La tassazione indiretta del patto di famiglia: un traguardo raggiunto o un percorso ancora incompiuto?
Elisabetta Misilmeri
26 Gennaio 2022
Facendo ricorso all'istituto del patto di famiglia l'imprenditore può trasferire il patrimonio aziendale ad uno o più discendenti, i quali, poi, saranno tenuti a liquidare i soggetti che assumerebbero la qualifica di legittimari se in quel momento si aprisse la sua successione. Mancando una disciplina fiscale dell'istituto, la dottrina e la giurisprudenza hanno tentato di colmare tale vuoto normativo, giungendo alla conclusione che al patto di famiglia si applica la disciplina fiscale prevista per la donazione modale.
Premessa
Facendo ricorso all'istituto del patto di famiglia l'imprenditore può trasferire il patrimonio aziendale ad uno o più discendenti, i quali, poi, saranno tenuti a liquidare i soggetti che assumerebbero la qualifica di legittimari se in quel momento si aprisse la sua successione. Mancando una disciplina fiscale dell'istituto, la dottrina e la giurisprudenza hanno tentato di colmare tale vuoto normativo, giungendo alla conclusione che al patto di famiglia si applica la disciplina fiscale prevista per la donazione modale.
La qualificazione giuridica del patto di famiglia
Al fine di individuare il corretto regime fiscale applicabile al patto di famiglia, è necessario, in via preliminare, comprenderne la qualificazione giuridica.
Tale analisi deve necessariamente prendere le mosse dalla Raccomandazione della Commissione CE del 7 dicembre 1994, n. 1069 sulla successione nelle piccole e medie imprese (v. Calò, “Le piccole e medie imprese: cavallo di troia di un diritto comunitario delle successioni?”, in Nuova giur. civ. comm., 1997, II, 217).
All'inizio degli anni novanta del secolo scorso era emerso che il 10% delle dichiarazioni di fallimento nella Comunità Europea era causato dalle insormontabili difficoltà connesse alla successione dell'imprenditore, con conseguente messa in pericolo non solo delle altre attività operanti sul mercato, ma anche di molti posti di lavoro.
Ciò era ritenuto particolarmente deplorevole e, per tale motivo, con la Raccomandazione n. 94/1069/CE, gli Stati Membri erano stati invitati ad “adottare le misure necessarie per facilitare la successione nelle piccole e medie imprese al fine di assicurare la sopravvivenza delle imprese e il mantenimento dei posti di lavoro”.
Nel fare ciò gli Stati avrebbero dovuto adottare delle iniziative volte ad informare, sensibilizzare ed incoraggiare fiscalmente l'imprenditore al fine di indurlo a preparare in vita la successione della propria azienda. La parola d'ordine, dunque, era assicurare la sopravvivenza dell'impresa. Tale obbiettivo poteva essere raggiunto solo intervenendo sulle legislazioni nazionali in materia successoria, eliminando o comunque attenuando il divieto dei patti successori, che è tuttora previsto in molti Paesi Europei, come l'Italia.
Il legislatore italiano si è adeguato alla Raccomandazione europea introducendo, con la Legge 14 febbraio 2006, n. 55, gli artt. 768 bis e segg. c.c. con i quali ha disciplinato l'istituto del patto di famiglia.
Il patto di famiglia è un contratto plurilaterale, posto in deroga al divieto dei patti successori di cui all'art. 458 c.c. (v. Oppo, “Patto di famiglia”, in Riv. dir. civ., 2006, I, 441 e Cocuccio, “Divieto dei patti successori e patto di famiglia”, Milano, 2016).
Facendo ricorso al patto di famiglia, l'imprenditore trasferisce in tutto o in parte la propria azienda o le partecipazioni sociali a uno o più dei suoi discendenti, ma nel fare ciò non deve pregiudicare i soggetti che assumerebbero la qualifica di legittimari se in tale momento si aprisse la successione.
A tale scopo, il legislatore ha previsto che i legittimari non assegnatari avranno diritto a veder liquidata la propria quota di cui agli artt. 536 e segg. c.c.
Al fine di rendere stabile tale assetto di interessi, poi, l'ultimo comma dell'art. 768 quater c.c. stabilisce che “quanto ricevuto dai contraenti non è soggetto a collazione o a riduzione”.
