Sulla preclusione processuale in materia di misure cautelari reali. Sussistono limiti funzionali all'istanza di revoca?

15 Novembre 2018

Nonostante una pronunzia delle Sezioni unite, persiste in giurisprudenza un contrasto sui possibili effetti preclusivi alla proposizione della revoca in caso di mancata tempestiva richiesta di riesame.
1.

Nonostante una pronunzia delle Sezioni unite (sentenza n. 29952/2004, in proc. Romagnoli), persiste in giurisprudenza un contrasto sui possibili effetti preclusivi alla proposizione della revoca in caso di mancata tempestiva richiesta di riesame.

Le Sezioni unite della Corte di cassazione, con sentenza n. 29952/2004 (in proc. Romagnoli), avevano composto l'acceso contrasto giurisprudenziale sviluppatosi in ordine ai rapporti intercorrenti sul piano funzionale tra i rimedi della revoca e del riesame nell'ambito delle misure cautelari reali.

Nel dettaglio, a seguito di una sintesi ragionata degli orientamenti contrapposti, il Supremo Consesso aveva concluso affermando il principio di diritto secondo il quale «La mancata tempestiva proposizione, da parte dell'interessato, della richiesta di riesame avverso il provvedimento applicativo di una misura cautelare reale non ne preclude la revoca per la mancanza delle condizioni di applicabilità, anche in assenza di fatti sopravvenuti». Per contro, «in sede di istanza di revoca, non possono essere riproposti motivi che sono già stati dedotti in sede di riesame e, in assenza di un mutamento del quadro processuale di riferimento, è inammissibile la riproposizione di istanze formulate sui medesimi motivi rigettati con decisione definitiva».

Le motivazioni poste a sostegno di tali conclusioni sono da individuarsi in una serie di argomentazioni sia di ordine sistematico che testuale:

  • anzitutto, la marcata differenza ontologica e funzionale sussistente tra la revoca e il riesame: a quest'ultimo rimedio, infatti, è attribuita la funzione di consentire al giudice dell'impugnazione (entro termini perentori previsti a pena di decadenza) una verifica dell'atto nei suoi aspetti sia formali che contenutistici, riferiti alla genesi della misura; alla revoca, invece, al di fuori di spazi temporali (non essendo un mezzo di impugnazione), è attribuito il riscontro dei soli profili sostanziali della situazione in essere e la funzione di adeguare la situazione cautelare in seguito sia alla verifica di eventuali carenze di valutazione circa la sussistenza originaria di presupposti sia all'oggettivo accadimento di fatti storici dopo l'emissione del provvedimento di cautela. Ne deriva l'esclusione, in difetto di previsioni normative espresse, di fenomeni di preclusione idonei a rendere inammissibile l'un rimedio in base al percorso scelto per l'altro;
  • invero, deve riconoscersi che già con riferimento al c.d. giudicato cautelare relativo alle misure cautelari personali, le Sezioni unite (con la nota sentenza dell'8 luglio 1994, n. 11, Buffa) avevano affermato che la revoca della misura cautelare personale non incontra alcuna preclusione – quanto all'accertamento della carenza originaria degli indizi o delle esigenze cautelari – nella mancata impugnazione dell'ordinanza cautelare, poiché la revoca rappresenta un potere esercitabile senza limitazioni di sorta nel corso delle indagini preliminari e del processo, mentre una preclusione può formarsi solo a seguito di pronunzie emesse all'esito del procedimento incidentale di impugnazione (in sede di riesame o di appello) avverso le ordinanze applicative delle misure cautelari personali e riguarda, ad ogni modo, le questioni trattate, in forma sia esplicita che implicita, ma non anche le questioni deducibili;
  • non può trascurarsi, infatti, che la elaborazione giurisprudenziale e dottrinale della nozione e dei limiti del cd. giudicato cautelare nasce – in assenza di previsione normativa – dall'esigenza di impedire una indefinita riproposizione di istanze sulle misure cautelari, fondate sui medesimi presupposti di richieste già vagliante e respinte. Sicché, avendo particolare riguardo alla specificità della materia cautelare, sarebbe opportuno utilizzare il più limitato concetto della “preclusione processuale”, che rende inammissibile la reiterazione di provvedimenti aventi il medesimo oggetto. L'effetto preclusivo viene, quindi, ad essere determinato solo dall'esistenza di un provvedimento decisorio non più impugnabile, esauriti cioè i vari mezzi di impugnazione, e non anche nell'ipotesi di mancata attivazione degli strumenti processuali di controllo;
  • d'altra parte, operando un'interpretazione parallela fra misure personali e reali (cfr. Cass. pen., 28 settembre 1999, n. 4042, Cieri), si è osservato che lo strumento della revoca delle misure cautelari, in quanto diretto ad una valutazione della sussistenza ex ante e della persistenza ex post delle condizioni di applicabilità, non giustifica alcun limite alla verifica della attualità delle stesse (tanto è vero che sia l'art. 299, comma 1, che l'art. 321, comma 3, c.p.p. impongono l'immediata estinzione delle misure quando le condizioni risultino mancanti anche per fatti sopravvenuti);
  • assume specifica rilevanza, allora, proprio la formulazione testuale dell'art. 321, comma 3, c.p.p.: ché se il Legislatore avesse inteso restringere la revoca ai soli elementi di fatto sopravvenuti certamente non avrebbe adoperato la locuzione “anche” nel testo della disposizione in esame;

