Codice di Procedura Civile art. 663 - Mancata comparizione o mancata opposizione dell'intimato 1 .

Vito Amendolagine

Mancata comparizione o mancata opposizione dell'intimato1.

[I]. Se l'intimato non compare o comparendo non si oppone, il giudice convalida con ordinanza esecutiva la licenza o lo sfratto. Il giudice ordina che sia rinnovata la citazione, se risulta o appare probabile che l'intimato non abbia avuto conoscenza della citazione stessa o non sia potuto comparire per caso fortuito o forza maggiore.

[II].Se lo sfratto è stato intimato per mancato pagamento del canone, la convalida è subordinata all'attestazione in giudizio del locatore o del suo procuratore che la morosità persiste. In tale caso il giudice può ordinare al locatore di prestare una cauzione.

 

[1] Articolo modificato dall'art. 5 l. 22 dicembre 1973, n. 841. L'art. 24 del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modif. in l. 6 agosto 2008, n. 133  e successivamente così sostituito dall'art. 3, comma 46,  lett. b), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149  (ai sensi dell'art. 52 d.lgs. n. 149 /2022 , il presente decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale). Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 380, lett. a), l. 29 dicembre 2022, n.197,  che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.".Si riporta il testo prima della sostituzione: «[I]. Se l'intimato non comparisce o comparendo non si oppone, il giudice convalida la licenza o lo sfratto e dispone con ordinanza in calce alla citazione [657] l'apposizione su di essa della formula esecutiva [475]; ma il giudice deve ordinare che sia rinnovata la citazione, se risulta o appare probabile che l'intimato non abbia avuto conoscenza della citazione stessa o non sia potuto comparire per caso fortuito o forza maggiore. [II]. [Nel caso che l'intimato non sia comparso, la formula esecutiva ha effetto dopo 30 giorni dalla data dell'apposizione]. [III]. Se lo sfratto è stato intimato per mancato pagamento del canone [6581], la convalida è subordinata all'attestazione in giudizio del locatore o del suo procuratore che la morosità persiste. In tale caso il giudice può ordinare al locatore di prestare una cauzione [119, 478, 6682; 86 att.].»

Inquadramento

L'art. 663, comma 1, c.p.c. dispone che se l'intimato non comparisce o comparendo non si oppone, il giudice convalida la licenza o lo sfratto e dispone con ordinanza in calce alla citazione l'apposizione su di essa della formula esecutiva, ma il giudice deve ordinare che sia rinnovata la citazione, se risulta o appare probabile che l'intimato non abbia avuto conoscenza della citazione stessa o non sia potuto comparire per caso fortuito o forza maggiore.

L'art. 3 comma 46 lett. b) del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 ha sostituito il testo dell'art. 663 la cui nuova versione attualmente prevede che se l'intimato non compare o comparendo non si oppone, il giudice convalida con ordinanza esecutiva la licenza o lo sfratto. Il giudice ordina che sia rinnovata la citazione, se risulta o appare probabile che l'intimato non abbia avuto conoscenza della citazione stessa o non sia potuto comparire per caso fortuito o forza maggiore.

Se lo sfratto è stato intimato per mancato pagamento del canone, la convalida è subordinata all'attestazione in giudizio del locatore o del suo procuratore che la morosità persiste. In tale caso il giudice può ordinare al locatore di prestare una cauzione.

Si tratta di una mera disposizione di coordinamento, volta a coordinare la disposizione dell'art. 663 c.p.c. con l'abolizione della formula esecutiva.

Dall'art. 663 c.p.c. viene espunto il riferimento alla formula esecutiva “con ordinanza in calce alla citazione l'apposizione su di essa della formula esecutiva” che è stata eliminata dall'art. 475 c.p.c.

Ad oggi, pertanto, la parte che agisce in forza di un titolo esecutivo, ai sensi dell'art. 475 c.p.c., deve ai fini dell'esecuzione produrre il solo titolo “in copia attestata conforme all'originale”.

In sintesi, la riforma dell'art. 663 c.p.c. consente al locatore di evitare la tempistica del passaggio in cancelleria, atteso che prima della riforma, dopo avere ottenuto il provvedimento del giudice occorreva l'apposizione della formula esecutiva – nota come il “comandiamo” – mentre attualmente questo passaggio non è più necessario.

 La norma in commento, postula l'accertamento della  legitimatio  passiva  ad  causam, la quale, in tema di contratti di sfratto per morosità e pagamento dei canoni pregressi, si determina non in base all'effettiva titolarità del rapporto, bensì in forza della prospettazione data dall'attore, consistente nella corrispondenza precisa tra colui nei cui confronti è chiesta la tutela e colui in capo al quale si afferma l'esistenza del dovere violato, come accade nel caso in cui il locatore affermi la sussistenza del contratto di locazione con un determinato soggetto, chiedendo poi, inammissibilmente, la declaratoria di risoluzione del medesimo contratto di locazione nei confronti di altro soggetto  giuridico, nei cui confronti deve essere invece dichiarato il difetto di legittimazione passiva, che conduce ad una pronuncia di rito, sulla irregolare costituzione del contraddittorio, difettando un presupposto processuale, cioè una condizione affinché il processo possa giungere ad una decisione di merito. In tale ipotesi, il locatore istante avrebbe dovuto, piuttosto, agire per la risoluzione del contratto di locazione nei riguardi della parte conduttrice quale effettiva contraente, ovvero agire per occupazione  sine  titulo  nei confronti dell'attuale (diversa) parte convenuta, quale occupante dell'immobile oggetto di locazione con altro soggetto in assenza di un valido contratto locatizio.  

