L'interdittiva antimafia è autonoma causa di esclusione solo per le fattispecie ricadenti nell'ambito di applicazione del d.lgs. 50/2016

Guglielmo Aldo Giuffrè
02 Luglio 2021

Nel d.lgs. n. 163/2006 è assente una norma analoga a quella introdotta dall'art. 80, comma 2, d.lgs. n. 50/2016, ai sensi del quale “costituisce altresì motivo di esclusione la sussistenza, con riferimento ai soggetti indicati al comma 3, di cause di decadenza, di sospensione o di divieto previste dall'articolo 67 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 o di un tentativo di infiltrazione mafiosa di cui all'articolo 84, comma 4, del medesimo decreto”; sicché l'interdittiva antimafia, laddove si applichi la disciplina di cui al vecchio codice, non può essere considerata un'autonoma causa di esclusione.

La questione. All'esito di una procedura di gara per l'affidamento di servizi di pulizia, di sanificazione ed altri servizi per gli Enti del Servizio Sanitario Nazionale, da aggiudicarsi sulla base del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, la seconda classificata impugnava il provvedimento di aggiudicazione, lamentando la mancata esclusione dell'aggiudicataria, che, dopo la presentazione dell'offerta, era stata colpita da una sanzione interdittiva antimafia ex art. 91 d.lgs. n. 159/2011 (mai comunicata alla stazione appaltante), nonché sottoposta prima alla gestione commissariale prefettizia, ai sensi dell'art. 32, comma 10, d.l. n. 90/2014, e poi – con decreto del Tribunale di Roma – ad amministrazione giudiziaria dei beni utilizzabili per lo svolgimento dell'attività d'impresa, ai sensi dell'art. 34 del d.lgs. n. 159/2011.

La decisione di I° grado. Il TAR respingeva il ricorso, rilevando che gli amministratori giudiziari della società avevano comunicato alla stazione appaltante il subentro nei poteri di rappresentanza, unitamente all'applicazione della misura di prevenzione di cui all'art. 34 del d.lgs. n. 159/2011 e alla documentazione concernente la misura interdittiva e la sua revoca, entrambe annotate nel casellario informatico dell'ANAC, con la conseguente non ravvisabilità di alcuna violazione degli obblighi di comunicazione in capo alla controinteressata.

Il T.A.R. quindi, dopo aver rimarcato la natura (non sanzionatoria ma preventiva) dell'interdittiva antimafia e richiamato il disposto dell'art. 38, comma 1, lett. m), d.lgs. n. 163/2006, applicabile ratione temporis, ha evidenziato, in chiave reiettiva, che “secondo l'orientamento della giurisprudenza formatosi nella vigenza della predetta norma “l'interdittiva antimafia non è […] un requisito (di ordine generale) ai sensi dell'art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006, ovvero una caratterizzazione soggettiva dell'impresa, ma produce gli effetti di una misura di prevenzione finalizzata a negare l'accesso alle commesse pubbliche alle imprese sospettabili di connessione con la criminalità organizzata. Ove gli effetti di un tale sospetto, formalizzati nel provvedimento interdittivo, vengano meno, cessa la ragione stessa della inabilitazione e la sua (temporalmente) circoscritta previgenza non preclude la stipula del contratto, né, a maggior ragione, impone l'esclusione o la revoca dell'aggiudicazione. Del resto, il non essere stato destinatario di un'interdittiva antimafia non è condizione che la legge eleva a requisito generale di qualificazione alle procedure di evidenza pubblica)”.

La decisione del Consiglio di Stato. A fronte dell'appello proposto, il Consiglio di Stato ha confermato la decisione di I° grado.

In particolare, il Collegio – affermando che la questione interpretativa nasce essenzialmente dal fatto che nel d.lgs. n. 163/2006 è assente una norma analoga a quella introdotta dall'art. 80, comma 2, d.lgs. n. 50/2016, ai sensi del quale “costituisce altresì motivo di esclusione la sussistenza, con riferimento ai soggetti indicati al comma 3, di cause di decadenza, di sospensione o di divieto previste dall'articolo 67 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 o di un tentativo di infiltrazione mafiosa di cui all'articolo 84, comma 4, del medesimo decreto” – ha escluso che la misura interdittiva sia riconducibile al novero delle cause escludenti di cui all'art. 38, comma 1, lett. b) e m), d.lgs. n. 163/2006.

Allo stesso modo, la Sezione non ha condiviso il richiamo ai principi giurisprudenziali secondo i quali l'informazione antimafia incide sulla capacità giuridica del suo destinatario, il quale, per effetto di tale misura interdittiva, non può essere titolare di quelle situazioni giuridiche soggettive che implichino rapporti giuridici con la P.A. (Cons. Stato, A.P., n. 23/2020).

Il Collegio ha peraltro osservato “che il pur indiscusso principio di continuità del possesso dei requisiti di partecipazione, in quanto principio generale del procedimento di gara (necessariamente destinato, quindi, ad essere adattato alla specificità della fattispecie che venga di volta in volta in rilievo), deve essere inteso ed applicato in coerenza con i concorrenti principi di ragionevolezza e proporzionalità, aventi rango non subordinato ai fini della disciplina (per gli aspetti non compiutamente regolamentati in via legislativa) del procedimento selettivo. Corollario di tale rilievo è che la pur accertata discontinuità nel possesso del requisito, tanto più laddove esso non appartenga all'ambito dei presupposti soggettivi di partecipazione legislativamente tipizzati, non è suscettibile di determinare l'esclusione del partecipante alla gara, quando – vuoi per la durata dell'interruzione, vuoi per altre ragioni – essa non abbia concretamente determinato alcun vulnus all'esigenza dell'Amministrazione di instaurare rapporti contrattuali con soggetti affidabili e qualificati”.

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