede quando la mediazione non è stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione.  Il comma 1 bis dell'art. 5 d.lgs. n. 28/2010 non trova applicazione oltre che nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l'opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione, anche nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all'art. 667 c.p.c. In buona sostanza, il Legislatore ha inteso posticipare la procedura della mediazione ad un momento successivo all'espletamento del procedimento per convalida di sfratto.

L'esperimento del procedimento di mediazione in ambito locatizio è condizione di procedibilità della domanda giudiziale soltanto dopo l'avvenuto mutamento del rito ex art. 667 c.p.c. come precisato dall'art. 5 comma 4 lett. b), d.lgs. n. 28/2010 (Trib . Verbania 22 luglio 2021). In senso conf. Trib . Torino 16 ottobre 2020 secondo cui a norma dell'art. 5, comma 4, d. lgs. n. 28/2010, nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al provvedimento reso ex art. 667 c.p.c. i commi 1 bis e 2 dell'anzidetto art. 5 d.lgs. n. 28/2010 non si applicano. 

Quanto alle conseguenze derivanti dal mancato esperimento della mediazione, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che la disposizione di cui all'art. 5 D. Lgs. n. 28/2010, di non facile lettura, deve essere interpretata conformemente alla sua ratio, atteso che la norma è stata costruita in funzione deflattiva, e, pertanto, va interpretata alla luce del principio costituzionale del ragionevole processo e dell'efficienza processuale, ovviamente, nel pieno ed incondizionato rispetto delle garanzie del diritto di difesa. In questa prospettiva l'anzidetta norma, attraverso il meccanismo della mediazione obbligatoria, tende a rendere il processo la extrema ratio intesa quale ultima possibilità dopo che ogni diverso rimedio è risultato precluso.

In tale ottica, l'onere di esperire il tentativo di mediazione deve allocarsi presso la parte che ha interesse al processo e ha il potere di iniziarlo, conformemente a quanto recentemente statuito dalle Sezioni unite in tema di opposizione a decreto ingiuntivo, avendo affermato il principio che il suddetto onere di attivare il procedimento di mediazione nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo è a carico del creditore opposto (Cass. S.U., 18 settembre 2020, n.19596).

E' infatti evidente che le stesse argomentazioni spese in occasione della fattispecie esaminata dalle Sezioni unite valgono anche nelle restanti controversie, come quelle locatizie, sia in ordine alla fase monitoria, sia in relazione alla fase di merito - successiva a quella sommaria exartt. 657 e 658 c.p.c. - disciplinata a seguito del mutamento del rito disposto per effetto dell'art. 667 c.p.c. Conseguentemente, poiché l'attore-ricorrente nella fase sommaria exartt. 657 o 658 c.p.c., è colui che assume l'iniziativa processuale, e sul quale grava l'onere di dovere chiarire l'oggetto e le ragioni della pretesa, apparirebbe quantomeno curioso ipotizzare che debba essere l'opponente-debitore - dopo il mutamento del rito dispostoexart. 667 c.p.c. - che si è limitato a reagire all'iniziativa del creditore della prestazione, ad indicare l'oggetto e le ragioni di una pretesa che non è la sua.

Le domande formulate nell'atto di intimazione di sfratto sono improcedibili per mancato esperimento della obbligatoria procedura della mediazione se nella memoria ex art. 426 c.p.c. non vi è traccia alcuna in ordine all'effettivo esperimento del tentativo di mediazione, stante la perentorietà del termine entro il quale le parti possono integrare gli atti introduttivi mediante il deposito di memorie e documenti (Trib . Nola 23 luglio 2019).

Nel procedimento per convalida di licenza o sfratto per finita locazione, l'opposizione dell'intimato dà luogo alla trasformazione in un processo di cognizione, destinato a svolgersi nelle forme di cui all'art. 447 bis c.p.c., con la conseguenza che, non essendo previsti specifici contenuti degli atti introduttivi del giudizio, il thema decidendum risulta cristallizzato solo in virtù della combinazione degli atti della fase sommaria e delle memorie integrative di cui all'art. 426 c.p.c., potendo, pertanto, l'originario intimante, in occasione di tale incombente, non solo emendare le sue domande, ma anche modificarle, soprattutto se in evidente dipendenza dalle difese svolte dalla controparte (Cass. VI, n.4771 /2019). 

La mediazione obbligatoria non si applica nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all'art. 667 c.p.c. (Trib. Palermo 13 aprile 2012, in cui si è dato atto che per il procedimento per convalida di sfratto il tentativo di mediazione diviene condizione di procedibilità solo dopo la pronuncia dei provvedimenti adottati nella fase sommaria, dovendosi ritenere esperibile solo dopo il mutamento del rito disposto all'udienza ex art. 667 c.p.c. e, quindi, anche dopo la pronuncia dei provvedimenti previsti dagli artt. 665 e 666 c.p.c. per il giudizio a cognizione piena derivato dall'opposizione e dal successivo mutamento del rito).

In particolare, il giudice adito nei procedimenti di convalida di sfratto o di licenza, nella prima udienza del giudizio di merito successivo al mutamento del rito disposto ex art. 667 c.p.c. deve verificare se sia stato previamente esperito il tentativo di mediazione, e, in caso negativo, deve assegnare alle parti un termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione, per presentare la domanda al competente Organismo di conciliazione.

