Da società ad associazione non riconosciuta: la trasformazione non impedisce il fallimento

28 Gennaio 2021

La trasformazione di una società da un tipo ad una figura non dotata di piena personalità giuridica, non si traduce nell'estinzione di un soggetto e nella correlativa creazione di uno nuovo in luogo di quello precedente, ma configura una vicenda meramente evolutiva e modificativa del medesimo soggetto, la quale comporta soltanto una variazione di assetto e di struttura organizzativa, senza incidere sui rapporti processuali e sostanziali facenti capo all'originaria organizzazione societaria e senza escludere la fallibilità dell'originario ente trasformato.

Con la sentenza n. 1519/21 del 25 gennaio, la Cassazione, confermando la pronuncia della Corte di Appello, afferma che la trasformazione di una società in un diverso tipo anche non dotato di personalità giuridica non impedisce, secondo la previsione dell'art. 10 della legge fallimentare, la possibilità di dichiarare il fallimento del soggetto originario prima della trasformazione.

Il caso. La sentenza in commento ha origine dall'opposizione alla dichiarazione di fallimento pronunciata nei confronti di una società che, per quanto di rilievo, prima del fallimento aveva promosso la propria trasformazione in associazione non riconosciuta. Avverso il rigetto dell'opposizione, viene proposto ricorso per cassazione nel quale si sostiene l'erroneità della pronuncia in ragione dell'avvenuta trasformazione; che il fallimento, peraltro, si sarebbe potuto - tutt'al più - pronunciare nei confronti dell'associazione risultante dalla trasformazione solo qualora si fosse provata la natura imprenditoriale della stessa. Il S.C. rigetta il ricorso sulla base delle argomentazioni espresse nella massima in epigrafe, per le quali il fallimento ex art. 10 legge fallimentare trova applicazione anche in caso di trasformazione societaria e nei confronti dell'ente originario come risultante prima della trasformazione.

La trasformazione: profili generali. Secondo l'interpretazione che la dottrina e la giurisprudenza offrono in ordine all'istituto in esame, può affermarsi che la trasformazione di una società da uno ad un altro dei tipi previsti dalla legge (art. 2498 c.c.) ancorché dotato di personalità giuridica, non si traduce nell'estinzione di un soggetto e nella correlativa creazione di un altro soggetto, in luogo di quello precedente, ma configura una vicenda meramente evolutiva e modificativa del medesimo soggetto, la quale non incide sui rapporti sostanziali e processuali che ad esso fanno capo. In tale prospettiva, l'art. 2948 c.c. prevede il principio di continuità dei rapporti giuridici a seguito della trasformazione della società, consentendo che il soggetto titolare dell'impresa conservi i diritti e gli obblighi ad essa precedenti nonché prosegua i rapporti sostanziali e processuali.

La trasformazione come fenomeno “non unitario”. Se, quindi, come visto poc'anzi, la trasformazione costituisce una vicenda evolutiva e non estintiva del soggetto trasformato, al tempo stesso l'istituto della trasformazione non costituisce una figura unitaria. Esso, infatti, ricomprende in sé una congerie di figure diverse e anche molto dissimili tra loro e non si presta ad una ricostruzione unitaria delle tematiche che le singole figure vengono a proporre. Per riprendere un esempio anche operato nella sentenza in commento, la trasformazione di una società di capitali da spa a srl non determina alcun fenomeno successorio e il soggetto giuridico trasformato rimane lo stesso, sebbene diversamente regolato secondo il tipo societario di approdo.

Trasformazione e procedure concorsuali. Fermo quanto riferito in precedenza, la sentenza affronta a seguire il tema degli effetti della trasformazione con riferimento alle procedure concorsuali e, nel caso di specie, la sorte dell'ente risultante dalla trasformazione. Sul punto, richiamando quanto già espresso in precedenza, il S.C. precisa che nel vigente sistema normativo, un fenomeno di riorganizzazione societario - quale, tra gli altri, è la trasformazione o la scissione, come pure, più in generale, di modificazione della struttura conformativa del debitore - non può, come principio, realizzare una causa di sottrazione dell'impresa dalla soggezione alle procedure concorsuali. Ne discende, ad avviso della Cassazione, che la società originaria, poi trasformata in associazione non riconosciuta, rimane insensibile, come soggetto di diritto, all'avvenuta trasformazione, per quanto riguarda l'eventuale sottoposizione alle procedure concorsuali, proprio in forza della previsione di cui all'art. 10, legge fallimentare.

Fallimento della società cancellata. Come noto, infatti, proprio l'art. 10 della legge fallimentare consente di dichiarare il fallimento della società entro un anno dalla cancellazione del registro. Tale articolo, peraltro, non distingue in ragione del "titolo" per cui, nel concreto, avviene la cancellazione e inoltre il limite temporale entro cui può intervenire la dichiarazione di fallimento è funzionale all'obiettivo di non estendere all'infinito gli effetti di una attività di impresa non più attuale. Da ciò deriva che la situazione di cessata "attualità" dell'attività si configura nel caso in cui sia venuto meno, per sopravvenuta trasformazione, il regime di responsabilità patrimoniale che accompagnava l'"ente" originario. Pertanto, in caso di trasformazione, l'art. 10 della legge fallimentare si applica nei confronti dell'"ente originario" con la conseguente sua fallibilità non impedita dall'intervenuta trasformazione.

Trasformazione ed opposizione dei creditori. Nel contesto ricostruttivo operato dalla Cassazione, il rimedio posto dei creditori – che, rammenta il ricorrente, non hanno proposto opposizione alla trasformazione da srl a società non riconosciuta – non è in alcun modo equiparabile all'avvio dell'esecuzione fallimentare. In particolare, in caso di trasformazione, i creditori muniti di titolo anteriore alla trasformazione beneficiano dell'originario regime di responsabilità della società, la quale nel termine di cui all'art. 10 della legge fallimentare potrà essere dichiarata fallita, dovendo escludersi che l'opposizione dei creditori, ex art. 2500-novies c.c., costituisca un rimedio sostitutivo al fallimento, trattandosi piuttosto di uno strumento aggiuntivo che appronta una tutela di intensità inferiore. Da ciò deriva che lo strumento di tutela dei creditori dato dall'opposizione, che è previsto dalla legge in relazione alle operazioni di trasformazione, e non può in alcun modo considerarsi sostitutivo di quello rappresentato dal fallimento, posto che, per la categoria dei creditori anteriori alla trasformazione, appronta una tutela di intensità sensibilmente inferiore.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it

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