La responsabilità del curatore fallimentare

19 Settembre 2020

L'azione di responsabilità contro il curatore, revocato, ha natura contrattuale, attesa la  riconducibilità dell'incarico allo schema  del mandato?

L'azione di responsabilità contro il curatore, revocato, ha natura contrattuale, attesa la riconducibilità dell'incarico allo schema del mandato?

Caso pratico - Lo spunto per trattare il tema della responsabilità del curatore fallimentare, così come delineata dall'art. 38 l. fall., nel testo modificato dall'art. 36, D.Lgs. n. 5/2006 é la recente sentenza n. 13597/2020 della Corte di Cassazione, depositata il 2 luglio 2020,

Nel caso esaminato dal Supremo Collegio, un curatore fallimentare veniva revocato in conseguenza di accertati inadempimenti circa la gestione di una pratica di rimborso fiscale avente ad oggetto il tributo IVA.

Queste le circostanze.

L'Amministrazione finanziaria rimborsava al curatore fallimentare un credito IVA di titolarità del debitore insolvente, sorto anteriormente all'apertura della procedura concorsuale.

L'ufficio, in secondo momento, ne chiedeva al curatore la restituzione in quanto il rimborso era stato erroneamente effettuato in pendenza di un procedimento di pignoramento presso terzi avviato da un creditore ante fallimento, avente ad oggetto lo stesso credito fiscale.

L'ente impositore avrebbe infatti dovuto erogare il rimborso a favore non già del curatore fallimentare, bensì del creditore procedente, assegnatario del credito tributario oggetto di pignoramento.

L'ufficio provvedeva così a rettificare il proprio operato.

Da un lato, effettuava il rimborso al creditore pignorante, dall'altro, richiedeva al curatore la restituzione di quanto erroneamente rimborsatogli a tale titolo.

Senonché, nelle more, il creditore pignorante aveva anche proposto domanda di ammissione al passivo del fallimento in relazione allo stesso credito fiscale di cui si discute.

Il curatore, nonostante fosse a conoscenza dell'intervenuto rimborso a favore del creditore pignorante di tale credito, proponeva che la propria domanda d'ammissione al passivo venisse accolta.

Il creditore pignorante veniva così ammesso al passivo del fallimento.

Lo stesso veniva anche poi soddisfatto in sede di ripartizione delle somme disponibili, peraltro con modalità in parte anomale (vi sarebbero stati pagamenti da parte della curatela per contanti, in apparente violazione delle norme “antiriciclaggio").

Per effetto di ciò, la massa dei creditori subiva, con evidenza, un danno patrimoniale, rappresentato dall'entità del credito ammesso al passivo.

Il creditore pignorante era già stato, infatti, direttamente soddisfatto dall'Amministrazione finanziaria con riferimento a tale titolo.

Il curatore fallimentare veniva revocato ex art. 38, comma 2, l. fall.

Il nuovo curatore, nominato in sostituzione del precedente, promuoveva nei confronti di quest'ultimo l'azione risarcitoria prevista dalla norma sopra richiamata.

Nel costituirsi in giudizio, il curatore revocato eccepiva di avere operato previa autorizzazione da parte del giudice delegato, non potendosi dunque configurare alcun nesso di causalità fra la propria condotta ed il possibile danno sofferto dai creditori.

In pratica, l'aver agito sulla base dell'imprimatur degli altri organi della procedura, varrebbe ad escludere la responsabilità in capo al curatore in ordine alle proprie condotte, ove anche idonee ad incidere negativamente sul patrimonio del debitore.

Sia il Tribunale di Latina, sia la Corte di Appello di Roma respingevano la domanda risarcitoria proposta dalla nuova curatela fallimentare nei confronti del curatore revocato.

I giudici di prime cure (i quali avevano peraltro escluso la valenza esimente dell'autorizzazione del GD) ritenevano che la curatela attorea non avesse dimostrato di aver subito alcun danno: all'epoca, non era stato ancora definito il rapporto con l'Amministrazione finanziaria.

Secondo i giudici d'appello, al contrario, l'autorizzazione del giudice delegato era idonea, ex se, ad escludere ogni profilo di responsabilità in capo al curatore revocato per insussistenza del requisito di diretta causalità fra condotta e danno.

La curatela nominata in sostituzione del curatore revocato ricorreva per cassazione.

La Corte di Cassazione, ribaltando il decisum della Corte d'Appello di Roma, accoglieva il ricorso della curatela attrice, cassava la sentenza di secondo grado oggetto d'impugnazione e rinviava a diversa sezione della Corte d'Appello di Roma.