Conseguentemente, solo in caso di mancata proposizione della domanda di mediazione nel termine assegnato dal giudice od in caso di mancata richiesta di proroga prima di tale scadenza il giudice dichiara improcedibile la domanda.

Esaurita la fase sommaria e disposto il mutamento del rito, se è stato concesso il termine per l'inizio del procedimento di mediazione, l'azione deve essere dichiarata improcedibile se le parti non provvedono ad instaurare il procedimento di mediazione, obbligatorio ex art. 5, comma 4, lett. b) d.lgs. n. 28/2010 (Trib. Busto Arsizio 15 giugno 2012, in cui si è precisato che dichiarata l'improcedibilità della domanda, non viene meno l'efficacia dell'ordinanza non impugnabile di rilascio emessa ex art. 665 c.p.c. all'esito della fase sommaria del procedimento di convalida).

Al riguardo, va osservato che la proposizione dell'opposizione alla convalida di sfratto determina il mutamento del rito con il passaggio ad un giudizio a cognizione piena, in cui l'assetto processuale e l'interesse astratto ad agire delle parti andrà valutato secondo i criteri ordinari, avuto riguardo alle rispettive domande.

Pertanto, in ragione di ciò, si è dunque affermato che è il locatore, che ha introdotto il procedimento con rito sommario, ad avere interesse a coltivare la domanda, ove intenda ottenere accertamento nel merito dell'inadempimento del conduttore, onde ottenere la pronuncia di una sentenza che statuisca sull'intervenuta risoluzione, e pronunci sulle relative spese.

Tali pronunce giurisprudenziali di merito, hanno rilevato come al convenuto-opponente tale interesse possa riconoscersi soltanto ove lo stesso abbia a propria volta avanzato domanda riconvenzionale, in modo da rendersi portatore di un effettivo ed autonomo interesse alla prosecuzione del giudizio, e, dunque, all'avveramento della condizione di procedibilità.

Sulla scorta di tale impostazione, ne conseguirebbe che, per parte della giurisprudenza di merito (Trib. Napoli 3 giugno 2015; Trib. Mantova 20 gennaio 2015) le spese andrebbero poste a carico dell'intimante quale parte tecnicamente soccombente rispetto alla domanda inizialmente introdotta con il rito sommario.

La suddetta tesi non appare tuttavia convincente, specie laddove sia stata concessa l'ordinanza di rilascio ex art. 665 c.p.c. in quanto l'accoglimento della richiesta di emissione di tale provvedimento presuppone una sommaria delibazione del giudice sulla fondatezza delle ragioni addotte dalle parti contrapposte, con una positiva valutazione dei presupposti indicati a fondamento della domanda introdotta dall'intimante, la quale, a sua volta, presuppone la delibazione negativa delle ragioni poste a sostegno dell'opposizione introdotta dall'intimato, apparendo così irragionevole condannare al pagamento delle spese e ritenere soccombente tout court colui che abbia ottenuto un provvedimento favorevole e tendenzialmente stabile per la domanda di rilascio, solo perché non ha dato corso al procedimento di mediazione (Trib. Bologna 17 novembre 2015).

In base ad altro orientamento di merito, sulla scorta della circostanza che l'emissione dell'ordinanza provvisoria di rilascio ex art. 665 c.p.c. fa sorgere anche in capo al convenuto-opponente l'interesse a coltivare il giudizio, al fine di pervenire ad una pronuncia di accoglimento dell'opposizione che travolga nel merito il provvedimento interinale emanato dal giudice al termine della fase sommaria, si è statuito che in tale ipotesi sussiste interesse di entrambe le parti ad addivenire ad una pronuncia di merito, e, conseguentemente, ad attivarsi affinché maturi la condizione di procedibilità e possa pertanto applicarsi, in difetto di una positiva condotta delle stesse parti, l'integrale compensazione delle spese di lite (Trib. Massa 19 gennaio 2018; Trib. Pescara, 7 ottobre 2014).

L'erronea convalida in luogo del mutamento di rito per il passaggio alla fase a cognizione piena

Quid juris se in tema di sfratto per morosità alla cui convalida l'intimato si sia opposto, il giudice erroneamente anziché adottare i provvedimenti di cui all'art. 665 e 667 c.p.c., emetta l'ordinanza di convalida?

La giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato il principio che avverso un provvedimento di convalida di licenza o di sfratto per finita locazione o per morosità emesso in carenza dei presupposti di legge, l'impugnazione deve essere proposta con l'appello, assumendo l'ordinanza natura decisoria e contenuto sostanziale proprio di una sentenza (Cass. III, n. 14625/2017; Cass. III, n. 12979/2010; Cass. III, n. 14720/2001; Cass. I, n. 560/2000).

L'art. 658 c.p.c. disciplina i presupposti perché l'intimazione di sfratto possa, nel concorso delle altre condizioni richieste, condurre a quella forma particolare di giudizio di risoluzione del rapporto locatizio per inadempimento che è il provvedimento di convalida. Tuttavia, se da un lato, la mancanza di tali presupposti determina l'impossibilità di pronunciare tale provvedimento, dall'altro lato, non preclude certo il potere-dovere del giudice adito di decidere nelle forme ordinarie, previa ordinanza di mutamento di rito ex art. 667 c.p.c., la domanda di risoluzione sottoposta al suo esame (Cass. III, n. 20021/2024).

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