Codice Penale art. 378 - Favoreggiamento personale.Favoreggiamento personale. [I]. Chiunque, dopo che fu commesso un delitto per il quale la legge stabilisce [la pena di morte o] (1) l'ergastolo o la reclusione, e fuori dei casi di concorso nel medesimo [110], aiuta taluno a eludere le investigazioni dell'Autorità, comprese quelle svolte da organi della Corte penale internazionale, o a sottrarsi alle ricerche effettuate dai medesimi soggetti [418], è punito con la reclusione fino a quattro anni (2) (3). [II]. Quando il delitto commesso è quello previsto dall'articolo 416-bis, si applica, in ogni caso, la pena della reclusione non inferiore a due anni (3) (4). [III]. Se si tratta di delitti per i quali la legge stabilisce una pena diversa [307], ovvero di contravvenzioni, la pena è della multa fino a 516 euro (3). [IV]. Le disposizioni di questo articolo si applicano anche quando la persona aiutata non è imputabile [88, 97, 98] o risulta che non ha commesso il delitto [379, 384]. (1) Per l'abolizione della pena di morte v. sub art. 9. (2) L'art. 10, l. 20 dicembre 2012, n. 237, ha inserito, dopo le parole «investigazioni dell'autorità,» le parole: «comprese quelle svolte da organi della Corte penale internazionale,» e ha sostituito alle parole: «o a sottrarsi alle ricerche di questa», le parole : «o a sottrarsi alle ricerche effettuate dai medesimi soggetti». (3) Per l'aumento delle pene, qualora il fatto sia commesso da persona sottoposta a misura di prevenzione, v. art. 71, d.lg. 6 settembre 2011, n. 159, che ha sostituito l'art. 7 1 l. 31 maggio 1965, n. 575. (4) Comma inserito dall'art. 2 l. 13 settembre 1982, n. 646. competenza: Trib. monocratico arresto: facoltativo (primo e secondo comma); non consentito (terzo comma e ipotesi di cui all'art. 381, comma 4-bis, c.p.p.) fermo: non consentito custodia cautelare in carcere: consentita (secondo comma); non consentita (primo e terzo comma) altre misure cautelari personali: consentite (primo e secondo comma); non consentite (terzo comma) procedibilità: d'ufficio InquadramentoIl reato di favoreggiamento personale persegue la finalità di evitare che vengano frapposti ostacoli di qualsiasi tipo alle indagini ovvero alla ricerca dei soggetti latitanti. Interesse tutelato è, quindi, quello della Amministrazione della giustizia. I due fondamentali presupposti del favoreggiamento sono che: a) deve essere stato già commesso un reato; b) a questo reato il soggetto che tiene la condotta di ostacolo alle indagini non ha concorso. Come meglio si chiarirà, il reato presupposto deve essere un reato effettivo poiché la tutela delle indagini non è tutela dell'esercizio in sé dell'autorità ma tutela dell'esigenza di giustizia di perseguire i reati. Ne consegue, altresì, che il reato sussiste anche quando si accerti che il soggetto favorito non lo abbia commesso (Cass. VI n. 53593/2014). Invero in dottrina (Antolisei) si nota che l'interesse della giustizia è leso anche se le indagini riguardano un caso in cui poi viene esclusa la sussistenza del reato ma che una diversa interpretazione è impedita dalla lettera della norma che fa chiaro riferimento ad un reato effettivo (“ dopo che fu commesso un delitto”). Favoreggiamento e concorso nel reato L'attività di favoreggiamento può ben confondersi con quella di concorso laddove la condotta materiale vada ad incidere sulla esecuzione del reato; ciò avviene in particolare in riferimento ai reati permanenti. La regola generale per distinguere le due ipotesi è che si deve fare riferimento all'elemento psicologico: vi è concorso nel reato presupposto se l'agente non si limiti ad aiutare taluno a eludere le investigazioni dell'autorità ma si adoperi volontariamente, in rapporto di causalità con l'evento, per la sua realizzazione (Cass. VI n. 1325/1998). Si vedano dopo gli argomenti in tema di reato permanente e reati associativi. I soggettiIl reato è di tipo comune, potendo essere commesso da “chiunque”. Il soggetto favorito è colui che è sottoposto ad indagini e/o ricercato per un reato, non rilevando, come già detto, che sia effettivamente colpevole. Se il reato è commesso “da persona sottoposta con provvedimento definitivo ad una misura di prevenzione personale durante il periodo previsto di applicazione e sino a tre anni dal momento in cui ne è cessata l'esecuzione”, la pena è aumentata da un terzo alla metà (circostanza aggravante di cui all'art. 71 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione). MaterialitàIl reato presupposto Si è già detto che la norma presuppone che sia stato commesso un