Nel riformare la sentenza di seconde cure, il Supremo Collegio ha rimarcato la natura contrattuale della responsabilità del curatore.

Dall'organo di gestione della procedura è dunque preteso non già un (semplice) livello medio d'attenzione, bensì una (qualificata) diligenza correlata alla perizia richiesta dall'incarico professionale, secondo specifici parametri di natura tecnica.

Salva, peraltro, la facoltà per il curatore di avvalersi – a fronte di questioni tecniche di particolare difficoltà – della limitazione di responsabilità ex art. 2236 c.c. (esonero da responsabilità in caso di “colpa lieve”).

Fra l'altro, secondo la Corte di Cassazione, ai fini della responsabilità del curatore fallimentare, non può assumere alcuna rilevanza l'autorizzazione rilasciata dagli altri organi della procedura concorsuale.

Tale autorizzazione, in ipotesi, può rilevare in un'ottica d'eventuale concorso di responsabilità fra più soggetti responsabili, circostanza, peraltro, quest'ultima, che nel caso in esame non era stata minimamente eccepita.

In questo contesto, conclude il Supremo Collegio, l'autorizzazione da parte del GD non è idonea ad “interrompere” il nesso di causalità tra la condotta del curatore ed il possibile danno arrecato alla massa dei creditori, di talché, sussistendo i presupposti previsti dalla legge in materia di responsabilità contrattuale, il curatore revocato è tenuto a rifondere la procedura in conseguenza della propria condotta illecita.

Spiegazioni e conclusioni - La sentenza della Corte di Cassazione si pone nel solco del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità: l'azione di responsabilità nei confronti del curatore ha natura contrattuale atteso che il sottostante incarico è equiparabile al mandato professionale.

Secondo l'insegnamento delle Sezioni Unite, la responsabilità di chi non esegua puntualmente la propria prestazione, ex art. 1218 c.c., ha natura contrattuale non solo laddove l'obbligo ad adempiere derivi da un rapporto contrattuale, ma anche in tutti quei casi in cui vi sia un'obbligazione preesistente, indipendentemente dalla relativa fonte.

La responsabilità in capo a chi sia inadempiente può dunque discendere anche dalla violazione di obblighi nascenti da "contatto sociale", ovvero in tutte quelle situazioni in cui l'ordinamento giuridico imponga ad un certo soggetto di tenere un determinato comportamento.

Se dunque la responsabilità extracontrattuale dipende da un dovere “primario” di non ledere la sfera degli interessi altrui (neminen ledere), nascendo essa con la stessa obbligazione risarcitoria, la responsabilità contrattuale presuppone l'inadempimento di un obbligo preesistente, assunto volontariamente nei confronti di chi si assuma danneggiato.

Nel solco della responsabilità contrattuale si pone peraltro anche la categoria delle obbligazioni ex lege, riconducibili agli "altri atti o fatti idonei" ex art. 1173 c.c. (es., gestione affari altrui, arricchimento senza causa).

Il vigente art. 38 l. fall., nel testo modificato dall'art. 36, D.Lgs. n. 5/2006 prevede che il curatore fallimentare adempia il proprio ufficio con la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico.

Prima di tale modifica normativa, la disposizione in oggetto prevedeva (soltanto) che il curatore fallimentare dovesse adempiere con diligenza ai doveri del proprio ufficio.

Il modello di riferimento del “vecchio” art. 38 l. fall. era, dunque, il paradigma ex art. 1176, comma 1, c.c.: nell'adempiere la propria obbligazione il debitore deve usare la diligenza del “buon padre di famiglia".

Adesso, il modello di riferimento del riformato art. 38 l. fall. è il paradigma ex art. 1176, comma 2, c.c.: nell'adempimento delle obbligazioni inerenti l'esercizio di un'attività professionale, la diligenza si valuta avuto riguardo alla natura dell'attività esercitata.

Il secondo comma dell'art. 1176 c.c. rafforza il carattere “contrattuale” della responsabilità del curatore fallimentare, facendo riferimento alla diligenza professionale, tipica del negozio giuridico del mandato.

Al curatore è quindi richiesto non già un livello “medio” d'attenzione e prudenza, bensì la perizia richiesta nell'ambito dell'esercizio dell'attività professionale, la quale presuppone il ricorso a specifici, qualificati parametri tecnici.

