Grave illecito professionale e responsabilità valutativa dell'Amministrazione

Carlo M. Tanzarella
19 Maggio 2020

Alla luce dei principi derivanti dal diritto dell'Unione Europea, non è consentito alla stazione appaltante abdicare dalla responsabilità di autonoma valutazione della sussistenza dei presupposti costitutivi del grave illecito professionale, rimettendo la decisione ad altra autorità.

I fatti. La controversia definita dal Tar per la Lombardia concerne una gara per l'affidamento di un contratto di fornitura di beni, conclusa con l'aggiudicazione ad impresa, già per l'innanzi contraente della medesima stazione appaltante e nei cui confronti quest'ultima aveva contestato l'applicazione di listini prezzi diversi da quelli ufficiali, in violazione delle pattuizioni negoziali, con conseguente risoluzione del rapporto per inadempimento.

Tale vicenda era stata a sua volta portata a fondamento dell'esclusione subita dall'impresa in altra gara, immediatamente antecedente, avente il medesimo oggetto e indetta dalla medesima stazione appaltante, per la ritenuta sussistenza dei presupposti del grave illecito professionale ex art. 80, comma 5, lett. c) del Codice dei contratti pubblici.

Nelle more della nuova gara, peraltro, l'impresa ha opposto la risoluzione per inadempimento avanti il Giudice ordinario, ciò che ha convinto l'Amministrazione aggiudicatrice ad affidare in ogni caso la commessa all'impresa già trovata inadempiente nell'esecuzione del precedente contratto, previa ammissione alla procedura “con riserva” in attesa della definizione del giudizio (“riserva” poi tradottasi, all'atto della stipulazione del contratto, in una clausola risolutiva espressa per il caso di conferma giudiziale della legittimità della risoluzione).

Il ricorso. Avverso l'aggiudicazione è insorta l'impresa sortita al secondo posto della graduatoria finale, contestando l'illegittimità dell'aggiudicazione in quanto condizionata all'esito di un giudizio civile relativo alla legittimità della risoluzione di un contratto di fornitura tra le stesse parti e, come tale, in ritenuta violazione delle previsioni del diritto interno e del diritto dell'Unione Europea che impongono alla stazione appaltante di apprezzare direttamente l'eventuale illecito professionale adottando provvedimenti consequenziali.

L'eccezione di tardività. Il giudizio si è svolto nella resistenza dell'Amministrazione e dell'impresa aggiudicataria, che ha tra l'altro eccepito la tardività del gravame sull'assunto che, nonostante l'intervenuta abrogazione del rito c.d. “super accelerato” ad opera dell'art. 1, comma 22, lett. a), del d.l. 18 aprile 2019, n. 32, la ricorrente avrebbe dovuto impugnare l'ammissione “con riserva”, in quanto condizionata sin da subito ad un “meccanismo espulsivo” legato agli esiti del giudizio sulla legittimità della risoluzione.

Il Collegio ha respinto tale eccezione, sul rilievo che l'onere di impugnazione immediata dei provvedimenti di ammissione alla gara, incidente sul rapporto tradizionale tra lesione, interesse a ricorrere e azione in giudizio, era strettamente ancorato alle norme abrogate e non può dunque trovare ulteriori spazi di operatività nell'attuale sistema (anche in ragione del ridimensionamento del ruolo dell'interesse strumentale nel contenzioso relativo agli appalti, condotto dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella decisione n. 4/2018).

La decisione. Nel merito, il ricorso è stato accolto: muovendo dagli approdi della giurisprudenza della Corte di Giustizia, secondo cui il legislatore euro-unitario ha inteso affidare all'Amministrazione aggiudicatrice, e non al giudice nazionale, la valutazione di sussistenza dei presupposti del grave illecito professionale (CGUE, Sez. IX, ord. 20 novembre 2019, in causa C-552/18 e CGUE, Sez. IV, 19 giugno 2019, in causa C-41/18), il Tar ha ritenuto l'impugnata aggiudicazione viziata per eccesso di potere nell'applicazione dell'art. 80, comma 5, lett. c) del Codice dei contratti pubblici, sotto un duplice profilo.

Innanzitutto, perché la stazione appaltante aveva già in precedenza espresso, in una pluralità di atti, un chiaro giudizio di inaffidabilità dell'impresa aggiudicataria, di talché appare contraddittorio e irragionevole l'operato dell'Amministrazione che, senza deflettere dal giudizio di inaffidabilità, aggiudica la gara proprio al soggetto che ritiene inaffidabile (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 24 gennaio 2020, n. 580 e Cons. Stato, Sez. VI, 7 ottobre 2019, n. 6763).

In secondo luogo perché, consentendo all'Amministrazione di attendere l'esito del giudizio sulla risoluzione contrattuale e medio tempore disporre un'aggiudicazione condizionata, si lederebbe il principio derivante dal diritto dell'Unione che, nell'assegnare all'Amministrazione il compito valutativo, postula una responsabilizzazione effettiva della stessa.

Da questo punto di vista, l'apposizione della clausola risolutiva espressa, oltre a costituire implicita conferma del giudizio di inaffidabilità già espresso, si traduce nella sostanziale spoliazione del potere che l'ordinamento conferisce alla sola Amministrazione e che termina per trasmigrare indirettamente in capo al Giudice investito della decisione sulla controversia in merito alla risoluzione del contratto.

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