Successivamente alla sentenza in commento, in parallelo a numerose pronunzie di segno conforme (cfr., ex pl., Cass. pen. Sez. V, 20 ottobre 2016, n. 3838, Gambini; Cass. pen., Sez. III, 7 aprile 2015, n. 32707, Mandrillo; Cass. pen., Sez. I, 5 febbraio 2014, n. 19504, Costantino), intervenivano diverse decisioni della Corte di cassazione che, aggirando formalmente il tema dei rapporti tra la revoca e il riesame e senza confrontarsi con le articolate argomentazioni sviluppate dalle Sezioni unite, disattendevano di fatto il principio di diritto enunciato con la sentenza n. 29952/2004 (cfr. Cass. pen., Sez. V, 22 aprile 2015, n. 31725, Capelli; Cass. pen., Sez. VI, 26 ottobre 2011, n. 5016, Grillo; Cass. pen., Sez. III, 8 marzo 207, n. 17364, Iannotta).

Tali pronunzie, in effetti, confermavano tutte l'inammissibilità dell'appello cautelare ritenendo che le doglianze difensive contestavano la sussistenza dei presupposti che avevano legittimato l'adozione della originaria misura cautelare reale non già sulla base di “elementi nuovi”, bensì in ragione di elementi già esistenti (che, quindi, in quanto tali avrebbero dovuto formare oggetto di ricorso per riesame). «In tema di appello proposto contro un sequestro preventivo», si legge infatti, «il riscontro del “fumus delicti” è materia riservata alla fase del riesame, mentre in sede di appello ai sensi dell'art. 322-bis c.p.p. possono essere solo dedotte questioni diverse da quelle relative alla legittimità dell'imposizione del vincolo, attinenti alla persistenza delle ragioni giustificanti il mantenimento della misura. Ne consegue che la proposizione per la prima volta in sede di appello di soli motivi attinenti alla carenza, nel momento genetico della misura, delle condizioni di cui all'art. 321 c.p.p., si traduce nell'inammissibilità del gravame» (su tutte, v. Cass. pen., Sez. V, n. 31725 del 22/04/2015, cit.).

Stante, dunque, il consolidarsi di un ‘nuovo' contrasto giurisprudenziale sul punto, la questione è stata rimessa alla Sezioni unite.

2.

All'udienza del 13 marzo 2018 la terza Sezione penale, con ordinanza n. 11935/2018, ha rimesso alle Sezioni Unite la seguente questione giuridica controversa:

se la mancata tempestiva proposizione, da parte dell'interessato, della richiesta di riesame avverso il provvedimento applicativo di una misura cautelare reale, legittimi il tribunale del riesame a dichiarare inammissibile il successivo appello cautelare non fondato su elementi nuovi ma su argomenti tendenti a dimostrare, sulla base di elementi già esistenti, la mancanza delle condizioni di applicabilità della misura.

3.

Il Primo Presidente della Corte Suprema di cassazione ha assegnato alle Sezioni unite la risoluzione del contrasto giurisprudenziale evidenziato nell'ordinanza della terza Sezione, fissando per la trattazione l'udienza del 31 maggio 2018, da celebrarsi con le forme della camera di consiglio ai sensi dell'art. 127 c.p.p.

4.

All'udienza del 31 maggio 2018, le Sezioni unite della Cassazione penale – chiamate a pronunciarsi sulla questione controversa «se la mancata proposizione della richiesta di reisame avverso il provvedimento applicativo di una misura cautelare reale preclude la proposizione dell'appello fondato non su elementi nuovi ma su argomenti tendenti a dimostrare sulla base di elementi già esisetnti, la mancanza delle condizioni di applicabilità della misura» – hanno adottato soluzione negativa.