Fatta salva, come detto, la facoltà per il curatore di avvalersi, in presenza di problemi tecnici di particolare difficoltà e/o rilevanza, della limitazione di responsabilità ex art. 2236 c.c., per il caso di colpa lieve.

Il curatore, secondo l'insegnamento della Corte di Cassazione, infine, trattandosi di responsabilità contrattuale, risponde della propria condotta ove anche la stessa sia stata autorizzata da un provvedimento del giudice delegato o del comitato dei creditori, potendo – in ipotesi –, tale autorizzazione, rilevare unicamente ai fini d'un possibile “concorso” fra più soggetti.

Secondo l'art. 38, comma 1, primo periodo, l. fall. il curatore deve adempiere i doveri del proprio ufficio, imposti dalla legge ovvero derivanti dal piano di liquidazione, con la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico.

Tale formula ricalca quanto previsto dal codice civile in tema di responsabilità dell'organo di amministrazione delle società per azioni.

L'art. 2392, comma 1, c.c. dispone, infatti, che gli amministratori debbano adempiere i doveri loro imposti dalla legge e dallo statuto con la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico (oltreché dalle proprie specifiche competenze).

Il richiamo alle norme codicistiche in punto di “natura dell'incarico” rende, di fatto, esplicita la natura contrattuale della responsabilità del curatore che ha, dunque – quale riferimento –, il modello negoziale del mandato.

È così richiesto al curatore di agire con la diligenza di cui all'art. 1176, comma 2, c.c.

Tale norma dispone che l'adempimento delle obbligazioni riconducibili all'esercizio di un'attività professionale si valuta avuto riguardo alla natura dell'attività medesima.

Il concetto di “diligenza” presuppone un agire informato a standard di legalità (rispetto delle norme sul concorso), perizia (utilizzo di adeguati strumenti tecnici), prudenza (tutela delle ragioni dei creditori).

La natura negoziale della responsabilità implica, peraltro, che il curatore, laddove chiamato a dipanare questioni tecniche di particolare difficoltà, non risponda dei possibili danni legati al proprio operato, se non per dolo o colpa grave (art. 2236 c.c.).

È interessante notare come l'art. 38, comma 1, primo periodo, l. fall. non elenchi, né precisi quali siano gli specifici doveri del curatore, salvo fare un espresso richiamo al programma di liquidazione.

Una volta che tale documento sia stato approvato ex art. 104-ter l. fall., al generale obbligo di diligenza professionale in capo al curatore si unisce, pertanto, lo specifico dovere di dare puntuale attuazione ai singoli atti inseriti nel programma di liquidazione.

Si ricorda, sotto altro profilo, che il mancato rispetto del termine ex art. 104-ter, comma 1, l. fall (180 gg. dalla data del fallimento), senza giustificati motivi, rappresenta giusta causa di revoca del curatore.

Concorre ad “avallare” la natura negoziale della responsabilità del curatore fallimentare, la norma di cui all'art. 37-bis, comma 1, l. fall.

Essa prevede che in sede di formazione del passivo i creditori possano chiedere al tribunale la sostituzione del curatore, indicando un nuovo nominativo; il tribunale, valutate le ragioni della richiesta, provvede alla nomina del soggetto designato dai creditori, sempreché siano rispettati i criteri ex art. 28 l. fall.

Sotto il profilo probatorio, nella responsabilità aquiliana è onere del danneggiato provare l'esistenza di tutti gli elementi che costituiscano il fatto illecito (condotta, danno, nesso di causalità), ex art. 2697 c.c.

Nel caso della responsabilità contrattuale, il danneggiato si limita invece ad allegare l'inadempimento della prestazione, essendo onere del debitore provare l'insussistenza della propria “colpevolezza”.

Si verifica, cioè, in ambito di responsabilità contrattuale, una “inversione” dell'onere della prova circa l'inadempimento della prestazione – e ciò, secondo lo schema di cui all'art. 1218 c.c. (responsabilità del debitore).

Tale norma prevede che il debitore che non esegua esattamente la propria prestazione deve risarcire il danno, salvo che non provi che l'inadempimento ovvero il ritardo nell'adempimento sia dovuto alla impossibilità d'eseguire la prestazione per cause a sé non imputabili.

Resta peraltro fermo, anche nel caso della responsabilità contrattuale, l'onere di provare e quantificare il danno da parte del soggetto che si assuma danneggiato dalla condotta inadempiente altrui.

