Codice Penale art. 270 sexies - Condotte con finalità di terrorismo (1).Condotte con finalità di terrorismo (1). [I] Sono considerate con finalità di terrorismo le condotte che, per la loro natura o contesto, possono arrecare grave danno ad un Paese o ad un'organizzazione internazionale e sono compiute allo scopo di intimidire la popolazione o costringere i poteri pubblici o un'organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto o destabilizzare o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali di un Paese o di un'organizzazione internazionale, nonché le altre condotte definite terroristiche o commesse con finalità di terrorismo da convenzioni o altre norme di diritto internazionale vincolanti per l'Italia [270-bis3, 270-septies]. (1) Articolo inserito dall'art. 15 1 d.l. 27 luglio 2005, n. 144, conv., con modif., in l. 31 luglio 2005, n. 155. In tema di misure di prevenzione, v. art. 4, comma 1 lett. d)e (per una particolare aggravante) 71 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159. InquadramentoDisposizione compresa nel Capo Primo del Titolo Primo del Libro Secondo del Codice (Titolo intitolato “Dei delitti contro la personalità dello Stato”), tra i delitti contro la personalità internazionale dello Stato. La norma è recettiva nell'ordinamento italiano della Decisione Quadro dell'UE 2002/475/Gai. Essa definisce i contorni della condotta terroristica sia sotto il profilo oggettivo (comportamenti in grado di “arrecare grave danno”), sia per quanto attiene al versante soggettivo (condotte che sono poste in essere “allo scopo di”). Vi è poi una clausola di chiusura, in forza della quale hanno connotazione terroristica anche tutte le condotte definite tali da “convenzioni o altre norme di diritto internazionale vincolanti per l'Italia". La dottrina sul punto ha scritto che: “Più interessante è sottolineare gli elementi di novità della definizione di cui all'art. 270-sexies c.p. rispetto alla definizione della Convenzione di New York del 1999. Dal punto di vista oggettivo, manca qui ogni menzione al criterio della qualità della vittima, sembrando ora irrilevante che la vittima sia un civile od eventualmente anche un militare attivamente impegnato in un conflitto armato. Dal punto di vista soggettivo, poi, alle due finalità già menzionate dalla Convenzione del 1999 (quella terroristica in senso stretto e quella coercitiva della pubblica autorità) si aggiunge qui una terza possibile finalità, rappresentata in pratica dall'eversione di qualsiasi Paese straniero od organizzazione internazionale. La finalità eversiva diviene, così, una sottoipotesi della finalità terroristica, e non più una finalità distinta, come era stato sinora nell'ordinamento italiano” (Viganò, 3953). Vi è stato chi ha criticato anche aspramente le scelte del legislatore, larvatamente orientate a dare ingresso ad una qualche riproposizione del vecchio canone del diritto penale di autore, anche sub specie di diritto penale del nemico. Tali voci sono state così ben riassunte, da un Autore che ha comunque ritenuto necessario il recupero del concetto di offensività in termini di idoneità e concretezza: «non meno emblematiche, oggi, le scelte legislative in materia di terrorismo. Rappresentano deviazioni più o meno vistose dai principi costituzionali, soprattutto sul terreno dell'anticipazione della soglia repressiva e dell'impronta soggettivistica di molte figure delittuose. Nel nome di una sana dose di realismo c'è chi propone di rassegnarsi ad accettarle, riorientando il diritto penale — se non verso la visione à lá Jacobs di un "diritto penale del nemico" ancora gravida dell'eredità dei teorici del nazismo — verso un “paradigma preventivo”: un modello del diritto penale della "prevenzione" di fatti non ancora commessi e della "pericolosità" degli autori, che relega tra le anticaglie il modello del diritto penale del fatto.» (Marinucci, 1). È stata in dottrina anche sottolineata l'inevitabilità del ricorso — in ambito penalistico ed a fronte di materie di grande rilievo, come appunto il terrorismo — a fattispecie preventive; alle quali è intimamente connesso un forte