La responsabilità del venditore nell’ipotesi di bene compravenduto difforme dai titoli urbanistici

31 Ottobre 2023

Il tema affrontato riguarda l’ambito operativo della responsabilità del venditore di cui all'art. 1489 c.c. e del conseguente diritto del compratore ad ottenere la riduzione del prezzo (o la risoluzione del contratto) nel caso in cui il bene immobile - nella specie un fabbricato - sia gravato da oneri, specificamente consistenti in difformità della costruzione realizzata rispetti ai titoli edilizi non menzionate nel contratto, prive del requisito dell’apparenza e comunque non conosciute dal compratore al momento della stipula.

Massima

«Nell'ipotesi di compravendita di costruzione realizzata in difformità dal titolo concessorio, non è ravvisabile un vizio della cosa, non vertendosi in tema di anomalie strutturali del bene, ma trova applicazione l'art. 1489 c.c., in materia di oneri e diritti altrui gravanti sulla cosa medesima, sempre che detta difformità non sia stata dichiarata nel contratto o, comunque, non sia conosciuta dal compratore al tempo dell'acquisto».  

Il caso

I Sig.ri S. L. e F. F., dopo aver premesso di aver acquistato da F. E. ed F. A. un fabbricato e un terreno, al prezzo di lire 218.000.000, adivano il Tribunale convenendo in giudizio i venditori affinché venissero condannati, ai sensi dell'art. 1489 c.c., al pagamento della somma necessaria per sanare le irregolarità urbanistiche dei quali il fabbricato era gravato, sottaciute dai venditori al momento della vendita e scoperte dagli acquirenti solo successivamente alla conclusione dello stesso.  

In via subordinata, chiedevano la riduzione del prezzo di vendita con conseguente condanna all'eccedenza, oltre al risarcimento del danno consistente nella minore commerciabilità del bene e nel suo deprezzamento. 

Costituiti in giudizio, F. E. ed F. A. instavano per il rigetto della domanda, proponendo, in via riconvenzionale, domanda di accertamento della sproporzione del prezzo di vendita dell'immobile dedotto in causa rispetto ai valori di mercato, con conseguente condanna degli attori al pagamento della differenza.  

Il Tribunale respingeva sia la domanda principale, sostenendo l'inapplicabilità della tutela prevista dall'art. 1489 c.c. al caso di specie, che quella riconvenzionale.   

Proposto gravame dai compratori S. L. e F. F., la Corte di appello, in riforma della pronuncia impugnata, riteneva sussistenti le condizioni per l'operatività della garanzia prevista dall'art. 1489 c.c., accogliendo la domanda proposta in primo grado, così riconoscendo in capo agli acquirenti il diritto ad ottenere la riduzione del prezzo corrisposto, condannando gli appellati F. E. ed F. A., in solido, al pagamento, in favore degli acquirenti, della somma quantificata e rivalutata all'attualità, oltre interessi legali decorrenti dalla sentenza.  

Con la reiezione dell'appello incidentale proposto dagli appellati, soccombenti sulla domanda riconvenzionale - motivato dell'inesistenza di un indebito arricchimento degli acquirenti in ragione dell'assenza di elementi incidenti sulla libera determinazione del prezzo - le spese venivano regolate secondo il principio della soccombenza.  

Avverso la sentenza di appello, F. E. ed F. A., originari convenuti in primo grado, proponevano ricorso per cassazione, il quale veniva respinto in ordine alle censure sull'applicazione della garanzia invocata dagli attori, benché accolto esclusivamente in ordine alla quantificazione del prezzo da ridurre, sul punto cassando con rinvio la sentenza di secondo grado.  

Le questioni

In disparte la questione, di non particolare rilievo, attinente all'unico motivo di ricorso accolto - concernente la mera quantificazione, demandata al giudice del rinvio, della somma liquidata ai compratori in accoglimento della domanda di riduzione del prezzo -, la pronuncia in esame ha affrontato la problematica attinente all'operatività delle azioni previste dall'art. 1489 c.c. nella disciplina tipica del contratto di vendita a tutela dell'acquirente.  

L'interrogativo posto ai giudici di legittimità ha riguardato la corretta qualificazione giuridica dell'allegato “inadempimento” dei venditori nella descritta ipotesi e, dunque, se lo stesso debba essere correttamente inquadrato nei vizi della cosa venduta o, diversamente, nella differente ipotesi contemplata dall'art. 1489 c.c. - condivisa dalla corte distrettuale -, anche al fine di individuare il corretto rimedio ed il relativo regime giuridico.  

