Classamento delle costruzioni rurali e riflessi ai fini ICI
02 Novembre 2021
Premessa
Fino al 30 dicembre 1993, data di entrata in vigore del D.L. 30 dicembre 1993, n. 557, (poi convertito, con modificazioni, nella L. 26 febbraio 1994, n. 133), non si consideravano produttive di reddito, ai fini delle imposte dirette e nei limiti posti dal cit. TUIR art. 39, "le costruzioni o porzioni di costruzioni rurali, e relative pertinenze, appartenenti al possessore o all'affittuario dei terreni cui servono", comprese quelle destinate ad abitazione degli addetti al fondo (norma cit., lett. a). Ciò perché il valore di tali fabbricati, non iscritti in catasto, non costituiva materia imponibile separata dal terreno agricolo sul quale insistevano, inserito nel catasto terreni (Cass. n. 12453/2001). L'imposta comunale sugli immobili (ICI), istituita con D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, entrato in vigore il 1 gennaio 1993, riferendosi (fra l'altro) ai fabbricati iscritti o che dovevano essere iscritti nel catasto edilizio urbano (art. 1; art. 2, lett. a; art. 5, comma 2), non trovava quindi applicazione diretta ai fabbricati rurali. Costruzioni rurali: evoluzione storica
La giurisprudenza in proposito, ha precisato che la "stretta ed imprescindibile relazione" posta da tali norme tra iscrizione o necessaria iscrivibilità dell'immobile in catasto ed assoggettamento di esso all'ICI "non esclude nè limita il potere del contribuente di chiedere la modifica... ovvero di impugnare... l'atto di accatastamento e/o di attribuzione della rendita, con naturale ripercussione... del provvedimento definitivo" sul rapporto d'imposta, con effetto vincolante per le parti di questo (contribuente e Comune). (Cass. n. 15321/2008).
Il D.L. n. 557/1993, dispose tuttavia (art. 9, comma 1) che, "al fine di realizzare un inventario completo ed uniforme del patrimonio edilizio", sarebbero stati censiti ed iscritti nel catasto edilizio urbano, che prendeva così la nuova denominazione di "catasto dei fabbricati", anche "tutti i fabbricati o porzioni di fabbricati rurali", pur conservando essi tale qualificazione; che, fra tali immobili, quelli destinati ad abitazione - cui particolarmente si riferiva il citato TUIR art. 39, lett. a), potevano ottenere il riconoscimento di "ruralità" agli effetti fiscali, se avessero soddisfatto ad alcune condizioni, fissate dal cit. art. 9, commi 3 e 4.
Tale norma non prendeva in esame gli immobili rurali strumentali, non destinati ad abitazione e menzionati dal cit. TUIR art. 39, lett. b), c), d), pure da iscrivere nel nuovo catasto dei fabbricati, "appartenenti al possessore o all'affittuario dei terreni cui servono" (art. 39, prima parte), insistenti su terreno di cui concorrevano a costituire il valore complessivo imponibile, ai sensi del D.Lgs. n. 504/1992, art. 5, comma 7. Il D.L. n. 557/1993, art. 9, nella formulazione originaria, ed in particolare il comma 3, faceva esclusivo riferimento ai "fabbricati o porzioni di fabbricati destinati ad edilizia abitativa", onde disciplinare in modo più rigoroso il "riconoscimento della ruralità" di essi agli effetti fiscali.
Si trattava, infatti, "di scoraggiare il dilagante fenomeno di spacciare per rurali delle costruzioni che tali non erano" (Cass. n. 6884/2005), proseguendo nel solco tracciato dal D.L. 27 aprile 1990, n. 90, convertito con modificazioni nella L. 26 giugno 1990, n. 165, art. 1, comma 1, lett. f), che aveva (fra l'altro) modificato, in senso restrittivo, la disposizione contenuta nel cit. TUIR, art. 39, lett. a), relativa a fabbricati rurali destinati propriamente ad abitazione (v. par. 6.2.1), mentre il comma 5, (modificato poi dalla L. 30 dicembre 1991, n. 413, art. 70, comma 4) ne aveva disposto l'iscrizione nel catasto edilizio urbano, secondo le modalità successivamente stabilite con D.M. 11 gennaio 1991.