connotato presuntivo. L'unico modo, quindi, per recuperare un grado di accettabile determinatezza e di offensività coerente con il sistema costituzionale, pare essere quello di muoversi secondo la primaria direttrice di intendere il terrorismo internazionale quale attività tesa al «sovvertimento violento di assetti politico-istituzionali mediante condotte che, secondo regole di esperienza, si inseriscano finalisticamente e con contributo causale frazionato alla realizzazione di atti idonei (ancorché non intenzionalmente diretti) a mettere in pericolo la vita e l'incolumità di un numero indeterminato di esseri umani non belligeranti (non appartenenti cioè a milizie "di diritto" o "di fatto" integrate in operazioni militari su fronti contrapposti)» (Flora, 62). Si è anche scritto quanto segue: “Tre sono i principali filoni di discussione aperti ed emersi nella pratica normativa e giurisprudenziale riguardante il terrorismo internazionale: il primo concernente il rapporto con le fonti normative internazionali (e le conseguenti tensioni con i principi costituzionali interni della riserva di legge, di determinatezza della fattispecie penale e di irretroattività della legge penale incriminatrice); il secondo riguardante il rapporto con le nuove figure del reato transnazionale e con gli strumenti offerti dalla collaborazione giudiziaria e di polizia penale internazionale (ad esempio: procedimenti di estradizione, rogatorie, mandato di arresto europeo, ma anche i nuovi strumenti previsti dalla TOC Convention, recentemente ratificata ed eseguita proprio con la legge sul reato transnazionale); il terzo riguardante infine i problemi connessi all’attività svolte dai servizi di sicurezza dei vari Stati, venuti clamorosamente alla luce proprio in Italia con riguardo alle c.d. “extraordinary renditions’’ "extraordinary renditions'" - cioè al prelevamento coatto di soggetti sospettati di terrorismo e al loro trasferimento in altri Stati per essere interrogati o incarcerati al di fuori delle procedure estradizionali o rogatoriali - ma che possono porsi anche in relazione ad attività di appoggio a fazioni od organizzazioni terroristiche in competizione tra loro il cui prevalere possa corrispondere all'interesse dell'uno o dell'altro Stato straniero. Tale ultimo punto pone le questioni dell'esigenza di rispetto delle forme di immunità dalla giurisdizione penale previste dal diritto internazionale, dell'opposizione del segreto di Stato e del rapporto con eventuali scriminanti previste dal codice penale o da leggi speciali (stato di necessità, adempimento del dovere, legittima difesa o esercizio di attività sotto copertura quale recentemente prevista dalla legge 16 marzo 2006 di esecuzione della Convenzione di Palermo sul crimine organizzato transnazionale).” (Epidendio, 11). Segnaliamo infine che la recente direttiva antiterrorismo n. 541, emessa dal Parlamento europeo e dal Consiglio in data 15 marzo 2017– sostituendo la decisione quadro n. 475 del 13 giugno 2002 – ha invitato gli Stati membri ad adottare una legislazione quanto più possibile uniforme, in tema di lotta al terrorismo. In particolar modo, ha chiesto il raggiungimento di una accezione comunemente condivisa da tutti, in ordine al reato terroristico, al fine di agevolare la cooperazione tra le magistrature dei vari Paesi e innalzare il livello di sicurezza all’interno dell’Unione europea. Trattasi di una direttiva destinata ad essere recepita dalle legislazioni nazionali entro il giorno 8 settembre 2018 (per una disamina completa, vedere Centonze e Giovedì, 1). Definizione di terrorismo. Elemento soggettivo e oggettivoPer la definizione generale del concetto di terrorismo, si rinvia a quanto scritto in sede di commento all'art. 270-bis. La dottrina ha altresì ritenuto che “Il terrorismo, pertanto, consiste nello spargere terrore utilizzando reiteratamente e sistematicamente mezzi violenti contro persone o cose, con la finalità di arrecare un danno grave e, in maniera alternativa, di diffondere presso la collettività effetti di panico o di costrizione verso i pubblici poteri o comunque di destabilizzare o distruggere l'ordine