Istanza via PEC al giudice: per ritenersi conosciuta basta che sia pervenuta all'indirizzo dell'ufficio?
14 Maggio 2021
Massima
La richiesta di differimento dell'orario di trattazione di una udienza deve ritenersi giunta nella sfera di conoscenza del giudice quando è pervenuta all'indirizzo istituzionale della cancelleria, essendo irrilevante la circostanza che non fosse stata tempestivamente inserita nel fascicolo processuale, in quanto non possono gravare sulla difesa le eventuali disfunzioni organizzative e i ritardi dell'ufficio giudiziario. Il caso
Il difensore ha proposto ricorso per cassazione avverso il provvedimento con il quale il Gip del Tribunale di Taranto, in funzione di giudice dell'esecuzione, ha rigettato la richiesta di applicazione della disciplina della continuazione tra alcune sentenze di condanna. Il difensore, tra l'altro, ha dedotto di aver richiesto al giudice di posticipare l'ora della trattazione del procedimento, originariamente fissata alle ore 9.00, a non prima delle ore 10.30, del 14/09/2020, per mezzo di una istanza spedita a mezzo PEC alla cancelleria del giudice procedente sabato 12/09/2020, alle ore 1.32, a causa di un impegno personale. Il giudizio, tuttavia, è stato trattato alle ore 9.36, previa sostituzione del difensore di fiducia, non comparso, con uno di ufficio. La mancata considerazione dell'istanza avrebbe determinato una lesione del diritto di difesa.
Egli ha aggiunto che “pretendere che la parte abbia l'onere di accertarsi del regolare arrivo della PEC in cancelleria sarebbe inesigibile, in quanto non solo non è chiaro come il professionista possa interferire con l'organizzazione giudiziaria per svolgere tale verifica, ma soprattutto non è prescritto dalla legge”. La questione
È ammissibile l'inoltro all'ufficio a mezzo PEC di una richiesta di differimento dell'orario di trattazione dell'udienza di un giudizio? Quando si può ritenere che questa istanza sia giunta nella sfera di cognizione del giudice e, dunque, debba essere presa in considerazione da costui? Le soluzioni giuridiche
1. La Corte di cassazione ha ritenuto manifestamente infondato il motivo di ricorso illustrato. In particolare, è stato rilevato che, dall'esame degli atti processuali, risulta che, sabato 12/09/2020, alle ore 1.32.54, all'indirizzo del Tribunale - Ufficio Gip - era pervenuto un messaggio di posta elettronica certificata da parte dell'avvocato ad oggetto “istanza di differimento ad horas procedimento camerale … ud 14/09/2020”, che recava la seguente richiesta: “Vogliate prendere cortese visione dell'allegata nota”. Nella nota allegata il difensore precisava che “causa sopraggiunto, indifferibile, non altrimenti rinviabile, impedimento personale in pari data, nella primissima mattinata, compatibilmente la disponibilità di codesto ufficio, chiede cortesemente che il processo in parola sia differito ad horas e, che sia trattato possibilmente non prima delle ore 10.30”. Dal verbale del 14/09/2020, invece, è emerso che l'udienza ha avuto inizio alle ore 9,36, in presenza del difensore nominato d'ufficio, perché era assente quello di fiducia. Dopo la chiusura del verbale, avvenuta alle ore 9.38, il difensore di fiducia che aveva inviato il messaggio via PEC è comparso – sopraggiungendo precisamente alle ore 10.55 – ed ha depositato l'istanza di differimento già inoltrata in modo telematico. Nel verbale, riaperto e poi chiuso alle ore 10.59, è stato dato atto che suddetta istanza non era stata presa in considerazione perché non risultava compresa nel fascicolo d'ufficio.
2. Tanto premesso, la Corte ha affermato che l'istanza di rinvio per legittimo impedimento del difensore comunque trasmessa, quando sia giunta nella sfera di conoscenza del giudice – “con ciò intendendo la cancelleria/segreteria” - deve essere valutata, atteso che tale impedimento, stante la prioritaria rilevanza della verifica della legittima instaurazione del contraddittorio processuale, è rilevabile anche d'ufficio. La sua sussistenza, pertanto, può essere desunta da ogni elemento disponibile giunto alla conoscenza del giudice. La Corte ha ritenuto che, da tali principi, si ricava che la materia della richiesta di rinvio per legittimo impedimento esula dalle questioni concernenti l'uso della posta elettronica per la trasmissione di istanze, memorie o richieste di altro contenuto, in quanto, in tema di legittimo impedimento, viene in rilievo l'art.420-ter, comma 5, cod. proc. pen. Questa disposizione stabilisce che il giudice è tenuto a rinviare l'udienza “nel caso di assenza del difensore, quando risulta che l'assenza è dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per legittimo impedimento, purché prontamente comunicato”.