 Una situazione del genere ricorre quando ad esempio l'intimante deduca e documentalmente provi di avere stipulato il contratto di locazione oggetto di causa con una società X, successivamente trasformatasi in società Y, ragione per cui, quest'ultimo soggetto laddove convenuto in giudizio dal medesimo intimante, è evidentemente un soggetto giuridico diverso ed autonomo rispetto a quello contraente la locazione oggetto di causa, e tale circostanza è chiaramente desumibile dal semplice raffronto tra le visure delle due società,  X  ed  Y, da cui può evincersi la diversità di tutti gli elementi costitutivi (Trib . Nola 25 gennaio 2022).    

la rinnovazione va ordinata anche se la notifica risulta essere stata eseguita presso il domicilio eletto ex art. 141 c.p.c., oppure ai sensi dell'art. 143 c.p.c. nonché quando non sia stato inviato l'avviso di cui all'art. 660, comma 7, c.p.c. a seguito di notifica dell'intimazione non eseguita in mani proprie del conduttore (Lazzaro, Preden, Varrone, 135).

L'art. 59 disp. att. c.p.c., secondo cui la dichiarazione di contumacia della parte non costituita nell'udienza di cui all'art. 171 c.p.c. è fatta quando è decorsa almeno un'ora dall'apertura dell'udienza, esprime un principio di portata generale nel senso che la durata di ogni udienza, intesa come collocazione temporale dell'esplicazione dell'attività processuale, non può essere inferiore ad un'ora (Cass. III, n. 4294/2008).

Il suddetto principio va osservato anche nel procedimento per convalida di sfratto, sia nell'udienza di comparizione, sia nell'ipotesi di mero rinvio, se nell'udienza a quo il giudice non abbia dato atto della mancata comparizione dell'intimato né esaminato il merito della controversia.

In particolare, nel procedimento per convalida di sfratto per rinvio della udienza di comparizione indicata all'intimato alla prima udienza immediatamente successiva tenuta dal giudice designato, a causa dell'impedimento dell'ufficio, ai sensi dell'art. 57 disp. att. c.p.c., giustifica la pronuncia di convalida solo per caso di mancata comparizione dell'intimato a detta nuova udienza.

Il procedimento per convalida di sfratto è infatti caratterizzato da tipicità ed immediatezza che non consentono alternative all'adozione o non adozione del provvedimento di – convalida alla prima udienza. Ciò comporta che non sono possibili rinvii di sorta come pure accade nella prassi seguita da parte della giurisprudenza di merito, sull'accordo delle parti, motivando il rinvio con l'asserzione “fatti salvi i diritti di prima udienza” (Cass. III, n. 568/1988) – fatta eccezione per i rinvii d'ufficio disposti per la mancata tenuta dell'udienza – che snaturerebbero il procedimento speciale, consentendo, fra l'altro, la costituzione in giudizio dell'intimato che farebbe venire meno proprio il fondamentale presupposto dell'urgenza, su cui si fonda la possibilità di adozione di un provvedimento di convalida (Cass. III, n. 3889/2000).

È ammissibile la domanda separata di pagamento dei canoni insoluti proposta successivamente ad uno sfratto per morosità, perché lo stretto nesso di derivazione di tali obbligazioni dal contratto locatizio non viene meno, dal punto di vista logico-giuridico, solo perché sia intervenuta, in seguito all'azione di sfratto per morosità, la risoluzione del rapporto (Cass. III, n. 11859/1998).

L'art. 663, comma 2, c.p.c. – il quale disponeva che nel caso che l'intimato non sia comparso, la formula esecutiva ha effetto dopo 30 giorni dalla data dell'apposizione – inserito dall'art. 5 della l. n. 841/1973 è stato abrogato per effetto dell'art. 24 del d.l. n. 112/2008, convertito con modificazioni in l. n. 133/133, il quale ha disposto l'abrogazione della suddetta l. n. 841/1973.

Pertanto, anche nell'ipotesi di convalida di sfratto senza la comparizione dell'intimato all'udienza, la formula esecutiva deve ora considerarsi immediatamente efficace.

La difesa dell'intimato

Nello speciale procedimento per convalida di sfratto la comparizione non costituisce una semplice facoltà, ma un vero e proprio onere in quanto la mancata comparizione produce l'effetto legale tipico di ammissione dei fatti dedotti dall'intimante e strumentali alla pronuncia dell'ordinanza di convalida.

L'art. 660 c.p.c. riconosce all'intimato la facoltà di scegliere se costituirsi personalmente o a mezzo di difensore nella fase a cognizione sommaria del procedimento per convalida di sfratto, e ciò implica che nell'eventuale fase a cognizione ordinaria del procedimento riprende vigore la regola normale della difesa tecnica.

Pertanto, se si costituisce personalmente, l'intimato non è tenuto a depositare la comparsa, che, invece, è tenuto a depositare nel caso inverso, con la peculiarità che la comparsa può essere depositata anche direttamente in udienza fissata per la convalida. Conseguentemente, mentre nel primo caso la costituzione spiega effetti limitatamente alla fase a cognizione sommaria, sicché, se vuole costituirsi nella fase a cognizione ordinaria, l'intimato deve rinnovare la costituzione a mezzo di legale, nel secondo caso gli effetti della costituzione si protraggono oltre la fase a cognizione sommaria, rendendo superflua una nuova costituzione.

Il difensore dell'intimato, quando non deposita la comparsa ha comunque la possibilità di svolgere nella fase a cognizione sommaria quelle attività che in tale fase può svolgere la parte personalmente, e, precisamente, può opporsi alla convalida, dovendosi altrimenti assurdamente ravvisare un'ipotesi di mancata comparizione dell'intimato con conseguente convalida.

In altri termini, la comparizione personale dell'intimato costituisce una forma minore ed attenuata di costituzione, nel senso che consente lo svolgimento di limitate attività processuali ed in modo particolare, di opporsi alla convalida, segnando il passaggio dalla fase speciale a quella ordinaria del procedimento.

L'intervento del terzo nel procedimento speciale di convalida

La sentenza che dichiari la cessazione di un rapporto locatizio – come l'ordinanza di convalida di licenza o di sfratto all'esito di un procedimento sommario – acquista efficacia di cosa giudicata sostanziale non solo sull'esistenza del contratto di locazione e sulla qualificazione dello stesso, ma anche sulla qualità di parti contraenti e sull'esistenza della causa di risoluzione del rapporto locatizio.

