La sussistenza di carichi pendenti non deve essere dichiarata, né può essere sanzionata dall'ANAC

22 Giugno 2021

Non essendovi alcuna normativa che obblighi il concorrente, ai fini della partecipazione a una gara, a dichiarare la sussistenza di “carichi pendenti”, ne discende che non trova spazio applicativo la norma generale relativa ai poteri sanzionatori ANAC, di cui all'art. 213, comma 13, del Codice dei Contratti Pubblici.

La fattispecie. A una procedura di gara pubblica, indetta per l'affidamento dei lavori di costruzione di un polo scolastico, partecipava un operatore economico i cui subappaltatori a loro volta accettavano, mediante la sottoscrizione della dichiarazione sostitutiva precompilata allegata alla lex specialis, la clausola per cui “la Stazione Appaltante si potrà avvalere della clausola risolutiva espressa, di cui all'

articolo 1456 c.c.

, ogni qualvolta nei confronti dell'imprenditore o dei componenti la compagine sociale, o dei dirigenti dell'impresa, sia stata disposta misura cautelare o sia intervenuto rinvio a giudizio per taluno dei delitti di cui agli

articoli 317,

318,

319,

319-bis

,

319-ter

,

319-quater

,

320,

322,

322-bis

,

346-bis

,

353

e

353-bis c.p

.

”.

Nel richiedere, in corso di gara, il certificato dei carichi pendenti del rappresentante legale di uno dei subappaltatori, la stazione appaltante veniva a conoscenza dell'esistenza in capo a questi di un rinvio a giudizio dinanzi al Tribunale ordinario di Roma, per le ipotesi di reato di cui all'art. 319 (“Corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio”), conseguentemente segnalando – senza escludere l'operatore dalla gara – l'omissione dichiarativa all'ANAC che, con delibera, irrogava una sanzione pecuniaria all'interessata e ne disponeva l'annotazione nel casellario informatico.

Avverso la citata delibera ricorreva l'operatore economico sanzionato sostenendo che invero nessuna norma del Codice dei contratti pubblici stabilisce l'obbligo, per l'operatore economico che partecipi ad una gara, di comunicare alla stazione appaltante i carichi pendenti in capo ai soggetti indicati nell'art. 80, comma 3, del Codice stesso, fermo restando che, ai sensi dell'art. 80, comma 1, del predetto Codice, costituisce motivo di esclusione la sola condanna con sentenza definitiva o decreto penale di condanna divenuto irrevocabile o sentenza di applicazione della pena su richiesta ex art. 444 c.p.c., per uno dei reati elencati nelle successive lettere da a) a g).

In sostanza, l'ANAC aveva illegittimamente preteso di ravvisare un'omissione, ritenuta rilevante ai sensi del combinato disposto dell'art. 80, comma 5, lettera c), e comma 12, del Codice dei contratti pubblici, in un caso in cui tale omissione non vi sarebbe stata, mancando l'obbligo dichiarativo alla base.

La soluzione. Il ricorso veniva accolto, con conseguente annullamento della delibera impugnata.

Nel caso di specie, infatti, la contestata omissione non aveva influito sulla “procedura di selezione”, sia perché la stazione appaltante non aveva disposto alcuna esclusione, limitandosi a chiedere la disponibilità della capogruppo a eseguire i lavori senza il subappaltatore interessato; sia perché la clausola sottoscritta si limitava a prevedere una mera facoltà della stazione appaltante di potersi avvalere “della clausola risolutiva espressa, di cui all'articolo 1456 c.c., ogni qualvolta nei confronti dell'imprenditore o dei componenti la compagine sociale, o dei dirigenti dell'impresa, sia stata disposta misura cautelare o sia intervenuto rinvio a giudizio per taluno dei delitti di cui agli articoli…”.

Il richiamo esplicito alla clausola risolutiva espressa non può infatti che riguardare la fase esecutiva del rapporto contrattuale e non quelle, precedenti e distinte, di selezione e aggiudicazione.

Tant'è che la presenza di “carichi pendenti” nei confronti di un rappresentante dell'impresa poteva dare luogo solo a risoluzione contrattuale, ovviamente in corso di rapporto esecutivo, non potendo costituire causa di esclusione atteso che la norma di cui all'art. 80, comma 1, del Codice fa riferimento alla sola “condanna” e non al mero “rinvio a giudizio”.

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