reato, quindi la mancanza di prove o anche la semplice insufficienza circa la sussistenza oggettiva del reato presupposto esclude la configurabilità del favoreggiamento (Cass. VI n. 8937/2015); ciò che rileva è l'esistenza oggettiva e non la sua effettiva punibilità che non sia ragione per non procedere ad indagini, per cui il reato sussiste anche se operi una qualsiasi causa soggettiva di non punibilità. Ad es. è stata ritenuta irrilevante la non punibilità ai sensi dell'art. 649 (Cass. VI n. 45313/2015) perché anche in questa ipotesi il comportamento del reo finisce per intralciare comunque il corso dell'attività giudiziaria (Cass. VI n. 784/2012). Il favoreggiamento andrà invece escluso in presenza di cause oggettive di non punibilità, scriminanti, assenza di condizioni di procedibilità, reato già estinto prima della presunta condotta di favoreggiamento. Quindi se, come detto, non rileva se il favorito risulti poi responsabile o meno, venendo assolto per non avere commesso il fatto (Cass. n. 30855/ 2014), è invece rilevante l'accertamento della obiettiva insussistenza del reato presupposto; per questa ragione, ad es., è stato escluso il reato in un caso di assoluzione per il reato presupposto «perché il fatto non sussiste» (Cass. VI n. 6751/2013). Si veda poi, in tema di questioni processuali, la riconosciuta possibilità di revisione della condanna per favoreggiamento quando intervengano determinate sentenze di assoluzione per il reato presupposto. Aiuto ad eludere le investigazioni Innanzitutto va precisato che non è necessario deviare indagini già in atto ma integra il reato anche la condotta tenuta a fronte di uno “stato di cose che faccia apparire probabile l'inizio delle indagini”. Poi, che l’ambito della “attività investigativa” comprende anche la selezione del materiale probatorio ai fini della decisione finale (Cass. V, n. 18110/2018). Va poi definita la condotta di aiuto richiesto per la configurazione del reato; il reato è a forma libera e, quindi, si realizza con qualsiasi condotta, anche omissiva come il silenzio, la reticenza (Cass. VI, n. 30349/2013), il rifiuto di fornire notizie, idonea ad ottenere il risultato di consentire all'autore di un delitto di eludere le investigazioni dell'autorità (Cass. VI, n. 29144/2015), anche solo in modo limitato o temporaneo. Non può, invece, riconoscersi valore di favoreggiamento alla mancata denuncia da parte del privato, che non vi è obbligato. Difatti l'azione, come meglio si dirà a proposito dell'elemento soggettivo, deve avere una specifica finalità, non potendosi riconoscere che una azione, pur se diversamente finalizzata, debba essere ritenuta integrare favoreggiamento solo perché, obiettivamente, si risolve in vantaggio del reo. Ciò, appunto, vale per la mancata denuncia ed anche per il rifiuto di offrire notizie da parte della vittima timorosa di ritorsioni. Per tali ragioni, si è detto che non integra il delitto di favoreggiamento personale non solo la mera omissione di denuncia di reato, ma anche quella obbligatoria, se ha finalità diverse dal favorire il reo: peraltro, si è anche precisato che se l'omissione di denunzia è penalmente sanzionata ai sensi dell'art. 361, tale norma, per il principio di specialità, assorbe il reato di favoreggiamento (Cass. VI, n. 15923/2013). In dottrina si rileva il rischio di introdurre, in modo indiretto, sanzioni per la falsità e/o reticenza nelle dichiarazioni alla polizia giudiziaria che, invece, l'art. 372 e l'art. 371-bis hanno volutamente lasciato fuori dell'area del punibile. Sanzionare delle condotte di mero silenzio che non costituiscono un vero e proprio sviamento e, che non sono di per sé doverose, finisce per introdurre una sorta di posizione di garanzia che nella legge non vi è (Fiandaca Musco). Materialità ed efficacia della condotta di favoreggiamento La peculiarità della condotta di favoreggiamento è stata indicata nella sua obiettiva funzione di favorire l'elusione delle indagini o la sottrazione alla cattura. Tale funzione, peraltro, va valutata anche solo in termini potenziali non essendo necessario, una volta dimostrata l'obiettiva idoneità allo sviamento delle indagini, dimostrare che il risultato sia stato raggiunto (Cass. VI, n. 53593/2014; Cass. VI, n. 13143/2022). Turbamento che consiste in qualunque ostacolo, anche limitato o temporaneo, che provochi un'alterazione del contesto all'interno del quale le investigazioni erano in corso o si sarebbero potute svolgere (Cass. VI, n. 18155/2012). La condotta punibile deve consistere in un aiuto specifico e concreto non potendosi