L'efficacia vincolante di siffatto accertamento giurisdizionale si produce non soltanto in via diretta per le parti ed i loro eredi od aventi causa, ma altresì in via riflessa per i terzi, estranei alla lite, che non siano titolari di un rapporto giuridico autonomo e indipendente da quello oggetto del giudicato.

In dottrina, si è osservato che i requisiti di sommarietà e celerità nell'esaurimento delle attività processuali del procedimento speciale, non implicano di per sé l'esclusione della possibilità di intervento del terzo che intenda fare valere un diritto autonomo incompatibile con quello azionato da altri soggetti e con esso oggettivamente connesso (Carrato 2005, 619; contra, Bucci, Crescenzi, 243; Giudiceandrea, 167).

Il terzo può dunque intervenire volontariamente nel giudizio di convalida, opponendosi alla convalida dell'intimato sfratto, dichiarandosi titolare di un autonomo rapporto locatizio riguardante il bene immobile oggetto dello sfratto intimato al conduttore (Cass. III, n. 1/1982, in cui il terzo interventore si era opposto alla domanda di convalida di sfratto, invocando un proprio autonomo diritto alla proroga legale dello stesso contratto di locazione).

Conseguentemente, il terzo intervenuto volontariamente nel giudizio di convalida dello sfratto per morosità intimato nei confronti di un altro soggetto, per opporsi alla convalida, nella asserita qualità di effettivo conduttore dell'immobile, assumendo altresì la qualità di parte legittimata ad impugnare con l'appello l'ordinanza di convalida che ritenga essere stata emessa al di fuori delle condizioni previste ex lege (Cass. III, n. 538/1996).

Nel procedimento per convalida di sfratto, in presenza dell'opposizione del terzo che deduca di essere lui e non l'intimato il vero conduttore dell'immobile locato, deve ritenersi preclusa l'emissione dell'ordinanza di convalida ex art. 663 c.p.c., anche qualora l'intimato non sia comparso o sia comparso senza opporsi alla convalida, dovendo il giudizio in ogni caso proseguire con il rito ordinario per l'esame congiunto della domanda di sfratto e di quella di accertamento proposta dal medesimo terzo interveniente, sicché in tale ipotesi, l'ordinanza di convalida ex art. 663 c.p.c., avente natura sostanziale di sentenza, è soggetta all'appello (Trib. Milano 27 febbraio 1995, conforme, Pret. Milano 28 luglio 1989).

L'intervento adesivo dipendente spiegato dal sub-conduttore nel procedimento speciale di convalida è idoneo a legittimare la pronuncia di trasformazione del procedimento da speciale in ordinario precludendo la convalida (Pret. Pordenone 21 settembre 1998; conforme, Pret. Monza 4 luglio 1990).

La possibilità per il terzo interventore di sanare la morosità – anche nella forma del c.d. termine di grazia – deve ritenersi consentita anche ai sensi dell'art. 55 della l. n. 392/1978 (al cui commento si rinvia).

[*GIURI*] Il rimedio dell'opposizione di terzo ordinaria dell'art. 404, comma 1, c.p.c. non è offerto solo al litisconsorte necessario pretermesso, ma anche al terzo che assuma di essere titolare di un diritto autonomo ed incompatibile con i diritti della parte destinataria del provvedimento giudiziale opposto – come ad esempio, l'ordinanza di convalida di sfratto per morosità – che dall'esecuzione dello stesso subirebbe un inevitabile pregiudizio giuridico e non di mero fatto (Cass. II, n. 11961/2024).

L'attestazione riguardante la persistenza della morosità

L'art. 663, comma 3, c.p.c. prevede che se lo sfratto è stato intimato per mancato pagamento del canone, la convalida è subordinata all'attestazione in giudizio del locatore o del suo procuratore che la morosità persiste. In tale caso il giudice può ordinare al locatore di prestare una cauzione.

La ratio legis sottostante all'art. 663, comma 3, c.p.c. richiede che la parte intimante attesti la persistenza della morosità, in tale modo, volendo alludere alla sua rilevanza allorquando non compaia l'intimato, giacchè, se invece l'intimato compare, resta affidata alla sua difesa la deduzione della cessazione della morosità, che può comunque impedire la pronuncia della convalida, ancorchè eventualmente non quella della risoluzione del contratto all'esito della cognizione piena, ove il locatore insista nell'azione, e, la cessazione sia avvenuta in modo irrilevante ai fini di impedire la verificazione dei presupposti della risoluzione o sub specie di importanza di inadempimento o sub specie di inadempimento, rilevate in relazione alla stessa fattispecie comportante la risoluzione di diritto del rapporto locatizio.

Il comportamento processuale dell'intimato

Quello che rileva, una volta che l'intimato sia comparso, è quindi il suo stesso atteggiamento processuale.

Infatti, se l'intimato compare e non si oppone, tale suo atteggiamento elide ogni necessità di attestazione della persistenza della morosità, potendo semmai residuare solo il problema se possa configurarsi o meno un potere di valutazione in iure della fondatezza della domanda di convalida in capo allo stesso giudice adito.

L'intimato se compare e si oppone o comunque tiene un atteggiamento che rivela l'opposizione, è palese che, non potendo avere luogo la convalida, dovendosi evolvere il procedimento nella cognizione piena, previa eventuale pronuncia dell'ordinanza di rilascio, la necessità dell'attestazione della persistenza della morosità diventa irrilevante come condizione ostativa della stessa pronuncia di convalida.

L'attestazione in giudizio del locatore o del suo procuratore circa la persistenza della morosità del conduttore non richiede l'adozione di formule sacramentali, e può essere desunta da una dichiarazione equipollente del locatore o del suo procuratore, valutato, se dal caso, anche lo stesso contegno processuale del conduttore intimato ex art. 116 c.p.c.