In tale modo, dunque, il trasferimento di azienda o delle partecipazioni sociali nonché le liquidazioni dei legittimari al momento dell'apertura della successione dell'imprenditore non entreranno a far parte del relictum e non verranno considerati ai fini della ricostruzione del donatum.
Da questa disciplina emerge chiaramente come il patto di famiglia si ponga l'obiettivo di garantire l'univocità del controllo e della leadership dell'azienda, evitando una frammentazione del complesso produttivo che potrebbe derivare da una apertura della successione ereditaria in via ordinaria.
Il legislatore, dunque, ha previsto un'anticipazione temporale delle vicende legate all'apertura della futura successione.
Una volta selezionati i discendenti, stipulato il patto e liquidati i legittimari non assegnatari, i contraenti non avranno più alcuna possibilità di modificare la situazione successoria dell'azienda come voluta e cristallizzata dall'imprenditore, essendo preclusa ogni azione di riduzione o collazione connessa ai beni oggetto del patto stesso (v. Cassazione 10 marzo 2021, n. 6591 e 17 marzo 2021, n. 7429).
L'inquadramento giuridico del patto di famiglia è un passaggio necessario per comprenderne la disciplina fiscale.
La dottrina si è divisa sul punto.
Alcuni autori hanno ricondotto l'istituto alla donazione modale, dove il modus sarebbe imposto dalla legge (v. Palazzo, “Il patto di famiglia tra tradizione e rinnovamento”, in Riv. dir. civ., 2007, 261; Caccavale, “Appunti per uno studio sul patto di famiglia: profili strumentai e funzionali della fattispecie”, in Riv not., 2006, 289; Oppo, “Patto di famiglia”, cit., 441).
Altri, invece, hanno affermato che con il patto di famiglia vi sarebbe una divisione anticipata in quanto l'azienda o le partecipazioni sociali sarebbero estromesse dalla futura comunione ereditaria (v. Tassinari, “Il patto di famiglia per l'impresa e la tutela dei legittimari”, in Giur. comm., 2006, 825; Petrelli, “La nuova disciplina del patto di famiglia”, in Riv. not., 2006, 401; Gazzoni, “Appunti e spunti in tema di patto di famiglia”, in Giust. civ., 2006, 217; Amadio, “Patto di famiglia e funzione divisionale”, in Riv. not., 2006, 867; Merlo, “Appunti sul patto di famiglia, in Società, 2007, 946; Zoppini, “Profili sistematici della successione anticipata (note sul patto di famiglia)”, in Riv. dir. civ., 2007, 273; Tatarano, “Il patto di famiglia tra fattispecie e fiducia”, Napoli, 2018).
Altri ancora, poi, hanno sostenuto che l'istituto sarebbe riconducibile al contratto a favore di terzo dove l'imprenditore sarebbe lo stipulante, il discendente assegnatario sarebbe il beneficiario e i legittimari non assegnatari sarebbero i terzi a favore dei quali detto beneficiario dovrebbe adempiere la prestazione (v. La Porta, “Il patto di famiglia”, Torino, 2007).
Certo è che, con il patto di famiglia, l'imprenditore pone in essere un'operazione complessa, che, però, deve essere letta in modo unitario.
Analizzato l'istituto nella sua complessità, questo non potrà che ricondursi all'alveo delle liberalità (v. Pischetola, “Prime considerazioni sul patto di famiglia”, in Vita notarile, 2006, 457, nonché la circolare 22 gennaio 2008, n. 3 dell'Agenzia delle Entrate).
Ciò trova conferma anche nella forma pubblica del contratto e nel fatto che quanto ricevuto dai contraenti non potrà essere soggetto a collazione e riduzione, azioni aventi ad oggetto proprio atti di liberalità.
Il patto di famiglia è, dunque, un fascio di attribuzioni liberali dove il nucleo centrale è costituito dal trasferimento dell'azienda o delle partecipazioni sociali dal disponente al discendente, a titolo gratuito ma gravato da un onere.
Il secondo atto di liberalità, poi, proviene sempre dal disponente nel momento in cui il beneficiario dell'assegnazione adempie al proprio onere, liquidando gli altri legittimari che hanno preso parte al patto.
