Codice di Procedura Civile art. 473 bis 40 - Ambito di applicazione 1

Francesco Bartolini

Ambito di applicazione1

[I]. Le disposizioni previste dalla presente sezione si applicano nei procedimenti in cui siano allegati abusi familiari o condotte di violenza domestica o di genere poste in essere da una parte nei confronti dell'altra o dei figli minori.

[1] Articolo inserito dall'art. 3, comma 33,  del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (ai sensi dell'art. 52 d.lgs. n. 149 /2022 , il presente decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale). Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 380, lett. a), l. 29 dicembre 2022, n.197,  che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.".

Inquadramento

L'art. 473-bis.40 detta una norma di mera apertura alle disposizioni concernenti il procedimento speciale in materia di violenza domestica e di genere.  Le dette disposizioni furono volute dal legislatore delegante della riforma di cui al d.lgs. 149/2022 in considerazione della constatata allarmante diffusione della violenza di genere e domestica che imponeva di reperire strumenti legali di contrasto. Nella normativa già esistevano misure aventi una finalità analoga: gli artt. 342-bis e seguenti (inseriti nel codice civile dalla l. 154/2001) disciplinavano infatti gli ordini giudiziali di protezione contro gli abusi familiari. Ma si avvertì l’esigenza di ampliare il ventaglio delle misure adottabili per superare l’ambito rivelatosi angusto di tali ordini. Essi erano, e sono, vincolati a precisi presupposti di fatto, quali l’essere autori della condotta il coniuge o un convivente, il verificarsi di un grave pregiudizio, il danno all’integrità fisica o psichica o alla libertà e la limitatezza di contenuto dei provvedimenti (in definitiva, il solo allontanamento dell’autore del fatto). Il nuovo riferimento alla violenza e agli abusi, senza ulteriore specificazione, interveniva ad aggiungere una modalità operativa più estesa e adattabile, suscettibile di rivolgersi a fattispecie non riconducibili a schemi prefissati ma ugualmente da combattere; e da combattere con mezzi adattabili al caso concreto e non precisabile in anticipo, affidati anche ad una semplice intimazione di cessazione della condotta irregolare.Nella realizzazione dell’intento in disposizioni di diritto positivo la norma dettata dall’art. 473-bis.40 non si pone in termini di premessa rispetto alle disposizioni che la seguono. Essa è formulata in modo da far intendere che il suo ambito di applicazione è quello di un procedimento pendente nel corso del quale vengono allegati episodi di abuso familiare o di violenza domestica o di genere; condotte di cui è autore una delle parti del procedimento nei confronti dell’altra. Una situazione, pertanto, ben delimitata  nel suo spazio oggettivo e soggettivo di accadimento. In questo senso è la rappresentazione fattane nella relazione ministeriale che accompagnava il progetto poi divenuto d.lgs 149/2022. Se ne riporta un breve brano per conferma.

La finalità perseguita dal legislatore delegante e attuata con il provvedimento delegato, si legge, era quella di contrastare i fenomeni di vittimizzazione secondaria. “…L’ordinamento e in particolare i giudici civili e minorili, devono essere in grado di intercettare la richiesta di aiuto della vittima non appena la stessa si manifesti, per scongiurare il rischio che la mancata attenzione alla violenza e all’abuso, o peggio la sua sottovalutazione o negazione da parte delle istituzioni, possa indurre la vittima a ricadere nel ciclo della violenza al quale aveva cercato di sottrarsi. I giudizi in materia di famiglia e di minori sono infatti il luogo privilegiato per l’emersione della violenza domestica e le norme in esame hanno il fine di permettere al giudice di riconoscere e intercettare la violenza, compiendo già dalle prime battute del giudizio accertamenti preliminari sulla sussistenza dei fatti di violenza e di abuso. Le norme in esame prevedono, pertanto, che in presenza di allegazioni di violenza o di abuso, il procedimento venga trattato secondo una disciplina processuale connotata da specialità con il fine di verificare, già dalle prime fasi processuali, la fondatezza o meno delle allegazioni affinchè l’adozione dei provvedimenti, anche provvisori, non avvenga con formule stereotipate ma solo dopo avere accertato, anche solo a livello di fumus, se l’allegazione di violenza o di abuso sia fondata….. qualora emerga, anche a livello di fumus, che condotte violente sono state poste in essere, il giudice dovrà adottare provvedimenti idonei a tutelare la vittima, dando piena applicazione all’art. 31 della Convenzione di Istanbul nel quale è previsto che il giudice tenga conto degli episodi di violenza “al momento di determinare i diritti di custodia e di visita dei figli”.

La descrizione che emerge dalla relazione si attaglia perfettamente al disposto dell’art. 473-bis.40 che, in effetti, fa riferimento ad emergenze risultanti in un procedimento tra parti. Tuttavia, l’immediatamente successivo art. 473-bis.41 accolla alle “parti” l’onere di proporre un ricorso e di corredarlo  con una  ampia documentazione, costituita da copia degli accertamenti svolti per l’assunzione di sommarie informazioni e di prove testimoniali nonchè di copie dei provvedimenti emessi dall’autorità giudiziaria o dalla pubblica autorità. L’art. 473-bis.44 affida al giudice una attività istruttoria comprensiva dell’ascolto del minore; e l’art. 473-bis.46 indica il momento processuale di pronuncia dei provvedimenti all’esaurimento della fase istruttoria, anche sommaria, e solo se è ravvisata (vale a dire, se risulta provata) la fondatezza delle allegazioni. Nessuna disposizione affida al giudice poteri autoritativi di pronuncia di provvedimenti di propria iniziativa o in base ad un semplice fumus. Il procedimento è costruito come avente natura contenziosa, implicante l’attivazione del soggetto avente interesse e regolato dal principio dispositivo, sia pure con rilevanti poteri di accertamento attribuiti al giudice procedente. Esiste dunque un evidente difetto di collegamento tra il cennato art. 473-bis.40 e le norme che lo seguono nell’esposizione codicistica. I poteri del giudice restano regolati dall’art. 473-bis.2 c.p.c.; e resta il ruolo del pubblico ministero che è parte nei procedimenti aventi a oggetto la disciplina della responsabilità civile dei genitori in presenza di condotte pregiudizievoli ai minori ed è interveniente necessario nei giudici di separazione, divorzio, affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio e nei procedimenti di modifica dei provvedimenti.

La vera importanza da riconoscere all’art. 473-bis.40 risiede nell’indicazione dell’applicazione del procedimento ai casi di allegazione di abusi familiari o di violenza domestica.

 

Abusi familiari e violenza domestica o di genere

La genericità del disposto della norma in esame risponde ad una precisa scelta del legislatore delegato. Si è inteso evitare di fornire una indicazione dettagliata di fattispecie, sia pure esemplificativa, che in qualche modo conducesse a non comprendervi casi di possibile applicazione ma non espressamente previsti e che pertanto a causa della mancanza di una siffatta menzione portasse a rendere per i casi non contemplati insussistente o inefficace la tutela giudiziaria. Volutamente pertanto si è scelto un testo concepito in una formulazione ampia e comprensiva.

La relazione illustrativa al decreto legislativo menziona, come esempio chiarificatore della possibile insufficienza di una indicazione tassativa, l'elencazione contenuta nell'art. 64 disp. att. al c.p.c., che disciplina la trasmissione dei provvedimenti emessi dall'autorità giudiziaria penale a quella civile, riferita a precise e tassative ipotesi: delitti previsti dall'art. 575 c.p. nella forma tentata; delitti, consumati o tentati, previsti dagli artt. 572,609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies, 612-bis e 612-ter c.p.; delitti previsti dagli artt. 582 e 583-quinquies c.p.  nelle ipotesi aggravate ai sensi degli artt. 576, primo comma, nn. 2, 5, 5.1 e 577, primo comma, n. 1, e secondo comma c.p. A questa elencazione sfuggono innanzitutto le percosse (sanzionate dall'art. 581 c.p.) e inoltre fattispecie già oggetto di convenzioni internazionali quali tutte le forme di violenza economica, che si realizza quando il coniuge ovvero il genitore, pur avendo disponibilità di mezzi, si sottare agli obblighi di assistenza o di mantenimento (sanzionate penalmente dall'art. 570 c.c. e dall'allora art. 12-sexies l. n. 898/1970, trasportato nell'attuale art. 570.bis c.p.). L'ampia nozione indicata con l'intervento di riforma permette una applicazione estesa della normativa relativa alla violenza domestica, comprensiva in particolare di tutte le fattispecie di violenza fisica, economica e psicologica.   

L'ambito di applicazione della normativa intenzionalmente lasciato in termini generici permette di ritenere sussistenti fattispecie rilevanti emerse in ogni procedimento in cui sono allegate violenze o abusi, a prescindere dalla riconduzione di queste vicende a precise figure di reato ed anche in ipotesi di non perseguibilità dei colpevoli : come avviene nei casi di mancanza di condizioni di procedibilità  (quali la proposizione della querela nei termini di legge) o di intervenuta estinzione dell'illecito (ad esempio per prescrizione). Anche le condotte violente non perseguibili penalmente possono essere considerate secondo gli standard civilistici quando abbiano comunque inciso nelle relazioni tra le parti e debbano essere conosciute per i loro effetti contrastanti con principi di interesse pubblico se non addirittura con valori tutelati dalla Costituzione. Elementi  di necessario accertamento possono essere desunti dalle difese svolte dalle parti nel corso di procedimenti instaurati a tutt'altro fine, come avviene nei casi di domanda di addebito della separazione  o quando il contrasto tra le parti riguardino  i rapporti con minori e il loro affidamento.

Qualche precisazione sul contenuto precettivo dell'art. 473-bis.40 può trarsi dal confronto con la fattispecie prevista dagli artt. 473-bis.69 e segg., già disciplinata dagli artt. 342-bis c.c. e 736 c.p.c., riguardante gli ordini di protezione contro gli abusi familiari. Gli ordini di protezione pronunciati dal giudice si riferiscono ai casi in cui la condotta del coniuge o di altro convivente è causa di grave pregiudizio all'integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell'altro coniuge o del convivente. Le misure in tema di violenza domestica o di genere prescindono da questi precisi requisiti soggettivi ed oggettivi  ed hanno per presupposto unicamente fatti definibili quali abusi in ambito familiare e quali violenza, quest'ultima caratterizzata dall'esplicarsi in ambiente domestico o dall'essere motivata da conflitto di genere. Rispetto agli ordini di protezione il contrasto agli abusi e alla violenza si pone come un contenitore più ambio al quale fare riferimento quando non sussistono gli elementi specificanti di cui all'art. 473-bis.69. Ma, se si è voluto aggiungere al preesistente un nuovo procedimento di contrasto, si è poi dovuto concludere che per forza si doveva confluire in un risultato pratico di ambito più esteso ma poi sostanzialmente analogo nel tipo di strumenti apprestati. Infatti, gli stessi provvedimenti apprestati dall'art. 473-bis.70 per gli ordini protettivi sono disponibili anche nel caso di repressione degli abusi e della violenza. Senza tacer del fatto che gli abusi, cui si rivolgono l'uno e l'altro procedimento, non possono che essere gli stessi – in ambito familiare – differenziati soltanto per l'esser gli uni compiuti dal coniuge o da un convivente e dal causare all'altro gravi pregiudizi all'integrità e alla libertà. e

La coincidenza delle finalità da attuarsi con la pronuncia del giudice consente di affermare che le condotte irregolari denunciabili autonomamente o rilevabili da procedimenti in corso come fattispecie di violenza domestica possano essere le stesse che fondano il ricorso per ottenere gli ordini di protezione; essendo, semplicemente, più ampio il ventaglio delle fattispecie riconducibili ai presupposti che consentono l'intervento contro la violenza domestica o di genere che, infatti, non è descritta come necessariamente corrispondente a particolari caratteristiche specifiche di atteggiamento. Il particolare che va segnalato riguarda il fatto che la disciplina del contrasto alla violenza domestica e di genere vede come soggetti da tutelare espressamente nominati anche i figli minori, non compresi nel novero dei soggetti menzionati a proposito degli ordini di protezione.

L'ambito delle circostanze fattuali rilevanti in tema di abusi o di violenza domestica è quello dei comportamenti tenuti nella cerchia familiare, sia che essi consistano in condotte inosservanti degli obblighi tra genitori, parenti ed affini e sia che si risolvano in atti di violenza, fisica o morale, all'interno delle mura domestiche o attività motivate dalla differenza di genere.  E' significativo in proposito il fatto che il nuovo art. 473-bis.40 si riferisca a soggetti indicati come “parti” ed eviti di porre indicazioni che inducano a considerare tassative le elencazioni dei soggetti tra i quali accertare la sussistenza dei presupposti fondanti il ricorso al giudice.

