Riscossione coattiva dei crediti della P.A. ed opposizioni di merito
02 Settembre 2020
Gli strumenti attuativi della riscossione coattiva
La riscossione coattiva dei crediti della pubblica amministrazione si contraddistingue per il suo particolare tecnicismo e per la stratificazione legislativa che si è accumulata nel corso degli anni. Ad ogni modo, la disciplina del sistema della riscossione esattoriale risulta attualmente contenuta nel d.P.R. n. 602/1973, recante "Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito"; decreto decisamente modificato, rispetto alla sua versione originaria, dagli interventi normativi che si sono succeduti nel corso degli anni. L'articolo 1 di detto provvedimento normativo, sotto la rubrica "Modalità di riscossione", prevede - nella sua attuale formulazione - che le imposte sui redditi sono riscosse mediante:
È previsto, dunque, nel diritto positivo, lo strumento del ruolo quale mezzo per ottenere il pagamento delle imposte sui redditi. Mentre le disposizioni contenute negli articoli da 2 a 8 (l'articolo 9 è stato abrogato dall'art. 37, comma 1, del D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, come modificato dall'articolo 2, comma 1, lettera e), del D.Lgs. 17 agosto 1999, n. 326) si occupano di disciplinare le modalità e i termini per il pagamento delle imposte, dall'art. 10 il d.P.R. n. 602/1973 si occupa, invece, di disciplinare le modalità di recupero "coattivo" dei crediti delle Amministrazioni Pubbliche nonché gli strumenti cautelativi, individuando procedure più snelle rispetto a quelle ordinarie.
In particolare, il capo II del Titolo I disciplina la riscossione mediante ruoli.
Vengono iscritte a ruolo le somme che risultano dovute a seguito dei controlli, di qualsiasi tipo, e degli accertamenti effettuati dall'Amministrazione Finanziaria. Il D.L. 2 marzo 2012, n. 16, recante "Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento", ha aumentato l'importo minimo previsto dal d.P.R. 16 aprile 1999, n. 129 (16,53 Euro) per procedere all'iscrizione a ruolo. Dal 1° luglio 2012 non si procede più all'accertamento, all'iscrizione a ruolo e alla riscossione dei crediti relativi ai tributi erariali e regionali, quando la somma dovuta, comprensiva di sanzioni e interessi, non è superiore, per ciascun credito e con riferimento a un singolo periodo d'imposta, a 30 Euro. La riscossione a mezzo ruolo presuppone, quindi, l'esistenza di un credito da parte di un Ente impositore competente ratione materie, accertato d'ufficio o mediante dichiarazione da parte del contribuente. Una volta che il credito è divenuto certo e liquido, l'Ente impositore ne intima il pagamento al debitore assegnadogli un termine, trascorso il quale, in caso di inadempimento, provvede a formare il ruolo e a consegnarlo al Concessionario per la riscossione. Trattasi, quindi, di un sistema bifasico, in cui l'Ente impositore accerta, liquida e gestisce i ruoli, affidando poi la riscossione ad un terzo soggetto, il Concessionario. È importante comprendere, esattamente, che cosa si intende per ruolo. Il "ruolo", come si evince dalla definizione contenuta nell'art. 10, lettera b), del d.P.R. n. 602/1973, è l'elenco dei debitori e delle somme da essi dovute formato dall'ufficio ai fini della riscossione a mezzo del concessionario, intendendosi per tale, secondo la definizione contenuta nella precedente lettera a), il soggetto cui è affidato in concessione il servizio di riscossione o il commissario governativo che gestisce il servizio stesso. L'articolo 11 del medesimo D.P.R. precisa che "nei ruoli sono iscritte le imposte, le sanzioni e gli interessi". Il successivo articolo 12 stabilisce che l'ufficio competente "forma ruoli distinti per ciascuno degli ambiti territoriali in cui i concessionari operano. In ciascun ruolo sono iscritte tutte le somme dovute dai contribuenti che hanno il domicilio fiscale in comuni compresi nell'ambito territoriale cui il ruolo si riferisce (comma 1)"; nel ruolo "devono essere comunque indicati il numero del codice fiscale del contribuente, la specie del ruolo, la data in cui il ruolo diviene esecutivo e il riferimento all'eventuale precedente atto di accertamento ovvero, in mancanza, la motivazione, anche sintetica, della pretesa; in difetto di tali indicazioni non può farsi luogo all'iscrizione" (comma 3); "il ruolo è sottoscritto, anche mediante firma elettronica, dal titolare dell'ufficio o da un suo delegato". "Con la sottoscrizione il ruolo diviene esecutivo" (comma 4), cioè costituisce titolo esecutivo.
Dai riprodotti dati normativi discende che il "ruolo" è un atto amministrativo impositivo (fiscale, contributivo o di riscossione di altre entrate allorché sia previsto come strumento di riscossione coattiva delle stesse) proprio ed esclusivo dell'"ufficio competente" (cioè dell'ente creditore impositore), quindi "atto" che, siccome espressamente previsto e regolamentato da norme legislative primarie, deve ritenersi tipico sia quanto alla forma che quanto al contenuto sostanziale. Il titolo esecutivo, il ruolo sottoscritto dal capo dell'ufficio o da un suo delegato, ai sensi dell'art. 24, comma 1, del d.P.R. n. 602/1973, viene consegnato "al concessionario dell'ambito territoriale cui esso si riferisce"; il ruolo, dunque, non è solo un atto proprio ed esclusivo dell'ente impositore (e mai del concessionario della riscossione), ma, nell'iter amministrativo di imposizione e riscossione, precede ogni attività del concessionario, della quale costituisce presupposto indefettibile. L'iscrizione di una somma a ruolo presuppone, dunque, l'esistenza di un cosiddetto titolo di iscrizione tipicamente integrato da un atto che, al termine di un'attività a ciò funzionalmente preposta, definisce i profili qualitativi e quantitativi di una determinata pretesa impositiva, che occorre appunto riscuotere mediante il ruolo. Il ruolo si considera, quindi, come atto della funzione di riscossione in ragione del fatto che, in via ordinaria, mediante il ruolo non si determinano pretese ma, semplicemente, si riscuotono crediti relativi a pretese previamente individuate. Il concessionario della riscossione, da parte sua, ricevuto il ruolo, redige - "in conformità al modello approvato" (oggi dall'Agenzia delle Entrate) - "la cartella di pagamento", che, per dettato normativo (articolo 25, comma 2), "contiene (oltre all'indicazione della data in cui il ruolo è stato reso esecutivo) l'intimazione ad adempiere l'obbligo risultante dal ruolo entro il termine di sessanta giorni dalla notificazione, con l'avvertimento che, in mancanza, si procederà ad esecuzione forzata", e provvede (ai sensi del successivo articolo 26) alla "notificazione della cartella di pagamento" al debitore. Il D.Lgs. n. 546/1992, all'art. 19, al comma 1, lettera d), elenca espressamente tra gli "atti impugnabili" (quindi da impugnare necessariamente per evitare la cristallizzazione irreversibile di quel determinato momento del complessivo iter di imposizione e/o riscossione) "il ruolo e la cartella di pagamento", mentre la seconda parte del medesimo Decreto Legislativo n. 546, e precisamente l'articolo 21, comma 1, dispone espressamente che "la notificazione della cartella di pagamento vale anche come notificazione del ruolo". Da tali disposizioni si evince pertanto che:
Trascorso inutilmente il termine indicato - nella cartella - per l'estinzione dell'obbligazione tributaria, il concessionario può avviare azioni cautelari e conservative e le procedure per la riscossione coattiva su tutti i beni del creditore e dei suoi coobbligati (come, per esempio, il fermo amministrativo di beni mobili registrati e il pignoramento dei beni). Il descritto iter procedimentale - iscrizione a ruolo ed emissione della cartella di pagamento - non è più previsto per le somme contenute negli avvisi di accertamento emessi - ai fini delle imposte sui redditi e delle relative addizionali, dell'Irap, dell'IVA, delle ritenute e delle imposte sostitutive - dall'Agenzia delle Entrate a partire dal 1° ottobre 2011, relativamente ai periodi d'imposta in corso alla data del 31 dicembre 2007 e successivi (i cosiddetti "accertamenti esecutivi" o anche "accertamenti impoesattivi"). Allo scopo di rendere più tempestivo l'effettivo recupero del credito, l'art. 29, comma 1, del D.L. 31 maggio 2010, n. 78 (convertito dalla Legge 30 luglio 2010, n. 122 - recante "Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica"), ha innovato, infatti, in modo significativo l'assetto delle procedure di riscossione relative all'attività di accertamento per il recupero delle imposte sui redditi, dell'imposta regionale sulle attività produttive e dell'imposta sul valore aggiunto.