Il patto di famiglia, dunque, è un'operazione complessa costituita da due liberalità compiute dal disponente, una diretta nei confronti del discendente ritenuto maggiormente in grado di assumere il controllo dell'azienda e un'altra indiretta nei riguardi dei legittimari non assegnatari (v. Lupi, “Conguagli tra legittimari nel “patto di famiglia” e imposta sulle donazioni”, in Dialoghi trib., 2011, 200).
Il patto di famiglia, poi, limitatamente agli effetti può ricondursi alle donazioni modali di cui all'art. 793 c.c., ma non si deve pensare che vi sia una coincidenza tra i due istituti.
In particolare, il modus nel patto di famiglia è un elemento necessario del contratto imposto per legge, mentre l'onere nella donazione modale è un elemento accidentale disposto per volontà del donante.
I due istituti, pertanto, possono assimilarsi solo sotto il profilo degli effetti giuridici.
Sulla base di tali considerazioni, la giurisprudenza è giunta ad affermare che “al patto di famiglia si applica la disciplina fiscale prevista per la donazione modale” (v. Cassazione 19 dicembre 2018, n. 32823 e 24 dicembre 2020, n. 29506).
Il regime fiscale del patto di famiglia
Alla natura liberale del patto di famiglia consegue il suo assoggettamento all'imposta sulle donazioni.
Infatti, è pacifico che tutte le operazioni effettuate nell'ambito del patto di famiglia, ovvero sia i trasferimenti dell'azienda o delle partecipazioni sociali che le liquidazioni dei legittimari non assegnatari, siano sottoposte a tale tributo (v. Turchi, “La famiglia nell'ordinamento tributario”, Torino, 2015).
La base imponibile dell'imposta è costituita dall'effettivo incremento patrimoniale e, pertanto, viene calcolata decurtando dal valore del bene trasmesso al beneficiario quanto da lui liquidato in favore dei legittimari non assegnatari dell'azienda o delle partecipazioni sociali (sul punto si veda Fedele, “Profili fiscali del patto di famiglia”, in Riv. dir. trib., 2014, 526).
Ai fini della liquidazione del tributo, al trasferimento dell'azienda o delle partecipazioni sociali si applicheranno le franchigie e le aliquote proprie del rapporto tra il disponente e il discendente assegnatario.
Il problema si pone, però, per le franchigie e le aliquote applicabili alle liquidazioni dei legittimari.
Sotto il profilo degli effetti, come abbiamo visto, il patto di famiglia si atteggia come una donazione modale.
A ciò consegue che alle liquidazioni dei legittimari non assegnatari dovrà applicarsi l'art. 58, comma 1, del d.Lgs. n. 346/1990, secondo cui “gli oneri di cui è gravata la donazione, che hanno per oggetto prestazioni a soggetti terzi determinati individualmente, si considerano donazioni a favore dei beneficiari”.
Tale disposizione, del resto, si attaglia perfettamente alla fattispecie di cui all'art. 768-quater c.c. in quanto i legittimari non assegnatari dell'azienda o delle partecipazioni sociali potranno sicuramente essere qualificati come “terzi determinati individualmente”, trattandosi di soggetti non destinatari degli effetti dell'atto di liberalità diretta.
La giurisprudenza, pur affermando la rilevanza dell'art. 58, comma 1, cit., aveva inspiegabilmente concluso che, nella determinazione dell'imposta dovuta per la liquidazione dei legittimari non assegnatari, si sarebbero dovute applicare le franchigie e le aliquote proprie del rapporto intercorrente tra il discendente assegnatario e i legittimari (v. Cassazione 19 dicembre 2018 n. 32823).
Sennonché, tale conclusione appariva in esplicito contrasto con l'art. 58, comma 1, cit.
Opportunamente, la giurisprudenza è tornata sui propri passi, affermando che alla liquidazione dei legittimari non assegnatari, trattandosi di un atto di liberalità indiretta da parte del disponente, dovranno applicarsi le franchigie e le aliquote proprie del rapporto tra costui e i legittimari (v. Cassazione, 24 dicembre 2020 n. 29506).
Questa ricostruzione del regime fiscale del patto di famiglia va accolta con favore per una pluralità di motivi.
In primo luogo, è rispettosa della natura giuridica dell'istituto, quale atto di liberalità tra vivi.
Inoltre, il discendente assegnatario, nel momento in cui provvede a liquidare gli altri legittimari, non è certo mosso da spirito di liberalità, bensì è obbligato in tal senso dalla legge; l'atto di liberalità proviene, piuttosto, dal disponente, sicché applicare le franchigie e le aliquote proprie del rapporto tra il discendente e i legittimari sarebbe errato.
Infine, questo assetto è coerente anche con l'intero sistema normativo in materia successoria, in quanto al medesimo risultato si addiverrebbe se l'azienda o le partecipazioni sociali fossero l'unico bene dell'imprenditore e quest'ultimo ne disponesse per testamento in favore di uno dei suoi discendenti, apponendo poi l'onere di liquidare gli altri legittimari; in tal caso, nella determinazione dell'imposta sulle liquidazioni dei legittimari si applicherebbero le franchigie e le aliquote proprie del rapporto tra de cuius e i legittimari stessi, ai sensi dell'art. 46, comma 3, del d.Lgs. n. 346/1990.
L'applicabilità o meno dell'esenzione prevista dall'art. 3, comma 4 ter, del d.lgs. n. 346/1990 alle liquidazioni dei legittimari non assegnatari
La Raccomandazione CE del 7 dicembre 1994, n. 1069 si era posta l'obbiettivo di incentivare la trasmissione non conflittuale nelle piccole e medie imprese e, per raggiungere tale scopo, la disciplina fiscale è decisiva.
Gli oneri fiscali gravanti sulla successione ereditaria dell'impresa costituivano uno dei principali ostacoli al buon esito dell'operazione; il successore, infatti, per pagare le imposte si vedeva costretto a prelevare gran parte degli utili, correndo il rischio che ciò conducesse alla cessazione dell'attività.
Per tale motivo, tra gli scopi individuati all'art. 1 della Raccomandazione v'era quello di “assicurare il buon esito della successione familiare alleggerendo le imposte sulla devoluzione ereditaria e sulla donazione, di modo che queste non mettano in pericolo la sopravvivenza dell'impresa”.
In attuazione della Raccomandazione, il legislatore nazionale, con la Legge Finanziaria 2007 (L. 27 dicembre 2006, n. 296), ha introdotto il comma 4 ter dell'art. 3 del D.Lgs. n. 346/1990 con il quale ha previsto un regime di esenzione sui trasferimenti di azienda o di partecipazioni sociali in favore del coniuge o dei discendenti, al ricorrere di determinate condizioni.
In particolare, l'esenzione sarà applicabile solo se il beneficiario, in caso di trasferimento di quote sociali o azioni, acquisirà, o comunque integrerà, il controllo ai sensi dell'art. 2359, comma 1, n. 1, c.c., e, comunque, proseguirà l'esercizio dell'attività d'impresa o deterrà il controllo per un periodo non inferiore a cinque anni dalla data del trasferimento, dichiarando ciò espressamente.
Nel caso in cui non siano rispettati tali requisiti, verrà meno l'agevolazione con conseguente pagamento dell'imposta in misura ordinaria e l'applicazione delle sanzioni di cui all'art. 13 del D.Lgs. n. 471/1997.
La dottrina e la giurisprudenza si sono poste il problema se il regime di esenzione previsto dall'art. 3, comma 4 ter, cit. possa essere applicato anche alle liquidazioni dei legittimari non assegnatari dell'azienda o delle partecipazioni sociali.
L'unanime giurisprudenza (v. Cassazione 19 dicembre 2018, n. 32823; 24 dicembre 2020, n. 29506; 10 marzo 2021, n. 6591; 17 marzo 2021, n. 7429) e parte della dottrina (v. Turchi, “La famiglia nell'ordinamento tributario”, cit.) hanno affermato che le norme di esenzione sono di stretta interpretazione, ai sensi dell'art. 14 delle Preleggi, e, pertanto, non possono essere applicate a casi non espressamente previsti dal legislatore.
Tale impostazione è stata fortemente criticata da altra dottrina (v. Fedele, “Profili fiscali del patto di famiglia”, cit., 526; Corasaniti, “I profili tributari del passaggio generazionale delle imprese tra condizioni di obiettiva incertezza interpretativa e (probabili) interventi di riforma”, in Dir. prat. trib., 2020, 1872; Tassani, “La Cassazione (ri)definisce il regime fiscale del patto di famiglia”, in Fiscalità patrimoniale, 24 gennaio 2021), facendo leva sul fatto che l'istituto del patto di famiglia deve essere letto in modo unitario e in linea con quanto previsto dalla normativa sovranazionale.
Quest'ultimo indirizzo è da preferire per vari motivi.
Innanzitutto, il patto di famiglia assolve un'unitaria funzione liberale, di modo che la liquidazione dei legittimari non assegnatari è strettamente connessa con il trasferimento dell'azienda o delle partecipazioni sociali, con conseguente applicazione del medesimo regime di esenzione.
In secondo luogo, la normativa europea si pone l'obbiettivo di garantire e salvaguardare il passaggio generazionale nelle imprese, anche introducendo una disciplina fiscale di favore; se si prevedesse un diverso trattamento impositivo tra il trasferimento dei cespiti al discendente e le liquidazioni dei legittimari, non si incentiverebbe l'imprenditore a regolare in vita la successione nella sua impresa.
Ancora, posto che la liquidazione dei legittimari non assegnatari costituisce un passaggio obbligato per completare il programma del trapasso generazionale dell'azienda, è inevitabile concludere che tutte le operazioni inerenti al patto di famiglia, comprese le liquidazioni dei legittimari, debbano considerarsi esenti.
Tale ricostruzione, infine, appare coerente con quanto affermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza 23 giugno 2020, n. 120 in relazione all'esenzione prevista dal comma 4 ter dell'art. 3 cit.
La Consulta ha ricordato che le agevolazioni fiscali sono il frutto di un potere discrezionale del legislatore, ma devono rispettare i principi di coerenza, logicità e non contraddittorietà; perciò, vanno estese ad altre fattispecie quando lo esiga la ratio dell'agevolazione stessa.
In specie, secondo la Corte Costituzionale, l'esenzione prevista dal comma 4 ter dell'art. 3 cit. “mira ad agevolare, attraverso l'eliminazione dell'onere fiscale correlato al trasferimento per successione o donazione, la continuità generazionale dell'impresa nell'ambito dei discendenti della famiglia in occasione della successione mortis causa, rispetto alla quale il trasferimento a seguito di donazione può rappresentare una vicenda sostanzialmente anticipatoria”.
In conclusione
L'esenzione, dunque, è stata introdotta proprio per incentivare la successione nell'attività imprenditoriale, ma tale obiettivo potrebbe risultare fortemente minato se i legittimari fossero costretti a corrispondere al Fisco imposte ingenti, in quanto perderebbero interesse a partecipare al patto. Tenuto conto che il patto di famiglia è stato introdotto nel nostro ordinamento proprio per salvaguardare il passaggio generazionale nelle piccole o medie imprese, tutte le operazioni eseguite nell'ambito del patto, comprese le liquidazioni dei legittimari non assegnatari, vanno considerate esenti ai sensi dell'art. 3, comma 4 ter cit. in modo da incentivare l'imprenditore a farvi ricorso.
La Corte Costituzionale, inoltre, ha evidenziato come l'applicazione dell'esenzione in esame anche ai trasferimenti delle grandi imprese appaia eccessiva in quanto i beneficiari, anche a seguito del pagamento dell'imposta, sarebbero perfettamente in grado di assolvere l'onere fiscale.
Quindi, anche alla luce di siffatta affermazione, è ragionevole ritenere che l'esenzione dall'imposta sulle successioni e donazioni sia senz'altro applicabile a tutte le operazioni inerenti al passaggio generazionale nelle piccole e medie imprese.
Per quanto attiene, invece, ai trasferimenti delle imprese di grandi dimensioni, competerà al legislatore valutare l'opportunità di escludere l'applicabilità della norma agevolativa.
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Sommario
L'applicabilità o meno dell'esenzione prevista dall'art. 3, comma 4 ter, del d.lgs. n. 346/1990 alle liquidazioni dei legittimari non assegnatari