La pendenza di un procedimento penale per le ipotesi di reato ex artt. 353 e 353-bis c.p. non è automatico motivo di esclusione

Giuseppe La Rosa
02 Luglio 2022

Avverso l'aggiudicazione di una gara indetta da RFI per la progettazione esecutiva ed esecuzione in appalto dei lavori è insorto il concorrente collocatosi in seconda posizione, contestandone la legittimità in quanto l'aggiudicatario avrebbe dovuto essere escluso dal momento che nei confronti dell'amministratore delegato dello stesso è in corso un procedimento penale per le ipotesi di reato di cui agli artt. 353 e 353-bis c.p...

Il caso. Avverso l'aggiudicazione di una gara indetta da RFI per la progettazione esecutiva ed esecuzione in appalto dei lavori è insorto il concorrente collocatosi in seconda posizione, contestandone la legittimità in quanto l'aggiudicatario avrebbe dovuto essere escluso dal momento che nei confronti dell'amministratore delegato dello stesso è in corso un procedimento penale per le ipotesi di reato di cui agli artt. 353 e 353-bis c.p. Tale circostanza, tenuto conto della gravità dei fatti addebitati, rileverebbe anche quale violazione del protocollo di legalità che la Società era tenuta a rispettare in ragione della legge di gara. In particolare, parte ricorrente lamenta la violazione dell'art. 1, comma 17, della l. 6 novembre 2012, n. 190, secondo cui “le stazioni appaltanti possono prevedere negli avvisi, bandi di gara o lettere di invito che il mancato rispetto delle clausole contenute nei protocolli di legalità o nei patti di integrità costituisce causa di esclusione dalla gara”.

Inoltre, sebbene il fatto per il quale pende il procedimento penale risalga agli anni 2012-2016, di esso l'Amministrazione avrebbe dovuto tenere conto ai fini delle valutazioni di cui all'art. 80, comma 10-bis, d.lgs. 50/2016.

La decisione. Il Giudice amministrativo conferma la legittimità dell'aggiudicazione per avere fatto la Stazione appaltante buon governo delle norme e dei principi applicabili in materia.

La decisione si manifesta degna di nota chiarendo, da un lato, la portata dei protocolli di legalità e, dall'altro, il periodo temporale rilevante ai fini dell'art. 80, comma 10-bis, d.lgs. 50/2016.

Quanto al primo profilo, il TAR, richiamando l'orientamento del Consiglio di Stato, afferma che il rispetto del canone della tassatività delle cause di esclusione impone di sottoporre le regole dei c.d. protocolli di legalità o patti d'integrità a un'interpretazione rigorosa, all'insegna dell'attento rispetto della lettera e, soprattutto, della ratio che le contraddistingue, e in coerenza con il principio comunitario di proporzionalità, con la conseguenza che deve escludersi qualsiasi automatismo ai fini della sanzione espulsiva dalla procedura ad evidenza pubblica.

Quanto al secondo profilo, il Giudice stabilisce che, risalendo i fatti per i quali pende il procedimento penale agli anni 2012-2016, mancherebbe il requisito temporale previsto dal comma 10-bis dell'art. 80, cit., secondo cui “nei casi di cui al comma 5, la durata della esclusione è pari a tre anni, decorrenti dalla data di adozione del provvedimento amministrativo di esclusione ovvero, in caso di contestazione in giudizio, dalla data di passaggio in giudicato della sentenza. Nel tempo occorrente alla definizione del giudizio, la stazione appaltante deve tenere conto di tale fatto ai fini della propria valutazione circa la sussistenza del presupposto per escludere dalla partecipazione alla procedura l'operatore economico che l'abbia commesso”. Il TAR, respingendo il rilievo di parte ricorrente, secondo cui ai fini del periodo di esclusione dalla procedura si dovrebbe tener conto non della data di commissione del reato, ma della data del suo accertamento giurisdizionale, giunge a diversa conclusione valorizzando la portata dell'art. 57, paragrafo 7, della direttiva 2014/24/UE. In particolare, tale ultima norma ha previsto, in termini generali, che il periodo di esclusione per i motivi di cui al paragrafo 4 (all'interno del quale rientrano sia la causa di esclusione per gravi illeciti professionali lett. c), sia quella delle "false dichiarazioni … richieste per verificare l'assenza di motivi di esclusione" lett. h) non può essere superiore a "tre anni dalla data del fatto in questione". Sul presupposto che tale disposizione della direttiva abbia efficacia diretta nel nostro ordinamento, dunque, il TAR conferma che il limite temporale triennale decorre dalla data del fatto, con la conseguente irrilevanza della questione oggetto della censura, attesa la sua risalenza nel tempo.

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