costituito.” (Farini-Trinci, 9). Si può aggiungere come l'analisi circa l'idoneità della condotta rispetto alla causazione di un grave danno implichi, da parte dell'interprete, una valutazione in chiave di prognosi. Come sopra accennato, poi, accanto all'aspetto oggettivo della condotta, la norma prevede anche un versante soggettivo, laddove è inserito un riferimento marcatamente finalistico (“allo scopo di...”). Le finalità alternativamente previste consistono dunque nell'intimidire la popolazione (dovendosi qui intendere una parte di essa), o nel costringere i poteri pubblici o un'organizzazione a compiere o ad astenersi dal compiere un qualsiasi atto. Quest'ultima è una finalità che “può essere perseguita in vario modo, si tratta di scopo agevolmente riconoscibile in condotte delittuose, ad esempio, di natura omicidiaria o che si concretizzino nel sequestro di persone per poter ottenere azioni o missioni” (Aprile, in Rassegna Lattanzi-Lupo, IV, 224). Giova poi rimarcare come la lesione al Paese — sia essa attuale o anche solo potenziale — debba riflettersi sulle entità attraverso le quali si articola il Paese stesso, ovvero sulle sue funzioni; quando la norma si riferisce poi alle organizzazioni internazionali intende evidentemente “quelle dotate di personalità giuridica internazionale (es. Onu, Consiglio d'Europa), costituite da più Stati per il perseguimento di obiettivi comuni e legittimate ad emanare norme vincolanti per gli Stati membri con efficacia superiore a quelle di diritto interno” (Delpino-Pezzano, 40). Ultima precisazione. Richiamandosi alla Convenzione per la repressione degli atti illeciti contro la sicurezza della navigazione, siglata a Roma nel 1988, parte della dottrina ha esplorato la possibilità che, all'interno dell'ampia categoria concettuale del terrorismo, possa essere ricompresa anche l'attività consistente nel compimento di atti di pirateria. Una scelta esegetica però molto criticata, da chi ha giustamente ritenuto che: “... il contrasto alla pirateria non è una guerra in senso stretto, quanto piuttosto un'operazione di polizia, che implica quindi fondamentalmente non la distruzione del nemico, quanto la cattura dei responsabili, lo svolgimento di un processo nei loro confronti e, in caso di colpevolezza, l'applicazione di una pena” (Munari, 325). L'accostamento fra terrorismo e pirateria sembra insomma francamente incongruo. Pur nella drammatica e nefasta gravità di entrambi, trattasi infatti di due momenti emergenziali profondamente divergenti tra loro. La pirateria pare essere un fenomeno molto allarmante, ma genuinamente connotato in senso marcatamente predatorio; una scellerata attività che è primariamente indirizzata, insomma, all’accaparramento di beni e valori. L’effetto destabilizzante che pure deriva da tali fatti sembra allora quasi riverberarsi dalla intima natura della condotta, quale momento però secondario e riflesso. Laddove lo spargimento del panico, la destabilizzazione sociale indotta dal diffondersi del terrore e la destrutturazione degli assetti democratici rappresentano, al contrario, l’esito precipuamente preso di mira dal terrorista in senso proprio CasisticaSi richiama una definizione giurisprudenziale recente, che inerisce proprio ai concetti che ora interessano. Si tratta di una decisione del Supremo Collegio, nella quale si è ritenuto insufficiente — perché resti integrata una condotta connotata da finalità di terrorismo conforme al modello legale ex art. 270-sexies — la mera direzione finalistica interiore del soggetto agente. Non basta, dunque, la destinazione teleologica dell'atteggiamento psicologico dell'agente. Il complessivo sistema normativo postula, invece, la concreta idoneità della condotta, rispetto alla realizzazione di uno degli esiti indicati in dettaglio dalla norma (intimidire la popolazione, costringere i poteri pubblici a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto, destabilizzare o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali ecc. di un Paese o di un'organizzazione internazionale); deve peraltro trattarsi di una condotta che raggiunga quel livello minimo di