Pertanto, può ritenersi soddisfatta la condizione di cui all'art. 663 c.p.c. qualora il procuratore del locatore, pur omettendo una formale attestazione di persistenza della morosità del conduttore, abbia all'udienza di convalida, insistito nell'intimazione di sfratto, facendo espresso riferimento all'atto introduttivo, e così confermando, implicitamente, la morosità ivi contestata (Cass. III, n. 1290/1993).

L'eccezione dell'altrui inadempimento sollevata dall'intimato costituitosi nel giudizio sommario di sfratto azionato nei suoi confronti per giustificare il mancato pagamento del canone di locazione in forza di una diminuzione di godimento del bene per fatto del locatore, se da un lato, non consente né la sospensione totale né quella parziale di pagamento del canone, la quale è legittima solo quando vi sia un'effettiva sproporzione fra i rispettivi inadempimenti delle parti, da valutarsi sul piano di una situazione oggettiva che davvero possa giustificare la sospensione dell'adempimento dell'obbligazione primaria del parte del conduttore, come nel caso in cui esista un'effettiva compromissione totale del godimento del bene locato, dall'altro, impedisce la convalida, “aprendo” di fatto la strada al giudizio di merito (Trib . Milano 30 settembre 2021). Ciò comporta che, il presupposto per l'accoglimento della domanda di ingiunzione di pagamento dei canoni scaduti, avanzata coevamente all'intimazione di sfratto per morosità, essendo costituito necessariamente dalla pronuncia della convalida dello stesso sfratto, in tale ipotesi, dovrà essere scrutinato nel giudizio di merito alla cui conclusione è dunque rimandata l'accertamento giudiziale inerente il mancato pagamento dei canoni scaduti ed a scadere (Trib . Torre Annunziata 26 luglio 2021).

La contumacia dell'intimato legittima la convalida di licenza o sfratto

L'art. 663 c.p.c. “colora” la contumacia dell'intimato, privandola del significato “neutro” attribuitole nell'ordinario giudizio di cognizione, caricandola di uno specifico significato, al pari della mancata opposizione da parte dell'intimato alla convalida dell'intimazione notificatagli dal locatore.

La contumacia del convenuto preclude la piena operatività del principio di non contestazione di cui all'art. 115 c.p.c. (Trib . Milano 20 settembre 2021). Trattasi di un principio che vale anche in occasione della richiesta di convalida dell'intimato sfratto o licenza in quanto, sebbene la contumacia del conduttore non equivale a non contestazione, permanendo in capo alla parte locatrice l'onus probandi in ordine ai fatti allegati, appare altresì evidente come tale assolvimento possa emergere per tabulas mediante la produzione del contratto di locazione registrato, dal quale potere desumere sia la scadenza della singola obbligazione di pagamento per i canoni in esso indicati sia la scadenza del rapporto locatizio. Infatti la legge conferisce al contegno processuale del conduttore-intimato nel procedimento sommario ex art 657 c.p.c., un particolare significato atteso che, in questa ipotesi, la mancata comparizione dell'intimato è di per sé sufficiente ed idonea per l'adozione del provvedimento di convalida alla data indicata nella vocatio in jus dell'atto introduttivo del giudizio. Inoltre, aggiungasi che il giudice deve pur sempre valutare la gravità dell'inadempimento del conduttore anche alla stregua del suo comportamento processuale, anche successivo rispetto alla proposizione della domanda del locatore ex art. 657 c.p.c. (Trib . Firenze 4 ottobre 2021).

In tale modo, la dottrina processualcivilistica (Carratta, 434; Frasca, 204) ha osservato che si tratta di un sostanziale caso di esonero della parte attrice-intimante dall'onus probandi dei fatti allegati alla domanda, per la cui dimostrazione è sufficiente la non costituzione o comparizione dell'intimato, ovvero la sua costituzione-comparizione senza opposizione.

La mancata opposizione dell'intimato

L'attestazione contemplata nell'art. 663, comma 3, c.p.c. nella convalida di sfratto per morosità, non è necessaria quando il conduttore comparso, non si oppone alla convalida, non sussistendo in tale caso dubbio alcuno sulla mancata sanatoria della mora dedotta con l'atto di intimazione per la convalida riferita ai canoni di locazione rimasti inevasi.

In dottrina, si è osservato che l'attestazione di persistenza della morosità relativa a canoni rimasti impagati deve riguardare quelli indicati nell'intimazione, con la conseguenza che qualora gli stessi canoni vengono corrisposti, anche tardivamente, il locatore non potrebbe invocare l'emissione dell'ordinanza di convalida per una morosità sopravvenuta (Lazzaro, Preden, Varrone, 144).

Non sussiste il requisito della morosità atto a legittimare la pronuncia dell'ordinanza di convalida indicato nell'art. 663, comma 3, c.p.c. quando il conduttore in mora nel pagamento dei canoni, dopo la notificazione della citazione ma prima dell'udienza fissata, abbia corrisposto i medesimi canoni (Trib. Cagliari 8 marzo 1985).

Il riscontro giudiziale dei presupposti per la convalida dell'intimazione

Ai fini della pronuncia dell'ordinanza di convalida è necessaria non solo la sussistenza dei presupposti specificamente indicati nell'art. 663 c.p.c. ma anche la ricorrenza di quelle che sono definite condizioni generali dell'azione, tra le quali rientra la corretta evocazione in giudizio della parte intimata. Pertanto, deve ritenersi che quest'ultima proponga un'opposizione alla convalida che impedisce la pronuncia dell'ordinanza, qualora comparendo eccepisca, non importa se fondatamente o meno, il mancato rispetto del termine di comparizione, pur senza opporre eccezioni di merito, perché con la sua eccezione deduce la mancanza di uno dei presupposti la cui ricorrenza è necessaria perché possa essere emessa l'ordinanza di convalida (Cass. III, n. 11298/2004).

Infatti, svolti i controlli sulla regolare instaurazione del contraddittorio e sul rispetto dei presupposti generali e speciali del procedimento, il giudice convalida lo sfratto (Garbagnati, 320). In particolare, quando il giudice ritenga validamente instaurato il rapporto processuale, dovrà verificare se la fattispecie concreta dedotta nell'intimazione sia conforme al modello legale previsto dall'ordinamento (Frasca 2001, 195).

