Codice Penale art. 69 - Concorso di circostanze aggravanti e attenuanti 1 2 .

Geppino Rago

Concorso di circostanze aggravanti e attenuanti 12.

[I]. Quando concorrono insieme circostanze aggravanti e circostanze attenuanti [1573], e le prime sono dal giudice ritenute prevalenti, non si tien conto delle diminuzioni di pena stabilite per le circostanze attenuanti, e si fa luogo soltanto agli aumenti di pena stabiliti per le circostanze aggravanti.

[II]. Se le circostanze attenuanti sono ritenute prevalenti sulle circostanze aggravanti, non si tiene conto degli aumenti di pena stabiliti per queste ultime, e si fa luogo soltanto alle diminuzioni di pena stabilite per le circostanze attenuanti [2805].

[III]. Se fra le circostanze aggravanti e quelle attenuanti il giudice ritiene che vi sia equivalenza, si applica la pena che sarebbe inflitta se non concorresse alcuna di dette circostanze [2805].

[IV]. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alle circostanze inerenti alla persona del colpevole, esclusi i casi previsti dall'articolo 99, quarto comma, nonché dagli articoli 111 e 112, primo comma, numero 4), per cui vi è divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle ritenute circostanze aggravanti, ed a qualsiasi altra circostanza per la quale la legge stabilisca una pena di specie diversa o determini la misura della pena in modo indipendente da quella ordinaria del reato34 .

 

[1] In origine l'art. 69 constava di un quinto comma abrogato dall'art. 7 d.l. 11 aprile 1974, n. 99, conv., con modif., nella l. 7 giugno 1974, n. 220 che recitava: «In tal caso, gli aumenti e le diminuzioni di pena si operano a norma dell'art. 63, valutata per ultima la recidiva». Per alcune deroghe alla disciplina prevista dal presente articolo, v., oltre agli artt. 69-bis , 270-bis.1, 280 comma 5, 416-bis.1 e 604-ter ,   art. 2, comma 2, l. 29 maggio 1982, n. 304 e  art. 2, comma 3 l. 18 febbraio 1987, n. 34.

[3]  Il comma è stato sostituito dall'art. 3 l. 5 dicembre 2005, n. 251.

[4] La Corte cost. , con sentenza 15 novembre 2012, n. 251, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente comma nella parte in cui prevede «il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 73, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 sulla recidiva di cui all'art. 99 , quarto comma, c.p.»; con sentenza 14 aprile 2014 n. 105, nella parte in cui prevede «il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 648 , secondo comma, cod. pen., sulla recidiva di cui all'art. 99, quarto comma, cod. pen.»; con sentenza 14 aprile 2014 n. 106, nella parte in cui prevede «il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 609-bis, terzo comma, cod. pen., sulla recidiva di cui all'art. 99, quarto comma, cod. pen.. Successivamente la Corte, con sentenza 7 aprile 2016, n. 74, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente comma nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 73, comma 7, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza) sulla recidiva reiterata prevista dall'art. 99, quarto comma, cod. pen.. Di seguito, la  Corte cost., con sentenza 17 luglio 2017, n. 205, ha dichiarato l' illegittimità costituzionale del presente comma, come sostituito dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251, nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 219, terzo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267  sulla recidiva di cui all'art. 99, quarto comma, cod. pen.; la Corte cost. 7 aprile 2020, n. 73, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 69, quarto comma, del codice penale, nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 89 cod. pen. sulla circostanza aggravante della recidiva di cui all'art. 99, quarto comma, cod. pen.; la Corte cost 31 marzo 2021, n. 55, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente comma, come sostituito dall’art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251, nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 116, secondo comma, cod. pen., sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen.; la Corte cost. 8 luglio 2021, n. 143 (in Gazzetta Ufficiale n. 28 del 14 luglio 2021) ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del codice penale, come sostituito dall’art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251, nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante del fatto di lieve entità – introdotta con sentenza n. 68 del 2012 di questa Corte, in relazione al reato di sequestro di persona a scopo di estorsione, di cui all’art. 630 cod. pen.– sulla circostanza aggravante della recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen.; la Corte cost. 12 maggio 2023, n. 94  dichiara l’illegittimità costituzionale del presente comma, come modificato dall’art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), nella parte in cui, relativamente ai delitti puniti con la pena edittale dell’ergastolo, prevede il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulla recidiva reiterata di cui all’art. 99, quarto comma, c.p.;  Corte cost. 11 luglio 2023, n. 141, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente comma nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 62, numero 4), c.p. sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, c.p. ; la Corte cost. 12 ottobre 2023, n. 188, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente comma nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 648-ter.1, secondo comma, cod. pen. – nella versione introdotta dall’art. 3, comma 3, della legge 15 dicembre 2014, n. 186 (Disposizioni in materia di emersione e rientro di capitali detenuti all’estero nonché per il potenziamento della lotta all’evasione fiscale. Disposizioni in materia di autoriciclaggio), e vigente fino alla sua sostituzione a opera dell’art. 1, comma 1, lettera f), numero 3), del decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 195, recante «Attuazione della direttiva (UE) 2018/1673 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2018, sulla lotta al riciclaggio mediante diritto penale» – sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen.; la Corte cost. 9 novembre 2023, n. 201, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente comma nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 74, comma 7, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen. La Corte cost. 22 aprile 2025, n. 56, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente comma nella parte in cui stabilisce il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 625-bis cod. pen. sulla recidiva reiterata prevista dall’art. 99, quarto comma, cod. pen. Da ultimo, la Corte cost. , con sentenza 21 luglio 2025, n. 117, ha l’illegittimità costituzionale del presente comma, nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante del fatto di lieve entità, introdotta con sentenza n. 86 del 2024 di questa Corte in relazione al delitto di rapina, sulla circostanza aggravante della recidiva reiterata di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen.

In origine il comma, modificato dall'art. 6, d.l. 11 aprile 1974, n. 99, conv. nella l. 7 giugno 1974, n. 220, il cui testo era il seguente: «Le disposizioni precedenti si applicano anche alle circostanze inerenti alla persona del colpevole ed a qualsiasi altra circostanza per la quale la legge stabilisca una pena di specie diversa o determini la misura della pena in modo indipendente da quella ordinaria del reato», era stato dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla Corte cost., con sentenza 28 aprile 1994, n. 168 nella parte in cui prevedeva che «nei confronti del minore imputabile sia applicabile la disposizione del primo comma dello stesso art. 69 in caso di concorso tra la circostanza attenuante di cui all'art. 98 del codice penale e una o più circostanze aggravanti che comportano la pena dell'ergastolo, nonché nella parte in cui prevede che nei confronti del minore stesso siano applicabili le disposizioni del primo e del terzo comma del citato art. 69, in caso di concorso tra la circostanza attenuante di cui all'art. 98 del codice penale e una o più circostanze aggravanti che accedono ad un reato per il quale è prevista la pena base dell'ergastolo». Su tale sentenza v. anche sub artt. 17, 22 e 73.

