Codice di Procedura Civile art. 423 - Ordinanze per il pagamento di somme 1 .

Vito Amendolagine

Ordinanze per il pagamento di somme1.

[I]. Il giudice, su istanza di parte, in ogni stato del giudizio, dispone con ordinanza il pagamento delle somme non contestate [186-bis 1].

[II]. Egualmente, in ogni stato del giudizio, il giudice può, su istanza del lavoratore, disporre con ordinanza il pagamento di una somma a titolo provvisorio quando ritenga il diritto accertato e nei limiti della quantità per cui ritiene già raggiunta la prova.

[III]. Le ordinanze di cui ai commi precedenti costituiscono titolo esecutivo [474 2 n. 1].

[IV]. L'ordinanza di cui al secondo comma è revocabile con la sentenza che decide la causa.

[1] Articolo sostituito dall'art. 1, comma 1, l. 11 agosto 1973, n. 533.

Inquadramento

L'art. 423 c.p.c. rubricato ordinanze per il pagamento di somme, disciplina l'analogo istituto dell'ordinanza di pagamento di somme non contestate presente nel processo civile ordinario di cui all'art. 186-bis c.p.c., e l'ordinanza provvisionale che richiama l'analoga misura disciplinata nel rito civile ordinario dall'art. 278 c.p.c. da cui si discosta principalmente perché l'accertamento del diritto cui si riferisce la norma in commento è sommario.

In dottrina, sono state evidenziate la natura e caratteristiche di provvedimenti anticipatori di condanna (Montesano, Arieta 2002, 1373).

Alla prima – ordinanza per il pagamento di somme non contestate – si riferisce l'art. 423, comma 1, c.p.c., laddove, invece, la seconda – ordinanza provvisionale – è contemplata dall'art. 423, comma 2, c.p.c.

Entrambe le ordinanze previste dall'art. 423, commi 1 e 2 c.p.c. sono titolo esecutivo per esigere il pagamento dalla parte debitrice, ma non per l'iscrizione dell'ipoteca giudiziale.

In dottrina, al riguardo, non sembra esservi però uniformità di pensiero, tra coloro che negano la possibilità che l'iscrizione ipotecaria avvenga sulla scorta dell'ordinanza emessa ex art. 423, comma 1 e 2, c.p.c. (Proto Pisani 1993, 113; Tarzia, Dittrich, 272), e chi ritiene invece la stessa ammissibile (Montesano, Vaccarella, 234).

L'art. 447-bis c.p.c. richiama l'art. 423, commi 1 e 3 c.p.c. conseguentemente, l'ordinanza di pagamento di somme non contestate è l'unica che può trovare applicazione nel rito locatizio e, rispetto alla misura contenuta nell'art. 186-bis c.p.c. ha in comune il presupposto occorrente per la sua pronuncia, ovvero l'esistenza di “somme non contestate” (Masoni, 147).

Ciò deriva anche dallo stesso tenore letterale del dato normativo, in quanto, l'art. 423, comma 2, c.p.c. fa espresso riferimento alla persona del lavoratore quale unico soggetto legittimato a proporre l'istanza per chiedere la provvisionale al giudice (Masoni, 146; Montesano, Arieta 2002, 425; Tarzia, 1980, 177).

L'ordinanza di pagamento di somme non contestate e l'ordinanza provvisionale ex art. 423, commi 1 e 2, c.p.c. sopravvivono in caso di un'eventuale estinzione del processo in cui sono pronunciate, in Forza di quanto enunciato dall'art. 186-bis c.p.c. la cui regola di ultrattività, la dottrina (Luiso 1992, 227; Montesano, Vaccarella, 228) ritiene applicabile anche alle ordinanze disciplinate dall'art. 423, commi 1 e 2, c.p.c.

Secondo la dottrina, entrambe le ordinanze previste dall'art. 423 c.p.c. possono essere pronunciate nel contraddittorio delle parti in causa, e, quindi, non prima dell'udienza di discussione fissata dal giudice (Luiso, 1992 229; Tarzia, Dittrich, 268).