L'ordinanza, pronunciata a norma dell'art. 663, comma 1, c.p.c. con cui lo sfratto è convalidato, deve contenere la condanna dell'intimato al pagamento, cioè al rimborso delle spese sostenute dal locatore per gli atti del procedimento.

Il regolamento delle spese del procedimento speciale

I procedimenti per convalida sono procedimenti di cognizione, la struttura dei quali è caratterizzata dal fatto che le forme e le garanzie della cognizione piena sono realizzate solo se lo voglia il convenuto, ragione per cui, quando il medesimo non compare o pur comparendo, non si oppone e ricorrono i presupposti di legge, il procedimento si conclude con la forma semplificata dell'ordinanza di convalida apposta in calce della citazione.

Questo risultato si giustifica con il fatto che nello sfratto non v'è una pretesa contestata, ma una pretesa insoddisfatta e, da questo punto di vista, è stato valutato dal legislatore conveniente munire il locatore di un titolo esecutivo di formazione giudiziale che consenta la soddisfazione della relativa pretesa.

In ragione del principio di causalità necessaria, quindi, anche nei procedimenti a cognizione speciale qual'è quello di convalida, s'impone la condanna dell'intimato al pagamento delle spese del giudizio, perché la mancata restituzione dell'immobile alla scadenza pattuita richiede che il locatore si procuri un titolo esecutivo per il rilascio.

In dottrina, si è osservato che il locatore di fatto, è quindi costretto ad attivarsi giudizialmente per effetto della condotta antigiuridica del conduttore, sulla cui scorta è quindi applicabile il principio della soccombenza (Lazzaro, Preden, Varrone, 168).

L'art. 91 c.p.c., secondo il quale il giudice con la sentenza che decide il processo davanti a lui condanna la parte soccombente al rimborso delle spese, trova applicazione con riguardo ad ogni provvedimento, ancorché reso in forma di ordinanza o decreto, che, nel risolvere contrapposte posizioni, elimini il procedimento davanti al giudice che lo emette, quando si renda necessario ristorare la parte vittoriosa degli oneri inerenti al dispendio di attività processuale legata da nesso causale con l'iniziativa dell'avversario.

La convalida di sfratto per finita locazione

Il suddetto principio trova applicazione anche nel procedimento per convalida di sfratto per finita locazione, e, ciò nel senso di affermare che l'ordinanza, pronunziata a norma dell'art. 663, comma 1, c.p.c., con cui lo sfratto è convalidato, deve contenere la condanna dell'intimato al pagamento, cioè al rimborso delle spese sostenute dal locatore per gli atti del procedimento.

Conseguentemente, il mancato riconoscimento del diritto al rimborso delle spese del giudizio di convalida – tanto nel caso di espressa richiesta dell'intimante, ma anche nell'ipotesi in cui la richiesta non vi sia – si risolve in un vizio di omissione di pronuncia, il quale ricorre quando, definendo il giudizio, il giudice pronuncia su alcuna soltanto delle domande comprese anche implicitamente nell'atto introduttivo della causa, quando esiste un dovere di provvedere d'ufficio, come accade a proposito delle spese del giudizio (Cass. III, n. 2675/1999).

L'ordinanza di convalida dello sfratto che presenti il vizio sopra indicato, quindi, è impugnabile con il rimedio ordinario dell'appello.

In tale senso, depone l'orientamento giurisprudenziale di legittimità

L'ordinanza di convalida dello sfratto per finita locazione deve contenere la pronuncia in ordine alle spese del giudizio di convalida ed è impugnabile mediante appello (Cass. III, n. 5720/1994).

La convalida di licenza per finita locazione

Le suesposte considerazioni valgono per la convalida di sfratto ovvero per l'intimazione di sfratto per morosità, mentre a differente conclusione si perviene nell'ipotesi della licenza per finita locazione.

La giurisprudenza di legittimità nega che il locatore abbia diritto al rimborso delle spese processuali anticipate per chiedere la convalida della licenza per finita locazione.

In particolare, si è affermato il principio che nel procedimento di convalida di licenza per finita locazione, qualora intervenga la convalida ai sensi dell'art. 663 c.p.c., il giudice non può disporre la condanna alle spese a carico del conduttore-intimato ed a favore del locatore, non trovando applicazione in tale fattispecie, il principio della soccombenza e di causalità, poiché il provvedimento di convalida non può considerarsi pronunciato in dipendenza di un fatto del convenuto, che renda necessario il ricorso alla tutela giurisdizionale, bensì di un interesse esclusivo dell'attore-intimante alla costituzione in via preventiva di un titolo esecutivo, da fare eventualmente valere successivamente alla scadenza del contratto (Cass. III, n. 3969/2007; in precedenza, v. Cass. I, n. 1713/1967; conforme, Trib. Salerno 9 novembre 2007).

La dottrina aderisce all'orientamento giurisprudenziale riguardante l'inammissibilità di una pronuncia di condanna nei confronti del conduttore, laddove giustificata dall'insussistenza di un suo inadempimento riferito al procedimento giudiziale di convalida della licenza per finita locazione per la futura scadenza contrattuale (Bucci, Crescenzi, 141).

La suddetta tesi è circoscritta, nella sua portata, alla sola eventualità in cui il procedimento speciale a cognizione sommaria si concluda con il provvedimento che convalida la licenza per finita locazione, in conseguenza o per effetto della mancata comparizione o della mancata opposizione dell'intimato.

L'orientamento sopra evidenziato della giurisprudenza di legittimità, si riferisce infatti sempre al caso della convalida della licenza, non anche a qualunque altra fattispecie in cui sia pronunciato l'accertamento, per il futuro, della cessazione del rapporto.

Ciò significa che rimane aperta la possibilità di emettere una pronuncia di condanna alle spese di lite allorquando il procedimento, chiusa la fase speciale, sia passato alla fase a cognizione piena a seguito di ordinanza di mutamento del rito.