In particolare, nell'analizzare il tema sottoposto, la Corte ha dovuto affrontare la questione concernente l'applicabilità o meno della garanzia in esame attribuita al compratore nelle ipotesi in cui il bene compravenduto sia un immobile (nello specifico un fabbricato) munito di titolo edilizio ma caratterizzato da irregolarità urbanistiche, non apparenti e non dichiarate dal proprietario al momento della vendita e che ne diminuiscano il libero godimento, cogliendo l'occasione per tratteggiare i presupposti applicativi di tale rimedio, distinguendolo dalla garanzia prevista in caso di vizi della cosa venduta (art. 1490 e s. c.c.).  

Le soluzioni giuridiche

Con la sentenza in commento, la Suprema Corte, confermando l'assunto sostenuto dalla Corte di appello, ha respinto il ricorso in relazione ai motivi proposti dai venditori con i quali veniva sostenuta l'inoperatività, nella fattispecie concreta, della garanzia prevista dalla disposizione normativa in parola.  

Per i ricorrenti, infatti, l'azione volta ad ottenere la riduzione del prezzo di acquisto ai sensi dell'art. 1489 c.c. non avrebbe potuto essere accolta in ragione della conoscibilità, da parte degli acquirenti, degli abusi edilizi al momento della vendita, facilmente riconoscibili e desumibili anche dalle planimetrie e mediante l'utilizzo dell'ordinaria diligenza.  

Secondo il percorso argomentativo seguito dalla pronuncia qui segnalata, gli abusi edilizi riscontrati sull'immobile alienato - sottaciuti al momento del rogito dai venditori, che avevano dichiarato la regolarità urbanistica-edilizia del fabbricato -, non erano caratterizzati dal requisito dell'apparenza e non erano facilmente riconoscibili dagli acquirenti, nemmeno dalla documentazione edilizia allegata.  

In particolare, la Corte ha evidenziato come nel corso del giudizio di merito non fosse emerso l'altro requisito negativo richiesto dalla norma in esame, il quale prevede, per l'esclusione della garanzia, che il compratore abbia avuto l'effettiva e diretta certezza dell'esistenza di tali oneri o diritti sul bene comprato.  

Ciò ha condotto la Cassazione a confermare sul punto la statuizione impugnata e, dunque, a riconoscere la sussistenza dei presupposti per ritenere fondata l'azione di riduzione del prezzo, allo stesso tempo escludendo l'applicabilità della garanzia dei vizi della cosa venduta, non vertendosi in tema di anomalie strutturali del bene.  

Va, infine, segnalato che il medesimo percorso logico seguito dalla sentenza che si commenta è stato posto a fondamento della reiezione anche del terzo motivo di ricorso, nel quale i venditori hanno ribadito l'inapplicabilità dell'art. 1489 c.c. in ragione del fatto che il riscontrato onere non avrebbe comunque limitato il libero godimento del bene venduto; circostanza che, secondo la Corte, non sarebbe comunque idonea ad escludere l'applicabilità dell'azione di riduzione intentata, trattandosi di pesi non apparenti e comunque non dichiarati dai venditori al momento della stipula del contratto (principio già espresso in Cass. 6 marzo 2012 n. 3464).  

Osservazioni

La pronuncia in commento si pone in piena continuità con un indirizzo già seguito dalla Suprema Corte (Cass. 28 febbraio 2007 n. 4786, Cass. 28 novembre 2014 n. 25357), concernente principalmente l'ambito applicativo del rimedio previsto dall'art. 1489 c.c. nelle ipotesi in cui il bene ceduto sia gravato da difformità urbanistico-edilizie che ne diminuiscano il libero godimento e sottaciute dal venditore.  

La Cassazione, infatti, ha colto l'occasione di focalizzare il regime giuridico di tale strumento - che attribuisce al compratore, alternativamente, il diritto alla risoluzione del contratto o alla riduzione del prezzo - ed il suo ambito applicativo, riconosciuto all'acquirente in presenza di una particolare ipotesi di inesatto adempimento, consistente, specificamente, nel caso in cui la cosa venduta risulti gravata da oneri o da diritti reali o personali non dichiarati nel contratto, non apparenti e sconosciuti al compratore, idonei a diminuire il libero godimento del bene.  

Tratteggiando gli elementi richiesti dalla norma, si evidenzia la congiunta sussistenza di tre requisiti «negativi»:

  1. la mancata dichiarazione nel contratto dell'esistenza dell'onere da parte del venditore;
  2. la mancata conoscenza aliunde da parte del compratore;
  3. la non apparenza dei detti diritti ed oneri.  