La citata disposizione, rubricata "Concentrazione della riscossione nell'accertamento", ha eliminato, invero, due momenti del processo di riscossione a mezzo ruolo, ovvero l'iscrizione a ruolo, da parte dell'ente creditore, delle somme dovute per le suddette imposte e la conseguente notifica della cartella di pagamento da parte dell'agente della riscossione, attribuendo, invece, efficacia di titolo esecutivo ad alcuni atti (che nella normativa precedentemente in vigore anticipavano l'iscrizione a ruolo) con i quali è comunicata al contribuente la pretesa creditoria. Gli accertamenti esecutivi devono contenere l'intimazione ad adempiere all'obbligo di pagamento, direttamente all'ente impositore, entro il termine di proposizione del ricorso; solo decorso tale termine i predetti atti divengono comunque esecutivi; trascorsi ulteriori trenta giorni (e salvo il caso di fondato pericolo per il positivo esito della riscossione) dal termine ultimo per il pagamento, la riscossione delle somme richieste è affidata, in deroga alle disposizioni in materia di iscrizione a ruolo, in carico agli agenti della riscossione. Per dirla in breve, gli atti impoesattivi sono dei provvedimenti che valgono sia come titolo esecutivo che come precetto, concentrando in un solo atto la funzione impositiva e quella esattiva. L'accertamento esecutivo è applicabile soltanto ai tributi espressamente indicati e, pertanto, viene mantenuto l'uso del ruolo per i rimanenti e per le entrate non tributarie. Inoltre, in materia di riscossione delle imposte sui redditi e dell'Iva, il ruolo rimane, come precisato dalla Corte dei Conti nella deliberazione 20 ottobre 2016, n. 11/2016/G, nei casi di liquidazioni e controlli formali, di cui agli articoli 36-bis e 36-ter del d.P.R.29 settembre 1973, n. 600, nonché art. 54-bis del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, ovvero nel caso di irrogazione delle sanzioni non connesse al tributo.
Dal 1° gennaio 2020 - in virtù della complessa riforma della riscossione dei tributi degli enti locali operata con la Legge 27 dicembre 2019, n. 160 (Legge di Bilancio 2020) - anche gli atti di accertamento e irrogazione sanzioni, emessi dagli enti locali, hanno efficacia esecutiva. Per l'avvio della riscossione coattiva, dunque, non è più necessario attendere la formazione e la notifica della cartella di pagamento ovvero l'ingiunzione fiscale. Sino al 2019, tale sorte, come testé anticipato, era riservata ai soli avvisi di accertamento di pertinenza dell'Agenzia delle Entrate, posto che l'art. 29 del Decreto Legge n. 78 del 2010 fa esplicito riferimento agli atti emessi "ai fini delle imposte sui redditi, dell'imposta regionale sulle attività produttive e dell'imposta sul valore aggiunto ed il connesso provvedimento di irrogazione delle sanzioni".
L'obiettivo dell'estensione, si legge nella relazione illustrativa, è stato quello "di razionalizzare la procedura attraverso l'eliminazione di diversi atti finalizzati allo stesso procedimento, che attualmente rendono problematica l'individuazione degli atti esecutivi, dal momento che si assiste, a seconda del soggetto che emette detti atti, ad una differenziazione dei medesimi, vale a dire: il ruolo di cui al d.P.R. n. 602/1973 nel caso in cui la riscossione coattiva è stata affidata ad ADER o l'ingiunzione fiscale di cui al RD n. 639 del 1910 se l'ente locale procede direttamente alla riscossione o l'abbia affidata a un soggetto iscritto nell'albo di cui all'art. 53 del D.lgs. n. 446/1997".
Il comma 784 della legge di Bilancio 2020 - nel citare gli enti ai cui si rendono applicabili le disposizioni relative all'accertamento esecutivo - non include le Regioni. Ciò significa, quindi, che la nuova disciplina riguarda esclusivamente gli enti di cui al comma 784 dell'articolo 1, vale a dire le province, le città metropolitane, i comuni, le comunità montane, le unioni di comuni e i consorzi tra gli enti locali, nei quali non rientrano le regioni. Il comma 785 prevede testualmente che "in caso di affidamento, da parte degli enti, dell'attività di riscossione delle proprie entrate all'agente della riscossione, si applicano esclusivamente le disposizioni di cui al comma 792".
In analogia con le previsioni del richiamato Decreto Legge n. 78/2010, il comma 792, alla lettera a), della Legge di Bilancio 2020 prevede, innanzitutto, che gli atti in argomento - ossia gli avvisi di accertamento relativi ai tributi degli enti e gli atti finalizzati alla riscossione delle entrate patrimoniali emessi dagli enti e dai soggetti affidatari di cui all'articolo 52, comma 5, lettera b), del decreto legislativo n. 446 del 1997 e all'articolo 1, comma 691, della legge n. 147 del 2013, nonché il connesso provvedimento di irrogazione delle sanzioni - "devono contenere anche l'intimazione ad adempiere, entro il termine di presentazione del ricorso, ovvero, nel caso di entrate patrimoniali, entro sessanta giorni dalla notifica dell'atto finalizzato alla riscossione delle entrate patrimoniali, all'obbligo di pagamento degli importi negli stessi indicati, oppure, in caso di tempestiva proposizione del ricorso, l'indicazione dell'applicazione delle disposizioni di cui all'art. 19 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472" (ossia delle disposizioni delle disposizioni generali in tema di esecuzione delle sanzioni tributarie). Sotto il profilo procedurale, dunque, due differenti termini - mobile e fisso - per onorare il versamento di quanto richiesto, in ragione della diversa tipologia di atto notificato.
Quanto all'ambito oggettivo di applicazione, la norma, come emerge chiaramente anche dalla relazione illustrativa, contempla sia entrate tributarie che le entrate patrimoniali (ad esempio oneri di urbanizzazione), con esclusione delle contravvenzioni stradali, e, diremo, delle sanzioni amministrative ex Legge n. 689/1981 [per le quali gli strumenti attuativi della riscossione coattiva continuano ad essere il ruolo (d.P.R. 602/1973, D.lgs. 46/1999; D.P.R. 112/1999) e l'ingiunzione fiscale (R.D. 639/1910), quali sistemi sostanzialmente assimilabili ed alternativi)]. Decorsi inutilmente i termini di cui sopra, alla lettera b) viene previsto che gli atti "acquistano efficacia di titolo esecutivo". Come era logico attendersi, dunque, "decorso il termine di trenta giorni dal termine ultimo per il pagamento, la riscossione delle somme richieste è affidata in carico al soggetto legittimato alla riscossione forzata". Tutto quanto sopra trova naturale conseguenza in un obbligo motivazionale di tali atti, in capo ai Comuni, i quali dovranno espressamente indicare, come precisato dalla lettera del comma 792, da un lato, "che gli stessi costituiscono titolo esecutivo idoneo ad attivare le procedure esecutive e cautelari" e, dall'altro, il "soggetto che, decorsi sessanta giorni dal termine ultimo per il pagamento, procederà alla riscossione delle somme richieste, anche ai fini dell'esecuzione forzata". Si tratta, in definitiva,di atti "impoesattivi" a tutti gli effetti (destinati a sostituire le ingiunzioni di cui al Regio Decreto n. 639/1910), che costituiscono al tempo stesso atto di contestazione, atto di precetto (considerata l'intimazione ad adempiere) e titolo esecutivo. Per quanto concerne, invece, le sanzioni amministrative, ex Legge n. 689 del 1981, incluse quelle legate alle infrazioni al Codice della strada, la relativa riscossione (coattiva) continua ad essere consentita sia mediante ruolo che, in alternativa, mediante l'ingiunzione fiscale. Si ricorda, invero, a tal riguardo, che la giurisprudenza, in diverse occasioni, ha affermato che - al di là della lettera dell'art. 27 della Legge n. 689/1981, dal quale sembrerebbe delineato un unico sistema di riscossione, quello mediante ruolo, per le sanzioni amministrative, incluse quelle legate alle infrazioni al Codice della strada, è possibile in alternativa anche la riscossione mediante ingiunzione fiscale (Cass. 8460 del 9.04.2010).
