Interpretazione del contratto

01 Luglio 2024

Nel momento in cui si applicano le regole previste in un contratto, può accadere che alcune di esse risultino formulate in modo poco chiaro e ambiguo e che quindi sorgano dubbi di interpretazione: ad esempio, le parti possono trovarsi in disaccordo su quanto stabilito in merito al luogo di pagamento, perché il contratto parla del solo domicilio del creditore, senza specificare se sia possibile utilizzare anche la residenza.

1. Introduzione

L'interpretazione contrattuale rappresenta un'importante operazione ermeneutica finalizzata all'accertamento del significato giuridico rilevante di un accordo e delle singole clausole inserite dalle parti.

La disciplina dell'interpretazione dell'accordo è inserita all'art. 1362 e s. c.c. , seppur in passato tale regolamentazione veniva percepita come meramente programmatica, ad oggi tali norme vengono percepite come giuridicamente vincolanti e applicabili dalla totalità dei consociati.

L'interpretazione del contratto è una fase direttamente connessa all'art. 1176 c.c., che impone alle parti contrattuali l'utilizzo della buona fede e della diligenza del buon padre di famiglia anche nel corso dell'adempimento delle obbligazioni contrattuali. Tale norma si pone come corollario dell'art. 1175 c.c., ampliando il concetto di buona fede in senso oggettivo anche alla fase esecutiva, ossia a quella successiva alla conclusione del contratto.

Giova precisare che l'interpretazione del contratto rappresenta una materia disponibile per le parti, le quali possono derogare alle norme codiciali e concordare su una determinata interpretazione dell'intero accordo o solo di alcune clausole. Tale accordo può anche essere successivo alla conclusione del contratto e può anche essere concluso innanzi al giudice.

Le norme sull'interpretazione del contratto individuano due macrocategorie:

  • quelle attinenti all'interpretazione soggettiva (artt. 1362-1365 c.c.), c.d. norme interpretative in senso stretto;
  • quelle che riguardano l'interpretazione oggettiva (artt. 1367-1365 c.c.). Queste ultime si pongono in posizione di sussidiarietà rispetto all'interpretazione soggettiva; ove non risulta possibile ricercare il significato voluto dalle parti, la legge predispone dei criteri interpretativi giudicati obiettivamente idonei a fornire un'interpretazione equilibrata e corrispondente al vero. L'orientamento dottrinale prevalente riscontra un vero e proprio rapporto gerarchico tra le categorie summenzionate, ammettendo l'applicazione delle regole oggettive solo quando non sia possibile risalire alla comune intenzione dei soggetti stipulanti.

2. Interpretazione soggettiva (dette anche "norme imperative in senso stretto")

L'interpretazione soggettiva è finalizzata ad individuare la comune interpretazione delle parti contrattuali, ovvero la comune volontà degli stipulanti al momento della conclusione del contratto, valutando il comportamento complessivo delle stesse, anche posteriore alla conclusione del contratto, nonché gli interessi che ciascuna parte ha inteso perseguire con la conclusione del contratto (fra le tante: Cass. 19 luglio 2023 n. 21260, commentata qui su questo portale dal Consigliere di Cassazione Aldo Carrato, Cass. 11 novembre 2022 n. 33369, Cass. 15 settembre 2022 n. 27186, Cass. 20 maggio 2022 n. 16351, Cass. 25 giugno 2020 n. 12664).

2.1 INTERPRETAZIONE LETTERALE

L'art. 1362 c.c. stabilisce che «nell'interpretare il contratto si deve indagare quale sia stata  la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole».

Il punto di partenza che l'interprete deve sempre considerare è il dato letterale dell'accordo, ossia il testo del contratto, attribuendo il significato canonico alle parole e alle proposizioni contenute.