La “corsia preferenziale”

La dottrina accenna apertamente alla avvenuta predisposizione di una “corsia preferenziale” che in definitiva la legislazione è venuta a costituire nell'ambito stesso delle controversie disciplinate dal nuovo rito in materia di stato delle persone, di minorenni e di famiglia. L'espressione è ripresa dalla relazione illustrativa ministeriale, che la giustifica nel modo seguente. “In attuazione del principio di delega contenuto nella lett. b), del comma 23 , l. n. 201/2021, sarà sufficiente che anche solo in uno degli atti introduttivi (nel ricorso, sia quando proposto dalla parte, sia quando proposto dal pubblico ministero, ovvero nella comparsa di costituzione) siano presenti allegazioni di violenza di genere o domestica, o di abuso, per garantire una trattazione più rapida del procedimento, con attenzione anche nelle fasi preliminari del giudizio a compiere un rapido accertamento sulla fondatezza dell'allegazione. La scelta di applicare le disposizioni in esame in presenza di mere allegazioni di violenza o di abuso, intese come mera affermazione della parte di essere stata vittima di episodi di violenza domestica, di genere o di abuso, ovvero la mera allegazione che tali condotte siano state poste in essere in danno del figlio minore delle parti, ha la sua ragion d'essere sulla necessità di intercettare al suo primo manifestarsi la volontà della possibile vittima di violenza di superare quello che è noto come il ciclo della violenza. È infatti noto che le vittime di violenza hanno difficoltà a denunciare e a uscire dalla situazione di violenza, a causa delle promesse di chi agisce violenza, tese a relegare  l'agito violento ad un episodio momentaneo, non destinato a replicarsi, situazione che induce la vittima a non manifestare all'esterno la situazione di violenza vissuta tra le mura domestiche. Per questo, l'ordinamento, e in particolare i giudici civili e minorili, devono essere in grado di intercettare la richiesta di aiuto della vittima, non appena la stessa si manifesti, per scongiurare il rischio, che la mancata attenzione alla violenza e all'abuso, o peggio la sua sottovalutazione o negazione da parte delle istituzioni, possano indurre la vittima a ricadere nel ciclo della violenza, al quale aveva cercato di sottrarsi. I giudizi in materia di famiglia e di minori sono infatti il luogo privilegiato per l'emersione della violenza domestica, e le norme in esame hanno il fine di permettere al giudice di riconoscere ed intercettare la violenza, compiendo già dalle prime battute del giudizio accertamenti preliminare sulla sussistenza dei fatti di violenza o di abuso. Le norme in esame prevedono, pertanto, che in presenza di allegazioni di violenza o di abuso, il procedimento venga trattato secondo una disciplina processuale connotata da specialità con il fine di verificare, già dalle prime fasi processuali, la fondatezza o meno delle allegazioni, affinché l'adozione dei provvedimenti, anche provvisori, non avvenga con formule stereotipate, ma solo dopo aver accertato, anche solo a livello di fumus, se l'allegazione di violenza sia fondata o meno. Per conseguire tale risultato è stato previsto un ampio coordinamento tra le diverse autorità giudiziarie civili, penali e minorili, dinanzi alle quali possono essere pendenti procedimenti relativi alle stesse parti. Fondamentale è il ruolo del pubblico ministero, che è parte nei procedimenti aventi ad oggetto la disciplina della responsabilità genitoriale in presenza di condotte pregiudizievoli dei genitori, ed è interveniente necessario nei giudizi di separazione, divorzio, affidamento dei figli nati fuori del matrimonio e nei procedimenti di modifica che in ragione del ruolo può veicolare all'interno dei giudizi civili e minorili le risultanze degli accertamenti compiuti nell'ambito dei procedimenti penali. Le norme in esame prevedono, pertanto, che sia la stessa parte, sia quando ricorrente, sia quando convenuta, ad indicare negli atti introduttivi l'eventuale pendenza di procedimenti relativi alle condotte violente o di abuso, con onere di allegare oltre ai documenti che riterrà rilevanti tutte le risultanze degli altri procedimenti qualora pendenti (per esempio i verbali delle sommarie informazioni), ma è parimenti previsto che sia il giudice d'ufficio ad acquisire tali documenti, ovvero ad assumere, anche d'ufficio, ogni mezzo di prova (con piena garanzia del contraddittorio) per accertare la fondatezza o meno delle allegazioni. Le disposizioni in esame che onerano le parti e dispongono che il pubblico ministero e il giudice, comunichino con le altre autorità procedenti, e partecipino attivamente alla verifica della fondatezza delle allegazioni di violenza o di abuso ha il fine di garantire che l'adozione dei provvedimenti, già nelle fasi preliminare del giudizio, non avvenga se non prima di aver compiuto il necessario accertamento per verificare la fondatezza o meno delle allegazioni, poiché qualora emerga, anche a livello di fumus, che condotte violente sono state poste in essere il giudice dovrà adottare provvedimenti idonei a tutelare la vittima, dando piena applicazione all'art. 31 della Convenzione di Istanbul nel quale è previsto che il giudice tenga conto degli episodi di violenza “al momento di determinare i diritti di custodia e di visita dei figli”.