Al riguardo, attenta dottrina - specie in seguito alla pronuncia a Sezioni Unite della Cassazione (Cass. SU 22 marzo 2019 n. 8230) circa la dichiarazione dell'alienante degli estremi del titolo urbanistico e, dunque, l'individuazione delle ipotesi di nullità del contratto di vendita immobiliare - ha sottolineato che la mancata corrispondenza dei dati dichiarati dal venditore rispetto a quelli reali si sposta da un piano di validità del contratto (sanzionato con la nullità in ragione di un vizio genetico) ad un piano patologico del negozio, che resta comunque efficace ma colpito, tuttavia, da una forma di inadempimento, tutelabile con la garanzia in esame.  

Dovendosi escludere, dunque, un'ipotesi di nullità per violazione della normativa urbanistica, i tre elementi «negativi» citati sono posti sinteticamente a sostegno del percorso logico della sentenza in esame, ove si specifica che le difformità di un fabbricato ai titoli edilizi - difformità che, si ribadisce, non rende l'atto di trasferimento invalido qualora gli estremi del titolo menzionati nell'atto siano reali e non mendaci - non possono rientrare nell'operatività della garanzia per vizi della vendita (la cui disciplina è specificamente dettata dall'art. 1490 c.c. e s., di cui assume rilievo la sussistenza del termine decadenziale indicato dall'art. 1495 c.c., non previsto dall'art. 1489 c.c.), trattandosi, invece, di un'ipotesi di responsabilità derivante dall'esistenza di «pesi» gravanti sul bene medesimo, che qualificherebbero, comunque, la prestazione giuridicamente inesatta.  

Tra l'altro, la distinzione tra i due rimedi - di importanza pratica non trascurabile anche in ragione della mancanza di un termine per l'esperimento dell'azione, come osservato da attenti autori- non è sempre stata pacifica in dottrina, specie in ragione del richiamo alla garanzia per evizione nel secondo comma dell'art. 1489 c.c., essendo controverso se l'ipotesi in commento rientri, appunto, nella garanzia per evizione o vada piuttosto accostata alla garanzia per i vizi.  

A tal proposito, autorevole dottrina ha argutamente sostenuto che, mentre il vizio di cui all'art. 1490 c.c. costituisce «un'imperfezione materiale della cosa che incide sulla sua utilizzabilità o sul suo valore», l'«onere» cui fa cenno l'art. 1489 c.c. corrisponde invece ad un concetto molto più ampio e generico tale da poter ricomprendere al suo interno «tutti quei vincoli che derivano o possono derivare da limitazioni di natura privatistica o pubblicistica al godimento del bene».  

La sentenza in analisi, in linea con l'orientamento dottrinario prevalente, ha aderito all'indirizzo giurisprudenziale costante nella stessa citato (da ultimo, in tal senso, anche Cass. 23 novembre 2017 n. 27916), il quale - pur precisando che in tema di vendita immobiliare la comune falsa rappresentazione della realtà circa la potenzialità edificatoria di un terreno può integrare l'ipotesi normativa dell'errore di fatto su una qualità dell'oggetto - ha evidenziato che nel caso in cui sia stata garantita in un contratto la destinazione edificatoria del suolo, la fattispecie può essere ricondotta nell'ambito della garanzia prevista dall'art. 1489 c.c. in materia di cosa gravata da oneri non apparenti, non potendosi applicare alla fattispecie gli artt. 1490 e 1492 c.c., relativi ai vizi redibitori, che attengono esclusivamente alla materialità del bene venduto.  

Escludendo condivisibilmente la natura di «vizio» della cosa e, dunque, l'applicazione del regime delle azioni c.d. edilizie, la pronuncia in commento ha il pregio di aver messo in risalto, in particolare, due dei tre elementi negativi richiesti dall'art. 1489 c.c., strettamente interconnessi fra loro, ovvero la conoscenza dell'onere in capo al compratore al momento della conclusione del contratto di compravendita e la natura (non) apparente dello stesso.  

Quanto al primo elemento, il giudice di legittimità ha ritenuto che ai fini dell'esclusione della responsabilità da inadempimento del venditore e, conseguentemente, dell'inoperatività della garanzia in esame, è necessario che il compratore - anche in assenza di dichiarazione del venditore effettuata nel contratto - abbia avuto «l'effettiva e diretta certezza» dell'esistenza delle difformità del bene ai titoli edilizi; conoscenza che, pertanto, potrebbe essere acquisita aliunde.  

Per le medesime ragioni, la Corte distingue il secondo requisito della «non apparenza» dell'onere (concetto ugualmente utilizzato dal legislatore in tema di usucapibilità delle servitù prediali) dalla sua «facile riconoscibilità» (requisito, quest'ultimo, invero richiesto nella garanzia per vizi della cosa dall'art. 1491 c.c.), evidenziando che l'azione in esame trova applicazione solo ove emerga che il compratore abbia avuto effettiva conoscenza del peso di cui il bene è gravato.  