La condanna alle spese, qualora il convenuto risulti soccombente all'esito della fase ordinaria, è giustificata dall'esigenza del locatore di premunirsi di un titolo per il rilascio dell'immobile, da usare, eventualmente, in futuro, per l'ipotesi che il conduttore non rilasci l'immobile alla scadenza naturale del rapporto, trovando quindi spiegazione non in un interesse autonomo ed indipendente dal comportamento del conduttore, bensì proprio nel comportamento di opposizione di quest'ultimo, atteso che il processo, che pure avrebbe potuto chiudersi con una declaratoria immediata di convalida, è dovuto proseguire a causa di un contegno oppositivo tenuto dal medesimo conduttore, idoneo a fare ritornare operativo il principio di causalità sotteso alla soccombenza (Trib. Patti 29 luglio 2010).

Il diritto del locatore al rimborso delle spese deriva dalla mancata restituzione dell'immobile dopo la scadenza della locazione, circostanza quest'ultima che rende necessario il ricorso ad un procedimento idoneo a sfociare in un provvedimento costituente titolo esecutivo per il rilascio (Cass. III, n. 1811/1955, riguardante una fattispecie in cui è stato riconosciuto il diritto al rimborso delle spese sostenute anche per l'intimazione di licenza per finita locazione, una volta che il locatore era dovuto ricorrere all'esecuzione forzata, sulla base dell'ordinanza di convalida precedentemente ottenuta, per conseguire il rilascio dell'immobile detenuto dal conduttore)

La mancata opposizione dell'intimato, da un lato, lo pone quindi in una posizione di soccombenza, e, dall'altro, facendo venire meno la contrapposizione tra le parti, costituisce il presupposto per la pronuncia dell'ordinanza di convalida, che d'altro canto, determina anche la chiusura del procedimento speciale (Cass. III, n. 5720/1994).

Le impugnazioni esperibili avverso l'ordinanza di convalida

L'ordinanza di convalida della licenza o dello sfratto ex art. 663 c.p.c., pur essendo impugnabile, in linea di principio, soltanto con l'opposizione tardiva ex art. 668 c.p.c., è soggetta al normale rimedio dell'appello solo se emanata nel difetto dei presupposti prescritti ex lege (Cass. III, n. 15230/2014; Cass. III, n. 12979/2010; Cass. III, n. 11380/2006; Cass. III, n. 10146/2001; Cass. III, n. 11494/2000).

Qualora il giudice erroneamente, anziché adottare i provvedimenti di cui agli artt. 665 e 667 c.p.c., emetta l'ordinanza di convalida – come nell'ipotesi in cui il convenuto-intimato deduca il mancato rispetto del termine di comparizione, pur senza opporre eccezioni di merito (Cass. III, n. 11298/2004) od ancora, la licenza o sfratto risulti essere stata pronunciata irritualmente nonostante l'opposizione dell'intimato (Cass. III, n. 11962/2005) volta a contestare la sua stessa legittimazione passiva nel rapporto locatizio (Cass. I, n. 2614/1997), nel caso di provvedimento di convalida adottato dopo il rinvio ad un'udienza successiva della quale l'originaria parte intimata non ha ricevuto rituale avviso (Cass. III, n. 5634/1986), nell'ipotesi in cui il giudice dichiarata l'estinzione del giudizio ex art. 662 c.p.c., e condanna al pagamento delle spese dell'instaurato procedimento speciale il locatore non comparso all'udienza indicata nell'atto di citazione, su istanza dell'intimato che sia invece comparso a tale udienza (Cass. III, n. 15933/2012), in violazione del principio del contraddittorio (Cass. III, n. 2908/1975), quando si dichiara l'estinzione del giudizio per effetto dell'avvenuta sanatoria della morosità, omettendo di considerare le contestazioni comportanti la sua prosecuzione ai sensi dell'art. 667 c.p.c. (Cass. III, n. 25393/2009), od ancora in caso di erronea attestazione di persistenza della morosità (Cass. III, n. 3977/1994; contra, il più recente orientamento di legittimità, v. da ultimo Cass. VI, n. 17582/2015 in cui si statuisce che la convalida è illegittima solo se emessa in assenza di tale attestazione, restando così irrilevante la circostanza che essa sia in ipotesi non veritiera, e le considerazioni svolte nel paragrafo seguente) – questa assume natura decisoria ed il contenuto sostanziale proprio di una sentenza, e, conseguentemente, l'impugnazione deve essere proposta con l'appello.

Con tale atto l'intimato potrà chiedere di essere rimesso nei termini per espletare l'attività difensiva che gli è stata impedita in primo grado, fermo restando che il giudice d'appello deciderà la controversia nel merito, giacché l'omissione del mutamento di rito non integra alcuna delle ipotesi tassativamente previste dagli artt. 343 e 354 c.p.c., per la rimessione della causa al primo giudice (Cass. III, n. 14625/2017).

Quando la convalida sia stata emessa nonostante l'opposizione dell'intimato o benché l'intimato comparso non abbia dichiarato di non opporsi, in tale ipotesi, non sussistendo adesione del conduttore alla domanda dell'intimante, deve ammettersi il rimedio dell'appello, in quanto il provvedimento di convalida è equiparabile ad una sentenza che abbia definito la controversia introdotta dall'intimazione di licenza o di sfratto e, come tale, deve poter essere impugnata.

L'ipotesi sopra descritta è quindi diversa da quella concernente la violazione dello schema processuale che abbia riguardato soltanto la conoscenza dell'intimazione e la possibilità del conduttore di esprimere la propria opposizione, perché in questo caso – che è quello contemplato dall'art. 668 c.p.c. (v. Corte cost. n. 89/1972) – soccorre il rimedio dell'opposizione tardiva, che consente all'intimato – il quale dimostri di essere stato concretamente impedito ad opporsi alla richiesta di convalida del locatore – di recuperare la possibilità di proporre l'opposizione e di fare quindi valere, per tale via, le proprie ragioni di merito.

