Anche dinanzi alla Corte di cassazione è valida la notificazione al domicilio digitale

22 Marzo 2021

È valida la notificazione del controricorso eseguita all'indirizzo di posta elettronica certificata che il ricorrente abbia indicato in ricorso quale domicilio digitale ai soli fini delle comunicazioni di cancelleria.
Massima

È valida la notificazione del controricorso eseguita all'indirizzo di posta elettronica certificata che il ricorrente abbia indicato in ricorso quale domicilio digitale ai soli fini delle comunicazioni di cancelleria.

Il caso

La società Alfa ricorreva per Cassazione avverso l'ordinanza con cui la Corte d'appello di Torino aveva dichiarato inammissibile ex artt. 348-bis e 348-ter c.p.c. l'impugnazione della sentenza del Tribunale di Torino di accoglimento dell'opposizione al decreto ingiuntivo a suo tempo ottenuto.

Tizia, vittoriosa in primo e secondo grado, resisteva al gravame mediante controricorso notificato non al domicilio “fisico” eletto dalla ricorrente in sede di atto introduttivo, bensì - con modalità telematica (ai sensi dell'art. 3-bis della l. n. 53/1994) - all'indirizzo PEC del difensore di Alfa, indicato in ricorso ai soli fini della ricezione delle comunicazioni di cancelleria.

La questione

La società ricorrente ha eccepito l'inammissibilità del controricorso, deducendo che la sua notifica fosse radicalmente viziata perché non avvenuta al domicilio “fisico” eletto dalla parte destinataria.

Le soluzioni giuridiche

La Corte ha respinto detta eccezione preliminare, argomentando (dopo un analitico excursus sull'evoluzione del quadro normativo di riferimento) che:

(i) a decorrere dall'estate 2014 è scomparso l'obbligo di indicare negli atti di parte l'indirizzo di posta elettronica certificata;

(ii) contemporaneamente è stata introdotta la disposizione di cui all'art. 16-sexies del d.l. n. 179/2012 (conv. dalla l. n. 221/2012), contemplante la regola secondo la quale – salvo quanto previsto sub art. 366 c.p.c. – nei procedimenti civili la notificazione presso la cancelleria dell'ufficio giudiziario è legittima solo quando non sia possibile, per causa imputabile al destinatario, quella effettuata all'indirizzo PEC del difensore risultante dall'Indice nazionale dei domicili digitali delle imprese e dei professionisti (c.d. INI-PEC: v. art. 6-bis del d.lgs. n. 82/2005), od a quello ricompreso nel Registro generale degli indirizzi elettronici tenuto dal Ministero della Giustizia ai sensi dell'art. 7 del d.m. n. 44/2001 (c.d. ReGIndE);

(iii) a seguito del mutamento del contesto di disciplina normativa, l'ambito di applicabilità del comma 2 dell'art. 82 del R.d. n. 37/1934, è divenuto residuale, essendo circoscritto alla sola ipotesi in cui la notifica al domicilio digitale - risultante da INI-PEC e/o ReGIndE sia preclusa per causa imputabile al destinatario;

(iv) l'unico indirizzo PEC rilevante a fini processuali è quello “agganciato” al codice fiscale dell'avvocato (tenuto ad indicare quest'ultimo nei suoi atti) e comunicato al consiglio dell'ordine di appartenenza; di esso il difensore non ha facoltà di restringere l'operatività, perché questa è stabilita dalla legge;

(v) conseguentemente, la volontà della parte (e/o del suo difensore) di limitare l'utilizzo dell'indirizzo PEC indicato in ricorso non può spiegare effetto con riguardo alle notificazioni telematiche.

Osservazioni

L'ordinanza in commento merita di essere salutata con favore, perché sposa quell'insegnamento antiformalista volto a rimuovere precetti (e relativi defatiganti corollari processuali) ormai obsoleti alla luce della snellezza e celerità caratterizzante le nuove forme tecnologiche di invio degli atti di causa.

Lodevole appare pure l'intento, ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità (v. ad esempio Cass. civ., sez. un., sent., 23 luglio 2018, n. 19526, Cass. civ., sez. VI, ord., 14 dicembre 2017, n. 30139, e Cass. civ., sez. III, sent., 11 luglio 2017, n. 17048), di ridimensionare il più possibile l'ambito di applicabilità dell'istituto della notificazione in cancelleria, specularmente ampliando quello del cd. domicilio digitale: a tutto vantaggio della realizzazione del giusto processo (che è tale solo se preceduto dalla concreta ed effettiva instaurazione del contraddittorio).

Non del tutto pertinente, invece, sembra essere l'argomento fondato sul disposto dell'art. 16-sexies del d.l. n. 179/2012, dal momento che tale norma non vige per il giudizio di cassazione: ad avviso di chi scrive, infatti, l'inciso “Salvo quanto previsto dall'art. 366 del c.p.c.” non autorizza la parte a notificare in via telematica atti/provvedimenti quando l'indirizzo PEC del difensore destinatario – sebbene presente all'interno del ReGIndE o dell'INI-PEC - non sia enunciato in uno degli scritti del procedimento.

In realtà, la piena ortodossia della notificazione del controricorso eseguita nella vicenda portata all'esame della Corte Suprema discende proprio – e solo – dalla corretta esegesi dell'art. 366, comma 2, c.p.c., che non ammette letture restrittive, subordinando la facoltà di valida notifica ex art. 3-bis della l. n. 53/1994 alla semplice circostanza che il ricorrente abbia “indicato l'indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio ordine”, tout court e senza consentire delimitazioni di utilizzo del medesimo: poiché esso figura in ricorso, la notifica telematica era possibile ed eventuali condizioni/vincoli alla fruizione dell'indirizzo PEC in questione dovevano intendersi come mai apposte.

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