offensività, che sia tale da coinvolgere gli interessi del Paese. La Corte ha molto valorizzato il concetto del grave danno, contenuto nel dettato normativo. Ha infatti precisato che il disvalore penale della norma resta integrato anche quando tale danno non discenda — in via immediata ed autonoma — dalla condotta del singolo soggetto, bensì si ponga quale risultato di una più ampia serie di antecedenti causali, purché il soggetto sia di ciò consapevole ed intenda appunto interagire con l'iter deterministico complessivo (Cass. VI, n. 28009/2014). I Giudici di legittimità hanno poi precisato come il fine terroristico indicato dalla norma in commento non sia integrato dalla mera intenzione del soggetto agente di arrecare grave nocumento al Paese, essendo al contrario indispensabile che – proprio mediante la condotta materialmente serbata – vengano a crearsi le concrete condizioni, perché si verifichi un reale stato di intimidazione nei confronti di una comunità indifferenziata di soggetti. Una situazione di panico diffuso, che si pone in diretta correlazione con il tenore dell’azione e con il contesto storico ed ambientale nel quale essa si colloca, oltre che con gli strumenti adoperati. Solo allorquando tali elementi concorrano, nel riverberarsi sulla condizione di vita della popolazione e sulla sicurezza della collettività, potrebbe verificarsi una effettiva coercizione delle istituzioni. Proprio la carenza di tale idoneità di propagazione dell’effetto intimidatorio ha condotto la Corte ad escludere la sussistenza del fine terroristico, negli episodi di danneggiamento perpetrati nei confronti dei cantieri della TAV; fatti, questi ultimi, ritenuti inidonei sia a costringere le autorità a rivedere la scelta di realizzare la nuova linea di trasporto, sia a cagionare un danno di rilevante entità al Paese (Cass. I. n. 47479/2015). Aspetti applicativiL'art. 25- quaterd.lgs. n. 231/2001 prevede la responsabilità degli enti, anche in relazione alla commissione di condotte delittuose connotate da una finalità terroristica o eversiva. Allorquando l'ente stesso, ovvero anche solo una sua articolazione, vengano adoperati esclusivamente — oppure almeno in via prevalente — allo scopo di permettere o rendere più agevole la perpetrazione di fatti terroristici o eversivi, troverà applicazione la sanzione dell'interdizione dall'esercizio dell'attività, che sarà irrogata in via definitiva, ai sensi dell'art. 16 comma 3 d.lgs. n. 31/2001. L'art. 226 disp. att. c.p.p., come sostituito dall'art. 5 comma 1 d.l. n. 374/2001, conv. in l. n. 438/2001e in seguito integrato dald.l. 18 febbraio 2015, n. 7, conv. con mod. inl. 17 aprile 2015, n. 43detta la disciplina delle cd. intercettazioni preventive. Prevede infatti che determinati soggetti (Ministro dell'Interno o, su delega di questi, i responsabili dei Servizi Centrali di cui all'art. 12 d.l. n. 152/1991, oltre che Questore e Comandante provinciale di Carabinieri o Guardia di Finanza), possano chiedere al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale del capoluogo del distretto in cui si trovi un determinato soggetto – ovvero, in caso di non determinabilità, del distretto in relazione al quale emergano le esigenze di prevenzione – di sottoporre ad intercettazione le comunicazioni o conversazioni telematiche, telefoniche o ambientali (anche svolgentesi nei luoghi di cui all'art. 614), nonché di effettuare il tracciamento delle comunicazioni del medesimo genere ed anche l'acquisizione dei dati esterni relativi alle stesse, oltre che l'acquisizione di ogni altra notizia utile, che sia disponibile presso i gestori di servizi di telecomunicazioni. Ciò nel caso in cui tale attività appaia indispensabile al fine di acquisire notizie utili alla prevenzione dei delitti – tra gli altri - di cui all'art. 407 comma 2 lett. a), n. 4 c.p.p.