Inquadramento

L'art. 69 chiude la serie di articoli (art. 63, 64, 65, 67, 68) con i quali il legislatore ha disciplinato le modalità che si devono seguire per determinare la pena nei casi in cui al reato accedano circostanze (aggravanti o attenuanti).

L'art. in commento, a differenza dei precedenti (che disciplinano le regole che sovraintendono al concorso fra circostanze omogenee), regola l'ipotesi del concorso fra circostanze eterogenee ossia l'ipotesi in cui al reato accedano contemporaneamente circostanze attenuanti e circostanze aggravanti.

L'articolo in commento, frutto della stratificazione di modifiche susseguitesi nel tempo e di declaratorie di illegittimità costituzionale, è strutturato in quattro commi i quali dettano le seguenti regole: a) nel caso di concorso fra circostanze eterogenee, il giudice deve procedere al c.d. bilanciamento fra di esse al fine di stabilire se siano prevalenti le circostanze attenuanti o quelle aggravanti, o se fra di esse vi sia equivalenza; b) nel caso di prevalenza, si applica il regime delle sole circostanze (aggravanti o attenuanti) ritenute prevalenti; c) nel caso di equivalenza fra le circostanze (aggravanti o attenuanti), le medesime si elidono a vicenda, nel senso che non si applicano né le une né le altre ed il giudice applicherà la pena che avrebbe inflitto «se non concorresse alcuna delle dette circostanze»; d) le suddette regole, però, nei casi espressamente e tassativamente previsti da apposite disposizioni legislative, possono essere derogate (v. infra).

Nel comma 4 sono previste, infine, due norme: a)

La regola generale secondo la quale il bilanciamento si applica «anche alle circostanze inerenti alla persona del colpevole [...] ed a qualsiasi altra circostanza per la quale la legge stabilisca una pena di specie diversa o determini la misura della pena in modo indipendente da quella ordinaria del reato»; b) l'eccezione, secondo la quale, invece, il bilanciamento non si applica ai «casi previsti dall'articolo 99, quarto comma, nonché dagli articoli 111 e 112, comma 1, numero 4), per cui vi è divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle ritenute circostanze aggravanti»: essendo stato il divieto formulato in modo generale ed assoluto, la giurisprudenza ne ha tratto la conseguenza che riguarda sia le circostanze attenuanti comuni, sia le circostanze attenuanti generiche che le circostanze attenuanti speciali (Cass. IV, n. 27430/2008; Cass. III, n. 45065/2008; Cass. II, n. 47030/2013 ): sulla suddetta normativa, hanno inciso le sentenze della Corte cost. cit. alla precedente nota 3.

La ratio della suddetta normativa va rinvenuta, come si trova scritto nella stessa Relazione Ministeriale al codice, nella necessità — al fine di evitare eccessive rigidità che, in alcuni casi, avrebbero comportato pene troppo elevate in caso di aggravanti, o troppo basse in caso di diminuenti — di lasciare «ampia facoltà discrezionale al giudice, per una sintetica e complessiva valutazione dell'atto e della personalità del colpevole».

«È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, per violazione degli artt. 3, 25 e 27 Cost., dell'art. 69, comma quarto, c.p., nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche rispetto alla recidiva reiterata ex art. 99, comma quarto, c. p., in quanto tale deroga alla ordinaria disciplina del bilanciamento si riferisce ad una circostanza attenuante comune e la sua applicazione, quindi, non determina una manifesta sproporzione del trattamento sanzionatorio, ma si limita a valorizzare, in misura contenuta, la componente soggettiva del reato, qualificata dalla plurima ricaduta del reo in condotte trasgressive di precetti penalmente sanzionati»:Cass. VI, n. 16487/2017.

«È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 69, comma quarto, cod. pen. per violazione degli artt. 3,25 e 27 Cost., nella parte in cui è previsto il divieto di prevalenza delle attenuanti generiche rispetto all'aggravante di cui all'art. 112, comma primo, n. 4 cod. pen. e non anche rispetto all'ipotesi di cui al secondo comma della norma medesima, in quanto, nel primo caso, la deroga alla ordinaria disciplina del bilanciamento risponde all'esigenza di contrastare in termini più afflittivi le condotte di chi abbia coinvolto minori in illeciti penali, mentre, nel secondo caso, la ragione dell'esclusione del divieto di prevalenza risiede nella necessità di restituire flessibilità applicativa al giudice, a fronte del particolare inasprimento sanzionatorio»: Cass. V, n. 15269/2022.

Oggetto del giudizio di bilanciamento

Il giudizio di bilanciamento, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di cognizione, può essere effettuato solo nella fase del giudizio di cognizione non, quindi, nella fase dell'esecuzione (Cass. VI, n. 7/1982; Cass. VI, n. 1806/1983): sul punto, va, peraltro segnalato che, a seguito dell'intricata situazione giuridica creatasi dopo la sentenza della Corte Cost. n. 251/2012 (con la quale è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 69, comma 4, in relazione al divieto di prevalenza dell'attenuante di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990 sulla recidiva di cui all'art. 99, comma 4, c.p.), la Cass. S.U., n. 42858/2014, hanno statuito che al pubblico ministero, in ragione delle sue funzioni istituzionali, per effetto della sentenza della Corte cost. n. 251/2012, cit., spetta il compito di richiedere al giudice dell'esecuzione l'eventuale rideterminazione della pena inflitta anche in applicazione dell'art. 69, comma 4, nel testo dichiarato costituzionalmente illegittimo, pur se il trattamento sanzionatorio sia già in corso di attuazione, e fino a quando questo non sia stato interamente eseguito.

In ordine all'applicabilità del bilanciamento agli effetti dell'applicazione delle misure cautelari personali, infra.

Il giudizio di bilanciamento può avere ad oggetto solo le circostanze in senso tecnico (sia quelle comuni che quelle speciali a norma del quarto comma), in esse dovendosi comprendere — ai sensi del combinato disposto degli artt. 69 comma 4 e 70 comma 2  — anche le diminuenti della minore etàex art. 98 comma 1 c.p. (Cass. I, n. 49673/2019; Cass. I, n. 24497/2010), quella del vizio parziale di mente ex art. 89  (Cass. II, n. 8749/2020; Cass. I, n. 33389/2013; Cass. I, n. 40812/2010) nonché la recidiva (Cass. VI, n. 458/2012; Cass. V, n. 3724/1997; Cass. II, n. 9029/1990) e dev'essere effettuato, in caso di concorso di più persone nel reato, per ogni singolo imputato, in quanto, dovendosi tener conto di tutte le modalità del fatto delittuoso e della personalità del reo, il suddetto giudizio non necessariamente dev'essere uguale per tutti gli imputati (Cass. I, n. 1474/1969).