Il menzionato Decreto Legge n. 78 del 2018, con l'articolo 30, ha previsto un nuovo sistema di recupero anche dei crediti Inps, introducendo l'avviso di addebito con valore di titolo esecutivo, abolendo di fatto la formazione e consegna del ruolo all'agente della riscossione e la conseguente notifica della cartella di pagamento. Questo nuovo sistema di riscossione si applica solo all'Inps e non agli altri enti pubblici previdenziali ed esclusivamente per il recupero dei crediti accertati dall'istituto a partire dal 1° gennaio 2011, anche se di competenza di periodi antecedenti al 2011. L'introduzione degli avvisi di addebito è finalizzata ad una più efficace azione di contrasto all'omissione contributiva, attraverso una semplificazione del processo di gestione del recupero dei crediti contributivi denunciati o accertati d'ufficio e dei crediti per prestazioni previdenziali indebitamente erogate. Permane per l'Inps la facoltà di richiedere, prima di emettere, notificare e consegnare all'agente della riscossione l'avviso di addebito, il pagamento al debitore mediante semplice avviso bonario. A differenza degli avvisi di accertamento esecutivi di cui si è detto, gli avvisi di addebito vengono, previa la sola notifica dell'atto al contribuente da parte dell'Inps, immediatamente consegnati per la riscossione all'agente della riscossione. Ne consegue che le somme dovute possono essere oggetto di pagamento o di rateazione solo presso la società di riscossione, entro il termine di sessanta giorni dalla notifica dell'avviso. In mancanza, scatta l'espropriazione forzata, con gli stessi poteri, le facoltà e le modalità che regolano la riscossione tramite ruolo.
Sintetizzando quanto sin qui esposto, gli strumenti attuativi della riscossione coattiva - alla luce del complesso sistema normativo esaminato - sono dunque all'attualità:
La riscossione mediante ingiunzione e le opposizioni di merito
Prima della rivoluzionaria riforma intervenuta con la Legge di Bilancio 2020 il sistema di riscossione (coattiva) pubblica delle entrate locali individuava solo due strumenti semplificati di azione: l'ingiunzione e la cartella di pagamento. La possibilità per gli enti locali di avvalersi, per la riscossione dei tributi e delle altre entrate, della procedura di riscossione coattiva tramite l'ingiunzione di cui al R.D. 14 aprile 1910, n. 639 era stata attribuita dal D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, articolo 52, comma 6, in forza del quale era prevista anche la possibilità di affidare ad altri soggetti la riscossione dei tributi e di tutte le altre entrate (l'articolo 52, comma 5 individua tali soggetti). Stabiliva espressamente la disposizione normativa: "la riscossione coattiva dei tributi e delle altre entrate di spettanza delle province e dei comuni viene effettuata con la procedura di cui al d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, se affidata ai concessionari del servizio di riscossione di cui al d.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43, ovvero con quella indicata dal R.D. 14 aprile 1910, n. 639, se svolta dall'ente locale o affidata agli altri soggetti menzionati alla lettera b) del comma 4". Questa norma è stata abrogata dalla Legge 24 dicembre 2007 (Legge finanziaria 2008), articolo 1, comma 224, lettera b. È poi intervenuto il D.L. 31 dicembre 2007, n. 248, art. 36, comma 2, a norma del quale, "la riscossione coattiva dei tributi e di tutte le altre entrate degli enti locali continua a potere essere effettuata con:
Rispetto alla versione del D.L. 24 settembre 2002, n. 209, articolo 4, che per la prima volta dava la possibilità solo ai comuni e ai concessionari iscritti all'albo di applicare la forma rafforzata dell'ingiunzione ricorrendo al Titolo II del d.P.R. n. 602/1973, il comma 2 dell'art. 36 riordina l'attività di riscossione di tutti gli enti locali, non solo dei comuni, con apposito rinvio a tutti i soggetti indicati nel comma 5 dell'articolo 52 e all'ente locale in genere. Una norma che fin da subito ha mostrato una portata molto ampia nell'ampliare la platea degli enti che possono ricorrere all'ingiunzione anche nella versione rafforzata Il D.L. 13 maggio 2011, n. 70, articolo 7, comma 2, convertito, con modifiche, dalla Legge 12 luglio 2011, n. 106, ha disposto al comma 2 lett. gg septies che "in conseguenza delle disposizioni di cui alle lett. da gg-ter) a gg-sexies"...
Tale abrogazione non è poi di fatto avvenuta per effetto di un gioco di rinvii dell'entrata in vigore delle disposizioni a cui era subordinata la abrogazione medesima (Decreto Legge 6 dicembre 2011, n. 201, articolo 10, comma 13-octies, e Decreto Legge 29 dicembre 2011, n. 216, articolo 29, comma 5-bis, come convertito dalla Legge 6 febbraio 2012, n. 14 ("L'abrogazione delle disposizioni previste dal D.L. 13 maggio 2011, n. 70, art. 7, comma 2, lett. gg-septies), nn. 1) e 3), convertito, con modificazioni, dalla L. 12 luglio 2011, n. 106, acquista efficacia a decorrere dalla data di applicazione delle disposizioni di cui alle lett. gg-ter) e gg-quater) del medesimo comma 2").
È poi intervenuta la Legge 26 aprile 2012, n. 44, che ha convertito il Decreto Legge 2 marzo 2012, n. 16: in particolare, l'articolo 5, comma 8-bis, ha disposto che "al D.L. 13 maggio 2011, n. 70, art. 7, comma 2, convertito, con modificazioni, dalla L. 12 luglio 2011, n. 106, e successive modificazioni, la lett. gg-septies) è sostituita dalla seguente: "gg-septies) nel caso di affidamento ai soggetti di cui all'art. 52, comma 5, lett. b), D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, la riscossione delle entrate viene effettuata mediante l'apertura di uno o più conti correnti di riscossione, postali o bancari, intestati al soggetto affidatario e dedicati alla riscossione delle entrate dell'ente affidante, sui quali devono affluire tutte le somme riscosse. Il riversamento dai conti correnti di riscossione sul conto corrente di tesoreria dell'ente delle somme riscosse, al netto dell'aggio e delle spese anticipate dal soggetto affidatario, deve avvenire entro la prima decade di ogni mese con riferimento alle somme accreditate sui conti correnti di riscossione nel mese precedente". Dunque, il Legislatore del 2012 ha inserito alla lettera gg septies un testo diverso che non contempla più l'abrogazione del Decreto Legge n. 248/2007, art. 36. Conseguentemente, sempre per effetto del meccanismo descritto (nuova formulazione della lett. gg septies e mancata riproduzione delle abrogazioni) è rimasto in vigore il D.L. n. 209 del 2002, articolo 4, comma 2 sexies (pure destinato, come si è visto, alla soppressione) a norma del quale "i comuni e i concessionari iscritti all'albo di cui al D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 53, di seguito denominati "concessionari", procedono alla riscossione coattiva delle somme risultanti dall'ingiunzione prevista dal testo unico di cui al R.D. 14 aprile 1910, n. 639, secondo le disposizioni contenute nel titolo 2 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, in quanto compatibili".
