Codice Penale art. 91 - Ubriachezza derivata da caso fortuito o da forza maggiore.Ubriachezza derivata da caso fortuito o da forza maggiore. [I]. Non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva la capacità d'intendere o di volere, a cagione di piena ubriachezza derivata da caso fortuito o da forza maggiore [613, 690]. [II]. Se l'ubriachezza non era piena, ma era tuttavia tale da scemare grandemente, senza escluderla, la capacità d'intendere o di volere, la pena è diminuita [65, 69 4, 70 2]. InquadramentoL'art. 91 in commento, inaugura la serie degli articoli che il codice, nella parte generale, dedica all'ubriachezza (nella parte speciale, l'ubriachezza è prevista agli artt. 688 ss c.p.). La norma disciplina l'ipotesi della ubriachezza accidentale, ipotesi, quindi, che si differenzia dalle diverse fattispecie: a) dell'ubriachezza volontaria o colposa (art. 92, comma 1); b) dell'ubriachezza preordinata (artt. 92 comma 2, 87); c) dell'ubriachezza abituale (art. 94); d) della cronica intossicazione da alcool (art. 95), ognuna delle quali presenta caratteristiche e presupposti diversi che saranno oggetto del commento delle relative norme. L'articolo è strutturato su due commi e prevede gli effetti giuridici dell'ubriachezza accidentale: nel primo, si stabilisce la non imputabilità, ove l'ubriachezza abbia provocato la totale incapacità di intendere e volere; nel secondo, si prevede una attenuante nell'ipotesi in cui l'ubriachezza abbia soltanto scemato la capacità d'intendere e volere. I requisiti dell'ubriachezza accidentaleIl presupposto giuridico - fattuale perché trovi applicazione la norma in commento è, come si è anticipato, l'ubriachezza accidentale ossia quella ubriachezza caratterizzata dai seguenti requisiti: a) deve derivare da cause estranee alla volontà (dolosa o colposa) dell'agente, che la norma identifica nel caso fortuito o nella forza maggiore: Cass. VI, n. 35543/2012; b) dev'essere transitoria e reversibile, perché, in caso contrario, troverebbero applicazione gli artt. 94, 95: (Cass. VI, n. 5670/1979; Cass. I, n. 7413/1982), c) il reato dev'essere commesso nel momento in cui l'agente si trovava in stato d'incapacità derivante dalla suddetta ubriachezza. Il legislatore ha limitato l'applicabilità della norma alle sole ipotesi in cui l'ubriachezza derivi da caso fortuito o forza maggiore (per la cui nozione si rinvia al commento dell'art 45 c.p.). ad es. ubriachezza causata dall'inalazione di vapori alcolici in ambienti ove non era sospettabile che vi fossero o nei quali si è costretti a lavorare (distillerie): Mantovani, PG 1979, 616, Antolisei, PG 1975, 514. Tuttavia, la dottrina tende ad allargare le ipotesi di ubriachezza accidentale fino a ricomprendere «anche il caso di errore non colposo sulla qualità o gradazione alcoolica della bevanda ingerita, nonché il caso di inganno o di costringi mento altrui, che non è a rigore né caso fortuito né forza maggiore» (Romano-Grasso, 54). Sulla stessa linea sembra attestata la giurisprudenza che fa rientrare, in via di principio, nel paradigma dell'art. 91, tutti quegli stati di ebrietà che non siano addebitabili, nemmeno a titolo di colpa all'agente (Cass. I, n. 1259/1966) e, quindi, anche la cd. ipotesi di ubriachezza patologica (provocata cioè anche dall'ingestione di piccole dosi di alcoolico) caratterizzata da abnormi ed imprevedibili effetti dell'alcool ingerito (Cass. VI, n. 11777/1978; Cass. VI, n. 7161/1982), oppure quella derivante dall'imprevedibile interazione di alcool con farmaci (Cass. VI, n. 11753/1986), o quella che si verifica «quando l'agente abbia ignorato a quali effetti andava incontro, ingerendo la bevanda che lo ha posto in stato di ebrietà, per un errato e incolpevole calcolo sulla quantità e sulla gradazione alcoolica o per altrui intervento malizioso o scherzoso» (Cass. VI, n. 719/1967), o quella derivante da condizione morbosa ignota all'agente (Cass. V, n. 8547/1976). Tuttavia, è opportuno precisare che l'apertura giurisprudenziale è più di principio perché, in pratica, la norma in commento trova scarsissima applicazione. Il motivo va rinvenuto nel meccanismo processuale della prova. Come si è detto, la norma riconduce l'ubriachezza accidentale al caso fortuito o alla forza maggiore o, comunque, a cause indipendenti dalla volontà dell'agente o da questi ignorate senza colpa alcuna. Ciò significa, sotto il profilo processuale, che, ponendosi l'ubriachezza accidentale come un'eccezione alla regola generale dell'ubriachezza volontaria o colposa (art. 92 c.p.), ove l'agente l'eccepisca, ha, quantomeno l'onere di allegazione di indicare gli elementi fattuali e le circostanze in base alle quali la sua eccezione si possa ritenere provata. Di conseguenza, ogni qualvolta la suddetta eccezione resti privi di prova, la giurisprudenza o respinge, tout court, l'eccezione o, nella migliore delle