 Nel giudizio di bilanciamento, invece, in quanto non qualificabili come circostanze ma come semplici aumenti di pena stabiliti per particolari istituti, non possono essere compresi: a) il nesso di continuazione, presentando caratteristiche e finalità del tutto distinte rispetto alle circostanze del reato: Cass. II, n. 45046/2011; b) gli aumenti di pena ex art. 82 comma 2 e 133-bis comma 2  (in dottrina, Romano, Commentario, 711).

Le caratteristiche del giudizio di bilanciamento

La giurisprudenza, nel corso degli anni, ha individuato una serie di criteri ai quali il giudice di merito si deve attenere nel momento in cui effettua il giudizio di bilanciamento.

a) Innanzitutto, il giudizio di bilanciamento è obbligatorio nell' an debeatur, nel senso che, in caso di concorso fra circostanze eterogenee, il giudice non può ad esso sottrarsi dovendo obbligatoriamente stabilire se le suddette circostanze siano o no equivalenti ovvero quali fra di esse siano prevalenti, sia per valutare integralmente il fatto e la personalità del colpevole sia per controllare l'osservanza o no del rispetto del principio di legalità della pena (Cass. III, n. 31618/2019; Cass. IV, n. 4054/1981; in dottrina Romano, Commentario, 710);

b) il giudizio di bilanciamento dev'essere motivato espressamente. In ordine a questo criterio, la giurisprudenza ritiene che «è sufficiente che il giudice consideri gli elementi enunciati nell'art. 133 c.p., essendo sottratta al sindacato di legittimità la motivazione se aderente ad elementi tratti dalle risultanze processuali e logicamente corretti:Cass. II n. 26884/2022; Cass. I, n. 17494/2020; il giudice può porre in risalto anche una sola delle circostanze suscettibili di valutazione di prevalenza o di equivalenza rispetto alle altre circostanze, per dimostrare la ragione del proprio convincimento; infatti, il giudice non è tenuto a specificare analiticamente le singole circostanze e ad indicare le rispettive ragioni che lo hanno indotto a formulare il giudizio di comparazione, rimanendo implicitamente disattesi e superati tutti gli altri, anche in assenza di una specifica confutazione: Cass. II, n. 9387/2000; Cass. IV, n. 30984/2019; Cass. VII, n. 11210/2018, ha chiarito che «per il carattere globale del giudizio, il giudice di merito non è tenuto a specificare le ragioni che hanno indotto a dichiarare la equivalenza piuttosto che la prevalenza, a meno che non vi sia stata una specifica richiesta della parte, con indicazione di circostanze di fatto tali da legittimare la richiesta stessa».

Peraltro, ai fini del bilanciamento, è stato ritenuto «inappagante un criterio che faccia leva sul solo confronto numerico tra circostanze, costituendo piuttosto il numero degli elementi circostanziali il punto da cui partire per dare conto dei motivi e delle ragioni per le quali taluni elementi si stimino prevalenti o subvalenti rispetto ad altri»: Cass. I, n. 11595/2016;

c) il giudizio di bilanciamento dev'essere unitario, nel senso che il medesimo, poiché riguarda tutte le circostanze coinvolte nel procedimento di comparazione, sia quelle comuni che ad effetto speciale, dev'essere effettuato alla stregua di una valutazione complessiva dei suddetti elementi circostanziali in modo tale da giungere alla determinazione del disvalore complessivo dell'azione delittuosa e, quindi, alla quantificare della pena nel modo più aderente al caso concreto: Cass. III, n. 28258/2008; Cass. VI, n. 6/2014; Cass. III, n. 23183/2020.

È controverso se la violazione del suddetto principio determini l’illegalità della pena inflitta a seguito di un giudizio ordinario o applicata a seguito di patteggiamento.

Secondo una prima opzione, è illegale la pena applicata dal giudice che, operando il giudizio di bilanciamento in equivalenza tra le circostanze, compari le attenuanti ed una sola delle aggravanti, in quanto l'art. 69 c.p., comma 3, impone di procedere alla simultanea comparazione di tutte le circostanze ritenute: Cass. V, n. 9818/2021; Cass. II, n. 4798/2021.

Secondo altra, diversa opzione interpretativa, non è illegale la pena applicata dal giudice che, operando il giudizio di bilanciamento tra circostanze, non proceda alla simultanea comparazione di tutte le circostanze attenuanti ed aggravanti, in quanto l'erronea pena così determinata corrisponde comunque, per specie e quantità, a quella astrattamente prevista dalla fattispecie : Cass.VI, n. 28031/2021; Cass. V, n. 19757/2019.

Cass. V, con ordinanza n. 9523/2022, preso atto del contrasto ha rimesso alle S.U. il seguente quesito: «se configuri pena illegale, ai fini del sindacato di legittimità sul patteggiamento, quella fissata sulla base di un'erronea applicazione del giudizio di bilanciamento tra circostanze eterogenee, in violazione del criterio unitario previsto dall'art. 69 c.p., comma 3». 

Le  S.U. n. 877/2023 hanno dato, al suddetto quesito, soluzione negativa, in quanto «la pena determinata a seguito dell'erronea applicazione del giudizio di comparazione assume natura illegale solo ove il risultato finale del procedimento di computo sia inosservante dei limiti edittali generali, nonché dei limiti edittali propri delle singole previsioni di reato, restando irrilevanti i passaggi intermedi».

Va segnalata, sul punto, Cass. I, n. 32774/2022, secondo la quale «Nel caso in cui il giudice di primo grado abbia, in violazione di legge, operato il bilanciamento tra circostanze aggravanti non bilanciabili e circostanze attenuanti, il giudice di appello, cui sia devoluta, solo dalla difesa, la violazione di legge per la mancata diminuzione della pena per le circostanze attenuanti, ad essa deve procedere», non essendo «consentito operare una sorta di compensazione tra un errore in favorem rei, non impugnato, e altro errore, contra reum, oggetto di impugnazione, ma si deve procedere all’eliminazione dell’errore di diritto oggetto di impugnazione».

d) il giudizio è discrezionale nel  quantum: la valutazione che il giudice, nel motivare la sentenza di condanna, deve formulare nel caso di concorso di circostanze aggravanti ed attenuanti rientra nell'ampio concetto del libero convincimento del giudice in cui si sostanzia il giudizio penale e costituisce un potere discrezionale del cui esercizio devono essere chiaramente indicati i punti essenziali e determinanti» (Cass., n. 14463/2003).