3. Nel caso di specie, secondo la sentenza in esame, la richiesta di differimento è “giunta nella sfera di conoscenza del giudice in quanto pervenuta all'indirizzo istituzionale della cancelleria - essendo irrilevante la circostanza che non fosse stata tempestivamente inserita nel fascicolo processuale, in quanto non possono gravare sulla difesa le eventuali disfunzioni organizzative e/o ritardi dell'ufficio del giudice …”. Tale istanza, però, secondo la Suprema Corte, non adduceva un legittimo impedimento, integrando piuttosto una cortese richiesta di ritardare la trattazione del caso, compatibilmente con la disponibilità dell'Ufficio, ad un'ora non precisata “non prima delle ore 10,30” per non esplicitati motivi personali; lo stesso difensore, peraltro, risulta comparso ben oltre l'orario indicato (ovvero alle ore 10.55). Dall'esame degli atti, pertanto, “emerge non solo che non sia stata documentata ma, nemmeno dedotta, una situazione tale da comportare l'impossibilità del difensore di comparire in giudizio, che comportasse, quindi, l'obbligo del giudice di differire l'udienza, ma, altresì, che il difensore è comunque comparso in orario successivo a quello da lui stesso richiesto come conveniente”. Osservazioni
1. La sentenza in esame, pur pervenendo ad una soluzione condivisibile, contiene qualche passaggio argomentativo che suggerisce lo svolgimento di alcune riflessioni. A tale scopo, peraltro, è necessario fare un passo indietro. L'uso della posta elettronica certificata, come è noto, è stato disciplinato dalla legge per le sole notificazioni a cura della cancelleria e, per giunta, limitatamente a quelle rivolte a persone diverse dall'indagato o dall'imputato. Nonostante tale previsione normativa, le parti private hanno iniziato ad adoperare il mezzo telematico anche per presentare istanze al giudice. Secondo un primo indirizzo giurisprudenziale, nel processo penale, non è consentito alle parti private l'invio di istanze a mezzo posta elettronica certificata (cfr. Cass. Sez. 3, n. 37126 del 22/05/2019; Cass. Sez. 4, n. 21056 del 23/01/2018, in CED Cass. n. 272741; Cass. Sez. 5, n. 48911 del 1710/2018; Cass. Sez. 2, n. 51665 del 07/11/2017; Cass. Sez. 3, n. 7058 del 11/02/2014; Cass. Sez. 2, n. 31314 del 16/05/2017; Cass. Sez. 3, n. 6883 del 26/10/2016). Questo orientamento ha tratto fondamento dall'art. 16, comma 4, del d.l. 18/10/2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla legge 17/12/2012, n. 221, che, disciplinando le notificazioni, limita l'impiego della PEC agli adempimenti rivolti a persone diverse dall'imputato e ne circoscrive l'uso alla sola cancelleria. Per la parte privata, invece, nel processo penale, l'uso del mezzo informatico di trasmissione non è consentito neppure quale forma di comunicazione e/o notificazione, stante la preclusione alla adozione di forme di comunicazione non espressamente previste dalle disposizioni processuali (così, tra le altre, Cass. Sez. 3, n. 37126 del 22/05/2019, cit.).
2. Nel tempo, come è noto, si è formato nella giurisprudenza della Corte un orientamento più aperto all'utilizzo della posta elettronica certificata, secondo cui l'istanza inviata al giudicante per mezzo della posta elettronica certificata non è considerarsi irricevibile o inammissibile, ma deve essere ritenuta al più irregolare o irrituale, con la conseguenza che il giudice che ne prenda tempestivamente conoscenza è comunque tenuto a valutarla (Cass. Sez. 2, n. 28844 del 4/06/2019; Cass. Sez. 3, n. 58320 del 21/11/2018; Cass. Sez. 2, n. 56392 del 23/11/2017; Cass. Sez. 2, n. 47427 del 7/11/2014). Questo indirizzo ha esteso all'impiego della posta elettronica certificata l'elaborazione giurisprudenziale che si è formata in tema di istanza inviata a mezzo telefax (Cass. Sez. 2, n. 26100 del 19/10/2018; Cass. Sez. 6, n. 28244 del 30/01/2013; Cass. Sez. 4, n. 21602 del 23/01/2013), rilevando che l'uso di questo strumento è idoneo a dare certezza dell'intervenuta ricezione dell'istanza da parte dell'ufficio giudiziario destinatario, ma è comunque irregolare, perché l'art. 121 cod. proc. pen. prevede per le parti l'obbligo di presentare le memorie e le richieste indirizzate al giudice mediante deposito in cancelleria. L'irregolarità comporta che il giudice debba valutare l'istanza nel caso in cui ne abbia avuto tempestiva cognizione (e non dichiararla inammissibile). L'impiego dello strumento irregolare di presentazione dell'istanza, peraltro, pone sulla parte che lo ha usato il rischio della mancata tempestiva sottoposizione dell'atto al giudice. Anzi, avendo scelto volontariamente un mezzo irregolare di trasmissione dell'istanza, per essere legittimata a proporre doglianze inerenti all'omessa valutazione dell'istanza, sulla parte interessata incombe l'onere di provare non solo che sia effettivamente pervenuta nella casella mail dell'ufficio giudiziario competente a valutarla, ma anche che sia stata portata all'attenzione di quest'ultimo in tempo utile. L'utilizzo di una modalità di trasmissione irregolare, dunque, comporta l'onere, per la parte che intenda dolersi in sede di impugnazione dell'omesso esame della sua istanza, di accertarsi del regolare arrivo della e-mail in cancelleria e della sua tempestiva sottoposizione all'attenzione del giudice procedente (Cass. Sez. 2, n. 47427 del 07/11/2014; Cass. Sez. 3, n. 923 del 10/10/2017, dep. 2018; Cass. Sez. 5, n. 42549 del 4/4/2018; Cass. n. 15912 del 26/05/2020).