In ordine all'ammissibilità nel rito del lavoro, delle ordinanze previste nel rito civile ordinario di cui agli artt. 186-ter c.p.c. e 186-quater c.p.c., la dottrina ritiene ammissibile l'ordinanza ex art. 186-ter c.p.c. (Domenici, 486; Giussani, 539; Montesano, Vaccarella, 230; Satta, Punzi, 1055; Tarzia, Dittrich, 273; contra, Verde, 420), ma non quella emessa ai sensi dell'art. 186-quater c.p.c. (Didone, 135; frasca, 309; Masoni, 151; Montesano, Vaccarella, 231; Montesano, Arieta 2002, 250; Scarselli, 393; Tarzia, Dittrich, 273; contra, Carrato, 526).

L'ordinanza di pagamento delle somme non contestate

L'art. 423, comma 1, c.p.c. disciplina l'ordinanza di pagamento di somme non contestate che la parte istante formula al giudice nel contraddittorio della controparte.

La littera legis si riferisce genericamente all'istanza di parte, e, da ciò emerge che la legittimazione a chiedere l'emissione di ordinanza di pagamento delle somme non contestate spetta sia alla parte attrice sia alla parte convenuta che abbia introdotto una domanda riconvenzionale, ovvero al terzo chiamato che a sua volta abbia proposto la relativa istanza.

In base all'art. 423, comma 1, c.p.c. – secondo cui su istanza di parte in qualsiasi stato del giudizio, il giudice dispone con ordinanza il pagamento delle somme non contestate – emerge che la suddetta istanza oltre a dover essere proposta dalla parte già costituitasi nello stesso giudizio, non può essere emessa inaudita altera parte, in quanto, la mancanza di contestazione presuppone che la controparte abbia a sua volta assunto all'udienza di discussione una posizione giuridicamente incompatibile con la negazione delle somme in forza della cui debenza, viene formulata l'istanza per l'emissione dell'ordinanza di cui all'art. 423, comma 1, c.p.c. che presuppone quindi, l'avvenuta instaurazione del contraddittorio.

La dottrina (Luiso 1992, 224; Tarzia, Dittrich, 263) ha acutamente rilevato come la “non contestazione” cui si riferisce l'art. 423, comma 1, c.p.c. attiene al riconoscimento del diritto di credito pecuniario non già dei fatti costitutivi del diritto in sé considerato, da cui consegue che l'istituto della non contestazione – anche ex art. 115 comma 1, c.p.c. – assume rilevanza preminente dinanzi ad una contestazione generica delle opposte ragioni di credito, laddove quest'ultima risulti fondata su allegazioni difensive non incompatibili con l'altrui diritto.

L'orientamento della giurisprudenza – formatosi in ordine ai presupposti legittimanti l'emissione dell'ordinanza ai sensi dell'art. 186-bis c.p.c. – in via interpretativa possono ritenersi applicabili anche all'ordinanza emessa ex art. 423, comma 1, c.p.c., sembra recepire le conclusioni della dottrina.

Ai fini della concessione dell'ordinanza ingiunzione ex art. 186-bis c.p.c., il piano dell'ammissione del diritto – l'an debeatur – non va confuso con il requisito della non contestazione di somme dovute – il quantum debeatur – richiesto per l'emanazione del suddetto provvedimento (Trib. Trani 19 novembre 2004).

Nell'emissione dell'ordinanza ex art. 423 c.p.c. ai fini della liquidazione degli onorari professionali dovuti dal cliente in favore dell'avvocato, nel caso di transazione di una causa introdotta con domanda di valore determinato e, pertanto, non presunto in base ai criteri fissati dal codice di procedura civile, il valore della causa si determina avendo riguardo soltanto a quanto specificato nella domanda, considerata al momento iniziale della lite, restando irrilevante la somma realizzata dal cliente a seguito della transazione (Cass. II, n. 18723/2024).

L'ordinanza ex art. 423, comma 1, c.p.c. costituisce titolo esecutivo destinato ad essere assorbito nella sentenza che definisce la causa.