5.

Con sentenza n. 46201 depositata in data 11 ottobre 2018, le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno risolto il contrasto giurisprudenziale nuovamente consolidatosi in materia di misure cautelari reali circa la configurabilità di possibili effetti preclusivi in caso di mancata richiesta di riesame.

Nel rispondere negativamente a tale quesito, confermando – quindi – il principio già sancito da precedenti pronunce a Sezioni unite (sentenza n. 29952/2004, in proc. Romagnoli, nonché sentenza n. 11/1994, Buffa, in tema di misure cautelari personali), la sentenza in commento, dopo aver ribadito la differenza tra i rimedi del riesame e della revoca, si distingue per l'incisività con cui evidenzia la differenza tra il riesame e l'appello, in una cornice argomentativa particolarmente attenta alla natura dei diritti coinvolti nella vicenda cautelare.

La pronuncia ha tratto origine dal procedimento promosso a carico di due amministratori della società Edil Noemi Group per i delitti di cui agli articoli 4 e 10-ter e 10-quater, comma 2, del d.lgs. 74/2000, nell'ambito del quale il Giudice dell'udienza preliminare del tribunale di Latina, in data 1 marzo 2017, accoglieva la richiesta di sequestro preventivo dell'importo costituente il profitto conseguito dai predetti illeciti, pari al valore di euro 3.133.738,94.

L'esecuzione del vincolo reale veniva disposta su somme di denaro, beni immobili o mobili riconducibili alla società Edil Noemi S.R.L. e alla società Edil Noemi Group S.R.L.

Pertanto, con atto del 30 maggio 2017, quest'ultima società presentava al giudice dell'udienza preliminare istanza di revoca del provvedimento di sequestro, rivendicando la propria estraneità al procedimento penale, che – invero – riguardava gli amministratori della Edil Noemi S.R.L.; compagine dalla cui scissione era sorta la società istante, mediante assegnazione alla medesima del ramo di azienda inerente alla costruzione di edifici per conto terzi, movimento terra e trasporto di rifiuti non pericolosi.

Ciò a riprova del fatto che l'operazione di scissione aveva condotto alla creazione di un nuovo soggetto giuridico, del tutto estraneo alle violazioni in contestazione. Tanto più che, ai sensi dell'art. 173, commi 12 e 13, del d.P.R. 917/1986 (Testo unico delle imposte sui redditi), stante le suindicate premesse, non potrebbe configurarsi alcun vincolo di solidarietà in relazione al reato tributario a carico della nuova società per le pregresse violazioni finanziarie addebitabili alla società originaria.

Il Giudice dell'udienza preliminare respingeva l'istanza di revoca sul presupposto della mancata prospettazione di elementi di novità rispetto alla data di imposizione della misura cautelare, tali da poter indurre ad una diversa valutazione in merito alle esigenze cautelari.

A seguito dell'appello – ex art. 322-bis c.p.p. – avanzato dalla società istante, il tribunale di Latina valutava inammissibile l'impugnazione sul presupposto che, nel giudizio di appello avverso un provvedimento di sequestro, debbano necessariamente dedursi circostanze nuove e, quindi, non attinenti la legittimità del vincolo, le quali deduzioni sarebbero riservate al rimedio del riesame che, nella specie, non era stato attivato. Sicché, secondo i giudici di appello, siffatta mancata proposizione del riesame avrebbe determinato una preclusione processuale in ordine alla proposizione di censure attinenti gli elementi legittimanti il provvedimento, per effetto dell'inutile decorso del termine per impugnare.

Avverso tale decisione veniva ritualmente proposto ricorso per cassazione, deducendo violazione di legge, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b) c.p.p. in relazione agli articoli 125, comma 3, 321, comma 3, e 33-bis c.p.p., contestando in particolar modo la legittimità della valutazione di inammissibilità dell'appello, in virtù del pronunciamento delle Sezioni unite con sentenza n. 29952/2004, Romagnoli, cit.

La terza Sezione, investita del ricorso e preso atto dell'esistenza di decisioni di segno opposto emesse dalle Sezioni semplici, rimetteva il procedimento penale in oggetto (nuovamente) alla cognizione delle Sezioni Unite, ai sensi del disposto dell'art. 618 c.p.p..