Quanto ai fabbricati rurali non destinati ad abitazione, il legislatore delegò al governo (L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 3, comma 156) il compito di regolamentare la materia, disponendo "la revisione dei criteri di accatastamento dei fabbricati rurali... tenendo conto del fatto che la normativa deve essere applicata soltanto all'edilizia rurale abitativa... e che si deve provvedere all'istituzione di una categoria di immobili a destinazione speciale per il classamento dei fabbricati strumentali...". Tale disposizione imponeva, pertanto, al legislatore delegato di tenere distinte - per la classificazione in catasto e, indirettamente, a fini fiscali - le costruzioni rurali destinate ad abitazione da quelle strumentali all'attività agricola.
In esecuzione della delega, il d.P.R. 23 marzo 1998, n. 139, art. 1, comma 5, stabilì che "Le costruzioni strumentali all'esercizio dell'attività agricola diverse dalle abitazioni, comprese quelle destinate ad attività agrituristiche, vengono censite nella categoria speciale D/10 - fabbricati per funzioni produttive connesse alle attività agricole, nel caso in cui le caratteristiche di destinazione e tipologiche siano tali da non consentire, senza radicali trasformazioni, una destinazione diversa da quella per la quale furono originariamente costruite". L'art. 2, comma 1, cit. testo, inserì quindi nel D.L. n. 557/1993, art. 9, il comma 3 bis, recante la seguente disposizione: "Ai fini fiscali deve riconoscersi carattere rurale alle costruzioni strumentali alle attività agricole di cui al cit. TUIR art. 29".
Tali disposizioni, rilevanti a fini catastali e fiscali, non solo introducono, in modo chiaro e definitivo, una distinzione, anche di classamento catastale, fra costruzioni rurali, a seconda che siano destinate ad abitazione ovvero strumentali all'esercizio di determinate attività agricole, mediante attribuzione solo a queste ultime della categoria speciale D/10; ma soprattutto, "contrapponendo le due ipotesi e confermando soltanto per la prima la necessità dell'asservimento dell'immobile ad un fondo e della riconducibilità di entrambi ad un unico soggetto (avente un certo tipo di reddito), ... implicitamente ma inequivocabilmente chiariscono che per gli altri fabbricati strumentali, non destinati all'abitazione rileva soltanto la loro destinazione ad una delle finalità sopra indicate" (Cass. n. 6884/2005, cit., dalla motivazione; in tal senso, anche Cass. n. 9760/2003).
Una volta stabilito che, allo scopo di riconoscere l'appartenenza di una costruzione strumentale alla categoria catastale D/10 - quali che siano le conseguenze di ciò nel rapporto d'imposta col Comune, collocandosi tali disposizioni "a monte dell'ICI" (Cass. n. 15321/2008.) -, non ha più rilievo, a partire dal 30.12.1993, l'asservimento dell'immobile ad un fondo, ma soltanto la sua destinazione ad una delle finalità indicate dal D.L. n. 557/1993, art. 9, comma 3 bis e si deve conseguentemente ritenere erronea la tesi che afferma che il carattere di ruralità non competerebbe all'immobile che non potrebbe essere collegato, per le sue dimensioni, ad attività agricole ne a ricadute agrituristiche che giustifichino la categoria D/10": si è infatti chiarito che, per i soli immobili di carattere strumentale (non per quelli destinati ad abitazione), non ha più rilievo, dopo il 30.12.1993, l'asservimento ad un fondo o l'insistenza del fabbricato su di esso e, quindi le dimensioni del terreno stesso.