Insomma, il comma 2 dell'art. 36 del D.L. n. 248/2007, che ha previsto la possibilità, per gli enti locali, di continuare ad effettuare la riscossione coattiva dei tributi e di tutte le altre entrate con la procedura dell'ingiunzione fiscale "rinforzata" di cui al R.D. 14 aprile 1910, n. 639, seguendo anche le disposizioni contenute nel titolo II del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, in quanto compatibili (quindi con l'utilizzo delle misure cautelari del fermo amministrativo, del pignoramento presso terzi e dell'ipoteca), nel caso in cui la riscossione coattiva è svolta in proprio dall'ente locale o è affidata ai soggetti di cui al Decreto Legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, articolo 52, comma 5, lettera b), e con la procedura del ruolo di cui al d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, se la riscossione coattiva è affidata agli agenti della riscossione di cui al Decreto Legge 30 settembre 2005, n. 203, articolo 3, convertito, con modificazioni, dalla Legge 2 dicembre 2005, n. 248, è rimasta in vigore. Circa la possibilità di proporre opposizioni di merito avverso tale speciale strumento occorre debitamente considerare che, come chiarito in tantissime occasioni dalla giurisprudenza, l'ingiunzione fiscale, qualora non sia conseguenzialmente correlata a una previa attività formale di accertamento, cumula in se stessa la duplice natura e funzione di titolo esecutivo e di atto (equipollente al precetto) prodromico al procedimento di riscossione coattiva, mentre, ove sia preceduta dalla emissione e notificazione di un atto di accertamento o di liquidazione, nei quali - se ed in quanto divenuti definitivi e incontestabili - va identificato il titolo esecutivo, conserva l'efficacia di mero atto riproduttivo destinato a esplicare incidenza soltanto sul piano dell'esigibilità della pretesa tributaria, e, come tale, resta suscettibile di impugnazione solo per vizi propri e non anche per motivi attinenti a fatti e momenti della vicenda tributaria anteriori alla formazione del titolo esecutivo, deducibili ma non dedotti in sede di impugnazione dell'atto presupposto (Cass. 17.03.1995, n. 3094; Cass. 7.10.1996, n. 8764; Trib. Bari 23.02.2006; CTR Bari 01.03.2016; Cass. 24.05.2017, n. 13132; Cass. 18.04.2019, n. 10896). Ciò significa che, in tale ultima ipotesi, l'opposizione avverso l'ingiunzione fiscale per motivi di merito potrà essere proposta soltanto in caso di mancata notifica dell'atto presupposto. La "tutela di merito recuperatoria" andrà proposta, è importante precisarlo, entro il termine normativamente previsto per l'impugnazione dell'atto in precedenza non conosciuto.
Poiché lo speciale strumento dell'ingiunzione fiscale può essere utilizzato dagli enti locali per la riscossione coattiva sia dei tributi che di altre entrate di loro spettanza, comprese le sanzioni amministrative inflitte per violazioni delle disposizioni del Codice della strada, e quindi per una molteplicità di tipologie di crediti, non esiste una giurisdizione unica per le opposizioni di merito (anche recuperatorie) né una sola procedura di opposizione. Dunque, per opporsi (per ragioni di merito) all'ingiunzione fiscale è necessario identificare la natura del credito azionato. Così, ad esempio, se l'ingiunzione fiscale si riferisce a tributi la giurisdizione sarà del giudice tributario, e l'impugnazione andrà proposta entro il termine di cui al'art. 21 del D.Lgs. n. 546/1992. Saranno devolute invece alla cognizione del giudice ordinario i giudizi di opposizione all'ingiunzione fiscale emessa per la riscossione di sanzioni amministrative inflitte per la violazione di disposizioni del Codice della strada. L'opposizione andrà proposta nelle forme (rito del lavoro) e nei termini (a pena di inammissibilità entro il termine di trenta giorni dalla data di contestazione della violazione o di notificazione del verbale di accertamento, ovvero entro sessanta giorni se il ricorrente risiede all'estero) di cui al D.Lgs. n. 150/2011.
Laddove l'ingiunzione fiscale non sia conseguenzialmente correlata a una previa attività formale di accertamento l'opposizione, giusto il dettato dell'attuale art. 3 del Regio Decreto n. 639/1910, nella versione risultante dalla sostituzione operata dal comma 40 dell'art. 34 del Decreto Legislativo 1° settembre 2011, n. 150, andrà proposta davanti all'autorità giudiziaria ordinaria e sarà disciplinata dall'articolo 32 di tale provvedimento normativo (sarà quindi regolata dal rito ordinario di cognizione). Prima della riforma la giurisprudenza di legittimità era consolidata nell'affermare che il termine di giorni trenta previsto (per l'opposizione) dall'art. 3 del Regio Decreto n. 639/1910 non poteva essere qualificato come perentorio, in difetto di espressa previsione, e, pertanto, il suo decorso precludeva soltanto la facoltà di conseguire la sospensione dell'esecuzione (tra le tante, Cass. 28.02.1996, n. 1571). La scadenza del termine perentorio per proporre opposizione all'ingiunzione fiscale, anche nell'ipotesi di tutela di merito recuperatoria, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, non produce effetti di ordine processuale, ma solo l'effetto sostanziale dell'irretrattabilità del credito, qualunque ne sia quindi la fonte, di diritto pubblico o privato, con la conseguente inapplicabilità dell'art. 2953 del Codice civile ai fini della prescrizione (in tal senso, espressamente, Trib. Roma 21.07.2009; Trib. Torino 10.05.2013; App. Lecce 14.03.2014; Comm. trib. prov. Reggio Calabria 28.04.2016; Trib. Torino 28.04.2016; Trib. Messina 20.02.2018).
L'opposizione - avverso l'ingiunzione fiscale - dà luogo ad un giudizio ordinario di cognizione consistente in un giudizio di accertamento negativo della pretesa manifestata con l'atto impugnato, cosicché detto accertamento deve essere compiuto secondo le ordinarie regole relative alla ripartizione dell'onere della prova in forza delle quali ex art. 2697 c.c. grava sulla p.a. ingiungente - che, seppure formalmente convenuta, riveste la posizione di attrice in senso sostanziale - l'onere di provare i fatti costitutivi della propria pretesa (Cass. 18.04.1998, n. 3937; Cass. 16.05.2016, n. 9989; Cass. 6.11.2017, n. 26289; Tib. Roma 01.03.2019). Il ruolo e la cartella e le opposizioni di merito
Il ruolo è l'elenco dei debitori e delle somme da essi dovute formato periodicamente dagli uffici finanziari ai fini della riscossione a mezzo dell'agente della riscossione; si tratta di un atto interno dell'Ufficio finanziario che non è autonomamente portato a conoscenza del debitore con una specifica notificazione, ma viene comunicato al contribuente con la notifica della cartella di pagamento. L'art. 19, comma 3, del Decreto Legislativo n. 546/1992 dispone che "ognuno degli atti autonomamente impugnabili può essere impugnato solo per vizi propri. La mancata notificazione di atti autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all'atto notificato, ne consente l'impugnabilità unitamente a quest'ultimo".
Sulla base di tale disposizione il ruolo può essere ordinariamente impugnato solo per vizi propri. Solo nel caso in cui l'atto precedente, autonomamente impugnabile, non sia stato regolarmente notificato, il gravame è ammesso anche per motivi diversi da quelli riguardanti i vizi propri del ruolo e che involgono l'obbligazione tributaria. È chiaro, quindi, che lo spazio di difesa del contribuente contro il ruolo cambia in funzione della fase che lo ha preceduto. Così il ricorso contro il ruolo che segue l'avviso di accertamento o di liquidazione non consente di far valere motivi che riguardano tali atti, in forza del principio enunciato dal citato comma 3 per cui gli atti sono impugnabili solo per vizi propri; viceversa, quando l'iscrizione a ruolo non è stata preceduta da un atto di accertamento, essa stessa ponendosi come strumento dell'attività di controllo (si vedano gli art. 36-bis e 36-ter d.P.R. 602/1973) è indubbio che i motivi spendibili sono quelli che riguardano non solo la forma dell'atto o la corrispondenza del credito iscritto a ruolo con quello accertato o l'identificazione del soggetto, ma anche la legittimità ed il fondamento della pretesa sostanziale per il suo tramite avanzata. Una opposizione (per motivi di merito, in questo caso, "in funzione recuperatoria).