Di conseguenza, alla stregua di tale principio, è stato ritenuto:

frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico quella motivazione «che per giustificare la soluzione dell'equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l'adeguatezza della pena irrogata in concreto: Cass. S.U., n. 10713/2010; «il giudice di appello, dopo aver escluso una circostanza aggravante o riconosciuto un'ulteriore circostanza attenuante in accoglimento dei motivi proposti dall'imputato, può, senza incorrere nel divieto di "reformatio in peius", confermare la pena applicata in primo grado, ribadendo il giudizio di equivalenza tra le circostanze, purché questo sia accompagnato da adeguata motivazione»: Cass. S.U., n. 33752/2013 ; Cass. II, n. 980/2022; Cass. II, n. 2867/2022; Cass. I, n. 35741/2021; Cass. IV, n. 29599/2020 ;

«non è ravvisabile il vizio di contraddittorietà della motivazione nel caso in cui il giudice, in sede di giudizio di bilanciamento, pur ritenendo le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle contestate aggravanti, non operi la riduzione di pena nella massima misura possibile in ragione della sussistenza delle aggravanti che continuano a costituire elementi di qualificazione della gravità della condotta»: Cass. VI, n. 48391/2015; Cass. II, n. 37061/2020.

Relativamente al reato continuato - quanto alla rilevanza delle circostanze relative ai reati satelliti – si è precisato che «il giudizio di comparazione fra circostanze trova applicazione con riguardo alle sole aggravanti ed attenuanti che si riferiscono al fatto considerato come violazione più grave, dovendo tenersi conto di quelle relative ai reati "satellite" esclusivamente ai fini dell'aumento di pena ex art. 81»: Cass. I, n. 13369/2018 ; Cass. III, n. 26340/2014; Cass. I, n. 49344/2013 ; Cass. I, n. 47249/2011 .

Effetti del giudizio di bilanciamento

Il giudizio di comparazione produce effetti solo sulla pena, sicché restano immutati gli altri effetti del reato (in terminis Cass. I, n. 1744/1992).

Di conseguenza:

a) In tema di circostanze del reato, la ritenuta prevalenza delle circostanze attenuanti sulle aggravanti all'esito del giudizio di comparazione, influendo solo sulla determinazione della pena e non anche sulla connotazione giuridica della condotta delittuosa, non rende il reato perseguibile a querela di parte, ove questa sia prevista per l'ipotesi non circostanziata (Cass. S.U., n. 3585/2021; Cass. II, n. 22952/2021; Cass. V, n. 44555/2015; Cass. II, n. 24522/2009; Cass. II, n. 24862/2009; Cass. IV, n. 34444/2003; Cass. IV, n. 14502/1999;

b) il condono della pena non è applicabile al delitto di rapina aggravata, essendo tale reato compreso tra le esclusioni oggettive dal beneficio (art. 8 n. 36 d.P.R. 16 dicembre 1986, n. 865). Né rileva il risultato del giudizio di comparazione effettuato tra le circostanze accidentali della fattispecie, dovendosi avere riguardo unicamente al nomen juris (Cass. II, n. 7847/1990). Per Cass. III, n. 16382/2010, sono esclusi dall'indulto concesso con l. n. 241/2006 i delitti riguardanti la produzione, il traffico e la detenzione illecita di sostanze stupefacenti aggravati ai sensi dell'art. 80 d.P.R. n. 309/1990, anche qualora ricorrano circostanze attenuanti ritenute prevalenti sulle suddette aggravanti nell'eventuale giudizio di comparazione;

c) quanto alle pene accessorie, occorre distinguere.

Si è, infatti, osservato (Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 548) che, se la pena accessoria è collegata alla pena principale irrogata in concreto (ad es. l'interdizione dai pubblici uffici ex art. 29 c.p.), allora l'effetto positivo derivante sulla pena principale (ad es. per un'amnistia impropria o un indulto) esplica i suoi effetti anche sulla pena accessoria. Se, invece, la legge ricollega la pena accessoria alla condanna per i delitti commessi in presenza di una determinata circostanza aggravante, quella pena accessoria si applicherà anche se la circostanza aggravante è stata elisa nel giudizio di bilanciamento, come ad es, avviene per i delitti commessi con l'aggravante di cui all'art. 61 n. 9 per i quali la legge prevede l'interdizione temporanea dai pubblici uffici. 

In terminis: Cass. V, n. 318/1985; Cass. V, n. 13584/1989; v. infra, per applicazioni pratiche del suddetto principio.

d) «Ai fini del computo dei termini complessivi di durata massima della custodia cautelare deve farsi riferimento alla pena edittale prevista per il reato ritenuto in sentenza, tenuto conto, per la sua determinazione, delle circostanze aggravanti ad effetto speciale quantunque valutate equivalenti o minusvalenti rispetto alle riconosciute circostanze attenuanti»: Cass. V, n. 21028/2013; Cass. VI, n. 27408/2010;

e) in ordine all'applicabilità del bilanciamento nella determinazione della pena agli effetti dell'applicazione delle misure cautelari personali, ex art. 278 c.p.p., vi è contrasto, in giurisprudenza, anche se, sembra essersi consolidata la tesi negativa (Cass. IV, n. 15153/2008; Cass. IV, n. 7466/2013; Cass. III, n. 29074/2015: contra Cass. V, n. 28554/2007;Cass. II, n. 8906/2002; Cass. I, n. 893/1995

f) Il giudizio di comparizione fra le circostanze non influisce né sulla competenza funzionale (Cass. II, n. 44408/2004; Cass. II, n. 20852/2009) né su quella per materia (Cass. IV, n. 38423/2021; Cass. II, n. 37046/2022).

g) In tema di circolazione stradale, si è ritenuto che la guida in stato di ebbrezza determina: 1) la non applicabilità della sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità quando sussiste l'aggravante di aver provocato un incidente stradale, anche se la stessa è ritenuta subvalente rispetto alle attenuanti eventualmente sussistenti, perché il giudizio di comparizione tra le circostanze che conduce all'esclusione dell'operatività dell'aggravante sul piano sanzionatorio non fa venir meno la configurazione giuridica del reato aggravato e, di conseguenza, gli effetti che la legge ricollega alla singola circostanza, pur se sfavorevoli per l'imputato: Cass. IV, n. 30254/2013; 2) la revoca della patente di guida, prevista come obbligatoria per l'ipotesi aggravata in cui il conducente abbia causato un incidente stradale, anche nel caso in cui, all'esito del giudizio di bilanciamento, sia stata riconosciuta l'equivalenza ovvero la prevalenza delle circostanze attenuanti generiche, non venendo meno per effetto del suddetto giudizio la sussistenza dei profili di particolare allarme sociale connessi alla sussistenza dell'indicata aggravante: Cass. IV, n. 23190/2016; Cass. IV, n. 7821/2015.

h) E' stato ritenuto «È inammissibile, per carenza di interesse, l'impugnazione dell'imputato volta esclusivamente ad ottenere l'esclusione di una circostanza aggravante, quando la stessa sia già stata ritenuta subvalente rispetto alle circostanze attenuanti concorrenti»: Cass. IV, n. 27101/2016.