Il massimo Consesso, con sentenza n. 46201/2018, ha risolto il contrasto giurisprudenziale ribadendo il principio di diritto secondo cui la mancata tempestiva richiesta di riesame avverso il provvedimento applicativo di una misura cautelare reale non preclude la possibilità di proporre una istanza di revoca fondata sulla mancanza di condizioni di applicabilità della misura, pure in assenza di fatti nuovi.

Tale soluzione interpretativa è derivata, in primo luogo, dalla disamina dei principi di diritto affermati dai pregressi pronunciamenti delle Sezioni unite sul punto sia in materia di misure cautelari reali (sentenza Romagnoli) che personali (sentenza Buffa), nonchè dall'analisi testuale delle rispettive disposizioni normative.

Gli articoli 321, comma 3, e 299, comma 1, c.p.p., difatti, con previsioni simmetricamente e testualmente riprodotte per entrambe le tipologie di provvedimenti, consentono alle parti di sollecitare al giudice che ha emesso il provvedimento cautelare una diversa valutazione, anche per fatti sopravvenuti.

Confermato, quindi, il parallelismo tra revoca della misura cautelare personale e della misura cautelare reale, le Sezioni unite danno dato atto dell'esistenza di pronunce di segno contrario, le quali però – come attentamente rilevato nella sentenza in commento –, non solo hanno richiamato un approdo interpretativo antecedente alla sentenza Romagnoli (sentenza n. 29234 dell'11 giugno 2003), ma hanno omesso per di più di contrastare le argomentazioni di quest'ultima pronuncia, limitandosi ad escludere l'ammissibilità dell'appello avverso il provvedimento di rigetto dell'istanza di revoca, emesso sul presupposto della delimitazione dell'oggetto del gravame alla persistenza delle condizioni legittimanti il vincolo.

È in virtù di tali basi ricostruttive che il massimo Consesso ha ritenuto di escludere l'inammissibilità dell'appello cautelare nelle ipotesi in cui l'istanza di revoca risulti fondata su elementi di fatto sopravvenuti, astrattamente proponibili, ma non proposti, in sede di riesame, ovvero su fatti che, pur già storicamente avveratisi al momento dell'emissione del provvedimento cautelare, per qualsiasi motivo non furono compiutamente e correttamente esaminai in quel momento.

L'opposto orientamento, fondato sul ‘timore' della possibile elusione dei termini perentori previsti per l'impugnazione della misura ovvero, comunque, dell'assorbimento del riesame nella revoca, non coglie nel segno in virtù della differenza ontologica sussistente tra i due istituti:

  • il rimedio del riesame, infatti, esplica la funzione di consentire al giudice dell'impugnazione, entro termini perentori stabiliti a pena di decadenza, una verifica dell'atto nei suoi aspetti sostanziali e formali, riferiti alla genesi della misura;
  • quello della revoca, invece, attribuisce al giudice il riscontro, senza limiti temporali, dei "soli" profili sostanziali della misura in essere, consentendo di adeguare la situazione cautelare sia in virtù di eventuali carenze valutative in merito alla sussistenza originaria dei presupposti, sia in ragione dell'oggettivo accadimento di fatti storici successivi all'emissione del vincolo.

Ne deriva che l'unica preclusione conseguente alla mancata proposizione del riesame attiene alla verifica dei soli requisiti formali del provvedimento impositivo della misura, ai sensi dell'art. 99 disp. att. c.p.p.

Parimenti, secondo l'iter argomentativo delle Sezioni unite, deve evidenziarsi la profonda differenza strutturale esistente tra il riesame e l'appello.

La prima impugnazione, infatti, è attivabile in termini molto ristretti dinanzi ad un giudice diverso da quello che ha emesso la misura, anche al solo fine di sollecitare la verifica del percorso valutativo del primo Giudice monocratico e anche senza esporre specifiche censure. Viceversa, l'appello, anche in materia di misure cautelari è ispirato (e limitato) dall'operatività del principio devolutivo, ai sensi dell'art. 597, comma 1, c.p.p., sicché il giudice dell'impugnazione deve rigorosamente muoversi nel rispetto delle deduzioni già sottoposte alla cognizione del Giudice di prima istanza investito dell'istanza di revoca.