Sul punto, si osserva, infatti, che il concetto di «facile riconoscibilità» risulta difficilmente compatibile con le intenzioni del legislatore previste nello strumento indicato dall'art. 1489 c.c., trattandosi di rimedio fornito al compratore a tutela di oneri o diritti «non visibili», benché già insistenti sul bene al momento della conclusione del contratto, la cui generale natura immateriale esigerebbe uno sforzo di diligenza qualificata che - in assenza di specifici obblighi legali - risulterebbe eccessivo ed non praticabile per l'acquirente.  

Da ciò conseguono specifici effetti, anche di ordine processuale; infatti, trattandosi di fatti costitutivi del diritto alla garanzia, benché «negativi», il compratore - per veder accertare la responsabilità del venditore in presenza di tali difformità non dichiarate - dovrà limitarsi a dimostrare la loro preesistenza al contratto (nel quale non sono stati indicati), gravando, conseguentemente, in capo al venditore, l'onere di dimostrare l'effettiva consapevolezza del peso o del diritto in capo all'acquirente o la sua natura apparente.  

Requisito, quello dell'apparenza, che è stato escluso nel caso esaminato dalla Cassazione, non essendo emersa la difformità dai titoli nemmeno dalla valutazione della documentazione tecnica prodotta, precisando che, ai fini dell'esclusione dell'operatività della garanzia prevista dall'art. 1489 c.c., non è sufficiente che l'onere o il diritto di godimento (reale o personale) sia facilmente conoscibile al compratore, essendo necessario, invece, che tali vincoli - comunque non dichiarati dal venditore nel contratto - siano «apparenti» e, quindi, che il compratore ne abbia avuto con certezza l'effettiva e diretta percezione.  

A tal proposito, da ultimo, e con riferimento ai presupposti esaminati dalla sentenza in commento, appare pertinente il richiamo ad altro precedente della Corte di Cassazione (Cass. 4 gennaio 2018 n. 57) il quale, aderendo a tale orientamento, ha escluso, a contrario, la responsabilità del venditore ai sensi dell'art. 1489 c.c. sia nel caso di effettiva conoscenza del peso gravante sulla cosa da parte del compratore - pur non dichiarata nel contratto dal venditore - sia nel caso in cui si tratti di oneri e diritti apparenti, dovendosi escludere l'operatività del principio dell'affidamento giacché, in siffatte ipotesi, il compratore, avendo la possibilità di esaminare la cosa prima dell'acquisto, ove abbia ignorato ciò che poteva ben conoscere in quanto esteriormente visibile, deve subire le conseguenze della propria negligenza, secondo il criterio di autoresponsabilità.

In definitiva, la Suprema Corte, tratteggiando i confini dell'azione in esame, fruibile dal compratore in presenza dei citati requisiti, ha escluso l'applicazione della disciplina dei vizi della cosa venduta nell'ipotesi di compravendita di costruzione realizzata in difformità dal titolo concessorio, non vertendosi in tema di anomalie strutturali del bene, trovando, invece, applicazione la tutela prevista dall'art. 1489 c.c., a condizione che detta difformità non sia stata dichiarata nel contratto o, comunque, non sia conosciuta dal compratore al tempo dell'acquisto.  

Guida all'approfondimento

  • Codice dei Contratti Commentato, Anno 2020, pag. 1034  
  • Rivista del Notariato, fasc. 5, 1° ottobre 2019, pag. 935 di Giuseppe Trapani  
  • Rivista del Notariato, fasc. 4, 2014, pag. 809 in “Qualità del bene immobile e validità del contratto” di Antonio Marrese (v. nota 24 e 25 con riferimento a Bianca, La vendita e la permuta, 2a ed., Torino, 1993, 885 e Gabrielli, Evizione, garanzia e la teoria dei vizi del diritto, in Giur. it., 1985, I, 1513);   
  • Giurisprudenza Italiana, Anno 2007, Fasc. 10 Pag. 2176  
  • Greco-Cottino, Della vendita, Art. 1479-1547 c.c, in Commentario del cod. civ. a cura di Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1981, 220 s.  
  • Rubino, La compravendita, in Trattato di diritto civile e commerciale Cicu-Messineo, Milano, 1971, 697 s.   
  • Cass. SU 22 marzo 2019 n. 8230  
  • Cass. 4 gennaio 2018 n. 57  
  • Cass. 23 novembre 2017 n. 27916
  • Cass. 28 novembre 2014 n. 25357
  • Cass. 6 marzo 2012 n. 3464
  • Cass. 28 febbraio 2007 n. 4786  

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