L'ordinanza di pagamento di somme non contestate e quella di pagamento di somme accertate nel corso del procedimento di lavoro sono provvedimenti condannatori a cognizione sommaria e ad effetto anticipatorio, oltre che cautelare in senso lato, sono prive dell'attributo della decisorietà, non compromettono la valutazione del merito e possono essere corrette, mediante espressa revoca o per assorbimento, con la sentenza che definisce il giudizio (Cass. S.U., n. 2321/1980).

I provvedimenti interinali anticipatori – come le ordinanze di pagamento di somme non contestate o di somme accertate emesse nei procedimenti di lavoro – non sono appellabili anche nel caso che siano viziati per errata applicazione delle norme che ne stabiliscono i presupposti, a meno che l'ordinanza abbia preso il posto della sentenza definitiva, e non sono ricorribili per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost., salvo che il giudice non abbia ecceduto dai suoi poteri con una pronuncia suscettibile di effetti irreversibili per le parti (Cass. S.U., n. 2321/1980).

Ordinanza di pagamento delle somme non contestate e parte contumaciale

A ben vedere, questa è anche la ragione per cui si discute se l'ordinanza prevista dall'art. 423, comma 1, c.p.c. possa essere pronunciata anche nei confronti della parte che è rimasta contumace nel giudizio, e, quindi, sostanzialmente inerte.

Al riguardo, nel rito civile ordinario nulla quaestio, atteso quanto palesemente affermato dall'art. 186-bis, comma 1, c.p.c. laddove dispone che su istanza di parte il giudice istruttore può disporre, fino al momento della precisazione delle conclusioni, il pagamento delle somme non contestate dalle parti costituite.

Quid juris invece nel caso del rito del lavoro – e locatizio – in cui opera l'art. 423, comma 1, c.p.c. espressamente richiamato dall'art. 447-bis c.p.c.?

La giurisprudenza di legittimità, con una ormai risalente pronuncia, ebbe ad affermare che nelle controversie soggette al rito del lavoro, la sola contumacia del convenuto non è sufficiente all'attore per ottenere l'ordinanza di pagamento delle somme non contestate ex art. 423 c.p.c., in quanto, a tale fine, è necessario che il giudice disponga di elementi di valutazione che gli permettano di convincersi che il credito vantato – in tutto od in parte – non sia stato contestato, il che può verificarsi o quando la stessa impostazione difensiva del convenuto costituito ne postuli la sussistenza o si mostri prima facie pretestuosa, ovvero, quando, essendo rimasto il convenuto contumace, risulti comunque una situazione legittimante l'emissione della suddetta ordinanza (Cass., sez. lav., n. 4941/1984).

In base ad un'successivo orientamento emerso nella giurisprudenza di merito, l'art. 186-bis, comma 1, c.p.c., precisando che la “non contestazione” deve provenire dalla “parti costituite”, non consente la pronuncia dell'ordinanza contro la parte rimasta “contumace” nel processo, a differenza del disposto dell'art. 423, comma 1, c.p.c. che, non contenendo un'analoga precisazione, ha invece dato luogo a due contrapposti orientamenti interpretativi circa la possibilità o meno di configurare la “non contestazione” come derivante dalla contumacia della parte.

In particolare, tale regola risulta conforme al principio per cui nel rito civile ordinario la contumacia rappresenta un evento naturale del processo, consistendo in una condotta neutra, ricollegabile ad una libera scelta del soggetto chiamato in giudizio, e, dalla quale, non possono perciò farsi derivare in modo automatico conseguenze negative, al di fuori delle ipotesi specifiche e dagli effetti di volta in volta specificati dalla legge (Trib. Torino 26 ottobre 2006).

La dottrina ritiene applicabile alla parte contumace nel rito del lavoro – in via interpretativa – la stessa previsione contenuta nell'art. 186-bis c.p.c. nel rito civile ordinario, anche nell'ipotesi contemplata dall'art. 423, comma 1, c.p.c. riferita all'emissione dell'ordinanza di pagamento delle somme non contestate (Mandrioli, Carratta, 261; Tarzia, Dittrich, 265).

Il regime di stabilità dell'ordinanza di pagamento delle somme non contestate

Il riferimento contenuto nell'inciso – “in ogni stato del giudizio” – deve intendersi comunque riferito “non prima dell'udienza di discussione” come si evince peraltro, dalla stessa forma del provvedimento contemplato dall'art. 423, comma 1, c.p.c. che è quella dell'ordinanza.