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 12894 del 24.05.218, ha affermato che "il ruolo è atto che deve essere notificato e la sua notificazione coincide con la notificazione della cartella di pagamento; è atto impugnabile; … il debitore, giusta i principi generali, a seconda del suo interesse, può impugnare entrambi gli atti (ruolo e cartella di pagamento) contemporaneamente ovvero anche solo uno dei due che ritenga viziato, con l'ovvio corollario che la nullità di un atto non comporta quella degli atti precedenti né di quelli successivi che ne sono indipendenti e quindi che la nullità della cartella di pagamento non comporta necessariamente quella del ruolo mentre la nullità del ruolo determina necessariamente la nullità della cartella, questa essendo giuridicamente fondata su quel ruolo e, pertanto, dipendente dallo stesso". Nel caso esaminato dalla Cassazione, i Giudici hanno ritenuto giuridicamente errata la sentenza dei giudici di merito che avevano ritenuto inammissibile il ricorso del contribuente avverso i ruoli relativi a somme iscritte per determinati periodi di imposta, affermando che il ruolo, essendo atto interno all'amministrazione, avrebbe potuto essere impugnato insieme e per il tramite della cartella di pagamento che lo conteneva. Gli ermellini hanno ritenuto tale argomentazione errata il quanto in tale modo il giudice di appello aveva erroneamente precluso al contribuente la possibilità di inficiare la validità del ruolo e degli effetti che, in caso di accoglimento del ricorso, si sarebbero potuti produrre sulla cartella alla quale si riferiva il ruolo. La Sesta Sezione Civile - Sottosezione T della Suprema Corte, con la predetta ordinanza, ha ribadito i principi affermati dal Collegio esteso con la sentenza n. 19704 del 2.10.2015. Le Sezioni Unite, invero, hanno chiarito:
Si tratta della stessa pronuncia con qui le Sezioni Unite, affrontando e risolvendo la controversa e dibattuta questione relativa all'ammissibilità o meno dell'impugnazione della cartella - e del ruolo - invalidamente notificata e dal contribuente conosciuta attraverso l'estratto di ruolo, hanno enunciato il seguente fondamentale principio di diritto: "è ammissibile l'impugnazione della cartella (e/o del ruolo) che non sia stata (validamente) notificata e della quale il contribuente sia venuto a conoscenza attraverso l'estratto di ruolo rilasciato su sua richiesta dal concessionario, senza che a ciò sia di ostacolo il disposto dell'ultima parte del terzo comma dell'art. 19 d.lgs. n. 546/1992, posto che una lettura costituzionalmente orientata di tale norma impone di ritenere che la ivi prevista impugnabilità dell'atto precedente non notificato unitamente all'atto successivo notificato non costituisca l'unica possibilità di far valere l'invalidità della notifica di un atto del quale il contribuente sia comunque legittimamente venuto a conoscenza e pertanto non escluda la possibilità di far valere tale invalidità anche prima, nel doveroso rispetto del diritto del contribuente a non vedere senza motivo compresso, ritardato, reso più difficile ovvero più gravoso il proprio accesso alla tutela giurisdizionale quando ciò non sia imposto dalla stringente necessità di garantire diritti o interessi di pari rilievo rispetto ai quali si ponga un concreto problema di reciproca limitazione".
La Suprema Istanza nomofilattica è giunta all'affermazione di tale principio facendo doverosamente preliminare chiarezza sui concetti di "ruolo" ed "estratto di ruolo": il "ruolo" costituisce atto impositivo espressamente previsto e regolato dalla legge, anche quanto alla sua impugnabilità ed ai termini perentori di impugnazione; è un "provvedimento" proprio dell'ente impositore (quindi un atto potestativo contenente una pretesa economica dell'ente suddetto); l'"estratto di ruolo", invece, costituisce solo un "documento" (un "elaborato informatico... contenente gli... elementi della cartella", quindi unicamente gli "elementi" di un atto impositivo) formato dai concessionari della riscossione, che non contiene (né per sua natura, può contenere) nessuna pretesa impositiva, diretta o indiretta. L'inidoneità dell'estratto di ruolo a contenere qualsivoglia (autonoma e/o nuova) pretesa impositiva, diretta o indiretta (essendo peraltro l'esattore carente del relativo potere) comporta indiscutibilmente la non impugnabilità dello stesso "in quanto tale", innanzitutto per la assoluta mancanza di interesse (ex art.100 c.p.c.) del debitore a richiedere ed ottenere il suo annullamento giurisdizionale, non avendo infatti alcun senso l'eliminazione dal mondo giuridico del solo documento, senza incidere su quanto in esso rappresentato. Può invece sussistere un interesse del debitore ad impugnare il "contenuto" di detto documento, ossia gli atti che nell'estratto di ruolo sono indicati e riportati; atti di cui sia venuto a conoscenza proprio attraverso l'estratto di ruolo. Il principio, fatto proprio dalla giurisprudenza successiva, sia di legittimità (ad esempio, Cass. Civ. 31.10.2018, n. 27800; Cass. 25.02.2019, n. 5443; Cass. 8.03.2019, n. 6887) che di merito (tra le tante, Trib. Palermo 20.03.2017; Trib. Milano 16.11.2017; Tribunale Roma 13.03.2018; Comm. trib. prov. Campania Napoli 13.12.2018; Trib. Velletri 4.04.2019; Trib. Roma 01.10.2019), può ritenersi ormai consolidato. Il medesimo ragionamento vale, ovviamente, anche per le entrate di natura non tributaria. Si segnala, con riferimento a tale ultimo argomento, e per completezza di esposizione, che la Corte di Cassazione, soprattutto in epoca recente (Cass. 9.09.2019, n. 22507), ha anche chiarito che l'estratto di ruolo non può assurgere a prova della piena conoscenza dell'atto impositivo impugnabile, ai fini della decorrenza del termine di cui all'art. 21 del Decreto Legislativo n. 546/1992. Così come risulta opportuno ricordare che, secondo l'orientamento che si va affermando nell'ambito della giurisprudenza amministrativa, l'estratto di ruolo, che rappresenta una riproduzione delle informazioni contenute nel ruolo ove la pretesa tributaria è iscritta, è pienamente soggetto al diritto di accesso del contribuente, insieme alla documentazione inerente notifica della cartella che deve essere conservata dall'Amministrazione ai sensi dell'articolo 26 del d.P.R. n. 602/1973 (T.A.R Lazio 08.01.2020, n. 99; T.A.R Lazio 10.02.2020, n. 1752; T.A.R. Lazio 11.02.2020, n. 1874). Vale per il ruolo quanto di seguito si argomenterà circa la possibilità di proporre opposizione per motivi di merito avverso la cartella di pagamento. È necessario premettere che, poiché gli enti creditori abilitati alla formazione dei ruoli sono vari e, conseguentemente, molteplici sono le tipologie dei crediti ivi indicati, non esiste un'unica giurisdizione per le opposizioni alla cartella esattoriale né una sola procedura di opposizione.
Già nel 2008 le Sezioni Unite, con la sentenza n. 3001 dell'8 febbraio, hanno affermato il seguente principio di diritto: "la cartella di pagamento impugnata costituisce solo uno strumento in cui viene enunciata una pregressa richiesta di natura sostanziale, cioè non possiede alcuna autonomia che consenta di impugnarla prescindendo dagli atti in cui l'obbligazione è stata enunciata (per cui anche se in un'unica cartella vengano incorporate più pretese, ciascuna di esse conserva piena autonomia e il regime delle impugnazioni è identico a quello che troverebbe applicazione ove fossero notificate più cartelle). Di conseguenza la cartella di pagamento deve essere impugnata davanti al giudice competente a decidere in ordine al rapporto cui la cartella stessa è funzionale. La circostanza che la cartella di pagamento non contenga una puntuale indicazione della fonte del credito fatto valere con la cartella stessa può indurre il destinatario in errore scusabile (rendere idoneo l'atto a determinare il decorso dei termini di impugnazione o costituire fonte di responsabilità civile per il concessionario), ma non può determinare una deroga alle norme di ordine pubblico che individuano la giurisdizione competente in relazione alle diverse controversie".
Segue poi la sentenza n. 11720 del 14.05.2010, sempre del Collegio esteso dei giudici di legittimità, con la quale si afferma il principio, di contenuto sostanzialmente identico al precedente, in base al quale "l'individuazione della giurisdizione (nel caso di specie, del giudice ordinario o tributario) non può essere determinata dallo strumento, cartella di pagamento. Fattore dirimente è costituito dalla natura della pretesa". In altri termini, non è il mezzo di esazione (cartella esattoriale), astrattamente considerato, a poter determinare a quale giudice spetti la giurisdizione in ordine ad una controversia relativa all'opposizione alla cartella, bensì la natura della pretesa che, mediante quello specifico strumento, l'ente creditore vanta nei confronti del soggetto destinatario della cartella medesima. Ciò significa, quindi, che - per opporsi ad una cartella esattoriale - è preliminarmente necessario identificare l'ente impositore e la natura del credito azionato. Così, ad esempio, se la cartella si riferisce ai tributi - di ogni genere e specie, comunque denominati, stante l'attuale formulazione dell'art. 2 del D.Lgs. n. 546/1992 - la giurisdizione sarà del giudice tributario. Se, invece, la cartella si riferisce a sanzioni amministrative, la giurisdizione sarà del giudice ordinario. La giurisdizione appartiene al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, anche se la cartella riguarda contributi previdenziali.
Sgombrato il campo dai problemi di giurisdizione, è possibile affermare che l'opposizione - per motivi di merito - avverso la cartella esattoriale è possibile e ammissibile quando è mancata una valida notifica dell'atto presupposto, cioè quando la cartella non è stata preceduta dalla notifica di altro atto autonomamente impugnabile, e risponde alla necessità di consentire all'interessato di recuperare l'esercizio del mezzo di tutela previsto da detta legge per l'opposizione all'atto prodromico non notificato (cosiddetta opposizione in funzione recuperatoria). L'opposizione, in questo caso, segue le modalità, le forme ed i tempi stabiliti dalla legge che disciplina la contestazione del rapporto controverso; l'opposizione, ovvero, deve essere necessariamente coordinata con le specificità normative disciplinanti i singoli rapporti giuridici dedotti in giudizio. Così, ad esempio, nel caso di riscossione di crediti aventi natura contributiva, l'opposizione dovrà essere proposta dinanzi al giudice del lavoro entro il termine di 40 giorni dalla notifica della cartella di pagamento (articolo 24, comma 5, del Decreto Legislativo n. 46 del 1992) ed il giudizio sarà regolato dagli art. 442 e seguenti del Codice di procedura civile.
Nel caso di riscossione dei tributi devoluti alla giurisdizione del giudice tributario, l'opposizione dovrà essere proposta dinanzi alla Commissione Tributaria nel termine di 60 giorni dalla notifica della cartella (artt. 19 e 21 del Decreto Legislativo n. 546/1992) ed il giudizio sarà regolato dalle disposizioni del Nuovo codice del processo tributario. Nel caso di riscossione di sanzioni amministrative, l'opposizione dovrà essere proposta - nel termine di 30 giorni dalla notifica della cartella (ex art. 6 del D.Lgs. n. 150/2011) - dinanzi al giudice competente (giudice di pace del luogo in cui è stata commessa la violazione; Tribunale nei casi di cui ai commi 4 e 5). In materia di violazioni del codice della strada, l'opposizione, con cui si deduca l'illegittimità della cartella esattoriale per sanzione amministrativa a ragione dell'omessa notifica del verbale di contestazione della violazione, è soggetta al termine di trenta giorni stabilito dall'articolo 7, comma 3, del D.Lgs. n. 150/2011, atteso che, quando è mancata la contestazione della violazione, l'impugnazione della cartella esattoriale ha funzione "recuperatoria" ed al ricorrente viene, in tal modo, restituita la medesima posizione giuridica che avrebbe avuto se il verbale di contestazione gli fosse stato a suo tempo notificato. Con la conseguenza che, se non impugnato nel termine perentorio di trenta giorni dalla notificazione della cartella di pagamento, l'accertamento contenuto nel verbale di contestazione della violazione, anche se non notificato, diviene definitivo (Cass. 31.01.2019, n. 2968; Cass. 6.05.2019, n. 11789; Cass. 4.09.2019, n. 22094; Trib. Milano 7.01.2020). Quando la cartella di pagamento è stata preceduta dalla rituale notifica di un atto autonomamente impugnabile, invece, non è più ammessa la contestazione della pretesa nel merito (l'opposizione eventualmente spiegata per tali motivi dovrebbe essere dichiarata inammissibile) ma possono essere dedotte unicamente questioni relative a vizi propri dell'atto (nullità della notifica, errori di calcolo, mancanza di requisiti formali, decadenza dal diritto di riscossione) o a fatti sopravvenuti (prescrizione, pagamento, morte). In tema di litisconsorzio ed ai fini dell'individuazione del soggetto passivamente legittimato a stare in giudizio a seguito dell'attivazione della cosiddetta tutela di merito recuperatoria la giurisprudenza non ha espresso allo stato un univoco e definitivo orientamento interpretativo. Con riferimento, in particolare, all'opposizione a cartella esattoriale emessa per il pagamento di sanzione amministrativa - proposta in funzione recuperatoria in considerazione della mancata notifica del verbale di accertamento dell'infrazione o dell'ordinanza-ingiunzione irrogativa della sanzione, si ritiene che "al concessionario debba riconoscersi, insieme all'ente impositore titolare della pretesa contestata, la concorrente legittimazione passiva. Di conseguenza, l'opposizione deve essere proposta anche nei confronti del medesimo concessionario, che ha emesso la cartella esattoriale ed al quale va riconosciuto l'interesse a resistere anche per gli innegabili riflessi che un eventuale accoglimento dell'opposizione potrebbe comportare nei rapporti con l'ente, che ha provveduto ad inserire la sanzione nei ruoli trasmessi. Inoltre, trattandosi di ipotesi di litisconsorzio necessario, la mancata integrazione del contraddittorio può essere rilevata anche d'ufficio in ogni stato e grado del processo" (tra le tante, Cass. 21.05.2013, n. 12385; Trib. Torre Annunziata 10.10.2014; Cass. 31.01.2017, n. 2570; Cass. 26.06.2017, n. 15900; App. Roma 6.03.2018; Trib. Roma Sez. 21.03.2018; Cass. 21.03.2018, n. 7047; Cass. 8.10.2018, n. 24678; Trib. Rieti 29.10.2019).
Di avviso parzialmente diverso risulta essere la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione, secondo la quale il contribuente che impugni una cartella esattoriale emessa dal concessionario della riscossione per motivi che attengano alla mancata notificazione, ovvero anche all'invalidità degli atti impositivi presupposti, può agire indifferentemente nei confronti tanto dell'ente impositore quanto del concessionario senza che sia tra i due soggetti configurabile alcun litisconsorzio necessario. Resta peraltro fermo, "in presenza di contestazioni involgenti il merito della pretesa impositiva", l'onere per l'agente per la riscossione di chiamare in giudizio l'ente impositore (al quale spetta la legittimazione passiva), così da andare indenne dalle eventuali conseguenze negative della lite non essendo il giudice tenuto a disporre d'ufficio l'integrazione del contraddittorio, in quanto non è configurabile un litisconsorzio necessario (in particolare, Cass. 2.02.2012, n. 1532; Cass. 28.04.2017, n. 10528; Cass. 4.04.2018, n.8295; Cass. 24.04.2018, n. 10019; Cass. 11.05.2018, n. 11468 del 2018; Cass. 4.02.2020, n. 2480).
