Decreto legislativo - 30/06/2003 - n. 196 art. 52 - (Dati identificativi degli interessati)(Dati identificativi degli interessati)
1. Fermo restando quanto previsto dalle disposizioni concernenti la redazione e il contenuto di sentenze e di altri provvedimenti giurisdizionali dell'autorità giudiziaria di ogni ordine e grado, l'interessato può chiedere per motivi legittimi, con richiesta depositata nella cancelleria o segreteria dell'ufficio che procede prima che sia definito il relativo grado di giudizio, che sia apposta a cura della medesima cancelleria o segreteria, sull'originale della sentenza o del provvedimento, un'annotazione volta a precludere, in caso di riproduzione della sentenza o provvedimento in qualsiasi forma, [per finalità di informazione giuridica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica,] l'indicazione delle generalità e di altri dati identificativi del medesimo interessato riportati sulla sentenza o provvedimento1. 2. Sulla richiesta di cui al comma 1 provvede in calce con decreto, senza ulteriori formalità, l'autorità che pronuncia la sentenza o adotta il provvedimento. La medesima autorità può disporre d'ufficio che sia apposta l'annotazione di cui al comma 1, a tutela dei diritti o della dignità degli interessati. 3. Nei casi di cui ai commi 1 e 2, all'atto del deposito della sentenza o provvedimento, la cancelleria o segreteria vi appone e sottoscrive anche con timbro la seguente annotazione, recante l'indicazione degli estremi del presente articolo: 'In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi di.....'. 4. In caso di diffusione anche da parte di terzi di sentenze o di altri provvedimenti recanti l'annotazione di cui al comma 2, o delle relative massime giuridiche, è omessa l'indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi dell'interessato. 5. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 734-bis del codice penale relativamente alle persone offese da atti di violenza sessuale, chiunque diffonde sentenze o altri provvedimenti giurisdizionali dell'autorità giudiziaria di ogni ordine e grado è tenuto ad omettere in ogni caso, anche in mancanza dell'annotazione di cui al comma 2, le generalità, altri dati identificativi o altri dati anche relativi a terzi dai quali può desumersi anche indirettamente l'identità di minori, oppure delle parti nei procedimenti in materia di rapporti di famiglia e di stato delle persone. 6. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano anche in caso di deposito di lodo ai sensi dell'articolo 825 del codice di procedura civile. La parte può formulare agli arbitri la richiesta di cui al comma 1 prima della pronuncia del lodo e gli arbitri appongono sul lodo l'annotazione di cui al comma 3, anche ai sensi del comma 2. Il collegio arbitrale costituito presso la camera arbitrale per i lavori pubblici ai sensi dell'articolo 209 del Codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, provvede in modo analogo in caso di richiesta di una parte 2. 7. Fuori dei casi indicati nel presente articolo è ammessa la diffusione in ogni forma del contenuto anche integrale di sentenze e di altri provvedimenti giurisdizionali. [1] Comma modificato dall'articolo 3, comma 2, lettera c), numero 1), del D.Lgs. 10 agosto 2018, n. 101. [2] Comma modificato dall'articolo 3, comma 2, lettera c), numero 2), del D.Lgs. 10 agosto 2018, n. 101. InquadramentoL'accessibilità dei provvedimenti giudiziari determina anche la conoscenza di passaggi di vita dei soggetti a vario titolo coinvolti nelle vicende litigiose, ponendo la necessità di individuare criteri di bilanciamento tra pubblicità e riservatezza. È questa la ragione dell'introduzione del Capo III della Parte II del Codice privacy, composto di due articoli, il 51, che espone i “Principi generali”, e il 52, che introduce una sommaria disciplina relativa ai “Dati identificativi degli interessati”. È utile notare da subito che la rubrica “informatica giuridica” non fa qui riferimento all'omonima branca del diritto, ma alla riproduzione, informatica, di giurisprudenza. Prima della riforma attuata con d.lgs. 101/2018, il Capo III si prestava a una lettura lineare, essendo palese, dalla formulazione normativa