Infatti, sotto tale aspetto, coglie nel segno l'osservazione della dottrina (Tarzia, Dittrich, 268) laddove risulta palese che l'adozione dell'ordinanza possa avvenire in “qualsiasi stato” della discussione, atteso che nel rito del lavoro, ogni udienza successiva alla prima, è pur sempre finalizzata alla “discussione” della causa.

In ordine al regime di stabilità dell'ordinanza emessa ex art. 423, comma 1, c.p.c., la giurisprudenza di legittimità ha affermato che qualora il giudice del lavoro, nell'esercizio delle facoltà conferitegli dall'art. 423, commi 1 e 2 c.p.c., disponga il pagamento di un debito per la somma non contestata, ovvero per la somma nei cui limiti ritenga accertato il corrispondente diritto della parte istante, il relativo provvedimento endoprocessuale, a cognizione sommaria e con finalità cautelari, e privo di decisorietà, non preclude il riesame delle questioni con esso affrontate, ed è revocabile e modificabile, da parte dello stesso giudice che lo ha emesso in corso di causa, sia da parte del giudice che decide la causa, con la sentenza che definisce il processo.

Del resto, l'onere di contestazione, la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova, sussiste soltanto per i fatti noti alla parte, non anche per quelli che siano estranei alla sua sfera di conoscibilità (Cass. lav., n. 2174/2021). Si tratta della continuità del principio affermato da Cass. lav., n. 31704/2019, secondo cui, nell'ambito del processo del lavoro l'onere di contestazione trae origine dal disposto dell'art. 416 c.p.c., che addossa al convenuto l'onere di prendere posizione in maniera precisa e non limitata ad una generica contestazione e lo riferisce espressamente ai fatti affermati dall'attore a fondamento della domanda, di talchè la mancata contestazione del fatto costitutivo del diritto, che ne rende inutile la prova siccome non più controverso, si pone in coerenza con la struttura del processo, finalizzata a fare sì che all'udienza di discussione ex art. 420 c.p.c. la causa giunga delineata in modo compiuto per quanto attiene all'oggetto ed alle esigenze istruttorie.

Le ordinanze previste dall'art. 423 c.p.c., pertanto, non hanno il contenuto sostanziale della sentenza, e l'accertamento in esse contenuto non può mai acquistare l'autorità di cosa giudicata, per cui, di conseguenza esse non sono suscettibili di ricorso per cassazione immediato ex art. 111 Cost. (Cass., sez. lav., n. 880/1989).

Conseguentemente, i vizi afferenti tale provvedimento, ivi compresi quelli derivanti dalla mancanza dei presupposti sostanziali e processuali, possono essere fatti valere in prosieguo di causa per conseguire detta revoca, ovvero in sede di impugnazione della sentenza che decide la causa.

L'ordinanza non è, pertanto, vincolante in ordine alla debenza delle somme delle quali viene ordinato il pagamento, poiché solo la sentenza che definisce il giudizio determina l'ammontare del debito, in relazione al quale il debitore può agire in restituzione, ex art. 2033 c.c. per le maggiori somme eventualmente corrisposte

L'ordinanza provvisionale

L'ordinanza emessa ai sensi dell'art. 423, comma 2, c.p.c. comunemente definita provvisionale, presenta delle evidenti analogie ed allo stesso tempo, delle marcate differenze rispetto alla misura contemplata dall'art. 278 c.p.c. nel rito civile ordinario.

L'ordinanza con la quale il giudice dispone, ai sensi dell'art. 423 c.p.c., il pagamento di somme non contestate o, comunque, relative al diritto che ritiene accertato, ha una peculiare natura, che la distingue dalla condanna provvisionale di cui all'art. 278 c.p.c. (Cass., sez. lav., n. 3596/1982).

Infatti mentre il provvedimento reso ai sensi dell'art. 423, comma 2, c.p.c. è reso in forma di ordinanza, e legittimato a richiederlo è soltanto il lavoratore, quello ex art. 378 c.p.c. è costituito da una sentenza.