Di avviso completamente differente risulta essere, invece, la Sezione Lavoro della Suprema Corte, per la quale "l'agente per la riscossione non è litisconsorte necessario nella controversia avente ad oggetto esclusivamente il diritto di credito contributivo, perché l'eventuale annullamento della cartella per vizi sostanziali produce comunque effetti "ultra partes" verso l'esattore, senza necessità che questi abbia partecipato al processo" (Cass. 5.05.2016, n. 9016; Cass. 26.02.2019, n. 5625; e sempre Cass. 19.06.2019, n. 16425; Cass. 2.10.2019, n. 24589). Analoga la posizione della giurisprudenza di merito: "nel giudizio di opposizione a cartella esattoriale notificata dal concessionario per la riscossione di contributi previdenziali pretesi dall'INPS, la legittimazione passiva spetta unicamente all'Istituto della Previdenza, quale titolare della relativa potestà sanzionatoria. L'eventuale domanda in opposizione attinente a tale oggetto ed eventualmente formulata, contestualmente, anche nei confronti del concessionario della gestione del servizio di riscossione, deve, invece, intendersi come mera denuntiatio litis, che non vale ad attribuirgli la qualità di parte e a far nascere la necessità di un litisconsorzio necessario" (Trib. Ivrea 6.03.2008; Trib. Campobasso 22.10.2012; Trib. Velletri 22.02.2018; Trib. Velletri 16.10.2018; App. Genova 12.12.2018; Trib. Catania 12.06.2019; Trib. Velletri 17.10.2019; ed altre). Crediti previdenziali ed opposizioni di merito
Nel caso di riscossione di crediti aventi natura previdenziale, l'opposizione (per motivi inerenti il merito della pretesa contributiva) - contro l'iscrizione a ruolo o l'avviso di addebito (per i crediti Inps) - deve essere proposta, ai sensi dell'art. 24, comma 5, del D.Lgs. n. 46/1999, dinanzi al giudice del lavoro, entro il termine di 40 giorni dalla notifica della cartella di pagamento o dell'avviso di addebito ed il giudizio sarà regolato dagli artt. 442 e seguenti del c.p.c.. Rispetto al termine previsto per la proposizione dell'opposizione due precisazioni risultano indispensabili, di cui una ovvia:
La giurisdizione appartiene - come innanzi rilevato - al giudice ordinario e non al giudice tributario, atteso che le controversie in questione hanno ad oggetto diritti ed obblighi attinenti ad un rapporto previdenziale nell'ambito del quale, in presenza di richiesta del versamento dei contributi mediante iscrizione a ruolo e/o mediante avviso di addebito, il contribuente, ex art. 24 del Decreto Legislativo n. 46/1999, può proporre opposizione innanzi al giudice del lavoro, a nulla rilevando che la mera occasione che ha dato origine alla pretesa creditoria dell'INPS sia nata da un accertamento tributario da parte dell'Agenzia delle Entrate (Cass., Sez. Unite, 23.07.2018, n. 19523).
Ai sensi dell'art. 444, terzo comma, del Codice di procedura civile, al quale rinvia l'art. 24, sesto comma, del D.Lgs. del 26 febbraio 1999, n. 46, giudice del lavoro territorialmente competente a conoscere delle opposizioni a cartella esattoriale e/o ad avviso di addebito per crediti previdenziali è il giudice del luogo ove ha sede l'ufficio dell'ente preposto ad esaminare la posizione assicurativa e previdenziale.
Per ufficio dell'ente, il quale, ai sensi dell'articolo 444, terzo comma, c.p.c., rileva ai fini della determinazione della competenza territoriale nelle controversie concernenti gli obblighi contributivi del datore di lavoro, deve intendersi quello (da individuare in correlazione alla sede dell'impresa o ad una sua dipendenza) che, in quanto investito del potere di gestione esterna, sia in generale legittimato, per legge o per statuto, a ricevere i contributi ed a pretenderne il pagamento o a restituirne l'eccedenza, rimanendo ininfluenti eventuali provvedimenti derogatori con cui si attribuiscano tutti o parte dei rapporti assicurativi e previdenziali ad uffici aventi competenza territoriale su ambiti non ricomprendenti la sede dell'impresa ed essendo altresì priva di rilievo la previsione di centri operativi non dotati, in concreto, del potere di gestione esterna dei rapporti contributivi con i soggetti aventi sede nella corrispondente circoscrizione territoriale (Cassazione, ordinanza del 23 dicembre 2004, n. 23893). Quanto detto si riferisce alle ipotesi di rapporti di lavoro subordinato.
Nel caso di obblighi contributivi facenti capo ad un lavoratore autonomo, è competente il tribunale, in funzione di giudice del lavoro, nella cui circoscrizione risiede l'attore, ai sensi dell'articolo 444, primo comma, del Codice di procedura civile (come modificato dall'art. 86 del Decreto Legislativo 19 febbraio 1998 n. 51), atteso che il disposto del terzo comma della stessa norma (come modificato dall'articolo 86 citato), il quale, per le controversie relative agli obblighi "dei datori di lavoro", prevede la competenza territoriale del tribunale della sede dell'ufficio dell'ente creditore, non è suscettibile di applicazione estensiva o analogica all'infuori dei casi espressamente contemplati, introducendo un'eccezione al principio generale di cui al primo comma (Cassazione, sentenza del 9 novembre 2004, n. 21317). L'opposizione - avverso la cartella esattoriale e/o avverso l'avviso di addebito - dà luogo ad un giudizio ordinario di cognizione su diritti ed obblighi inerenti al rapporto previdenziale obbligatorio, cosicché l'accertamento deve essere compiuto secondo le ordinarie regole relative alla ripartizione dell'onere della prova in forza delle quali ex articolo 2697 del Codice civile grava sull'ente previdenziale - che, seppure formalmente convenuto, riveste la posizione di attore in senso sostanziale - l'onere di provare i fatti costitutivi dell'obbligo contributivo (in tal senso, tra le tante, Cass. 28.04.2017, n. 10583; Cass. 11.02.2020, n. 3279).
Il giudizio è regolato dagli articoli 442 e seguenti del Codice di procedura civile, e - quindi - si svolgerà, tenuto conto del rinvio operato da tale disposizione della legge processuale civile alle norme del capo I del titolo IV - secondo il rito speciale del lavoro. Legittimato passivo, nei giudizi incardinati dalla proposizione dell'opposizione per motivi inerenti il merito della pretesa contributiva, è esclusivamente, anche nel caso di impugnazione della cartella esattoriale, l'ente impositore, come del resto si ricava dal quinto comma dell'articolo 24 del Decreto Legislativo n. 46 del 1999, a norma del quale "il ricorso va notificato all'ente impositore".
È possibile che con unico atto sia proposta l'opposizione sia per motivi di merito della pretesa contributiva che per vizi di forma della cartella (in presenza di richiesta del versamento dei contributi mediante iscrizione a ruolo); la giurisprudenza di legittimità ha consolidato il proprio orientamento (Cass. 17.07.2015, n. 15116; Cass. 19.10.2015, n. 21080; Cass. 6.04.2016, n. 6704) secondo cui per ciascuna opposizione vale il termine proprio (articolo 29, comma 2, per l'opposizione agli atti esecutivi e, per l'opposizione di merito, art. 24, comma 5, del Decreto Legislativo n. 46 del 1999), non dovendo il giudizio essere necessariamente unitario, in ragione del rinvio alle forme ordinarie operato dal Decreto Legislativo n. 46 del 1999, articolo 29, comma 2. Ne consegue che, qualora l'opposizione sia stata depositata entro il termine perentorio di quaranta giorni, di cui al D.Lgs. n. 46/1999, articolo 24, comma 5, ma oltre quello di venti giorni, di cui all'articolo 617 del Codice di procedura civile, va ritenuta la tardività delle (sole) eccezioni formali, ossia di quelle attinenti alla regolarità della cartella di pagamento e della notificazione. In questi casi, quanto ai soggetti nei cui confronti si chiede l'intervento del giudice, è ovvio che trattandosi, in sostanza, di un unico atto che introduce due diverse azioni, quella relativa al merito andrà notificata all'ente creditore (ai sensi dell'articolo 24, comma 5, del Decreto Legislativo n. 46 del 1999) e quella relativa alla regolarità formale della cartella al concessionario della riscossione, che è il soggetto cui è affidato l'esercizio dell'azione esecutiva (d.P.R. n. 602 del 1973, articolo 10). Stando così le cose, è evidente che non si realizza alcuna ipotesi di litisconsorzio necessario tra ente creditore e concessionario per la riscossione: la presenza di entrambi è mera conseguenza della duplicità di azioni (Cass. 19.06.2019, n. 16425).