Sotto il profilo dell'estinzione del diritto, il risarcimento del danno da responsabilità contrattuale si prescrive in dieci anni, ex art. 2946 c.c., con decorrenza dalla data di sostituzione del curatore.

In caso di responsabilità extracontrattuale, il diritto al risarcimento del danno si prescrive invece in cinque anni, ai sensi dell'art. 2947, comma 1 c.c.

Per concludere, un cenno alla responsabilità del curatore nella specifica prospettiva della propria qualifica di pubblico ufficiale (art. 30 l. fall.).

Al di là dei rappresentati profili che attengono alla responsabilità contrattuale verso la massa dei creditori, la qualità di pubblico ufficiale in capo al curatore implica un'ulteriore, possibile responsabilità – e ciò su più livelli.

In primo luogo, è correlata all'esercizio della funzione una responsabilità di natura disciplinare interna alla procedura fallimentare, la quale può portare al provvedimento giudiziale di revoca, ex art. 37 l. fall.

In secondo luogo, vi è una correlata responsabilità disciplinare esterna, attivabile anche su segnalazione del foro fallimentare, la quale può condurre a provvedimenti sanzionatori da parte dell'ordine professionale di appartenenza del curatore.

Infine, il curatore può essere chiamato a rispondere, in via extracontrattuale, ex art. 2043 c.c., per condotte che pur non incidendo sul patrimonio da destinare ai creditori siano tuttavia idonee a cagionare un danno “ingiusto” al debitore ovvero a terzi.

Tale azione, a differenza di quella avente natura contrattuale (e che – come visto – postula la revoca del curatore), può essere esercitata dal soggetto che si assuma danneggiato anche in pendenza dello svolgimento dell'incarico da parte del curatore, all'interno della procedura.

Un'ultima annotazione riguarda la “copertura” nei confronti del curatore, ai fini della propria responsabilità, del provvedimento con il quale il giudice delegato ovvero il comitato dei creditori lo autorizzi a compiere un determinato atto.

Dal momento che, secondo quanto ricordato dalla Cassazione con la sentenza qui annotata, l'incarico conferito al curatore deve essere svolto secondo schemi informati al mandato professionale, non è idonea ad esonerarlo da responsabilità l'eventuale autorizzazione da parte degli altri organi della procedura.

Ne consegue che il curatore, nel rappresentare le circostanze al G.D. ovvero al comitato dei creditori ai fini della richiesta di autorizzazione – ma, più in generale, durante tutto lo svolgimento dell'incarico –, deve far ricorso alla perizia tipica dello schema negoziale, senza che l'eventuale autorizzazione, in ipotesi concessa sulla base di fatti rappresentati senza la dovuta diligenza, possa assumere valenza esimente ai fini della responsabilità del curatore.

Normativa e giurisprudenza

  • Art. 1176 c.c.
  • Art. 1218 c.c.
  • Art. 2043 c.c.
  • Art. 2236 c.c.
  • Art. 2392 c.c.
  • Art. 2946 c.c.
  • Art. 2947 c.c.
  • Art. 28 L.F.
  • Art. 30 L.F.
  • Art. 37 L.F.
  • Art. 37-bis L.F.
  • Art. 38 L.F.
  • Cass. civ., Sez. Un., 21 maggio 2018, n. 12477
  • Cass. civ., Sez. Un., 26 giugno 2007, n. 14712
  • Cass. civ., Sez. III, 20 giugno 2019, n. 16589
  • Cass. civ., Sez. III, 13 febbraio 2019, n. 4153
  • Cass. civ., Sez. III, 8 luglio 2010, n. 16123
  • Cass. civ., Sez. I, 23 luglio 2007, n. 16214
  • Cass civ., Sez. I, 20 dicembre 2002, n. 18144
  • Cass civ., Sez. I, 5 aprile 2001, n. 5044

Per approfondire

  • PAJARDI P.-PALUCHOWSKI A., Manuale di diritto fallimentare, Milano, 2008;
  • LO CASCIO G. (diretto da), Codice commentato del fallimento, Milano, 2015
  • CAIAFA A., il fallimento e le altre procedure concorsuali, Roma, 2016
  • D'ATTORRE G., Commento agli artt. 37-39 l. fall., in NIGRO A.-SANDULLI M.-SANTORO V. (a cura di), La legge fallimentare dopo la riforma, Torino, 2006
  • D'ORAZIO L., Sub art. 38 l. fall, in FERRO M. (a cura di), Le legge fallimentare. Commentario teorico-pratico, Milano, 2014

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