3. Questo secondo indirizzo sembra ormai prevalente nella giurisprudenza della Suprema Corte. In particolare, si sostiene che l'impedimento costituisce causa di rinvio dell'udienza qualora tempestivamente comunicato con qualunque mezzo, ivi inclusa la posta elettronica certificata (così, di recente, Cass. Sez. 2, n. 3436 del 1/12/2020, dep. 2021; Cass. Sez. 1, n. 21981 del 17/07/2020). L'argomento decisivo che sostiene tale conclusione è rappresentato dal fatto che l'impedimento del difensore o dell'imputato può essere rilevato anche d'ufficio ai sensi dell'art. 420-ter, comma 5, cod. proc. pen. perché la verifica della corretta instaurazione del contraddittorio processuale assume un ruolo preminente. Ne consegue che il giudice deve tener conto dell'impedimento in qualsiasi modo ne abbia avuto cognizione, anche per mezzo di PEC (Cass. pen. Sez. VI, 2/07/2019, n. 36831; Cass. pen., Sez. VI, 16/10/2018, n. 54427; Cass. pen., sez. II, 16/05/2017, n. 31314), “senza che abbia rilievo la modalità attraverso la quale l'informazione è giunta al giudice” (Cass. Sez. 1, n. 21981 del 17/07/2020).
4. L'utilizzo della porta elettronica certificata, quindi, come è stato precisato, non è senza rischi per colui che propone l'istanza per mezzo di tale strumento. L'invio tramite posta elettronica, costituendo una modalità atipica di inoltro dell'istanza, impone al giudice di prenderla in considerazione solo quando la stessa sia portata a sua effettiva conoscenza. Questo momento, però, appare distinto da quello della ricezione della mail. L'impiego della modalità tipica di deposito dell'istanza prevista dall'art. 121 cod. proc. pen., invece, esonera il richiedente dall'onere di verificare che la stessa giunga effettivamente a conoscenza del giudice. Il dato essenziale nella motivazione delle pronunce che hanno aperto all'uso della PEC per l'inoltro delle istanze non pare essere rappresentato dal fatto che la mail certificata sia giunta all'indirizzo di posta elettronica dell'ufficio giudiziario, quanto piuttosto dalla circostanza che l'atto, sebbene trasmesso all'ufficio giudiziario con un mezzo irregolare, sia stato posto effettivamente al vaglio del giudice (Cass. n. 28844 del 2019; Cass. n. 58320 del 2018; Cass. n. 923 del 10/10/2017, dep. 2018; Cass. n. 56392 del 23/11/2017; Cass. n. 47427 del 7/11/2014; Cass. n. 38336 del 1/8/2017).
5. La sentenza in esame si discosta dall'impostazione illustrata laddove è stato affermato che l'ingresso dell'atto nella sfera di conoscenza del giudicante è integrato dalla ricezione della mail (“… giunta nella sfera di conoscenza del giudice in quanto pervenuta all'indirizzo istituzionale della cancelleria - essendo irrilevante la circostanza che non fosse stata tempestivamente inserita nel fascicolo processuale, in quanto non possono gravare sulla difesa le eventuali disfunzioni organizzative e/o ritardi dell'ufficio del giudice …”). Si tratta di una valutazione che è ispirata dall'intento di non far ricadere sull'utente un disservizio dell'Ufficio, che sarebbe integrato dalla mancata tempestiva consegna al giudice dell'atto. Il punto dolente di tale affermazione, però, è rappresentato dal fatto che l'utilizzo di un mezzo irregolare, perché non compreso tra quelli di cui all'art. 121 cod. proc. pen., non pare permettere di configurare una disfunzione dell'Ufficio. Un disservizio, invero, è ravvisabile nel caso in cui l'istanza non portata al giudicante sia stata depositata ex art. 121 cod. proc. pen. Da questa norma da cui deriva che il cancelliere sia tenuto a portare l'atto al vaglio del giudice, inserendolo nel fascicolo processuale e non nel caso dell'impiego di mezzo irregolare.
6. A riprova di quanto sostenuto, deve rilevarsi che, per il periodo emergenziale, l'art. 24, comma 4, del d.l.28/10/2020, c.d. Ristori, ha previsto che “Per tutti gli atti, documenti e istanze comunque denominatidiversi da quelli indicati nei commi 1 e 2, fino alla scadenza del termine di cui all'articolo 1 del decreto legge 25 marzo 2020, n. 19, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2020, n. 35, è consentito il deposito con valore legale mediante posta elettronica certificata inserita nel Registro generale degli indirizzi di posta elettronica certificata di cui all'art. 7 del decreto del Ministro della giustizia 21 febbraio 2011, n. 44”. Questa norma, quindi, ha previsto un ampio ricorso alla PEC per l'inoltro di istanze. Il successivo comma 5 della medesima disposizione, però, ha stabilito che “Ai fini dell'attestazione del deposito degli atti dei difensori inviati tramite posta elettronica certificata ai sensi del comma precedente, il personale di segreteria e di cancelleria degli uffici giudiziari provvede ad annotare nel registro la data di ricezione e ad inserire l'atto nel fascicolo telematico. Ai fini della continuità della tenuta del fascicolo cartaceo provvede, altresì, all'inserimento nel predetto fascicolo di copia analogica dell'atto ricevuto con l'attestazione della data di ricezione nella casella di posta elettronica certificata dell'ufficio”. Orbene, è stato necessario introdurre una specifica norma che imponesse al personale di segreteria e di cancelleria degli uffici giudiziari di provvedere, “ai fini della continuità della tenuta del fascicolo cartaceo” all'inserimento in tale fascicolo “di copia analogica dell'atto ricevuto con l'attestazione della data di ricezione nella casella di posta elettronica certificata dell'ufficio” sul presupposto, evidentemente, che tale dovere non fosse già previsto dalla legge.
7. L'indirizzo giurisprudenziale che ha ritenuto l'uso (irregolare) della PEC nel processo penale per la trasmissione di istanze, del resto, come è stato illustrato, costituisce un'estensione del medesimo principio espresso con riguardo al fax. Ebbene, con riguardo all'utilizzazione del telefax è stato affermato che siffatta modalità di trasmissione, pur se irregolare, non rende l'istanza in tal modo inviata né irricevibile, né inammissibile, con la conseguenza che il giudice che ne sia portato tempestivamente a conoscenza deve valutarla, incombendo, comunque, sulla parte instante il rischio della mancata tempestiva trasmissione dell'istanza al giudice competente a valutarla e l'onere di verificare, ove intenda impugnare l'omessa valutazione dell'istanza, non solo che questa sia effettivamente pervenuta nella cancelleria del giudice procedente , ma anche che sia stata tempestivamente portata all'attenzione di quest'ultimo (Cass. Sez. 1, n. 1904 del 16/11/2017, in CED Cass. n. 272049; Cass. Sez. 2, n. 24515 del 22/05/2015; Cass. Sez. 5, n. 7706 del 16/10/2014; Cass. Sez. 2, n. 9030 del 5/11/2013).
8. Il principio che pare ormai prevalente nella giurisprudenza della Corte, pertanto, pare essere quello dapprima illustrato: - l'utilizzo della porta elettronica certificata nel processo penale - prescindendo dalle norme applicabili nel periodo emergenziale – costituisce l'impiego di una modalità irregolare che esula dalla previsione dell'art. 121 cod. proc. pen.; - tale modalità non è senza rischi per colui che propone l'istanza per mezzo di tale strumento; - l'invio tramite posta elettronica certificata, costituendo una modalità atipica di inoltro dell'istanza, onera il giudice a prenderla in considerazione solo quando la stessa sia portata a sua effettiva conoscenza. L'impiego della modalità tipica di deposito dell'istanza prevista dall'art. 121 cod. proc. pen., invece, esonera il richiedente dall'onere di verificare che la stessa sia giunta effettivamente a conoscenza del giudice.
Proprio perché è stato adoperato un mezzo di inoltro dell'istanza irregolare, pertanto, si richiede che la parte che propone l'eccezione si accerti del regolare arrivo della PEC e della sua sottoposizione al giudice, attività che, invero, non pare particolarmente defatigante, posto che implica la mera richiesta di una attestazione all'ufficio di cancelleria. L'alternativa sarebbe quella di onerare l'Autorità giudiziaria investita dell'impugnazione di un atto di procedere a tali verifiche per “riempire di contenuti” generiche deduzioni di parte.
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