È incostituzionale la legge regionale che riserva la partecipazione alle procedure ex art. 36 del Codice alle PMI con sede nel territorio regionale
28 Maggio 2020
Il caso. La Presidenza del Consiglio dei ministri sottopone al vaglio della Corte costituzionale l'art. 10, comma 4, della l.r. Toscana 16 aprile 2019, n. 18 (Disposizioni per la qualità del lavoro e per la valorizzazione della buona impresa negli appalti di lavori, forniture e servizi. Disposizioni organizzative in materia di procedure di affidamento di lavori). La norma censurata è inserita nel capo II della legge regionale, che disciplina le «procedure negoziate per l'affidamento di lavori di cui all'articolo 36 del d.lgs. 50/2016» (ossia dei contratti di valore inferiore alla soglia comunitaria), e stabilisce che, «[i]n considerazione dell'interesse meramente locale degli interventi, le stazioni appaltanti possono prevedere di riservare la partecipazione alle micro, piccole e medie imprese con sede legale e operativa nel territorio regionale per una quota non superiore al 50 per cento e in tal caso la procedura informatizzata assicura la presenza delle suddette imprese fra gli operatori economici da consultare». Secondo la ricorrente Presidenza, la possibilità di riservare la partecipazione, per una quota non superiore al 50 per cento, «alle micro, piccole e medie imprese con sede legale e operativa nel territorio regionale» sarebbe illegittima per violazione dell'art. 117, comma 2, lettera e), Cost. Essa, infatti, si porrebbe in contrasto con l'art. 30, comma 1, del Codice, «che impone il rispetto dei principi di libera concorrenza e non discriminazione». La previsione della «riserva regionale» comporterebbe «una indebita restrizione del mercato escludendo gli operatori economici non toscani dalla possibilità di essere affidatari di pubbliche commesse».
Secondo la Regione resistente, invece, la norma impugnata rispetterebbe le disposizioni del Codice e in particolare l'art. 30, «coniugando, al contempo, il principio di libera concorrenza e non discriminazione ed il favor partecipationis per le microimprese, le piccole e le medie imprese». La Regione rileva che, nelle procedure negoziate di affidamento dei lavori, si riscontra un elevato numero di manifestazioni di interesse, con conseguente «difficoltà ad individuare modalità per la riduzione del numero dei soggetti da invitare»; e che il criterio del sorteggio, cui si è fatto ricorso, è stato contestato dagli operatori economici. La norma impugnata mirerebbe a contemperare il principio di concorrenza con la tutela delle piccole imprese. Inoltre, tale riserva sarebbe unicamente «aggiuntiva rispetto alla quota minima di partecipazione prevista dall'art. 36» e non determinerebbe «alcuna incidenza sulle modalità di partecipazione previste ai sensi dell'articolo 36 del d.lgs. 50/2016, né tantomeno sul numero minimo di partecipanti ivi indicato». In altre parole, a detta della Regione, la norma impugnata preserverebbe l'effettiva partecipazione delle micro, piccole e medie imprese, mitigando la casualità del sorteggio.
La pronuncia. La Corte, preliminarmente, precisa quanto segue:
Ciò posto, la Corte ricorda che le disposizioni del Codice che regolano le procedure di gara sono riconducibili alla materia della tutela della concorrenza, e in tale ambito le Regioni (anche ad autonomia speciale) non possono dettare una disciplina da esse difforme (Corte cost. n. 39 del 2020; n. 263 del 2016; n. 36 del 2013; n. 328 del 2011, nn. 411 e 322 del 2008). Ciò vale anche, secondo la giurisprudenza della Corte, per le disposizioni relative ai contratti sotto-soglia (Corte cost. n. 263 del 2016, n. 184 del 2011, n. 283 e n. 160 del 2009, n. 401 del 2007) senza che rilevi la distinzione tra procedura aperta o negoziata (Corte cost. n. 39 del 2020; n. 322 del 2008). Su tale assunto la Corte, infatti, ha più volte dichiarato costituzionalmente illegittime norme regionali tese ad avvantaggiare le imprese locali, sia nel settore degli appalti pubblici (Corte cost. n. 28 del 2013 e n. 440 del 2006) sia in altri ambiti (ad esempio, Corte cost. n. 221 e n. 83 del 2018 e n. 190 del 2014). La norma impugnata disciplina una fase della procedura negoziata di affidamento dei lavori pubblici sotto-soglia ed è dunque riconducibile all'ambito delle procedure di aggiudicazione dei contratti pubblici, che, in quanto attinenti alla «tutela della concorrenza», sono riservate alla competenza esclusiva del legislatore statale (Corte cost. n. 28 del 2013). Considerata nel suo contenuto, poi, la norma censurata è di ostacolo alla concorrenza in quanto, consentendo una riserva di partecipazione per le PMI radicate unicamente nel territorio toscano, altera la par condicio fra gli operatori economici interessati all'appalto. Da ciò consegue che la norma impugnata risulta in contrasto con i seguenti parametri interposti: - con l'art. 30, comma 1, del Codice, perché viola i principi di libera concorrenza e non discriminazione in esso sanciti; - con l'art. 36, comma 2, del Codice, perché introduce una possibile riserva di partecipazione (a favore delle PMI locali) non consentita dalla legge statale. Inoltre, nessuna delle considerazioni addotte dalla Regione risulta idonea a giustificare una norma che non è diretta a favorire le PMI tout court, bensì unicamente le «micro, piccole e medie imprese con sede legale e operativa nel territorio regionale», nel perseguimento di un obiettivo che altera la concorrenza in contrasto con quanto previsto dalla normativa statale in materia. La Corte conclude quindi per l'illegittimità costituzionale della normativa regionale. |