Inoltre, mentre la sentenza emessa ai sensi dell'art. 278 c.p.c. è impugnabile direttamente con l'appello, l'ordinanza provvisionale di cui alla norma in commento è soltanto revocabile con la sentenza che definisce il giudizio.

L'iscrizione di ipoteca giudiziale è possibile soltanto nel caso della sentenza emessa ai sensi dell'art. 278 c.p.c., a tale fine, non essendo sufficiente il titolo esecutivo costituito dall'ordinanza emessa in forza dell'art. 423, comma 2, c.p.c.

In dottrina, l'ordinanza provvisionale di cui si discorre, ex art. 423, comma 2, c.p.c. si ritiene che non possa essere emessa prima che si instauri il contraddittorio delle parti dinanzi al giudice all'udienza di discussione (Montesano, Vaccarella, 183).

La giurisprudenza di merito edita, ritiene invece che l'espressione “in ogni stato del giudizio” usata dal legislatore, rende possibile l'ipotesi che anche prima dell'udienza di discussione, e, quindi, dopo la notifica del ricorso con il decreto di fissazione dell'anzidetta udienza, il giudice possa decidere in ordine all'emissione dell'ordinanza provvisionale ex art. 423, comma 2, c.p.c. in un'ottica acceleratoria di salvaguardia dell'interesse del lavoratore (Pret. Bologna 18 ottobre 1983).

In ordine alla natura cautelare dell'ordinanza emessa ex art. 423, comma 2, c.p.c. la posizione assunta dalla giurisprudenza di legittimità, ad oggi, non può ancora definirsi consolidata.

In particolare, secondo una pronuncia delle Sezioni unite, l'ordinanza emessa ai sensi dell'art. 423 c.p.c. avrebbe natura cautelare, a cognizione sommaria, e contenuto non decisorio (Cass. S.U., n. 12132/1990) mentre in una precedente pronuncia, le Sezioni unite avevano precisato invece che l'ordinanza ex art. 423, comma 2, c.p.c. ha soltanto finalità cautelari, pur essendo un provvedimento privo di decisorietà (Cass. S.U., n. 2321/1980).

Nel senso della natura decisoria e soltanto lato sensu cautelare dell'ordinanza provvisionale emessa a mente dell'art. 423, comma 2, c.p.c, in relazione alla quale, si è affermato che può prescindersi dal riscontro del periculum in mora, si è espressa altra più recente pronuncia di legittimità (Cass., sez. lav., n. 8373/1997).

La dottrina ha, invece, assunto al riguardo una posizione più chiara, nel senso di ritenere assimilabile l'ordinanza ex art. 423, comma 2, c.p.c. alla stregua di un provvedimento definibile soltanto lato sensu cautelare (Fazzalari 1974, 123; denti, Simoneschi, 139; Luiso 1992, 227).

La provvisionale emessa sulla scorta dell'art. 278 c.p.c. che si riferisce alla condanna generica, trae la sua linfa vitale dalla sentenza di condanna generica conseguente all'accertata sussistenza del diritto nonostante sia ancora controversa la quantità della prestazione dovuta, mentre l'ordinanza emessa ex art. 423, comma 2, c.p.c. presuppone che il diritto sia stato accertato nei limiti della quantità per cui il giudice ritiene già raggiunta la prova.

La differenza nei richiamati presupposti delle due norme qui considerate, è ravvisabile quanto al provvedimento emesso in forma di sentenza disciplinato dall'art. 278 c.p.c., nell'esistenza di una controversa in ordine alla quantità della prestazione dovuta, per effetto della quale, il giudice, su istanza di parte, può limitarsi a pronunciare con sentenza la condanna generica alla prestazione, disponendo con ordinanza che il processo prosegua per la liquidazione, potendo altresì condannare il debitore al pagamento di una provvisionale, soltanto nei limiti della quantità per cui ritiene già raggiunta la prova.

Conseguentemente, la sentenza così emessa è soggetta ad eventuale impugnazione diretta con l'appello.