Ora, premesse siffatte differenze ontologiche, meritano rilievo i successivi chiarimenti sistematici offerti dalle Sezioni Unite, secondo cui:

  • nell'ambito della vicenda cautelare - caratterizzata per la natura a sorpresa del provvedimento impositivo e per la previsione di termini estremamente ristretti per la formulazione del riesame -, risulta conforme all'esigenza di garantire effettività alla difesa del diritto di proprietà e di iniziativa economica la possibilità di sollecitare al giudice che ha emesso la misura (attraverso modi e tempi che consentono il più ampio dispiegarsi del confronto dialettico) una rivisitazione dei presupposti giustificativi della stessa e, successivamente, l'analisi di tale decisione al giudice di appello;
  • diversamente dal rimedio del riesame, tra i cui epiloghi è specificamente indicata l'inammissibilità, la possibilità di una simile pronuncia non risulta tratteggiata tra gli esiti dell'appello, ai sensi dell'art. 322-bis c.p.p., per cui deve necessariamente inquadrarsi nell'ambito della previsione di cui all'art. 591 c.p.p. Proprio ragionando sulla formulazione di tale disposto, deve escludersi che la mancata proposizione del riesame, quale procedimento di rivalutazione del vincolo, possa essere equiparato ad una rinuncia espressa all'impugnazione di cui all'art. 591, comma 1, lett. e), c.p.p., «attesa la natura sopravvenuta ed esplicita, quindi né antecedente né tacita, del negozio abdicativo»;
  • peraltro, a voler interpretare la mancata tempestiva attivazione del riesame come rinuncia all'impugnazione, occorrerebbe riconoscere la perfetta sovrapponibilità dei rimedi, già strutturalmente esclusa;
  • l'unica vera conseguenza della mancata proposizione del riesame, dunque, è da individuarsi nella rinuncia ad attivare il controllo di ufficio del giudice preposto (avendo costui il potere di annullare il provvedimento anche per motivi diversi) o alla sollecitazione del controllo formale sull'ordinanza, previsto in materia di misure cautelari reali dal disposto dell'art. 324, comma 7, c.p.p., in virtù del richiamo all'art. 309, comma 9, c.p.p.;
  • d'altro canto, a una disamina attenta del codice di rito risulta evidente che, al di là del termine per la proposizione del riesame, l'unico effetto normativamente connesso all'esito della procedura incidentale (o all'inutile decorrenza del termine per azionarla) è quello relativo alla proposizione della richiesta di giudizio immediato, ex art. 453, comma 1-ter , c.p.p.

Da tutto quanto sopra premesso deriva che il decorso del termine preclude solo la proposizione del riesame ma non concretizza altri effetti giuridici in tema di misure cautelari. «Del resto, incidendo tali provvedimenti su diritti di rango costituzionale, quali la libertà personale e la proprietà privata, non possono tollerarsi compressioni del loro pieno esercizio, se non nei casi tassativamente previsti dalla legge».

Trattasi di conclusioni pienamente coerenti con il concetto di preclusione in tema di misure cautelari: l'analisi testuale e la ricostruzione sistematica dell'articolato codicistico inducono a concludere che nella materia cautelare la preclusione processuale ha una portata ben più modesta rispetto a quella determinata dalla cosa giudicata coprendo ‘solo' le questioni dedotte nei procedimenti di impugnazione e non anche quelle deducibili.

Ancora una volta, dunque, nel ragionamento giuridico condotto dalle Sezioni unite rileva la specificità della vicenda cautelare, nella quale vi è la compressione di diritti fondamenti in virtù di particolari necessità di prevenzione.

Sul presupposto dell'urgenza di attuazione di tali finalità preventive, il sistema consente di prescindere da un accertamento pieno ed in contraddittorio degli elementi che giustificano tali misure. Pertanto, in piena coerenza ed in linea con la tutela dei valori di rango costituzionale coinvolti, deve riconoscersi libera scelta in ordine alle modalità dell'esercizio del diritto della parte di fornire una lettura alternativa dei fatti sollecitando il medesimo giudice che ha emesso la misura ad assumere una diversa determinazione, anziché attivando un controllo di un Giudice terzo in termini estremamente ristretti e tassativi.

«A seguito dell'esercizio di tale opzione resta intangibile il diritto di appello, la cui azionabilità generale, rispetto alle ordinanze in materia di sequestro preventivo è riconosciuto, senza alcuna preclusione, dall'art. 322-bis, comma 1, c.p.p.»

In conclusione, alla luce di tali principi di diritto, le Sezioni unite hanno annullato l'ordinanza impugnata con rinvio al tribunale di Latina per un nuovo giudizio sull'appello proposto, ritenendo erroneo la dichiarazione di inammissibilità del gravame avverso il rigetto dell'istanza di revoca del sequestro emanata nel caso di specie.

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