(si tratta dei delitti sorretti da un fine terroristico o eversivo dell'ordinamento costituzionale, in relazione ai quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque o nel massimo a dieci anni di reclusione, oltre che dei delitti ex artt. 270 comma 3 e 306 comma 2), che vengano perpetrati mediante l'impiego di tecnologie informatiche o telematiche. Lo stesso art. 226 disp. att. c.p.p., al comma 5, precisa però anche come delle notizie acquisite all'esito di tale attività captativa preventiva non possa farsi alcun utilizzo in ambito processuale, potendo esse risultare idonee esclusivamente alla prosecuzione delle indagini. Diritto penitenziarioL’art. 4-bis della l. n. 354/1975 esclude che possano accedere ai benefici dell’assegnazione al lavoro esterno, del permesso premio e delle misure alternative previste dal Capo VI della legge stessa, coloro che siano detenuti o internati – fra gli altri – per uno dei delitti commessi con finalità di terrorismo anche internazionale, salvo il caso in cui tali soggetti collaborino con la giustizia. sul punto, si è giustamente sottolineato come venga qui richiesta una “collaborazione effettiva con gli organi di giustizia (a cui sono equiparate la collaborazione impossibile e quella c.d. irrilevante) ed il concreto accertamento (attraverso l’acquisizione di elementi) dell’esclusione di qualsiasi collegamento con la criminalità terroristica…” (Garofalo-Loprieno, 9). La Consulta ha poi dichiarato l’illegittimità costituzionale di questa disposizione normativa, nella parte in cui non esclude dal divieto di fruizione dei benefici penitenziari, da essa stabilita, la misura della detenzione domiciliare speciale di cui all’art. 47-quinquies l. n. 354/1975 (Corte cost. n. 239/2014). Il successivo comma 4-bis della succitata l. n. 354/1975 prevede però la possibilità di concessione dei detti benefici anche in favore di detenuti o internati per uno dei delitti commessi con finalità terroristica, nei casi di limitata partecipazione accertata con sentenza e di acquisizione di elementi tali da consentire di escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità di stampo terroristico, oltre che nel caso in cui “l’integrale accertamento dei fatti e delle responsabilità operato con sentenza irrevocabile rendano impossibile una utile attività collaborativa (c.d. collaborazione impossibile); nonché nei casi in cui, anche se la collaborazione che viene offerta risulti oggettivamente irrilevante, nei confronti dei medesimi detenuti o internati sia stata applicata una delle circostanze attenuanti previste dall’art. 62 n. 6).” (Garofalo-Loprieno, 9). Infine, l’art. 4-bis l. n. 354/1975 individua i casi in cui il Ministro della giustizia, anche su richiesta di quello dell’Interno, può sospendere – totalmente o parzialmente – l’operatività delle normali regole di trattamento e l’applicazione degli istituti previsti dalla stessa legge, che possano apparire in contrasto con ragioni di ordine e di sicurezza. Ciò fra l’altro, nei confronti di detenuti o internati per uno dei delitti perpetrati con finalità terroristica, in relazione ai quali emergano elementi tali da far reputare ancora sussistente un collegamento con un’associazione di stampo terroristico. BibliografiaCentonze, Giovedì, “La direttiva antiterrorismo 2017/541 del 15 marzo 2017”, in ilPenalista.it, 31 maggio 2017 ; Delpino-Pezzano, Manuale di Diritto Penale, Parte speciale, Napoli, 2015; Epidendio, “Terrorismo internazionale e attività di “intelligence'': nuove frontiere e nuovi problemi del diritto penale”, in Corr. merito 2006, 11; Farini-Trinci, Diritto Penale - Parte Speciale, Roma, 2015; Flora, Profili penali del terrorismo internazionale: tra delirio di onnipotenza e sindrome di autocastrazione, in Riv. it. dir. proc. pen. 2008, fasc. 1; Garofalo – Loprieno, “Attività di stampo terroristico, le direttive UE e il processo penale nell’ambito delle politiche di contrasto”, in IlPenalista.it, 17 novembre 2016; Marinucci, Soggettivismo e oggettivismo nel diritto penale: uno schizzo dogmatico e politico-criminale, in Riv. it. dir. proc. pen. 2011, 1; Messina-Spinnato, “Manuale breve Diritto Penale”, Milano, 2018; Munari, La nuova pirateria e il diritto internazionale. Spunti per una riflessione, in Riv. dir. internaz. 2009, 2; Viganò, Terrorismo di matrice islamico-fondamentalistica e art. 270-bis c.p. nella recente esperienza giurisprudenziale, in Cass. pen. 2007, fasc. 10. |