Non sconfina nelle attribuzioni riservate al legislatore il giudice amministrativo che equipara omissione dichiarativa e falsa dichiarazione

Tommaso Cocchi
06 Dicembre 2020

Le Sezioni Unite negano la creazione di una nuova regola iuris da parte del giudice amministrativo laddove questo, interpretando l'art. 38, comma 1-ter del d.lgs. 163/2006, abbia equiparato l'omessa dichiarazione di condanne penali alla falsa dichiarazione.

Il caso. Nell'ambito di una procedura per l'affidamento triennale del servizio di pulizia di alcune strutture sanitare l'ANAC, su segnalazione dell'Azienda Ospedaliera, irrogava nei confronti di una delle concorrenti un'ingente sanzione pecuniaria con annotazione nel casellario informatico e interdizione di 6 mesi alla partecipazione alle procedure di gara. In particolare, la sanzione era dovuta alla mancata produzione da parte della società della dichiarazione relativa al possesso dei requisiti di cui all'allora vigente art. 38, comma 1, lett. c), che si riferiva alla mancanza di eventuali condanne penali [1].

La società impugnava la sanzione dinanzi al TAR, il quale accoglieva il ricorso ritenendo che il potere sanzionatorio dell'ANAC fosse esperibile nei soli casi di presentazione di falsa dichiarazione o falsa documentazione, e non anche a quello di dichiarazione omessa.

La pronuncia del giudice di prime cure veniva appellata dall'ANAC, nonché dalla società con appello incidentale.

La decisione del Consiglio di Stato e le principali argomentazioni. Il giudice d'appello accoglieva il ricorso dell'Autorità Anticorruzione riformando la sentenza di primo grado e dichiarando la legittimità della sanzione irrogata.

Sul punto il Collegio, richiamando la propria precedente giurisprudenza, rilevava in particolare che l'omissione dell'obbligo dichiarativo stabilito dalla legge integrasse «con ogni evidenza, una “dichiarazione mendace”», specialmente in un caso, come quello in esame, nel quale tale omissione si accompagnava «ad una dichiarazione consapevolmente incompleta circa il possesso dei requisiti di cui all'art. 38, comma 1, del d.lgs. n. 163 del 2006». Inoltre, si osservava che, nell'ambito di una procedura ad evidenza pubblica, l'incompletezza delle dichiarazioni fosse idonea a ledere il principio del buon andamento e che – di conseguenza – l'espressione «presentazione di falsa dichiarazione o falsa documentazione» di cui all'art. 38, comma 1-ter, dell'allora vigente d.lgs. 163/2006, dovesse ritenersi comprensiva non solo del falso commissivo, ma anche di quello omissivo, perché tale omissione «comporta la non corrispondenza al vero della dichiarazione resa dalla concorrente e, pertanto, un'ipotesi di dichiarazione o documentazione non veritiera sulle condizioni rilevanti per la partecipazione alla gara».

Nella stessa pronuncia, il Consiglio di Stato riteneva altresì di respingere l'appello incidentale presentato dalla società. A tal riguardo, il Collegio chiariva che dovesse confermarsi l'indirizzo del giudice di prime cure, laddove aveva confermato che il dolo richiesto nella fattispecie di cui all'art. 38-ter del vecchio Codice dei contratti pubblici dovesse essere inteso come dolo generico, non essendo necessario, di conseguenza, né l'animus nocendi né l'animuso decipendi e non rilevando per l'effetto la buona fede asserita dalla società ricorrente.

Il ricorso per Cassazione e le tesi della ricorrente. Avverso la decisione del Consiglio di Stato la società proponeva ricorso per Cassazione ex art. 111, ultimo comma, Cost., lamentando l'eccesso di potere giurisdizionale compiuto dal giudice amministrativo, il quale si sarebbe sostituito alle attribuzioni riservate al legislatore sotto molteplici profili. In sostanza, la ricorrente lamentava in primo luogo che il Consiglio di Stato avesse “creato ad hoc una norma inesistente”, parificando indebitamente l'omissione di un obbligo dichiarativo con la dichiarazione mendace, laddove l'art. 38, comma 1-ter, prevedesse come causa di esclusione la presentazione di una falsa dichiarazione ovvero di falsa documentazione. Inoltre, si lamentava che lo stesso giudice d'appello avesse invaso la sfera di attribuzione riservata al legislatore affermando che la mera omissione documentale – a prescindere dall'intenzione di nuocere del concorrente – potesse integrare una falsità rilevante.

Da ultimo la ricorrente osservava, parificando la sanzione ANAC ad una sanzione afflittiva di carattere penale, che ad essa dovessero applicarsi i principi desumibili dagli artt. 6 e 7 CEDU. Di conseguenza, secondo la ricostruzione della ricorrente, si sarebbe dovuta escludere la retroattività in malam partem della pronuncia del giudice amministrativo impugnata, non rappresentando questa un precedente “a sorpresa”.

La decisione delle Sezioni Unite. La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso respingendo ogni doglianza della ricorrente.

In particolare, negando la configurabilità del vizio dell'eccesso di potere giurisdizionale per sconfinamento nelle attribuzioni del legislatore, ha ricordato i principi sanciti nella pronuncia del Giudice delle Leggi n. 6/2018, e ripresi dalla successiva giurisprudenza della Cassazione, secondo cui il suddetto vizio «è configurabile solo allorché il giudice speciale abbia applicato non la norma esistente, ma una norma da lui creata, esercitando un'attività di produzione normativa che non gli compete, e non invece quando si sia limitato al compito interpretativo che gli è proprio, anche se tale attività ermeneutica abbia dato luogo ad un provvedimento abnorme o anomalo ovvero abbia comportato uno stravolgimento delle norme di riferimento, atteso che in questi casi può profilarsi, eventualmente, un error in iudicando, ma non una violazione dei limiti esterni della giurisdizione» (cfr., Cass., Sez. Un., 25 marzo 2019, n. 8311) [2]. Ebbene, in riferimento allo sconfinamento nella sfera legislativa il Collegio, riprendendo le parole del Procuratore Generale, ha precisato che tale circostanza sarebbe un'«evenienza estrema e al contempo marginale nell'esperienza del diritto, che è nella legge ma anche nell'applicazione ed interpretazione che ne danno i giudici».

Di conseguenza, secondo la Suprema Corte nella decisione impugnata il Consiglio di Stato si sarebbe limitato all'interpretazione del quadro normativo allora vigente, senza sconfinare nella creazione di alcuna regola, essendo quindi l'eventuale error in iudicando compiuto dal giudice amministrativo non sindacabile ex art. 111, u.c., Cost..

Sul punto si è inoltre precisato che una simile conclusione non sarebbe in alcun modo alterata dalla recente ordinanza di rimessione delle Sezioni Unite alla Corte di Giustizia 18 settembre 2020, n. 19598.

Nel respingere la doglianza la Corte ha altresì precisato che, oltre a non potersi assimilare la sanzione ANAC ad una sanzione avente carattere penale, il giudice d'appello non si sarebbe limitato ad equiparare l'omessa dichiarazione alla falsa dichiarazione, avendo svolto al contrario una complessa attività di interpretazione della norma in questione (art. 38, comma 1-ter, d.lgs. 163/2006). Il giudice d'appello aveva invero precisato che «completezza e veridicità della dichiarazione sostitutiva di notorietà sui requisiti per la partecipazione all'evidenza pubblica sono posti a tutela dell'interesse pubblico alla trasparenza e, al tempo stesso, alla semplificazione della procedura di gara». Di conseguenza, ha aggiunto il Consiglio di Stato, «in materia di partecipazione alle gare pubbliche d'appalto, una tale consapevole "omissione" non può essere distinta, quanto agli effetti distorsivi nei confronti della stazione appaltante che la disposizione in esame mira a prevenire e reprimere, dalla tradizionale forma di mendacio commissivo». Ciò in quanto «nelle procedure di evidenza pubblica l'incompletezza delle dichiarazioni lede di per sé il principio di buon andamento dell'amministrazione».

Per quale che qui rileva, occorre notare che la Corte respingendo l'ultimo motivo di censura, negando quindi che la pronuncia impugnata del Consiglio di Stato costituisse un precedente “a sorpresa”, ha puntualizzato che l'orientamento che parifica la dichiarazione omessa alla dichiarazione falsa non costituisse una novità nel momento in cui la decisione era stata assunta. Sul punto, oltre a richiamare alcuni precedenti conformi del Consiglio di Stato, la Corte ha ricordato che l'Adunanza Plenaria, nella recente sentenza 28 agosto 2020, n. 16 [3] - dovendosi occupare della (sopravvenuta) disposizione dell'art. 80, comma 5, del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 - «ha chiarito, in relazione ai comportamenti illeciti che possono determinare l'esclusione dalla gara, entro quali limiti sia possibile equiparare l'omissione delle informazioni dovute alle dichiarazioni false o fuorvianti».

In questa sede ci si limita a rilevare che la pronuncia della Plenaria richiamata dalla Suprema Corte, tuttavia, lungi dall'aver “chiarito” il tema dibattuto, ha creato ulteriori incertezze che ridonderanno inevitabilmente sulle situazioni giuridiche degli operatori, comprimendo altresì il loro diritto alla certezza giuridica.

A ciò occorre aggiungere che, del resto, la stessa plenaria ha rilevato la distinzione tra omessa dichiarazione e mendacio commissivo differenziandosi quindi dalla pronuncia del Consiglio di Stato impugnata nella vicenda in esame. In ragione di ciò, non si comprendono quindi le ragioni che abbiano spinto la suprema Corte a citare la decisione della plenaria “a conferma” dell'indirizzo espresso dal giudice d'appello.


[1] Sul tema delle autodichiarazioni e delle dichiarazioni non veritieri si v. M.A. Sandulli, La semplificazione della produzione documentale mediante le dichiarazioni sostitutive di atti e documenti e l'acquisizione d'ufficio, (18 l. n. 241 del 1990 s.m.i. e D.P.R. n. 445 del 2000 s.m.i.), in Principi e regole dell'azione amministrativa, Milano, 2020, il cui estratto dal volume su gentile autorizzazione dell'Editore è disponibile su Giustizia insieme al seguente link https://www.giustiziainsieme.it/it/diritto-e-processo-amministrativo/1347-autodichiarazioni?fbclid=IwAR19kP9pUESfcuchG5mK5lMJKvF2ca6kEhbul9cTCsen8DJlCy6hxomjNR4

[2] Per un'analisi ragionata e completa della giurisprudenza della Cassazione in tema di eccesso di potere giurisdizionale si veda M.A. Sandulli, Guida alla lettura dell'ordinanza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione n. 19598 del 2020, in Giustiziainsieme, 30 novembre 2020.

[3] Per un approfondito commento della pronuncia si veda il contributo di G.A. Giuffré-G. Strazza, Il rapporto tra le cause di esclusione di cui alle lettere c) e f-bis) dell'art. 80, comma 5, del d.lgs. 50/2016: qual è l'ipotesi residuale?, pubblicato in questo Portale il 14 settembre 2020; nonché F. Gaspari, Sul perimetro dell'onere dichiarativo dell'operatore economico nelle pubbliche gare. Brevi note a Cons. Stato, Ad. Plen., n. 16/2020, in questo Portale, 17 novembre 2020.

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