Se tale operazione risulta soddisfacente, l'orientamento tradizionale (Cass. 17 marzo 2020 n. 7393, Cass.4 maggio 2005 n. 9284, Cass.16 agosto 2004 n. 15949, Cass.18 aprile 2002 n. 5635) ritiene conclusa l'operazione ermeneutica, nel rispetto del brocardo latino in claris non fit interpretatio; tuttavia, la dottrina più recente impone un vaglio ulteriore, finalizzato ad ottenere la conferma dell'assenza di elementi che non emergono dal dato testuale ma che possono comportare una modifica della reale volontà dei soggetti contraenti. Soltanto escludendo la presenza di elementi extra testuali si potrebbe, dunque, confermare l'interpretazione; tale esegesi viene derivata dallo stesso art. 1362 c. 1 c.c., che impone all'interprete di non limitarsi al dato testuale e di indagare la reale volontà delle parti.

2.2 INTERPRETAZIONE COMPLESSIVA

Se il senso letterale delle parole non è sufficiente a comprendere la volontà delle parti, il giudice valuta il loro comportamento precedente e successivo alla conclusione del contratto. L'art. 1362 c. 2 c.c. introduce infatti il criterio extra testuale dell'interpretazione complessiva,  suggerendo all'interprete di valutare il comportamento complessivo delle parti, anche posteriore alla conclusione dell'accordo.

Il termine “complessivo” esclude dall'analisi tutte le condotte unilaterali delle parti contrattuali e concentra l'attenzione sui comportamenti comuni anteriori (ad esempio, natura delle trattative che hanno portato alla stipula dell'accordo e precedenti contratti conclusi dalle parti), contestuali e posteriori (ad esempio, il modo d'esecuzione delle parti) alla stipula del contratto; tale tipologia di interpretazione si radica sulla concezione del contratto come un contatto sociale tra soggetti portatori di interessi giuridicamente rilevanti ed esclude la limitazione delle valutazioni al mero testo contrattuale.

2.3 INTERPRETAZIONE SISTEMATICA

Introdotta dall'art. 1363 c.c., l'interpretazione sistematica si riferisce ad un concetto di unitarietà dell'accordo e suggerisce una valutazione globale delle clausole contrattuali, finalizzata a cristallizzare l'essenza dell'accordo e della volontà pattizia. Ciò significa che le clausole si interpretano le une per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell'atto. A tal fine si intende come clausola qualsiasi parte del testo contrattuale autonomamente identificabile e quindi sia le singole proposizioni sia le singole disposizioni sostanziali.

L'articolo successivo (art. 1364 c.c.) intende limitare l'interpretazione delle espressioni generali contenute nel contratto, imponendo all'interprete di contenere l'operazione nei limiti dell'oggetto del contratto. In altre parole, l'interprete, nell'individuare l'oggetto di un contratto non può attribuire alle espressioni generali una portata più ampia di quella che deriva dalle circostanze di fatto che lo hanno caratterizzato, dall'epoca della stipulazione, dalle fasi della contrattazione e della conseguente formazione del consenso.

2.4 INTERPRETAZIONE PRESUNTIVA

L'art. 1365 c.c., infine, sancisce che «quando in un contratto si è espresso un caso al fine di spiegare un patto, non si presumono esclusi i casi non espressi, ai quali, secondo ragione, può estendersi lo stesso patto». Si tratta di una regolamentazione dei casi nei quali le parti hanno inserito nel contratto degli esempi e inserisce il divieto di presunzione di tassatività delle esemplificazioni riconosciute dalle parti, ammettendo la possibilità di estendere la clausola a casi analoghi ma non strettamente coincidenti con quelli riportati nel contratto. Ad esempio è prassi che, nel garantire il bene venduto libero da diritti di terzi, l'alienante specifichi a titolo di esempio alcuni di questi diritti (come ipoteche e servitù): questa specificazione non esclude la garanzia per i diritti non menzionati (ad esempio l'usufrutto).

3. Interpretazione oggettiva

All'interpretazione oggettiva si ricorre quando l'interpretazione soggettiva si rivela inadeguata o non in grado di determinare senza dubbio la comune volontà delle parti (Cass. 18 aprile 2002 n. 5635) o quando il senso del contratto è rimasto oscuro ed ambiguo (Cass. 14 maggio 2004 n. 9212) o quando una espressa volontà contrattuale sul punto controverso è assente (Cass. 25 maggio 2000 n. 6874).

3.1 INTERPRETAZIONE SECONDO BUONA FEDE

Un criterio di interpretazione di fondamentale importanza è quello della valutazione del contratto secondo la buona fede (da intendersi, in tal caso, buona fede in senso oggettivo), cioè con lealtà e correttezza durante lo svolgimento del rapporto contrattuale.