Il carattere di ruralità non può essere escluso a causa del fatto che i terreni, da cui provengono i prodotti agricoli oggetto di manipolazione, trasformazione e alienazione, non appartengono ad una società (es: cooperativa agricola) , bensì ai soci; ai sensi del D.L. n. 557/1993, art. 9, comma 3 bis, la natura rurale degl'immobili strumentali alle attività agricole in esso indicate, ed il conseguente classamento catastale in categoria D/10 debbono essere sempre riconosciuti, a parità delle altre condizioni, quand'anche i terreni da cui provengono i prodotti da manipolare, trasformare e vendere appartengano ai singoli soci, anziché alla stessa cooperativa proprietaria del fabbricato.
La riconducibilità di fondo e fabbricato ad un unico soggetto rileva ormai unicamente nel caso di abitazione pretesamente "rurale" (Cass. n. 6884/2005) anche se, per gli anni d'imposta anteriori al 1999, è stata ritenuta non retroattiva la citata norma inserita appunto dal d.P.R. n. 139/1998, comma 3 bis (Cass. nn. 16701/2007 e 18853/2005). Il carattere rurale del fabbricato sussiste, successivamente al 30.12.1993, anche se il proprietario di questo è diverso da quello del terreno, come nel caso in cui una cooperativa sia proprietaria del terreno ed i soci del fabbricato (Cass. n. 1330/2005). Al fine dell'iscrizione dell'immobile nella speciale categoria D/10 del catasto si tratta, in primo luogo, di stabilire se l'immobile in questione possegga, come prescrive il d.P.R. n. 139/1998, art. 1, comma 5, caratteristiche di destinazione e tipologiche tali da non consentire, senza radicali trasformazioni, una destinazione diversa da quella per cui fu originariamente costruito.
Il carattere rurale dei fabbricati, diversi da quelli destinati ad abitazione, non può essere negato, ogniqualvolta essi siano strumentalmente destinati allo svolgimento di attività agricole contemplate dal cit. TUIR, art. 29 (ora 32), od anche di quelle aggiunte dal D.L. n. 557 del 1993, art. 9,comma 3 bis, a prescindere dal fatto che titolarità del fabbricato e titolarità dei terreni da cui provengono i prodotti agricoli coincidano nello stesso soggetto.
Per la sussistenza del carattere di "strumentalità" e per la conseguente iscrivibilità nella speciale categoria catastale D/10, ai sensi del d.P.R. n. 139/1998, art. 1, comma 5, è necessario:
Non rileva, invece, che lo stesso impianto potrebbe svolgere ordinarie attività commerciali o industriali, (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 20953 del 01/08/2008) Normativa attuale e orientamenti giurisprudenziali
Al fine di individuare i requisiti necessari per il riconoscimento della ruralità dei fabbricati, chiarendo le differenze intercorrenti in relazione alla destinazione abitativa ed alla destinazione imprenditoriale, l'art. 9, comma 3, del D.L. 30 dicembre 1993 n. 557, convertito nella Legge 26 febbraio 1994 n. 133, quale novellato dall'art. 42-bis del D.L. 1 ottobre 2007 n. 159, convertito nella Legge 29 novembre 2007 n. 222, prevede che «ai fini del riconoscimento della ruralità degli immobili agli effetti fiscali, i fabbricati o porzioni di fabbricati destinati ad edilizia abitativa devono soddisfare le seguenti condizioni: a) il fabbricato deve essere utilizzato quale abitazione: 1) dal soggetto titolare del diritto di proprietà o di altro diritto reale sul terreno per esigenze connesse all'attività agricola svolta; 2) dall'affittuario del terreno stesso o dal soggetto che con altro titolo idoneo conduce il terreno a cui l'immobile è asservito; 3) dai familiari conviventi a carico dei soggetti di cui ai numeri 1) e 2) risultanti dalle certificazioni anagrafiche; da coadiuvanti iscritti come tali a fini previdenziali; 4) da soggetti titolari di trattamenti pensionistici corrisposti a seguito di attività svolta in agricoltura; 5) da uno dei soci o amministratori delle società agricole di cui all'articolo 2 del d.lgs. 29 marzo 2004, n. 99, aventi la qualifica di imprenditore agricolo professionale; a-bis) i soggetti di cui ai numeri 1), 2) e 5) della lettera a) del presente comma devono rivestire la qualifica di imprenditore agricolo ed essere iscritti nel registro delle imprese di cui all'art. 8 della legge 29 dicembre 1993, n. 580; (…) b) il terreno cui il fabbricato è asservito deve avere superficie non inferiore a 10.000 metri quadrati ed essere censito al catasto terreni con attribuzione di reddito agrario. Qualora sul terreno siano praticate colture specializzate in serra o la funghicoltura o altra coltura intensiva, ovvero il terreno è ubicato in comune considerato montano ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge 31 gennaio 1994, n. 97, il suddetto limite viene ridotto a 3.000 metri quadrati; c) il volume di affari derivante da attività agricole del soggetto che conduce il fondo deve risultare superiore alla metà del suo reddito complessivo, determinato senza far confluire in esso i trattamenti pensionistici corrisposti a seguito di attività svolta in agricoltura. Se il terreno è ubicato in Comune considerato montano ai sensi della citata legge n. 97/1994, il volume di affari derivante da attività agricole del soggetto che conduce il fondo deve risultare superiore ad un quarto del suo reddito complessivo, determinato secondo la disposizione del periodo precedente. Il volume d'affari dei soggetti che non presentano la dichiarazione ai fini dell'IVA si presume pari al limite massimo previsto per l'esonero dall' art. 34 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633; d) i fabbricati ad uso abitativo, che hanno le caratteristiche delle unità immobiliari urbane appartenenti alle categorie A/1 ed A/8, ovvero le caratteristiche di lusso previste dal decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 agosto 1969 , adottato in attuazione dell'art. 13 della legge 2 luglio 1949, n. 408, e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 218 del 27 agosto 1969, non possono comunque essere riconosciuti rurali».
Dunque, per il riconoscimento della ruralità ai fini fiscali delle costruzioni, nell'ambito delle unità immobiliari a destinazione abitativa, si delinea la distinzione tra requisiti soggettivi e requisiti oggettivi: i primi attengono a caratteristiche e stato di fatti che concernono i soggetti utilizzatori dei fabbricati; i secondi concernono le caratteristiche tipologiche edilizie, ubicazionali, la destinazione d'uso, l'utilizzazione. La verifica del soddisfacimento dei requisiti soggettivi prevede l'esistenza di una prova documentale dalla quale si evinca con chiarezza il soggetto che utilizza l'abitazione, consentendo quindi il confronto con la categoria di soggetti ammessa. La norma appare sufficientemente chiara nell'individuazione delle tipologie dei soggetti e delle loro condizioni specifiche in rapporto al fondo (coltivatore diretto, imprenditore agricolo, affittuario, loro familiari conviventi, ecc.).
Qualche difficoltà sorge nel caso di soggetto titolare di trattamenti pensionistici corrisposti a seguito di attività svolta in agricoltura. Per questi ultimi può presentarsi la seguente casistica:
Tuttavia, ai fini del riconoscimento della ruralità, deve sussistere, unitamente agli altri requisiti richiesti, anche la condizione di cui all'art. 9, comma 3, lettera d), del D.L. 30 dicembre 1993 n. 557, convertito nella Legge 26 febbraio 1994 n. 133, quale novellato dall'art. 42-bis del D.L. 1 ottobre 2007 n. 159, convertito nella Legge 29 novembre 2007 n. 222, la quale dispone che il volume d'affari derivante da attività agricole del soggetto che conduce il fondo deve risultare superiore alla metà del suo reddito complessivo, determinato senza far confluire in esso i trattamenti pensionistici corrisposti a seguito di attività svolta in agricoltura.
Pertanto, se il soggetto titolare di pensione continua a svolgere attività agricola sul fondo, il requisito relativo all'ammontare del volume d'affari deve essere verificato in capo a quest'ultimo senza tener conto dei trattamento pensionistico percepito. In tal caso l'attività esercitata direttamente dal pensionato sul fondo deve assumere i connotati di una vera e propria attività economica, produttiva di ricavi, quale, per esempio, l'attività finalizzata alla produzione di prodotti agricoli per la vendita. A tal fine, potrebbe ritenersi indicativo il possesso della partita I.V.A. da parte del pensionato.
Nel caso descritto al punto b), concernente l'ipotesi in cui il fondo venga concesso in uso a terzi, il requisito del volume d'affari deve intendersi riferito esclusivamente al soggetto che conduce il fondo. Infine, per quanto concerne l'ipotesi di cui al punto c), relativo al pensionato agricoltore che non eserciti più alcuna attività sul proprio fondo e non abbia neppure concesso lo stesso in uso a terzi, deve escludersi il riconoscimento del carattere di ruralità del fabbricato ad uso abitativo di proprietà del pensionato e, conseguentemente, i connessi benefici fiscali, atteso che non sussiste il requisito richiesto in capo al pensionato, né in capo a terzi utilizzatori del fondo. Più complesso si prospetta l'accertamento dei requisiti oggettivi, dovendosi aver riguardo alla tipologia edilizia ed alla localizzazione territoriale del fabbricato, alla superficie e alla destinazione del fondo a cui il fabbricato è asservito, al volume d'affari dell'impresa agricola.
Secondo l'art. 9, comma 3-bis, del D.L. 30 dicembre 1993 n. 557, convertito nella Legge 26 febbraio 1994 n. 133, quale novellato dall'art. 42-bis del D.L. 1 ottobre 2007 n. 159, convertito nella Legge 29 novembre 2007 n. 222, «ai fini fiscali deve riconoscersi carattere di ruralità alle costruzioni strumentali necessarie allo svolgimento dell'attività agricola di cui all'art. 2135 c.c. e in particolare destinate: (…) c) alla custodia delle macchine agricole, degli attrezzi e delle scorte occorrenti per la coltivazione e l'allevamento; d) all'allevamento e al ricovero degli animali (…)». A differenza degli immobili abitativi, la norma non contiene alcun riferimento al caso di eventuale appartenenza degli immobili strumentali a soggetti titolari di trattamenti pensionistici corrisposti a seguito di attività svolta in agricoltura. Tuttavia, nel silenzio del legislatore, si può desumere che la cessazione dell'attività imprenditoriale da parte del proprietario non fa venir meno la ruralità, sempre che continui a sussistere il rapporto di connessione tra attività agricola e fabbricato strumentale. Ne deriva che la ruralità del fabbricato strumentale è un dato oggettivo, che dipende esclusivamente dalla effettiva destinazione dell'immobile allo svolgimento delle attività agricole. Dunque, tale condizione non può venir meno per il solo fatto del pensionamento del coltivatore diretto che ne sia proprietario, dovendo verificarsi la perdita dei requisiti oggettivi previsti dalla norma.
In sostanza, tali fabbricati possono appartenere ad altro soggetto diverso dal titolare della proprietà del fondo sul quale insistono, purché siano utilizzati per un'attività agricola. Non a caso, analogo principio è stato più volte ribadito con riguardo alle cooperative agricole, chiarendosi che il carattere rurale dei fabbricati, diversi da quelli destinati ad abitazione, non può essere negato, ogniqualvolta essi siano strumentalmente destinati allo svolgimento di attività agricole contemplate dall'art. 29 (ora 32) del d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917, od anche di quelle aggiunte dall'art. 9, comma 3-bis, del D.L. 30 dicembre 1993 n. 557, convertito nella Legge 26 febbraio 1994 n. 133, a prescindere dal fatto che titolarità del fabbricato e titolarità dei terreni da cui provengono i prodotti agricoli coincidano nello stesso soggetto (Cass., Sez. trib., 1 agosto 2008, n. 20953; Cass., Sez. trib., 3 agosto 2012, n. 14103; Cass., Sez. trib., 7 maggio 2019, n. 11974). Ne deriva che, se il proprietario di un fabbricato rurale lo concede in affitto ad altro imprenditore agricolo, non vi è alcun cambio di destinazione e, pertanto, il fabbricato rurale resta tale. La ruralità delle costruzioni strumentali alle attività agricole, ancorché esercitate da soggetti diversi dal proprietario del fondo, deve essere valutata ai fini fiscali (e, dunque, anche ai fini del classamento catastale, che è strettamente connesso alla tassazione reddituale) in relazione all'art. 32, comma 2, del d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917.