ipotesi, la sussume nell'ambito dell'art. 92 c.p. (ubriachezza colposa), alla stregua del seguente principio di diritto: l'ubriachezza accidentale rappresenta un'ipotesi eccezionale rispetto a quella dell'ubriachezza volontaria o colposa che, per ragioni di politica criminale, è supposta ex lege, onde mancando la prova della causa fortuita o di forza maggiore, deve ritenersi ricorrere la seconda ipotesi; la prova, peraltro, pure spettando all'accusa, non deve essere ricercata — atteso l'accennato carattere eccezionale — se non quando l'interessato ne abbia offerto adeguati elementi indicativi o dagli Atti risultino gravi indizi che inducano a dubitare del concorso volontario dell'agente nella produzione dello stato di ubriachezza (Cass. VI, n. 9543/1980; Cass. I, n. 6065/1983; Cass. VI, n. 11753/1986; Cass. VI, n. 14610/1986; Cass. I, n. 31450/2012). Il rapporto con la capacità d'intendere e volereL'art. 91 è strutturato come gli artt. 88 e 89 nel senso che, così come il vizio di mente, anche l'ubriachezza incide sulla capacità d'intendere e volere determinando la non imputabilità dell'agente. Cass. VI, n. 11753/1986, ha precisato che «L'incapacità di intendere e di volere dovuta alla interazione di alcool con farmaci - cioè il perturbamento delle funzioni psichiche causato dall'intossicazione acuta prodotta dall'alcool su un fondo psichico già indebolita ma non totalmente alterato da precedente o concomitante azione di sostanza stupefacente o psicotropa - è configurabile come causa di esclusione dell'imputabilità unicamente allorquando entrambi le componenti interagenti, e quindi anche ciascuna di esse, siano accidentali, ossia derivate da caso fortuito o da forza maggiore». La dottrina, allora, si è posta il problema di quale normativa applicare nel caso in cui il reato sia commesso da un agente che, al momento della commissione del reato, oltre che trovarsi in uno stato di ubriachezza accidentale, sia anche, contemporaneamente, incapace di intendere e volere per un vizio di mente: si applica l'art. 91 o gli artt. 88,89? La questione ha un rilievo pratico, perché se il proscioglimento o la condanna sono pronunciati exartt. 88,89, si applicano le misure di sicurezza; al contrario, nessuna misura di sicurezza può essere applicata se il proscioglimento (ex art. 91 comma 1) o la condanna sia pure attenuata (ex art. 91 comma 2) sono pronunciate per ubriachezza accidentale (Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 390). La dottrina ha proposto le seguenti soluzioni. 1) Agente (ubriaco) totalmente incapace di intendere e volere per vizio totale di mente: si applica l'art. 88 c.p., essendo l'ubriachezza (sia essa piena o non piena) irrilevante (Crespi, 779): peraltro, si è osservato che è dubbia l'applicabilità della misura di sicurezza prevista per l'infermità psichica, nelle ipotesi in cui la medesima risulti «integralmente coperta dall'ubriachezza incolpevole» (Romano-Grasso, 56). In altri termini, secondo questa tesi, occorrerebbe effettuare una valutazione del fatto per stabilire se l'agente abbia agito per effetto dell'ubriachezza accidentale (che, quindi, assorbirebbe il vizio totale di mente, con conseguente inapplicabilità della misura di sicurezza) o per effetto del vizio totale di mente (nel qual caso, al contrario, la misura di sicurezza si applica, restando irrilevante lo stato di ubriachezza). 2) Agente (ubriaco) parzialmente incapace di intendere e volere per vizio parziale di mente, ex art. 89 c.p.: in tale ipotesi occorre distinguere: a) l'ubriachezza accidentale (“piena”) ha provocato la totale incapacità d'intendere e volere (art. 91 comma 1): si applica l'art. 91 perché la totale incapacità di intendere e volere determinata dall'ubriachezza assorbe la parziale incapacità d'intendere e volere determinata dal vizio parziale di mente (Crespi, 779). Resta, però, anche in tale ipotesi, a parte rovesciata, il problema dell'applicabilità della misura di sicurezza ex art. 89, esaminato in precedenza (Romano-Grasso, 56); b) l'ubriachezza accidentale (“non piena”) ha provocato la parziale incapacità d'intendere e volere (art. 91 comma 2) sovrapponendosi, quindi, alla parziale incapacità d'intendere e volere derivante dall'art. 89: secondo una prima opinione «è possibile l'applicazione della misura di sicurezza» (Romano-Grasso, 56) ma, essendo le due norme (artt. 91,89) compatibili, all'agente può essere applicata una doppia diminuente sia per l'art. 89 che per l'art. 91, comma 2 in quanto hanno cause diverse. A diversa conclusione giunge altra parte della dottrina secondo la quale, invece, si applica la sola disposizione dell'art. 89 (quindi, una sola diminuente) in quanto l'ubriachezza accidentale “non piena” sarebbe irrilevante sullo stato mentale dell'agente (Crespi, 779). BibliografiaCrespi, voce Imputabilità (diritto penale), in Enc. dir., XX, Milano, 1970. |