All'interno del sistema delle tutele riconosciute al debitore nel procedimento di riscossione dei crediti contributivi è poi ben possibile che il debitore intenda reagire alla riscossione del credito contributivo opponendosi all'iscrizione a ruolo tardivamente rispetto al termine previsto dall'articolo 24, comma 5, del D.Lgs. n. 46/1999, ed a tal fine prospetti che - in realtà - la cartella non gli è stata notificata ovvero che a causa dell'irregolarità della notifica egli non ne abbia avuto conoscenza. In tali evenienze si è posto il problema dell'identificazione delle giuste parti. Come già anticipato, secondo anche il più recente intervento della Sezione Lavoro della Suprema Corte (Cass. 26.02.2019, n. 5625; e sempre Cass. 19.06.2019, n. 16425; Cass. 2.10.2019, n. 24589) l'agente per la riscossione non è litisconsorte necessario nella controversia avente ad oggetto esclusivamente il diritto di credito contributivo, perché l'eventuale annullamento della cartella per vizi sostanziali produce comunque effetti "ultra partes" verso l'esattore, senza necessità che questi abbia partecipato al processo. Un orientamento, quello della sezione lavoro, che, come già detto, si pone in contrasto con l'orientamento ormai consolidato presso la sezione tributaria con specifico riferimento al contenzioso tributario, secondo il quale il contribuente che impugni una cartella esattoriale emessa dal concessionario della riscossione per motivi che attengano alla mancata notificazione, ovvero anche all'invalidità degli atti impositivi presupposti, può agire indifferentemente nei confronti tanto dell'ente impositore quanto del concessionario senza che sia tra i due soggetti configurabile alcun litisconsorzio necessario. Resta peraltro fermo, in presenza di contestazioni involgenti il merito della pretesa impositiva, l'onere per l'agente per la riscossione di chiamare in giudizio l'ente impositore, così da andare indenne dalle eventuali conseguenze negative della lite (tra le tante, Cass. 11.05.2018, n. 11468).
Un'ultima questione di particolare interesse è quella della legittimità di un avviso di addebito INPS che richiama un precedente avviso di accertamento dell'Agenzia delle Entrate impugnato dallo stesso contribuente. Tenta a consolidarsi, al riguardo, l'orientamento che sostiene l'illegittimità, in tal caso, dell'avviso di addebito, in quanto l'INPS non può emettere tale atto prima della conclusione della controversia dinanzi la Commissione Tributaria. Per quanto riguarda l'iscrizione a ruolo dei crediti degli enti previdenziali, si ricorda, invero, che l'art. 24 del Decreto Legislativo n. 46/1999, al comma 3, prevede che "Se l'accertamento effettuato dall'ufficio è impugnato davanti all'autorità giudiziaria, l'iscrizione a ruolo è eseguita in presenza di provvedimento esecutivo del giudice", mentre al successivo comma 4 stabilisce che, "… In caso di gravame amministrativo contro l'accertamento effettuato dall'ufficio, l'iscrizione a ruolo è eseguita dopo la decisione del competente organo amministrativo e comunque entro i termini di decadenza previsti dall'articolo 25". Sul punto, particolarmente importante è la pronuncia n. 8379 del 2014 della Corte di Cassazione, nella quale la stessa ha stabilito un principio di diritto particolarmente importante in base al quale "… in materia d'iscrizioni a ruolo dei crediti degli enti previdenziali il Decreto Legislativo n. 46 del 1999, articolo 24, comma 3, il quale prevede la non iscrivibilità a ruolo del credito previdenziale sino a quando non vi sia provvedimento esecutivo del giudice qualora l'accertamento su cui la pretesa creditoria si fonda sia impugnato davanti all'autorità giudiziaria, va interpretato nel senso che l'accertamento, cui la norma si riferisce, non è solo quello eseguito dall'ente previdenziale, ma anche quello operato da altro ufficio pubblico come l'Agenzia delle Entrate, né è necessario, ai fini di detta non iscrivibilità a ruolo, che, in quest'ultima ipotesi, l'INPS sia messo a conoscenza dell'impugnazione dell'accertamento davanti all'autorità giudiziaria anche quando detto accertamento è impugnato davanti al Giudice tributario".
Dello stesso tenore la sentenza n. 4032 dell'1.03.2016, nella quale la Cassazione ha affermato che "l'iscrizione a ruolo dei crediti degli enti previdenziali è subordinata, ai sensi dell'articolo 24, comma 3, del Decreto Legislativo n. 46 del 1999, all'emissione di un provvedimento esecutivo del giudice ove l'accertamento su cui la pretesa creditoria si fonda sia impugnato davanti all'autorità giudiziaria, senza distinguere se esso sia eseguito dall'ente previdenziale ovvero da altro ufficio pubblico e senza richiedere la conoscenza, da parte dell'ente creditore, dell'impugnazione proposta" (Nella specie, la Suprema Corte, confermando la pronuncia di merito, ha escluso la correttezza dell'iscrizione a ruolo effettuata dall'INAIL sulla base di un verbale di accertamento dell'INPS non esecutivo, in quanto impugnato in un giudizio ancora pendente nei confronti del solo ente accertatore). Tale orientamento è stato ripreso e seguito anche da diverse Corti territoriali in pronunce relative alla validità dell'avviso di addebito emesso a seguito di avviso di accertamento e in pendenza di ricorso al Giudice Tributario (Trib. Milano 5.05.2015, n. 1353; Trib. Milano 28.05.2015; Trib. Ferrara 3.12.2019; Trib. Venezia 11.07.2017). Atti impoesattivi e tutela di merito recuperatoria
Il ragionamento si complica quando lo strumento attuativo della riscossione coattiva è costituito da un atto impoesattivo, quale provvedimento che vale sia come titolo esecutivo che come precetto, concentrando in un solo atto la funzione impositiva e quella esattiva, per il quale non è previsto l'iter procedimentale iscrizione a ruolo ed emissione della cartella di pagamento. La possibilità di spiegare opposizione per motivi di merito si concretizza in una fase più avanzata, ossia quando l'agente della riscossione, sulla base del titolo esecutivo costituito appunto dall'accertamento esecutivo o anche accertamento impoesattivo, pone in essere atti di natura cautelare (ad esempio, fermo dei beni mobili registrati) o atti esecutivi in senso stretto (pignoramento). Sicuramente è possibile spiegare opposizione per ragioni di merito in funzione recuperatoria, laddove risulti inesistenti o invalida la notifica dell'atto presupposto, e cioè dell'accertamento impoeasattivo. La Corte di Cassazione, nella sua più estesa composizione, con la sentenza n. 24965 del 23.10.2017, ha affermato il principio, ribadito sempre dal Collegio esteso con l'ordinanza n. 17126 del 28.06.2018, secondo il quale le opposizioni cosiddette "recuperatorie", ossia con le quali si fa valere una ragione che non è stato possibile dedurre in precedenza a causa dell'omessa conoscenza legale dell'atto prodromico, vanno proposte nel rispetto dei termini previsti per l'impugnazione di quell'atto e innanzi al giudice che ne avrebbe avuto la giurisdizione in caso di tempestivo esperimento del rimedio. Così, con specifico riferimento alla riscossione coattiva di entrate di natura tributaria, si è affermato che "le opposizioni c.d. recuperatorie, con le quali l'opponente intenda contestare il diritto dell'ente impositore o dell'agente di riscossione di agire "in executivis", per ragioni riferibili agli atti prodromici dei quali deduce di non essere venuto a conoscenza per omessa o invalida notificazione, devono proporsi mediante ricorso al giudice tributario, ai sensi degli articoli 2 e 19 del Decreto Legislativo n. 546 del 1992" (Cass. 7.05.2019, n. 11900; Cass. 28.11.2019, n. 31090; Cass. 3.12.2019, n. 31484; Cass. 3.12.2019, n. 31485; Cass. 3.12.2019, n. 31486; Cass. 10.12.2019, n. 32203).
L'opposizione è stata qualificata, in questo caso, come opposizione agli atti esecutivi ex articolo 617 del Codice di procedura civile, con la quale si fa valere una nullità "derivata" dell'atto espropriativo. Si afferma, invero, che l'opposizione è ammissibile e va proposta - ai sensi degli articoli 2, comma 1, secondo periodo, e 19 del Decreto Legislativo n. 546/1992, articolo 57 del d.P.R. n. 602/1973, e articolo 617 del c.p.c. - davanti al giudice tributario, risolvendosi nell'impugnazione del primo atto in cui si manifesta al contribuente la volontà di procedere alla riscossione di un ben individuato credito tributario.
Le Sezioni Unite, in epoca recentissima, con la sentenza n. 7882 del 14.04.2020, è intervenuta per formulare - fermo il principio testé ricordato - ulteriori specificazioni, ovvero:
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