Deroghe al giudizio di bilanciamento

Come si è detto supra, sebbene il giudizio di bilanciamento sia obbligatorio in tutti i casi in cui vi sia un concorso eterogeneo fra circostanze, tuttavia, la suddetta regola, in presenza di specifiche e tassative norme, può essere derogata.

 Va, tuttavia, osservato che la deroga al bilanciamento non avviene sempre con le stesse modalità.

 Innanzitutto, è previsto il divieto di bilanciamento che esclude la prevalenza delle attenuanti quand'anche ritenute sussistenti dal giudice: si tratta dell'ipotesi prevista e disciplinata dall'art. 69, comma 4, c.p. che è così strutturata: regola generale: le disposizioni relative al giudizio di bilanciamento (sia in prevalenza che in equivalenza) «si applicano anche alle circostanze inerenti alla persona del colpevole [….] ed a qualsiasi altra circostanza per la quale la legge stabilisca una pena di specie diversa o determini la misura della pena in modo indipendente da quella ordinaria del reato»; eccezioni: non si applica il bilanciamento nei «casi previsti dall'articolo 99, quarto comma [recidiva reiterata], nonché dagli articoli 111 [determinazione al reato di persona non imputabile o non punibile] e 112, primo comma, numero 4) [determinazione al reato di un minore di anni 18, di persona inferma o affetta da deficienza psichica o partecipazione con essi nella commissione di un delitto per il quale è previsto l'arresto in flagranza]»: in tali ipotesi «vi è divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle ritenute circostanze aggravanti».

 Peraltro, si noti che, ove le suddette aggravanti siano ritenute sussistenti, sebbene il giudice non possa ritenere eventuali attenuanti prevalenti, tuttavia, nulla esclude, stante il tenore testuale della norma, che possa pervenire ad un giudizio di equivalenza (in terminis, Cass. I, n. 17313/2008, secondo la quale «l'art. 69 c.p., comma 4, non impone il divieto di giudizio di bilanciamento rispetto alla recidiva, disponendo solo che non si affermi la prevalenza delle attenuanti e consentendo, quindi, una valutazione di equivalenza»; Cass. V, n. 48655/2012, dal tenore testuale della norma, ha dedotto che «in caso di concorso tra attenuanti e recidiva reiterata, quest'ultima, ove in concreto applicata dal Giudice, deve per forza prevalere oppure essere ritenuta equivalente»).  

 Vi sono, poi, una serie di altre norme che disciplinano il divieto di bilanciamento in modo diverso nel senso che, da una parte, si stabilisce il divieto di equivalenza o prevalenza delle attenuanti (fatta eccezione, normalmente, per quelle di cui agli artt. 98 e 114 c.p.: ma, vedi sul punto, art. 577, comma 3 c.p. che ha ampliato le suddette eccezioni inserendo fra di esse anche le attenuanti di cui agli artt. 62 n.1 e 114 c.p.) rispetto a determinate aggravanti, ma, dall'altra, le attenuanti hanno comunque una loro valenza nel calcolo della pena perché operano sulla quantità di pena determinata sulla base delle aggravanti; esempi di tale meccanismo di calcolo della pena sono gli artt. 69 bis - 280, comma 5 – 280 bis, comma 5 – 416 bis-1 (il suddetto articolo al comma terzo, prevede l'attenuante della cd. dissociazione attuosa di cui al previgente art. 8 d.l. n. 152/1991 conv. in l. n. 203/1991. In proposito, Cass. S.U., n. 10713/2010, hanno stabilito che la suddetta attenuante ad effetto speciale non è soggetta al giudizio di bilanciamento tra circostanze. Qualora sia riconosciuta e ricorrano altre circostanze attenuanti in concorso con circostanze aggravanti, soggette al giudizio di comparazione, va dapprima determinata la pena effettuando tale giudizio e successivamente, sul risultato che ne consegue, va applicata l'attenuante ad effetto speciale) – 577, comma 3, - 590-quater – 600-sexies, comma 6 - 624-bis, comma 4 – 628, comma 5 – 630, comma 6, c.p. (Cass. I, n. 14802/2012 ha ritenuto che la deroga, prevista dal comma sesto dell'art. 630 c.p., alla regola generale della comparazione di circostanze, disciplinata dall'art. 69 c.p., riguarda le sole fattispecie criminose regolate dai commi secondo e terzo del medesimo art. 630 e non si applica, al riconoscimento di circostanze attenuanti con riferimento all'ipotesi contemplata dal primo comma dell'art. 630, per la quale, quindi, si osservano le regole ordinarie); art. 291-ter, comma 3 d.P.R. n. 43/1973; art. 12, comma 3 quater d.lgs. n. 286/1998 (Cass. I. n. 27349/2021, in tema di reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, ha chiarito che, ove ricorra la circostanza aggravante di cui all'art. 12, comma 3-bis del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, per essere stati commessi plurimi fatti tra quelli previsti dalla ipotesi aggravata di cui al precedente comma 3, il divieto di bilanciamento con le circostanze attenuanti si estende anche a quest'ultima aggravante, in ragione del preciso ordine di applicazione delle circostanze dettato dal successivo comma 3-quater); 186, comma 2-septies e 187, comma 1-quater d.lgs n. 285/1992.

 La differenza fra le due ipotesi di deroga al bilanciamento, refluisce sulla costituzionalità dei suddetti meccanismi di calcolo.