I precedenti

Da tempo il gran numero di episodi di violenza domestica e di genere che veniva registrato in crescendo aveva reso palese la necessità di misure anche legislative finalizzate a permettere il contrasto di vicende contrarie alla disciplina delle relazioni familiari e alla tutela delle nuove generazioni. La mancata attenzione a queste forme inaccettabili di condotta aveva condotto ad evidenziare il possibile formarsi di una vittimizzazione secondaria, ravvisata quando le stesse autorità chiamate a reprimere il fenomeno delle violenze, non riconoscendone casi di sussistenza o sottovalutandoli, non adottano nei confronti della vittima tutte le necessarie protezioni necessarie a tutelarle da possibili condizionamenti e da reiterazioni della violenza. In questo senso si espresse anche la relazione sulla vittimizzazione secondaria approvata il 20 aprile 2022 dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, del Senato della Repubblica (Doc. XXII-bis n. 10). Ancor prima erano stati mossi specifici rilievi alle istituzioni italiane. Va ricordato il rapporto GREVIO (Group of expert on action against violence against women and domestic violence, redatto nel 2019. Questo rapporto era stato compilato da un gruppo di esperti che si era prefisso il compito di verificare l'applicazione da parte dell'Italia della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul l' 11 maggio 2011, ratificata e resa esecutiva con l. 27 giugno 2013, n. 77.

Già questa convenzione designava quale violenza domestica tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all'interno della famiglia o del nucleo familiare, tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l'autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima. La stessa convenzione onerava le parti contraenti, tra l'altro, ad adottare le misure legislative a  o diverse necessarie a garantire che la violenza domestica esercitata contro le donne possa essere riconosciuta come una forma di discriminazione; a prevenire, indagare e punire i responsabili e risarcire le vittime; ed a garantire che siano presi in considerazione i diritti e i bisogni dei bambini testimoni di ogni forma di violenza.

L'esigenza di verificare l'effettiva osservanza degli accordi internazionali ha condotto il Senato della Repubblica a costituire una commissione parlamentare denominata “Commissione di inchiesta sul femminicidio  nonché su ogni forma di violenza di genere”. Istituita con deliberazione 16 ottobre 2018, essa ha compiuto una ricerca quantitativa e qualitativa su un fenomeno divenuto vistoso per ripetuti attacchi mortali a carico di donne, poi pubblicata in una Relazione ufficiale. Ne emerse un quadro allarmante che ha costituito il presupposto emergenziale cui con la riforma delle procedure in tema di controversie familiari si è inteso provvedere.

Interventi episodici si erano concretati nell'introduzione del reato di stalking e delle norme nella prassi note come “codice rosso” (l. n. 69/2019).

Già con la l. 4 aprile 2001, n. 154, peraltro era stato introdotto un regime di tutela contro la violenza nelle relazioni familiari al quale soltanto in parte si è sovrapposta la normativa introdotta con la riforma di cui al d.lgs. n. 149/2022. In ambito penalistico erano stati inseriti nel codice di procedura gli artt. 282-bis e 291-bis; nel settore civilistico erano stati aggiunti gli artt. 342-bis e 342-ter c.c. oltre all'art. 736-bis c.p.c. La legge aveva stabilito, in questo doppio binario di intervento, le seguenti innovazioni: sul piano penale, la pronuncia ad opera del giudice, e nei confronti dell'imputato, della misura cautelare dell'allontanamento dalla casa familiare nonché di misure patrimoniali provvisorie, con l'allontanamento d'urgenza dalla casa familiare; nell'ambito civile, la pronuncia, ad opera del giudice civile, di ordini di protezione contro gli abusi familiari nei precisi casi menzionati nell'art. 736-bis c.p.c. Quali misure di completamento il provvedimento aveva disposto la trattazione dei procedimenti aventi a oggetto gli ordini di protezione anche nel periodo feriale dei magistrati; e apprestato una sanzione penale per il caso di elusione dell'ordine di protezione previsto nell'art. 342-ter c.c. ovvero per l'elusione di una analogo provvedimento assunto nel giudizio di separazione personale dei coniugi o di divorzio.

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