Ai sensi di tale disposizione, tra le tipologie di attività considerate “agricole” rientra l'allevamento di animali con mangimi ottenibili per almeno un quarto dal terreno; questa percentuale rappresenta la trasposizione normativa in un criterio aritmetico del collegamento necessario e funzionale col fondo che deve sussistere affinché l'allevamento di bestiame (ivi compresa l'avicoltura) si possa considerare impresa agricola e non industriale, nell'accezione delineata dall'art. 2135 c.c. (anche all'esito della modifica apportata dall'art. 1 del D.Lgs. 18 maggio 2001 n. 228), risultando vincolato alla raccolta dei prodotti della terra, destinati all'alimentazione dei capi allevati, e partecipi, quindi, dei rischi relativi all'andamento della produzione agricola. Per cui, il travalicamento di tale limite è sufficiente ad escludere il riconoscimento della ruralità del fabbricato strumentale.
Riflessi ai fini ICI
Si è rilevato da parte delle S.U. che in tema di ICI, “l'immobile che sia stato iscritto nel catasto dei fabbricati come "rurale", con l'attribuzione della relativa categoria (A/6 o D/10), in conseguenza della riconosciuta ricorrenza dei requisiti previsti dall'art. 9 del d.l. n. 557/1993, conv. in legge n. 133/1994, non è soggetto all'imposta, ai sensi dell'art. 2, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 504/1992, come interpretato dall'art. 23, comma 1-bis del d.l. n. 207/2008, aggiunto dalla legge di conversione n. 14/2009. Qualora l'immobile sia iscritto in una diversa categoria catastale, sarà onere del contribuente, che pretenda l'esenzione dall'imposta, impugnare l'atto di classamento, restando, altrimenti, il fabbricato medesimo assoggettato ad ICI.” (Cass. Sez. UU., n. 18565 del 21/08/2009) Con riferimento all'onere delle prova, l'accertamento di requisiti, in difformità della attribuita categoria catastale non può essere incidentalmente compiuto dal giudice tributario che sia stato investito della domanda di rimborso dell'ICI da parte del contribuente.
Il classamento, infatti, è l'atto presupposto e in ragione del "carattere impugnatorio" del processo tributario, avente un oggetto circoscritto agli atti che scandiscono le varie fasi del rapporto d'imposta,…… il potere di disapplicazione del giudice è limitato ai regolamenti ed agli atti amministrativi generali ma non alla categoria catastale attribuita e, all'epoca, non impugnata. (cfr. Cass. Sez. 5, n. 5167, 5 marzo 2014, Cass. Sez. 6 - 5, n. 422 10 gennaio 2014, Cass. Sez. 5, n. 19872 14 novembre 2012, Cass. Sez. V, Sentenza n. 8845 14 aprile 2010, Cass. Sez. 5, Sentenza n. 7102 24 marzo 2010). Ribadito l'orientamento di legittimità in tema di Ici dei fabbricati rurali, secondo cui: - per la dimostrazione della ruralità dei fabbricati, ai fini del trattamento esonerativo, è dirimente l'oggettiva classificazione catastale con attribuzione della relativa categoria (A/6 per le unità abitative, o D/10 per gli immobili strumentali), l'immobile che sia stato iscritto come "rurale", in conseguenza della riconosciuta ricorrenza dei predetti requisiti non è soggetto all'imposta, mentre qualora l'immobile sia iscritto in una diversa categoria catastale (di non ruralità), è onere del contribuente, che invochi l'esenzione dall'imposta, impugnare l'atto di classamento per la ritenuta ruralità del fabbricato, restandovi altrimenti quest'ultimo assoggettato; allo stesso modo, il Comune deve impugnare autonomamente l'attribuzione della categoria catastale A/6 o D/10, al fine di poter legittimamente pretendere l'assoggettamento del fabbricato all'ICI.
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