 La Corte Cost., infatti, ha dichiarato reiteratamente l'incostituzionalità dell'art. 69, comma 4 c.p. nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza di varie circostanze attenuanti accomunate dall'essere il fatto di lieve entità (cfr. retro sentenze in calce al testo dell'art. 69 c.p.) sulla recidiva reiterata di cui all'art. 99, comma 4 c.p. Tutte le motivazioni delle sentenze di incostituzionalità (da ultimo Corte Cost. n. 188/2023) sono riconducibili all'esigenza di mantenere «un conveniente rapporto di equilibrio tra la gravità (oggettiva e soggettiva) del singolo fatto di reato e la severità della risposta sanzionatoria, evitando in particolare l'abnorme enfatizzazione delle componenti soggettive riconducibili alla recidiva reiterata, a detrimento delle componenti oggettive del reato». Secondo la Corte Cost., infatti, «dalla norma censurata scaturisce altresì un vulnus al principio di offensività di cui all'art. 25, secondo comma, Cost., il quale esige che la pena sia sempre essenzialmente concepita come risposta a un singolo “fatto” di reato, e non sia invece utilizzata come misura primariamente volta al controllo della pericolosità sociale del suo autore, rivelata dalle sue qualità personali» che, per il solo fatto di essere un recidivo reiterato ex art 99, comma 4 c.p., viene ad essere sanzionato «addirittura con il raddoppio della pena minima, a parità di disvalore oggettivo del fatto, in considerazione dei soli precedenti penali dell'autore».

In occasione della declaratoria di incostituzionalità del divieto di prevalenza della attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità sulla recidiva reiterata (Cort. Cost. n. 141/2023) il giudice delle leggi ha sottolineato come sia necessario «mantenere un conveniente rapporto di equilibrio tra la gravità (oggettiva e soggettiva) del singolo fatto di reato e la severità della risposta sanzionatoria»; sicchè la Corte ha in quest'occasione ritenuto che elidere l'“effetto calmierante” della circostanza attenuante di cui all'art. 62 n. 4) c.p. in relazione a reati caratterizzati da un elevato minimo edittale – quali i delitti di rapina e di estorsione – potesse in diverse ipotesi costringere il giudice ad applicare una pena sproporzionata per eccesso rispetto al concreto disvalore del fatto, in contrasto con i principi di cui agli artt. 3 e 27 Cost.. E si sottolinea come «la particolare tenuità del danno patrimoniale causato determina, di regola, una sensibile riduzione del contenuto di disvalore dei reati che offendono il solo patrimonio, o che offendono – accanto ad altri beni giuridici – anche il patrimonio; e di tale ridotto disvalore il giudice deve poter tenere conto nella commisurazione del trattamento sanzionatorio, senza essere vincolato a ignorarlo in ragione soltanto della recidiva reiterata dell'imputato. Circostanza, quest'ultima, che nulla ha a che vedere con la gravità oggettiva e soggettiva del singolo fatto di reato, cui la pena – in un sistema orientato alla “colpevolezza per il fatto”, e non già alla “colpa d'autore”, o alla mera neutralizzazione della pericolosità individuale – è chiamata a fornire risposta». Particolarmente pregnanti appaiono poi le considerazioni svolte dalla Corte cost. nella pronuncia (Corte cost. n.94/2023) con la quale è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 69, quarto comma, c.p. nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulla circostanza aggravante della recidiva reiterata di cui all'art. 99, quarto comma, c.p., in relazione ai delitti puniti con la pena edittale dell'ergastolo. Per effetto di tale dichiarazione di illegittimità costituzionale il giudice, nel determinare il trattamento sanzionatorio in caso di condanna di persona recidiva ex art. 99, quarto comma, c.p., imputata di uno dei delitti suddetti, può operare l'ordinario bilanciamento previsto dall'art. 69 c.p. nel caso di concorso di circostanze e, quindi, può ritenere le attenuanti prevalenti sulla recidiva reiterata (secondo comma), oppure equivalenti a quest'ultima (terzo comma), o subvalenti rispetto ad essa (primo comma). Nella pronuncia il giudice delle leggi osserva come nella fattispecie in cui concorre l'aggravante della recidiva reiterata, la pena edittale dell'ergastolo risulta essere non solo “fissa”, ma anche unica e “indefettibile” proprio a causa del divieto di prevalenza delle attenuanti recato dalla disposizione censurata. Invece, ove non operasse tale divieto, la pena irrogabile, nel concorso di circostanze attenuanti prevalenti, se ritenute tali dal giudice, sarebbe determinabile entro l'intervallo di un minino (venti anni di reclusione) e un massimo (ventiquattro anni) ai sensi dell'art. 65 c.p.; quindi sarebbe graduabile. La giurisprudenza costituzionale ha più volte affermato che una pena fissa è per ciò solo indiziata di illegittimità costituzionale (Corte cost. n. 222/2018, Corte cost. n. 50/1980, Corte cost. n. 104/1968 e Corte cost. n. 67/1963, nonché, in ambito di sanzioni amministrative accessorie, le sentenze Corte cost. n. 246/2022 e Corte cost. n. 88/2019). Ciò a maggior ragione non può non valere quando il giudice è tenuto a infliggere l'ergastolo quale pena “fissa” e “indefettibile”. Ciò implica che, in via di principio, previsioni sanzionatorie rigide non sono in linea con il «volto costituzionale» del sistema penale, potendo esse essere giustificate solo «a condizione che, per la natura dell'illecito sanzionato e per la misura della sanzione prevista, quest'ultima appaia ragionevolmente “proporzionata” rispetto all'intera gamma di comportamenti riconducibili allo specifico tipo di reato».Non può dirsi assicurata una pena proporzionata al fatto, sotto il profilo della «mobilità della pena» , se la medesima identica pena venga irrogata in relazione ad atti, che pur integrando il delitto consumato, si differenzino sul piano oggettivo per condotte di più avanzato compimento dell'attività delittuosa. La fissità della pena perpetua comporta anche, per effetto del divieto di prevalenza delle attenuanti sulla recidiva reiterata, un trattamento, per il condannato, ingiustificatamente diverso in peius. Difatti nel caso della pena edittale fissa dell'ergastolo tutte le attenuanti sono, di fatto, “sterilizzate” dal concorso con la recidiva reiterata proprio a causa del censurato divieto di prevalenza delle attenuanti e quindi – con trattamento deteriore in violazione del principio di eguaglianza – non hanno nemmeno l'effetto di schermare l'aumento della pena per il concorso della circostanza aggravante della recidiva reiterata, il quale di per sé non si può produrre in ragione del carattere perpetuo della pena dell'ergastolo. In conclusione, si osserva, la fissità della pena edittale dell'ergastolo, aggravata dal suo rigore per essere la sanzione più elevata in assoluto, in quanto perpetua al momento della sua irrogazione, e marcatamente più afflittiva rispetto a quella irrogabile per lo stesso reato circostanziato da una diminuente, richiede – per la tenuta costituzionale della pena stessa, in riferimento a tutti gli evocati parametri (artt. 3, primo comma, 25, secondo comma, e 27, terzo comma, Cost.) – che non sia precluso, in caso di recidiva reiterata, l'ordinario bilanciamento delle circostanze attenuanti del reato, le quali, se esclusive o ritenute dal giudice prevalenti sulle aggravanti, comportano che alla pena dell'ergastolo è sostituita quella della reclusione da venti a ventiquattro anni (art. 65 c.p.). E con affermazione certamente dirompente sotto il profilo dell'estensione della dichiarazione di incostituzionalità ben oltre ila questione rimessa si concludeva affermando che:” L'accertata violazione, da parte della disposizione censurata, di tutti i parametri costituzionali evocati dal giudice rimettente, vale non solo per il reato di cui all'art. 285 c.p. punito appunto con la pena edittale fissa dell'ergastolo, e in riferimento all'attenuante di cui all'art. 311 c.p., che il giudice rimettente ritiene di poter applicare, ma vale altresì con riguardo ad ogni altra attenuante, comprese le attenuanti generiche di cui all'art. 62-bis c.p., e per tutti gli altri reati puniti allo stesso modo, ossia con la pena edittale fissa dell'ergastolo , quando parimenti operi il divieto di prevalenza delle attenuanti”.

 Al contrario, la Corte Cost. ha sempre ritenuto inammissibili le questioni tendenti alla declaratoria di illegittimità costituzionale dei meccanismi della seconda specie, proprio perché il giudice, una volta che abbia ritenuto la sussistenza di attenuanti, deve tenerne pur sempre conto, sebbene dopo avere calcolato l'aumento di pena per le aggravanti privilegiate. Il divieto di bilanciamento è stato, quindi, considerato, di volta in volta, come «posto a servizio di un bene giuridico di primario valore al quale il legislatore ha scelto di assegnare una tutela rafforzata con opzione discrezionale non irragionevole» (Corte cost. n. 117/2021, da ultimo, sulla base del suddetto argomento, ha ritenuto inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 624-bis c.p.).  

 

Modalità di calcolo della pena nel caso di concorso fra aggravanti speciali bilanciabili e non bilanciabili

Si consideri la seguente ipotesi: l'imputato viene ritenuto responsabile di furto ex art. 624-bis aggravato: a) ex comma terzo essendo stata ritenuta la circostanza di cui all'art. 625, comma 1, n. 5  (quindi, l'aggravante del comma terzo, è sia di natura “privilegiata” in quanto, ex comma quarto, rispetto ad essa, le circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli articoli 98 e 114 non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità di pena risultante dall'aumento conseguente alla predetta aggravante; sia ad effetto speciale perché prevede una pena superiore ad un terzo della pena base di cui all'art. 624); b) ex art. 99, comma 4, (quindi aggravante speciale, in quanto prevede un aumento di due terzi, ma bilanciabile). All'imputato, sono tuttavia riconosciute le attenuanti generiche ex art. 62-bis.

La questione che si pone nella suddetta ipotesi (e quelle similari) consiste nel verificare quali siano le modalità di calcolo della pena.

Secondo una prima tesi, qualora una circostanza aggravante ad effetto speciale di natura “privilegiata” (nell'esempio: art. 624-bis, commi 3 e 4) concorra con una circostanza speciale bilanciabile (nell'esempio, art. 99, comma 4, cod. pen.) e con un'attenuante (nell'esempio, art. 62-bis), ed il giudice ritenga le circostanze attenuanti generiche equivalenti all'aggravante bilanciabile (nell'esempio, la recidiva di cui all'art. 99, comma 4, cod. pen.), non deve operarsi l'aumento previsto per la circostanza “privilegiata” – sebbene sia sottratta al giudizio di bilanciamento – in quanto, in caso di concorso di aggravanti ad effetto speciale, ai sensi dell'art. 63, comma 4, cod. pen., deve trovare applicazione la pena stabilita per quella più grave (nella specie l'art. 99, comma 4, che, però, prevede un aumento superiore a quello dell'art. 624-bis, comma 3): in terminis, Cass. IV, n. 45846/2017 in una fattispecie di concorso fra l'aggravante “privilegiata” dell'aver commesso il fatto in orario notturno (art. 186/2-sexies cod. strada, non bilanciabile ex art. 186, comma 2-septies), l'aggravante speciale di aver provocato un incidente in stato di ebbrezza (art. 186/2-bis cod. strada) e le attenuanti generiche ritenute equivalenti rispetto a quest'ultima aggravante (di natura più grave rispetto a quella non bilanciabile di cui all'art. 186, comma 2-sexies).

In senso contrario, si è, invece pronunciata la successiva maggioritaria e condivisibile giurisprudenza: Cass. V, n. 15690/2020; Cass. V, n. 47519/2018; Cass. IV,n. 53280/2017, la quale, anche sulla base del principio di diritto affermato dalla Cass.S.U. n. 10713/2010 («Qualora sia riconosciuta la circostanza attenuante ad effetto speciale della cosiddetta "dissociazione attuosa", prevista dall'art. 8 d.l. 13 maggio 1991 n. 152, convertito in legge 12 luglio 1991 n. 203 e ricorrano altre circostanze attenuanti in concorso con circostanze aggravanti, soggette al giudizio di comparazione, va dapprima determinata la pena effettuando tale giudizio e successivamente, sul risultato che ne consegue, va applicata l'attenuante ad effetto speciale», principio - ribadito dalle  Cass. S.U. 38518/2015; Cass. VI, n. 31983/2017 – applicabile mutatis mutandis, anche, ovviamente, alle aggravanti speciali), è giunta ad opposta conclusione osservando, che:

a) non è consentito prescindere dalla comparazione tra circostanze disomogenee che siano bilanciabili, altrimenti si perverrebbe al risultato incongruo per cui la sola presenza di una circostanza "privilegiata" determinerebbe una estensione del regime di "privilegio" a tutte le altre circostanze coesistenti, sottraendole al bilanciamento;

b) l'applicazione di criteri di bilanciamento degli elementi circostanziali del reato ex art. 69 è pregiudiziale rispetto alla regola di cui all'art. 63, comma 4.

Sulla base di tali preliminari argomenti (mutuati da Cass. S.U., n. 10713/2010 cit.), sono state quindi prospettate le seguenti soluzioni:

1) giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle aggravanti "bilanciabili": le diminuzioni di pena operano sulla quantità di pena risultante dall'aumento previsto ed applicato per l'aggravante "privilegiata", detta ultima circostanza opera "pienamente", cioè senza incontrare il limite stabilito dall'art. 63 comma 4 (Cass. II, n. 44155/2014);

2) giudizio di equivalenza: si applica la pena con l'aumento per l'aggravante "privilegiata", anche in tal caso non viene in rilievo il disposto dell'art. 63 comma 4, posto che un'eventuale circostanza più grave di quella "privilegiata" non incide di fatto sulla quantificazione della pena siccome "elisa" dalla, o dalle circostanze di segno opposto; la suddetta soluzione è stata ribadita dalle Cass  S.U. del 29/04/2021. Infatti, secondo l'informazione provvisoria, alla questione controversa («Se le circostanze attenuanti, pur riconosciute equivalenti nel bilanciamento con concorrenti circostanze aggravanti, debbano produrre ugualmente il proprio effetto di attenuazione della pena risultante dal computo dell'aggravamento dovuto a circostanze aggravanti privilegiate»), è stata data la soluzione negativa in quanto «Le circostanze attenuanti che concorrono sia con circostanze aggravanti soggette a giudizio di comparazione ai sensi dell'art. 69 cod. pen. che con circostanza che invece non lo ammette in modo assoluto, debbono essere previamente sottoposte a tale giudizio e, se sono ritenute equivalenti, si applica la pena che sarebbe inflitta· - per il reato aggravato da circostanza "privilegiata" - se non ricorresse alcuna di dette circostanze».

3) prevalenza delle circostanze aggravanti: tornano ad essere applicabili i commi terzo e quarto dell'art. 63, poiché in tal caso risulta, in concreto, la coesistenza di più circostanze aggravanti tutte di fatto incidenti sulla quantificazione della pena. Nel caso in cui oltre all'aggravante "privilegiata" sussistano altre aggravanti ad effetto speciale opera la regola del "cumulo giuridico" di cui all'art. 63, comma 4, all'esito del quale l'aggravante "privilegiata", se meno grave, potrebbe risultare recessiva e soccombente.

I suddetti principi sono stati ribaditi daCass. S.U. n. 42414/2021alle quali era stato devoluto il seguente quesito: «Se le circostanze attenuanti, pur riconosciute in giudizio di equivalenza nel bilanciamento con circostanze aggravanti non privilegiate, debbano produrre in ogni caso il proprio effetto di attenuazione della pena risultante dal computo dell'aggravamento dovuto a circostanze aggravanti privilegiate, contestate e ravvisate».

Il contrasto era insorto sulla seguente fattispecie: a Tizio – riconosciuto colpevole per il reato di furto in abitazione (art. 624-bis c.p..) aggravato dagli artt. 625 n. 2,4,5, e 99/4 c.p. – furono riconosciute le attenuanti generiche equivalenti alla recidiva e, quindi, condannato alla pena di anni quattro e mesi otto di reclusione ed euro 1.200,00 di multa ex artt. 624-bis e 625 c.p.

Secondo la tesi invocata dal ricorrente «in tema di furto in abitazione, qualora più circostanze aggravanti ed attenuanti soggette a giudizio di comparazione concorrano con la circostanza aggravante privilegiata di cui agli artt. 624-bisc.p., comma 3, e art. 625 c.p., sulla pena determinata in ragione dell'aumento applicato per questa, sottratta al giudizio di comparazione, deve essere calcolata la diminuzione per le eventuali attenuanti riconosciute, ancorché queste siano state separatamente assorbite con giudizio di equivalenza nel bilanciamento con altre aggravanti non privilegiate»: Cass. V, n. 19083/2020, Cass. V, n. 7246/2021. Quindi, nel caso di specie, la pena inflitta avrebbe dovuto essere diminuita fino ad un terzo per effetto delle riconosciute attenuanti generiche benchè ritenute equivalenti rispetto all'aggravante (bilanciabili) di cui all'art. 99/4 c.p.  e ciò per evitare che l'effetto mitigatore delle attenuanti venga vanificata dall'aggravante privilegiata (e cioè dall'art. 624-bis c.p.).

Le S.U., hanno invece accolto e ribadito l'indirizzo maggioritario (Cass. V, n. 15690/2020, Cass. V, n. 2484/2020, Cass. II, n. 29601/2019, Cass. V, n. 47519/2018, Cass. II, n. 36780/2018) che esclude in radice ogni incidenza delle circostanze attenuanti, "neutralizzate" da un precedente valutazione di equivalenza rispetto alle circostanze aggravanti, sul computo della pena indicata in relazione all'aggravante "privilegiata". Infatti, la sottrazione della circostanza aggravante "privilegiata" al bilanciamento, il quale opera solo tra le circostanze attenuanti e le circostanze aggravanti "non privilegiate" in modo assoluto, comporta che la pena determinata per effetto della aggravante "privilegiata" può essere diminuita solo nel caso in cui il giudizio di bilanciamento tra circostanze parimenti bilanciabili si sia concluso valutando prevalente la circostanza attenuante sulle aggravanti. Tale soluzione – osservano le S.U. - si muove nel rispetto della ratio sottesa alla previsione del "privilegio", che è quella di impedire la neutralizzazione dell'elemento circostanziale, qualificante in misura aggravata la pena e dotato dal legislatore di particolare "resistenza", attraverso il giudizio di bilanciamento con circostanze attenuanti: quindi, secondo tale orientamento, la diminuzione della pena sull'entità di essa, risultante dall'aumento relativo alla aggravante privilegiata, opererebbe solo nel caso in cui l'attenuante risulti prevalente. Va osservato che la menzionata tesi, si pone in linea di assoluta continuità sia con le citate Cass. S.U. 10793/2010, sia con Cass. S.U. n. 38518/2015 che hanno sottolineato la necessità di salvaguardare i criteri di bilanciamento previsti dall'art. 69 c.p., per il concorso di circostanze eterogenee e quelli di cui all'art. 63 c.p., per l'ipotesi di concorso omogeneo di circostanze, derivanti dalla coesistenza di più circostanze aggravanti ad effetto speciale, ovvero di più circostanze attenuanti ad effetto speciale. Quindi, nel caso di specie, il criterio di calcolo seguito dal giudice di merito (e cioè di privare di ogni effetto le pur riconosciute attenuanti generiche proprio perché ritenute solo equivalenti) è stato reputato corretto. All'esito della disamina della questione, pertanto, le S.U. hanno affermato il seguente principio di diritto: «Le circostanze attenuanti (ndr: nella specie, art. 62 c.p.) che concorrono sia con circostanze aggravanti soggette a giudizio di comparazione ai sensi dell'art. 69 c.p. (ndr: nella specie: art. 99 c.p.), che con circostanza che invece non lo ammette in modo assoluto (ndr: nella specie: art. 624 bis c.p.), devono essere previamente sottoposte a tale giudizio e, se sono ritenute equivalenti, si applica la pena che sarebbe inflitta - per il reato aggravato da circostanza "privilegiata" - se non ricorresse alcuna di dette circostanze».

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