La dottrina non è concorde nella qualificazione di tale criterio, se oggettivo o soggettivo; la prevalente giurisprudenza lo qualifica come oggettivo, tuttavia, la categorizzazione non rappresenta un elemento chiave nell’ottica interpretativa. Le singole clausole e il contratto globale devono dunque essere interpretate secondo i canoni di correttezza, lealtà e buona fede delle parti, focalizzando l’attenzione anche sul reciproco affidamento generalmente riposto dai contraenti nell’esecuzione del contratto.

3.2 INTERPRETAZIONE UTILE E FUNZIONALE 

In virtù del generale principio di conservazione del contratto, l'art. 1367 c.c. richiede di prediligere l'interpretazione – aderente agli altri criteri previsti dal codice – che consente al contratto di manifestare gli effetti previsti dalle parti. Ciò significa che se il senso del contratto o di una sua clausola è rimasto oscuro o ambiguo e le espressioni utilizzate non consentono una chiara interpretazione, nonostante l'utilizzo dei criteri letterale, logico e sistematico di indagine, si deve applicare appunto il c.d. criterio della conservazione degli effetti utili del contratto o di una sua clausola: ciò significa che contratto o singole clausole devono essere interpretati nel senso in cui possono avere qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno.

Tale criterio, sussidiario rispetto a quello principale di cui all'art. 1362 c. 1 c.c., è da intendersi non già nel senso che è sufficiente il conseguimento di qualsiasi effetto utile per una clausola, per legittimarne una qualsivoglia interpretazione, pur contraria alle locuzioni impiegate dai contraenti, ma nel senso che, in situazioni dubbie, tra possibili interpretazioni, deve tenersi conto degli inconvenienti cui può portare una o più di esse, evitando perciò, senza sostituirsi alla volontà delle parti, di adottare una soluzione che renda improduttiva di effetti la clausola stessa (Cass. 28 febbraio 2024 n. 5281).

L'art. 1369 c.c. precisa che, nel caso di espressioni contrattuali con più sensi, dev'essere attribuito all'espressione il senso che meglio può adeguarsi alla natura e all'oggetto dell'accordo, ovvero che sia più coerente con la funzione economico-sociale ricoperta dallo stesso.

3.3 INTERPRETAZIONE D'USO

Ai sensi dell'art. 1368 c.c., le clausole del contratto ambigue devono essere interpretate secondo quanto viene praticato nel luogo di conclusione dell'accordo.

Si parla, in tal senso, di usi interpretativi, ossia di usi negoziali diffusi e applicati dai contraenti in maniera costante e ripetuta nel tempo. Gli usi interpretativi, come tutti i criteri di interpretazione oggettiva, hanno un ruolo sussidiario e devono essere applicati solo ove residuino ancora dei dubbi in merito alla reale volontà delle parti, non individuabile mediante l'applicazione di criteri soggettivi.

3.4 INTERPRETAZIONE A FAVORE DEL CONTRAENTE PIÙ DEBOLE

L'art. 1370 c.c. regolamenta l'interpretazione delle clausole contenute nelle condizioni generali di contratto o in moduli e formulari predisposti univocamente da uno dei contraenti. Tali clausole si interpretano, nel dubbio, nel senso più favorevole all'altro. Si tratta di una disposizione tesa a tutelare il contraente più debole in situazioni di contrattazione di massa, ovvero di contratti generali applicati alla totalità dei rapporti condotti da un soggetto, non suscettibili di essere declinati a seconda della controparte e delle sue volontà.

4. Interpretazione equitativa (residuale)

Qualora non risulti possibile l'interpretazione del contratto alla luce dei criteri di cui sopra, l'art. 1371 c.c. introduce una regola residuale generale, basata sul principio dell'equità.

La legge precisa che l'equità deve tendere:

  • nel contratto a titolo oneroso ad un equo contemperamento degli interessi delle parti, intendendosi per tali quelli esistenti nel momento della stipulazione;
  • nel contratto a titolo gratuito a rendere meno gravoso l'obbligo del debitore.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario