Per la Plenaria amministratori e soci di una società destinataria di interdittiva antimafia non sono legittimati all’impugnazione dell’atto

Tommaso Cocchi
09 Marzo 2022

La questione su cui si è pronunciata la Plenaria nella sentenza in commento era stata sollevata dal CGARS, con ordinanza n. 726 del 19 luglio 2021, nell'ambito di un'impugnativa promossa avverso una certificazione interdittiva antimafia emessa nei confronti di una società, da parte dei soci, i quali lamentavano la perdita della gestione dell'azienda e i connessi pregiudizi...

L'ordinanza di rimessione. La questione su cui si è pronunciata la Plenaria nella sentenza in commento era stata sollevata dal CGARS, con ordinanza n. 726 del 19 luglio 2021, nell'ambito di un'impugnativa promossa avverso una certificazione interdittiva antimafia emessa nei confronti di una società, da parte dei soci, i quali lamentavano la perdita della gestione dell'azienda e i connessi pregiudizi.

Nell'ordinanza di rimessione il CGARS aveva sottolineato la presenza di due contrapposti orientamenti della giurisprudenza amministrativa in riferimento alla legittimazione processuale dei soci per l'impugnativa di provvedimenti gravanti sulla persona giuridica. In particolare, secondo un primo orientamento, il ricorso proposto da soggetti diversi dall'impresa destinataria dell'interdittiva sarebbe inammissibile per carenza di legittimazione attiva, in quanto il decreto prefettizio può essere impugnato solo dal soggetto che ne patisce gli effetti diretti sulla sua posizione giuridica di interesse legittimo (in tal senso Cons. Stato, sez. III, 14 ottobre 2020, n. 6205, 22 gennaio 2019, n. 539, 16 maggio 2018, n. 2895, 11 maggio 2018, n. 2824 e n. 2829).

Nel contempo, la stessa sezione remittente aveva ricordato che un secondo orientamento (Cons. Stato, sez. III, 4 aprile 2017, n. 1559) ha invece riconosciuto la legittimazione ad impugnare l'informativa a favore degli ex amministratori della società in ragione della lesione concreta ed attuale della situazione professionale e patrimoniale dei soggetti che abbiano dovuto rinunciare all'incarico di amministratori della società, nonché sotto il profilo della potenziale lesione dell'onore e reputazione personale dei soggetti sui quali nel provvedimento venga ipotizzato un condizionamento mafioso.

Il giudice a quo, propendendo per l'adesione a tele ultimo orientamento, ha rimesso alla Plenaria la risoluzione della questione “relativa alla possibilità, o meno, di riconoscere, in capo ad ex amministratori e soci di una società attinta da interdittiva antimafia, autonoma legittimazione a ricorrere, avuto riguardo alla situazione giuridica dedotta in giudizio, che si pretende direttamente ed immediatamente pregiudicata dall'interdittiva (a causa della sostituzione degli organi di gestione, con perdita, da parte degli ex amministratori, delle cariche ricoperte, e quindi pregiudizio professionale; impossibilità di effettuare scelte imprenditoriali strategiche e quindi compromissione degli investimenti economici profusi nell'azienda, quanto ai soci; con lesione della dignità e reputazione, quanto ai soggetti le cui vicende personali e familiari costituiscano diretto oggetto di motivazione)”.

La decisione della Plenaria. Il Supremo Consesso amministrativo ha rinvenuto la carenza di legittimazione attiva dei ricorrenti.

A tal proposito, il Collegio ha dapprima ricordato che la legittimazione e l'interesse a ricorrere trovano giustificazione nella natura soggettiva della giurisdizione amministrativa, che non risulta preordinata ad assicurare la generale legittimità dell'operato pubblico, bensì tende a tutelare la situazione soggettiva del ricorrente, correlata ad un bene della vita coinvolto nell'esercizio dell'azione amministrativa. Orbene, come ricordato dalla Plenaria, il giudice procedente ha il compito di verificare la sussistenza in capo alla parte ricorrente: i) di una posizione qualificata e differenziata; ii) di una lesione concreta ed attuale della sfera giuridica del ricorrente il quale deve trarre utilità dall'accoglimento della propria impugnazione.

Alla luce di ciò, a valle di una compiuta ricostruzione sul legame tra la posizione giuridica dell'interesse legittimo e la legittimazione degli amministrati, la Plenaria ha ritenuto quest'ultima condizione processuale insussistente nel caso di specie. Ciò in quanto, secondo il prevalente orientamento della giurisprudenza amministrativa, il decreto prefettizio può essere impugnato dal soggetto che ne patisce gli effetti diretti e, quindi, dal destinatario dell'atto, in quanto solo il destinatario subisce la lesione immediata e diretta alla sua posizione giuridica soggettiva di interesse legittimo che consente il ricorso dinanzi al giudice amministrativo.

Sotto concorrente profilo, la Plenaria ha precisato che gli amministratori e i soci non sono destinatari diretti dell'esercizio del potere amministrativo, essendovi relazione diretta solo tra potere amministrativo e persona giuridica, ma essi emergono con un proprio possibile e riflesso pregiudizio solo per effetto di un diverso rapporto di natura contrattuale o di altro tipo che li lega al destinatario diretto, cioè la società. Ebbene tale rapporto secondo il Supremo Consesso, essendo estraneo alla relazione intersoggettiva tra destinatario dell'atto e pubblica amministrazione, è inidoneo a far sorgere situazioni di interesse legittimo e impedisce di configurare sul piano processuale la legittimazione ad agire nei confronti del provvedimento di interdittiva antimafia. In ragione di ciò, tale provvedimento, pur producendo pregiudizi nella sfera giuridica dei soci, non può sorreggere la legittimazione a impugnare, ma solo, nell'ambito del sindacato giurisdizionale di legittimità e ricorrendone i presupposti, un intervento in giudizio.

Per le predette ragioni la Plenaria ha sancito il principio di diritto secondo cui «gli amministratori ed i soci di una persona giuridica destinataria di interdittiva antimafia non sono titolari di legittimazione attiva all'impugnazione di tale provvedimento».

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