Nel caso dell'ordinanza di pagamento delle somme non contestate ex art. 423, comma 2, c.p.c. il rimedio esperibile avverso quest'ultimo provvedimento è invece la sua revocabilità con la stessa sentenza che decide la causa, ragione per cui soltanto avverso quest'ultima pronuncia sarà esperibile l'appello.

Infatti, l'ordinanza di pagamento delle somme non contestate, sulla scorta di quanto previsto dall'art. 186-bis c.p.c. sulla disciplina delle ordinanze revocabili ex artt. 177, commi 1 e 2, c.p.c. e 178, comma 1, c.p.c., si ritiene sia modificabile e revocabile dal giudice che l'ha emessa anche prima del provvedimento che definisce il processo, mentre l'ordinanza provvisionale cui si riferisce l'art. 423, comma 2, c.p.c. basandosi su un accertamento sommario, è revocabile con la sentenza che definisce il giudizio, ma non è autonomamente impugnabile, neppure ex art. 111 Cost., in quanto priva del carattere di definitività nell'accertamento del diritto (Cass., sez. lav., n. 880/1989; Cass. S.U., n. 9567/1987).

Il ricorso ex art. 111, comma 2, Cost., infatti, costituisce una sorta di extrema ratio cui è possibile ricorrere solo quando l'ordinamento non conceda alle parti rimedi idonei esperibili contro i provvedimenti giudiziali suscettibili di passare in res iudicata, laddove invece, nei confronti dell'ordinanza di cui all'art. 423 c.p.c. l'ordinamento ha previsto come rimedi esperibili sia la revocabilità dell'ordinanza, sia l'appello avverso la sentenza che decide la causa.

È dunque irrilevante, ai fini del decidere, stabilire se l'ordinanza emessa ex art. 423 c.p.c. sia stata adottata ai sensi dell'art. 423, commi 1 o 2 c.p.c., dal momento che, per il suo carattere non decisorio, non è assimilabile alla sentenza di condanna generica (Cass., sez. lav., n. 10628/1991), con la conseguenza che l'appello diretto avverso la stessa ordinanza non è mai proponibile (Cass. S.U., n. 9479/1997).

Ordinanza ex art. 423 c.p.c. e regolamento di giurisdizione

La giurisprudenza ritiene che l'emissione dell'ordinanza ai sensi dell'art. 423 c.p.c. non incide sull'ammissibilità del ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione, attesa la natura anticipatoria cautelare, a cognizione sommaria, e la non decisorietà dell'ordinanza stessa.

In particolare, le Sezioni Unite hanno affermato che l'ordinanza per il pagamento di somme non contestate, abbia o meno pronunciato – implicitamente od esplicitamente – sulla giurisdizione del giudice adito, resta sempre un provvedimento non decisorio, con la conseguenza che avverso questa ordinanza, non è proponibile il ricorso per cassazione, ancorché tale ricorso sia proposto per contestare la giurisdizione del giudice che l'ha emesso (Cass. S.U., n. 2321/1980; Cass. S.U., n. 12132/1990; Cass. S.U., n. 9567/1997).

Pertanto, qualora il giudice, nell'esercizio delle facoltà conferitegli dall'art. 423, commi 1 e 2 c.p.c., senza eccedere dai limiti della tutela interdittale, e senza esaurire in tutto od in parte la controversia, disponga il pagamento di un debito per la somma non contestata, ovvero per la somma nei cui limiti ritenga accertato il corrispondente diritto, il relativo provvedimento, a cognizione sommaria e con finalità cautelari, è privo di decisorietà, non preclude il riesame delle questioni con esso affrontate, ed è revocabile da parte dello stesso giudice, con la sentenza che definisce la causa.

I vizi afferenti tale provvedimento, ivi compresi quelli derivanti dalla mancanza dei presupposti sostanziali o processuali, quale il preteso difetto temporaneo di giurisdizione per effetto della sospensione del processo a seguito di ricorso per regolamento di giurisdizione, possono essere fatti valere in prosieguo della causa per conseguire detta revoca, ovvero in sede di impugnazione della sentenza che decida la causa, ovvero in sede di regolamento preventivo di giurisdizione, consentito proprio dal carattere non decisorio del provvedimento stesso (Cass. S.U., n. 9479/1997).

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