del primo comma dell'art. 52, che la riproduzione dei provvedimenti giudiziari fosse solo quella “per finalità di informazione giuridica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica”, dunque per finalità di documentazione, studio e ricerca nel settore del diritto, non già di trattazione di affari giudiziari. Come per altre porzioni del codice privacy, la novellazione non si è rivelata felice. La citata finalità è stata infatti espunta in toto, “consentendo in tal modo” l'applicazione delle disposizioni in commento “anche ad altre ipotesi di riproduzione di sentenze e documenti” (così si legge nell'“Illustrazione analitica dello schema di decreto”). Sul piano istituzionale, sono tuttora disponibili, ma senza aggiornamento al GDPR, linee guida del Garante risalenti al 2010 (ved. supra “Riferimenti normativi”). Il documento, molto utile all'interprete, va quindi utilizzato con cautela, operando i prudenti adattamenti e le modifiche richieste dal mutato quadro normativo e dagli interventi di modifica, sia pure limitati, sul Capo III. Ratio, rapporti con il GDPR, strutturaLa ratio dell'articolo 52 è quella di individuare i lineamenti essenziali di una procedura di anonimizzazione che risponda a esigenze di bilanciamento tra l'accessibilità dei provvedimenti giurisdizionali e la riservatezza degli interessati, sul duplice rilievo che la conoscenza delle coordinate identificative di costoro non appare di regola strettamente necessaria alla generale e indifferenziata conoscenza del ragionamento in fatto e in diritto sotteso al provvedimento giudiziario e che tale conoscenza, rispetto alla indeterminata platea dei terzi, può rivelarsi ingiustificatamente lesiva della sfera personale. Le disposizioni nazionali appaiono riconducibili, a seconda delle ipotesi che si diranno appresso, sia all'applicazione dell'art. 21 GDPR, diritto di opposizione, sia alla valorizzazione del principio di minimizzazione di cui all'art. 5, par. 1, lett. c) GDPR sia infine all'art. 23, par. 1, lett. i) GDPR, vale a dire a limitazioni introdotte a tutela dell'interessato. Strutturalmente, l'art. 51 fornisce una mera cornice introduttiva, facendo, al primo comma, rinvio alle disposizioni processuali in tema di accesso al fascicolo processuale da parte di “chi vi abbia interesse” (ossia non soltanto degli interessati al trattamento), e rinviando invece alla disciplina dell'art. 52 per quanto riguarda in maniera specifica l'anonimizzazione di provvedimenti giudiziari destinati a diffusione. Tale ultima disposizione definisce, sommariamente, presupposti, soggetti, tempi e modi della rimozione dai provvedimenti giudiziari delle coordinate identificative degli interessati. Come chiarito dal sesto comma, la disciplina trova applicazione anche ai lodi arbitrali di cui dall'art. 825 c.p.c. e al collegio arbitrale costituito presso la camera arbitrale per i lavori pubblici ai sensi dell'art. 209 del Codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. n. 50/2016. Tale ultimo riferimento deve intendersi, a seguito dell'abrogazione del menzionato provvedimento intervenuta con l'art. 226, comma 1 d.lgs. n. 36/2023, a decorrere dal 1° luglio 2023, quale riferimento all'art. 213 e all'Allegato V.1 di tale ultimo atto normativo, in virtù della clausola generale di cui al comma quinto dell'art. 226 cit., che dispone: «Ogni richiamo in disposizioni legislative, regolamentari o amministrative vigenti al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, o al codice dei contratti pubblici vigente alla data di entrata in vigore del codice, si intende riferito alle corrispondenti disposizioni del codice o, in mancanza, ai principi desumibili dal codice stesso». Onere e presupposti per l'anonimizzazioneL'art. 52 ha ad oggetto l'accesso ai dati identificativi degli interessati e la possibilità di ottenerne la trasformazione in dati anonimi, esclusivamente in caso di “diffusione”, come precisato al terzo, al quarto e al quinto comma della disposizione in esame. Per la nozione di “diffusione” si rimanda all'art. 2-ter, comma 4, lett. b). In definitiva, l'anonimizzazione non opera nell'ipotesi di “comunicazione”, vale a dire di accesso a soggetti determinati diversi