La falsa attestazione di persistenza della morosità

L'ordinanza di convalida non ha natura di sentenza, e non è dunque impugnabile, se non è stata emessa al di fuori dello schema tipico del procedimento sommario disciplinato dall'art. 663 c.p.c., il quale è rispettato tutte le volte che l'ordinanza sia stata emessa ritualmente, in presenza dei presupposti formali previsti per la sua adozione.

La falsa attestazione del locatore o del suo procuratore fatta dinanzi al giudice della convalida che la morosità persiste ai sensi dell'art. 663, comma 3, c.p.c., attiene all'effettiva sussistenza della morosità e concerne dunque un aspetto sostanziale non rituale del procedimento speciale.

In ciò si spiega l'art. 663, comma 3, c.p.c. laddove all'ultimo inciso prevede – in evidente riferimento al caso che il giudice abbia motivo di dubitare della persistenza della morosità nonostante la dichiarazione in tal senso del locatore o del suo procuratore – che l'esecuzione del provvedimento possa essere subordinata alla prestazione di una cauzione, senza peraltro consentire alcuna indagine sul punto in relazione alla natura speciale dello stesso procedimento.

Ne consegue che l'eventuale falsità della dichiarazione di persistenza della morosità di cui all'art. 663, comma 3, c.p.c. non rileva ai fini dell'esistenza formale delle condizioni previste per l'emanazione del provvedimento di convalida, il cui accertamento determina la legittimità del provvedimento, e, di conseguenza, non consente di utilizzare avverso il suddetto provvedimento di convalida dello sfratto i mezzi ordinari di impugnazione previsti per le sentenze, salva la revocazione ex art. 395, n. 1) c.p.c., a seguito della nota pronuncia della Consulta (Corte cost., n. 51/1995), restando le eventuali ragioni dell'intimato affidate all'azione risarcitoria esperibile dall'intimato ex art. 2043 c.c. (Cass. III, n. 247/2000; Cass. III, n. 525/1987).

Il presupposto speciale per l'emissione dell'ordinanza di convalida dello sfratto intimato per il mancato pagamento dei canoni, ai sensi dell'art. 663, comma 7, c.p.c., non è l'obiettiva persistenza della morosità, ma è la semplice attestazione in giudizio da parte del locatore o del suo procuratore che la morosità persiste, per cui la convalida è illegittima solo se emessa in assenza di tale attestazione, restando irrilevante la circostanza che essa sia in ipotesi non veritiera, perché emessa in difetto del presupposto della mora, trattandosi peraltro di un presupposto che è incontrollabile nella sede sommaria in assenza dell'intimato, il quale soltanto potrebbe contestare l'affermazione del locatore e dimostrare che la morosità non sussiste (Cass. III, n. 11380/2006; Cass. III, n. 962/1987).

Solo in mancanza dell'attestazione, l'ordinanza di convalida dello sfratto è soggetta al normale rimedio dell'appello, poiché in tale caso, si ritiene emessa in difetto di uno dei presupposti di legge, quindi equiparabile ad una sentenza, anche ai fini dell'impugnazione (Cass. III, n. VI, n. 17582/2015; Cass. III, n. 10146/2001).

Ordinanza di convalida e formazione del giudicato

L'ordinanza di convalida di sfratto è un provvedimento di tutela giurisdizionale irrevocabile che ha valore di cosa giudicata sostanziale per la risoluzione del rapporto di locazione e per la condanna al rilascio del bene immobile (v. Cass. III, n. 12994/2013).

Tale provvedimento, non può assolutamente precludere la pronuncia, in un successivo e distinto giudizio, della sentenza di risoluzione del medesimo contratto per l'inadempimento anteriormente verificatosi, la cui domanda ha contenuto e presupposti diversi, e tale ultima pronuncia, sebbene di carattere costitutivo, avendo efficacia retroattiva al momento dell'inadempimento, prevale rispetto alle altre cause di risoluzione del medesimo rapporto contrattuale per la priorità nel tempo dell'operatività dei suoi effetti (Cass. III, n. 19695/2008; Cass. III, n. 2070/1993).

L'ordinanza di convalida di sfratto per morosità, una volta preclusa l'opposizione ex art. 668 c.p.c., acquista efficacia di cosa giudicata in senso sostanziale sulla pregressa esistenza della locazione, sulla qualità di locatore dell'intimante e di conduttore dell'intimato, sull'intervento di una causa di risoluzione del contratto di locazione, ma non certamente sulla qualificazione del rapporto locatizio (Cass. III, n. 2280/2005; Cass. III, n. 6406/1999).

Nel caso del decreto ingiuntivo non opposto, il giudicato sostanziale conseguente alla sua mancata opposizione copre innanzitutto l'esistenza del credito azionato, del rapporto da cui esso deriva ed il titolo su cui il credito ed il rapporto si fondano, ma anche l'inesistenza di fatti impeditivi, estintivi e modificativi del rapporto e del credito precedenti al ricorso per ingiunzione e non dedotti con l'opposizione (Cass. I, n. 15178/2000).

Anche in questo caso il giudicato non si estende alla qualificazione del rapporto di locazione.

I suddetti provvedimenti non possono dunque fare stato sulla qualificazione del contratto, ed in particolare sulla sua assoggettabilità o meno alla disciplina di cui alla l. n. 392/1978, che non abbia formato oggetto di accertamento, nemmeno sommario, da parte del giudice (Cass. III, n. 8013/2009).

Ordinanza di convalida e revocazione

L'applicazione della revocazione all'ordinanza di convalida di licenza o sfratto un tempo preclusa dalla giurisprudenza (Cass. III, n. 4617/1987, laddove riteneva che avverso l'ordinanza di convalida di licenza o di sfratto ex art. 663 c.p.c. avente le caratteristiche estrinseche ed intrinseche dell'ordinanza perché emessa ritualmente non era ammissibile l'impugnazione per revocazione perché questa era prevista dall'art. 395 e 396 c.p.c. soltanto per le sentenze nei casi e alle condizioni in tali norme specificate; e la risalente Cass. III, n. 433/1949, concernente un caso di convalida di licenza emessa in assenza dell'intimato) è stata successivamente ritenuta ammissibile a seguito dell'intervento in materia della Corte costituzionale, con due distinte pronunce.

