La prova dell'insussistenza dei limiti dimensionali ai fini della declaratoria di fallimento
19 Febbraio 2021
Il debitore, per superare la presunzione di fallibilità, deve dimostrare la ricorrenza di tutti i requisiti dimensionali indicati dall'art 1 L.F. e per ciascuno dei tre anni anteriori alla dichiarazione di fallimento?
Caso pratico - Su istanza di una ditta individuale, il Tribunale di Crotone dichiarava il fallimento di una s.n.c. e del socio illimitatamente responsabile sulla base di un decreto ingiuntivo, del successivo atto di precetto e del pignoramento presso terzi eseguito infruttuosamente in danno del debitore. Il collegio fallimentare, accertata l'assenza di prova circa la ricorrenza dei requisiti soggettivi di non fallibilità della società, stante il mancato deposito della documentazione contabile richiesta nel decreto di convocazione e verificata, sulla scorta delle informazioni assunte dall'Agenzia dell'Entrate, l'esistenza di un debito tributario pari a € 472.734,56, da aggiungersi a quello vantato dal creditore istante, pari ad € 21.000,00, riteneva sussistere lo stato d'insolvenza, in ragione del notevole ammontare dei crediti rimasti insoddisfatti, nonostante i solleciti di pagamento e del comportamento processuale del debitore, che non ha inteso costituirsi e depositare le scritture contabili. Avverso la sentenza di fallimento, proponeva reclamo il socio superstite – in ragione del decesso del socio-amministratore -, eccependo il mancato superamento delle soglie di fallibilità indicate dall'art. 1 L.F. e depositando una relazione tecnica giurata a sostegno della propria domanda, chiedendo, ove necessario, l'espletamento di una consulenza contabile. La Curatela ed il creditore procedente non si costituivano e la Corte d'appello, rigettata l'istanza di sospensione dell'attivo fallimentare e fatte precisare le conclusioni mediante deposito telematico di note scritte ex L. 77/2020, rigettava il reclamo, condannando il reclamante al pagamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il reclamo.
Spiegazioni e conclusioni - Nel caso in esame, come visto, non era stata depositata la documentazione contabile in sede di istruttoria pre-fallimentare, né nel successivo giudizio di reclamo, benché il socio superstite si fosse costituito mediante deposito di perizia giurata di parte. Come è noto, è ormai pacifico, nella giurisprudenza di legittimità, il principio secondo cui “nel giudizio d'impugnazione della sentenza dichiarativa di fallimento, ridenominato a seguito della riforma del 2007 come "reclamo" in luogo del precedente "appello", non operano i limiti previsti, in tema di appello, dagli artt. 342 e 345 c.p.c. Ne consegue che il debitore, benché non costituito innanzi al tribunale, può indicare in sede di reclamo i mezzi di prova di cui intende avvalersi, anche per la prima volta, al fine di dimostrare la sussistenza dei limiti dimensionali di cui all'art. 1, comma 2, L.F.”(Cass. 19 febbraio 2019, n. 4893). In proposito, la Corte d'Appello, nel rigettare il reclamo, ha osservato che la documentazione prodotta dal socio, da sola, non era idonea all'accertamento dei requisiti dimensionali di non fallibilità richiesti dall'art. 1 L.F., non potendosi attribuire alcuna efficacia probatoria alla consulenza di parte, equiparabile ad una memoria difensiva di contenuto tecnico. Dalla stessa, poi, a parere del Giudice distrettuale, non è possibile trarre spunti da approfondire mediante una consulenza contabile, posto che i poteri d'indagine ufficiosa attribuiti al giudice in ambito fallimentare non possono spingersi fino al punto di demandare, al consulente d'ufficio, la ricerca degli elementi probatori necessari per superare la presunzione di fallibilità del debitore, il cui onere grava, invece, sul debitore. Peraltro, osserva la Corte, solo qualora il socio avesse depositato le scritture contabili della società, la richiesta consulenza contabile sarebbe stata ammissibile, non essendo possibile supplire, alla mancanza in atti delle scritture stesse, tramite rinvio alla rappresentazione dello stato patrimoniale e del conto economico contenuta nella relazione di parte, posto che la stessa risultava essere frutto di una rielaborazione dei dati compiuta dal perito. Sicché, soggiunge la Corte, la correttezza e affidabilità della predetta ricostruzione non appariva suscettibile di verifica, neppure con una consulenza contabile, non trovando riscontro nelle scritture contabili, assenti in atti, né in ulteriori strumenti probatori da ritenersi alternativi. Infatti, secondo la Suprema Corte di Cassazione, “ai fini della prova della sussistenza dei requisiti di non fallibilità sono ammissibili strumenti probatori alternativi al deposito dei bilanci degli ultimi tre esercizi di cui all'art. 15, comma 4, L.F., i quali, non espressamente menzionati nell'art. 1, comma 2, L.F., costituiscono strumento di prova privilegiato, in quanto idonei a chiarire la situazione patrimoniale e finanziaria dell'impresa, senza assurgere però a prova legale, essendo soggetti alla valutazione, da parte del giudice, dell'attendibilità dei dati contabili in essi contenuti secondo il suo prudente apprezzamento ex art. 116 c.p.c.” (cfr. Cass., 27 settembre 2019, n. 24138). Vale la pena di ricordare, in proposito, che in materia fallimentare vi è un ampio potere di indagine officioso in capo al giudice, nient'affatto limitato dall'avvenuta o meno produzione dei bilanci, tenuto conto, da una parte, che il Tribunale, ai sensi dell''art. 15, comma 4, L.F., dopo aver ordinato al debitore fallendo il deposito dei bilanci relativi agli ultimi tre esercizi nonché di atti da cui risulti una situazione economica aggiornata, può comunque chiedere informazioni urgenti e avvalersi a tal fine di ogni organo pubblico a ciò competente; dall'altra che lo stesso art. 1, comma 2, lett. b) L.F. chiarisce che i dati relativi all'ammontare dei ricavi lordi realizzati dal debitore nel triennio antecedente alla data di deposito della istanza di fallimento, sono utilizzabili in "qualunque modo risulti" e quindi non soltanto sulla base delle allegazioni probatorie del debitore. Nel caso di specie, però, il consulente di parte si era limitato ad analizzare i dati riscontrati dai bilanci abbreviati, redatti dalla società in epoca assolutamente incerta e indeterminata e i predetti bilanci, per giunta, non risultavano depositati presso la Camera di Commercio e neppure allegati alle dichiarazioni dei redditi dei tre anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento – peraltro non depositate -, né vi era traccia, con riferimento alle passività, del debito verso l'Agenzia delle Entrate, accertato durante l'istruttoria pre-fallimentare. La Corte d'appello, pertanto, non avendo il socio superstite dimostrato la ricorrenza di tutti i requisiti dimensionali indicati dall'art. 1 L.F. per ciascuno dei tre anni anteriori alla dichiarazione di fallimento, ha respinto il reclamo, condannando il reclamante a versare un ulteriore contributo unificato ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 115/2002.
Normativa e giurisprudenza
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