dall'interessato, dal titolare del trattamento, dal responsabile del trattamento, dagli autorizzati (cfr. art. 2-ter.4.a)). La differenza tra diffusione e comunicazione costituisce cioè il punto di bilanciamento individuato dal legislatore nella tensione tra conoscibilità indiscriminata e riservatezza. Fuori dal perimetro di operatività dell'anonimizzazione, riprende peraltro vigore il diritto a una piena e integrale conoscenza dei provvedimenti giudiziari, come precisato dal comma 7. Va notato che la nozione di “dati identificativi” riceveva una definizione tecnica nel Codice privacy antecedente al d.lgs. n. 101/2018, dove aveva il significato di «dati personali che permettono l'identificazione diretta dell'interessato», cfr. l'abrogato art. 4.1.c) d.lgs. n. 196/2003. Come chiarito dai primi due commi dell'art. 52, l'anonimizzazione degli interessati avviene secondo tre canali: 1. a seguito di istanza di anonimizzazione tempestiva e motivata degli interessati (primo comma, ved. anche infra), cui segue l'annotazione con la formula di cui al terzo comma. Tale ipotesi si inscrive concettualmente nell'applicazione dell'art. 21.1 GDPR; 2. d'ufficio, tramite l'apposizione dell'annotazione di cui al terzo comma. Si tratta di un'applicazione dell'art. 5.1.c) GDPR. La disposizione trova ad esempio facile applicazione rispetto alle persone fisiche, diverse dalle parti, che potrebbero essere a qualsiasi titolo menzionate nelle vicende litigiose e che non si trovano necessariamente in posizione agevole per esercitare istanza di anonimizzazione; 3. ex lege, anche a prescindere dall'annotazione suddetta, per esigenze di protezione di soggetti vulnerabili: persone offese da atti di violenza sessuale (in applicazione dell'art. 734-bis c.p.), minori, parti nei procedimenti in materia di rapporti di famiglia e di stato delle persone, ved. infra. Può considerarsi un'applicazione dell'art. 23.1.i) GDPR. Ai casi sopra menzionati, va aggiunto, per ragioni di sistema, quantomeno l'art. 2-septies, comma 8 d.lgs. n. 196/2003, che impone un divieto generale di diffusione di genetici, biometrici e relativi alla salute. L'accoglimento dell'istanza degli interessati è subordinata a due condizioni: a) sul piano temporale, va formulata per ogni grado di giudizio, prima della definizione dello stesso; b) sul piano contenutistico, deve essere fondata su motivi legittimi (ved. infra), la cui meritevolezza è sinteticamente valutata dall'autorità procedente con decreto. Non si richiede tuttavia espressamente l'enunciazione di tali motivi, che potrebbero anche risultare impliciti nell'oggetto della controversia. Rafforza tale interpretazione il fatto che l'oscuramento dei dati identificativi possa essere disposto anche d'ufficio. Non sono prescritte forme particolari per l'istanza di anonimizzazione, deve perciò ritenersi corretta l'incorporazione della richiesta anche in atti introduttivi o successive memorie, purché alla stessa sia data necessaria visibilità e autonomia. Rispetto al dovere di procedere all'anonimizzazione d'ufficio, il Garante ha rilevato: «Tale responsabilità è fortemente accentuata nei casi in cui vengono in rilievo dati personali dotati di particolare significatività che, se indiscriminatamente diffusi, possono determinare negative conseguenze sui vari aspetti della vita sociale e di relazione dell'interessato (ad esempio, in ambito familiare o lavorativo)» (GPDP, linee guida cit., § 3.3). Come previsto dal comma terzo dell'art. 52 e ribadito dalle citate linee guida del Garante, in caso di accoglimento della richiesta di anonimizzazione o di determinazione d'ufficio in tal senso, la cancelleria dell'ufficio giudiziario non procede al materiale oscuramento dei dati “identificativi”, ma si limita all'inserimento di un'annotazione che specifica che, in caso di riproduzione del provvedimento, non può essere riportata l'indicazione delle generalità e di altri dati identificativi del richiedente. Si tratta dunque di precetto rivolto ai terzi che fanno accesso ai provvedimenti al fine di riprodurli: «[...N]on incombe sulle cancellerie e segreterie l'onere di cancellare materialmente i dati dell'interessato sulle copie dei provvedimenti rilasciate a