In particolare, l'esperibilità della revocazione per errore di fatto o per dolo di una parte in danno dell'altra, avverso l'ordinanza di convalida di sfratto per morosità o di licenza per finita locazione, derivante dalle note pronunce della Consulta (Corte cost., n. 558/1989, dichiarativa dell'illegittimità costituzionale della prima parte dell'art. 595 c.p.c. e del n. 4 nella parte in cui non prevedono la revocazione per errore di fatto avverso i provvedimenti di convalida di sfratto e licenza per finita locazione e di convalida di sfratto per morosità emessi in assenza o per mancata opposizione dell'intimato; e Corte cost., n. 51/1995, dichiarativa dell'illegittimità costituzionale della prima parte dell'art. 395 c.p.c. e del n. 1 nella parte in cui non prevede la revocazione avverso i provvedimenti di convalida di sfratto per morosità che siano l'effetto del dolo di una delle parti in danno dell'altra), postula l'attribuzione a detta ordinanza della natura di atto giurisdizionale decisorio, reso in unico grado, e come tale non appellabile (Cass. III, n. 5329/2005).

L'ordinanza di convalida è considerata, dalla prevalente dottrina, un provvedimento giurisdizionale decisorio suscettibile di acquisire efficacia di cosa giudicata sostanziale (Garbagnati 322; Giordano 2019; Frasca, 229).

Infatti, l'ordinanza di convalida non ha natura di sentenza, non essendo dunque impugnabile, laddove non emessa al di fuori dello schema tipico del procedimento sommario disciplinato dall'art. 663 c.p.c., il quale è rispettato tutte le volte che l'ordinanza sia stata emessa ritualmente, in presenza dei presupposti formali previsti per la sua adozione (Cass. III, n. 247/2000).

Ciò premesso, l'opposizione di cui all'art. 668 c.p.c. e la revocazione ex art. 395, n. 1) c.p.c. sono due distinti ed autonomi istituti giuridici, che il legislatore ha basato su presupposti del tutto diversi: la mancanza di tempestiva conoscenza per irregolarità della notificazione o per caso fortuito o forza maggiore dell'intimazione di licenza o di sfratto nel primo caso ed il dolo revocatorio nel secondo.

Inoltre, ai sensi del combinato disposto degli artt. 395 e 396 c.p.c. la revocazione è ammessa soltanto contro le sentenze pronunciate in grado di appello od in unico grado, mentre la sentenza di primo grado è suscettibile di tale rimedio solo quando sia scaduto il termine per l'appello e si tratti di un caso straordinario di revocazione, riguardante i motivi di cui all'art. 395, nn. 1), 2), 3) e 6) c.p.c.

Pertanto, ove l'intimato pur avendo avuto conoscenza dell'atto di intimazione, non compaia all'udienza fissata, fidandosi delle assicurazioni ricevute circa il comportamento processuale che l'intimante avrebbe tenuto nella stessa udienza, ciò non può imputarsi a caso fortuito, ma ad una scelta errata del conduttore, giacché le assicurazioni della controparte non possono esimere l'intimato dal comparire o costituirsi in giudizio per tutelare il suo buon diritto come recita l'antico brocardo vigilantibus iura succurrunt (Cass. III, n. 9093/2001).

Quanto al rito, va premesso come l'impugnazione per revocazione di un'ordinanza di convalida di sfratto, dando luogo a controversia in materia di locazione, è soggetta allo speciale rito locatizio ex art. 447-bis c.p.c. modellato sul rito del lavoro.

La cauzione

La prestazione della cauzione nella fattispecie enunciata dall'art. 663, comma 3, c.p.c. – istituto di non frequente applicazione pratica (Masoni, 412) – integra l'esercizio di un potere discrezionale del giudice in ragione delle peculiarità della singola fattispecie (Bucci, Crescenzi, 193), mentre quanto alle modalità occorre fare riferimento alle disposizioni generali di cui all'art. 119 c.p.c. e 86 disp. att. c.p.c.

La restituzione della cauzione va richiesta dinanzi allo stesso giudice che ha convalidato lo sfratto o la licenza (Lazzaro, Preden, Varrone, 145).

In dottrina si è anche precisato che per ottenere lo svincolo, all'intimante basterebbe dimostrare il perfezionarsi del relativo presupposto, e, dunque, l'avvenuto rilascio dell'immobile ovvero la mancata proposizione dell'opposizione tardiva da parte dell'intimato (Masoni, 412).

La stessa dottrina osserva che lo svincolo potrà essere quindi disposto in tale ipotesi dal giudice della convalida de plano et inaudita altera parte, ovvero dal giudice dell'opposizione all'esito del rigetto di quest'ultima o nell'eventualità in cui la stessa opposizione venga ad essere cancellata dal ruolo dell'ufficio (Masoni, 412).

 Come noto, nel contratto di locazione, l'obbligo di restituzione del deposito cauzionale sorge in capo al locatore al termine del rapporto, non appena avvenuto il rilascio dell'immobile locato, con la conseguenza che, ove il locatore trattenga la somma dopo tale evento, senza proporre domanda giudiziale per l'attribuzione, in tutto od in parte, della stessa a copertura di specifici danni subiti o di importi rimasti impagati, il conduttore può esigerne la restituzione. Pertanto, una volta terminato il rapporto locatizio e riconsegnato l'immobile, il deposito cauzionale non assolve più la funzione di garanzia prevista dalla legge ed il locatore è gravato dall'obbligo restitutorio, salva l'ipotesi in cui abbia agito in giudizio per ottenere il risarcimento di specifici danni cagionati dal conduttore (Trib. Roma 17 settembre 2020).

Bibliografia

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