chi ne abbia diritto e che riportino la menzionata annotazione. [...] Spetta a chi riceve la copia provvedere all'omissione dei dati ove intenda riprodurla e diffonderla per finalità di informazione giuridica» (GDPD, Linee guida cit., § 3.4). Vedasi sul punto infra, § 6. I legittimati alla richiesta di anonimizzazioneQuanto ai soggetti legittimati a proporre l'istanza di anonimizzazione, essi coincidono con tutti coloro ai quali può attribuirsi, ai sensi dell'art. 4.1) GDPR, qualifica di “interessati”. Tanto più sarà incidentale il coinvolgimento degli interessati nella vicenda giudiziaria, tanto più intense saranno le ragioni per riconoscere l'anonimizzazione. Esemplificativamente, le linee guida cit. indicano perciò che «sono quindi legittimati a inoltrare l'istanza non solo le parti di un giudizio civile, o l'imputato in un processo penale, ma anche qualsiasi altro soggetto – quale, ad esempio, un testimone o un consulente – reso identificabile nel provvedimento attraverso l'indicazione delle generalità o di altri dati identificativi» (ivi § 3.1). L'elenco non è esaustivo. Non possono condividersi le sentenze che hanno escluso che i rappresentanti legali o i difensori di persone giuridiche siano in ogni caso esclusi dalla possibilità di fruire della richiesta di anonimizzazione (beninteso, ricorrendo le altre condizioni previste dal legislatore), cfr. Cass. VI-5, ord. n. 4167/2022: «Carenza di legittimazione sussiste per l'istanza proveniente dal difensore della società ricorrente e dal liquidatore di quest'ultima, ove si voglia intendere che egli l'abbia presentata in nome e per conto proprio e non nella qualità di organo della s.r.l.». Ciò sulla base del confronto con il quinto comma: «Poiché il legislatore espressamente individua un'ipotesi nella quale anche i dati di soggetti terzi rispetto al giudizio possano essere oscurati si deve dedurre, a contrariis, che laddove il legislatore non abbia previsto tale eventualità i terzi non siano legittimati a proporre la relativa istanza». In realtà, da un lato i “terzi” menzionati al comma 5 non corrispondono ai soggetti legittimati (che sono i minori e altri vulnerabili), dall'altro la nozione di “interessato”, espressamente prevista al primo comma, trova definizione in una norma dell'Unione, prevalente nella gerarchia delle fonti rispetto a qualsivoglia disposizione nazionale. I motivi legittimiI motivi legittimi non devono necessariamente coincidere con la sussistenza di dati sensibili (ossia particolari) o giudiziari, cfr. commento agli artt. 9 e 10 GDPR, ma qualsiasi situazione che racconti circostanze di vita dell'interessato appare astrattamente idonea. Il Garante ha precisato, ma a mero titolo esemplificativo, che tali legittimi motivi possono essere «la delicatezza della vicenda oggetto del giudizio o la particolare natura dei dati contenuti nel provvedimento (ad esempio, dati sensibili)» (GPDP, linee guida cit., § 3.1). «Il concetto utilizzato dal legislatore, per certo non felice, abbisogna di un'opportuna interpretazione. [...P]er dare un significato compiuto all'espressione che ne occupa – che, ovviamente, non può neppure discendere da un'interpretazione a contrario, non potendosi ammettere l'esito positivo di una richiesta di oscuramento dati per motivi illegittimi – non resta che apprezzarla come sinonimo di ‘motivi opportuni': donde la particolare ampiezza, opportunamente non predeterminata dal legislatore all'interno di schemi rigidi, delle ragioni che possono essere addotte a sostegno della richiesta che qui interessa, fermo restando che l'accoglimento della richiesta medesima interverrà ogniqualvolta l'A.G. ravviserà un equilibrato bilanciamento tra esigenze di riservatezza del singolo e pubblicità della sentenza, la quale ultima costituisce un necessitato corollario del principio costituzionale dell'amministrazione della giustizia in nome del popolo, massimamente in ambito penale in cui, in ragione degli interessi in gioco, l'intera celebrazione del processo – ivi compresa, dunque, la fase dell'istruttoria dibattimentale – si svolge in forma pubblica (salvo motivato provvedimento in deroga da parte del giudice procedente)» (Cass. pen. VI, n. 11959/2017). Diffusione anonimizzata delle decisioniIl provvedimento munito della citata annotazione va osservato da qualsiasi soggetto, inclusi gli enti pubblici e la stessa Autorità giudiziaria ove proceda a diffusione. «La prescrizione è rivolta in primo luogo all'Autorità giudiziaria, alla quale già il secondo comma dell'art. 51, nello stabilire il principio della libera accessibilità a chiunque dei provvedimenti giurisdizionali, anche attraverso il sistema informativo e il sito istituzionale nella rete Internet, impone l'osservanza delle cautele previste dall'art. 52. [...] Va sottolineato che la prescrizione si riferisce espressamente anche alla diffusione delle massime giuridiche estratte dai provvedimenti sull'originale dei quali sia apposta l'annotazione sull'omissione dei dati» (GPDP, linee guida cit., § 3.5). Il divieto di diffusione ex legeOccorre notare che l'ipotesi di anonimizzazione relativa alle categorie di soggetti vulnerabili espressamente indicate dal legislatore al quinto comma dell'art. 52 si applica a un oggetto più ampio rispetto agli altri casi. Non comprende infatti soltanto i dati identificativi diretti, ma dati “dai quali può desumersi anche indirettamente l'identità” dell'interessato protetto, inclusi eventuali dati di terzi che rendano riconoscibili i soggetti protetti. Vanno dunque esclusi, a titolo di esempio, particolari circostanze di luogo o di tempo che permettano, anche a una porzione dei destinatari delle informazioni, di individuare gli interessati, si pensi in proposito all'istituto scolastico frequentato da un minore o al riferimento a piccoli contesti abitativi o all'indicazione di elementi che possono essere facilmente ricondotti dalla cerchia dei conoscenti a soggetti determinati. Vanno altresì esclusi i nomi di parenti, insegnanti, collaboratori, che permettano di individuare indirettamente i soggetti protetti. «L'obbligo opera ‘in ogni caso', cioè, come pure precisa testualmente la norma, ancorché la sentenza o l'altro provvedimento giudiziale oggetto di diffusione non riporti l'annotazione di cui al comma 2 dell'art. 52. Si tratta di un divieto assoluto; neppure il consenso dei soggetti interessati può determinare l'inapplicabilità dell'obbligo in esame» (GPDP, linee guida cit., § 4.1). «La disposizione non riguarda trattamenti che abbiano diverse finalità. Tra gli altri, non si applica, quindi, ai trattamenti effettuati nello svolgimento dell'attività giornalistica (ad esempio, alla cronaca giudiziaria), che rimangono disciplinati dalle pertinenti disposizioni in materia di protezione dei dati personali» (GPDP, linee guida cit., § 4.1). A prescindere dalla finalità di giornalismo, che riceve particolare tutela nel GDPR, vedasi tuttavia per altre eventuali finalità le osservazioni sviluppate in questo commento § 1 supra. relativamente all'eliminazione di riferimenti alla finalità della riproduzione. Rispetto alle parti nei procedimenti in materia di rapporti di famiglia e di stato civile delle persone, le citate linee guida richiamano gli istituti «di cui al Libro I del Codice Civile (quali, ad esempio: matrimonio e sue vicende, filiazione, adozione, ordini di protezione contro gli abusi familiari, azioni di stato, richieste di rettificazione di sesso)» (GPDP, linee guida cit., § 4.1). «Deve essere, in primo luogo, chiarito che il divieto di diffusione delle generalità, degli altri dati identificativi e degli ulteriori dati che consentano di identificare i minori o le parti nei procedimenti in materia di rapporti di famiglia e di stato delle persone non può, ovviamente, trovare applicazione ove la lettura della sentenza o di altro provvedimento non permetta, facendo applicazione dell'ordinaria diligenza, di individuare il coinvolgimento di un minore o delle parti dei menzionati procedimenti» (GPDP, linee guida cit., § 4.2). BibliografiaDi Angela Mendola, Diritto all'oscuramento dei dati personali e interesse alla conoscibilità dei provvedimenti giurisdizionali, Nuova Giur. civ. comm., 1/2022, 34 e ss.; Pietro Perini, Divulgazione delle immagini di persona offesa da atti di violenza sessuale: lo scoop giornalistico non legittima la violazione della riservatezza, in Famiglia e diritto, 8-9/2014, 800-805. |