ritenere sanzionate condotte prive di materialità quali lo scambio di informazioni (chiaramente non informazioni sul contenuto di atti segreti del procedimento) o il consiglio di tacere su ciò che si sa o di cambiare la propria scheda telefonica etc. (Cass. VI, n. 18164/2012; Cass. VI, n. 18125/2019). La regola della forma libera e dell'idoneità di qualsiasi azione obiettivamente finalizzata fa però ritenere necessario apprezzare le particolari condizioni del caso concreto; questo ha fatto ritenere che anche un “consiglio” (alla parte offesa a tacere), a fronte di particolari condizioni di fatto, può assumere una adeguata materialità per integrare il reato, come è stato ritenuto in un caso di condanna di un parroco che interveniva sulla famiglia del minore infradecenne vittima di abusi perché omettesse la denuncia, in tale modo cercando di evitare l'avvio di indagini (Cass. VI, n. 16391/2013). Si noti, a conferma di quel che si è detto, come in questo caso la condotta di favoreggiamento ricorreva pur se non vi era ancora stato avvio delle indagini. L'efficacia dell'azione va comunque considerata su di un piano potenziale, in quanto non è necessario che la condotta abbia realmente raggiunto lo scopo di intralciare le investigazioni, ben potendo essere acquisiti altri elementi probatori (Cass.VI, n. 13086/2014). Il limite è, invece, ravvisato nella ipotesi in cui il fatto sia già pienamente provato, risultando in questo caso esclusa ogni possibile efficacia della condotta anche solo su di un piano astratto (Cass. VI, n. 51029/2013). Elemento psicologicoPer la sussistenza dell'elemento soggettivo è sufficiente il dolo generico che consiste nella consapevolezza dell'agente di fuorviare le ricerche poste in essere nei confronti del latitante, nella ragionevole consapevolezza dell'apprezzabilità del proprio contributo conoscendo il reato presupposto e fuori dai casi di concorso in esso (Cass. n. 31750/2012). Si è però già chiarito che, per la qualifica della azione come di favoreggiamento, è necessario che l' azione abbia l'obiettivo di carattere di favorire colui che sia sottoposto a tali investigazioni o ricerche; questo fa escludere che integri il reato una condotta che, pur se obiettivamente utile all'indagato/ricercato, sia però mirata al conseguimento di interessi propri. Si tratta di una situazione che è stata considerata in relazione ai rapporti tra imprenditori estorti e criminalità organizzata, in cui soggetti che avevano accettato di scendere a patti e fare da “cerniera” nei rapporti avevano agito essenzialmente al fine di assicurare la tranquillità delle proprie imprese, così escludendosi la sussistenza del reato (Cass. fer, n. 38236/2004). In modo simile, è stata negata la sussistenza del reato in un caso in cui l'agente di polizia aveva omesso una denuncia obbligatoria ma al fine di evitare di riferire di avere ceduto ad una estorsione (Cass. VI, n. 15923/2013). Consumazione e tentativoIl tentativo è configurabile solo nell'ipotesi in cui si pongano in essere atti preparatori, in sé univocamente idonei a concretizzare l'aiuto, ma l'attività a ciò diretta non sia attuata neppure in parte per ragioni indipendenti dalla volontà dell'agente (Cass. VI, n. 6662/2016). Forme di manifestazioneAggravante del favoreggiamento del reato di associazione mafiosa La circostanza del secondo comma, che si applica nell'ipotesi in cui il reato presupposto sia l'associazione mafiosa, ha natura oggettiva, conseguentemente essa sussiste per il solo fatto che il soggetto favorito abbia fatto parte dell'organizzazione criminosa e non occorre la prova che l'attività di favoreggiamento sia volta ad agevolare il sodalizio (Cass. VI, n. 51670/2014). È, però, necessaria la prova della consapevolezza dell'agente della natura del delitto presupposto (Cass. VI, n. 35237/2013). Il frequente problema applicativo che ricorre quando il reato favorito sia l'associazione mafiosa riguarda il rapporto con l'aggravante di cui all' 416-bis.1 - per la possibilità che la condotta sia (anche) finalizzata ad avvantaggiare l'associazione mafiosa. Tale aggravante, applicata alla pena base, porta ad una pena edittale finale di molto superiore a quella del secondo comma (che, invero, opera innalzando esclusivamente la pena minima). In giurisprudenza si è ritenuto che tale aggravante possa essere ritenuta qualora l'agente favorisca la latitanza del capo clan in un ambito territoriale in cui si può presumere la sua notoria conoscenza (Cass. VI, 23241/2021Cass. 32386/2019); tale protezione costituisce oggettivamente un aiuto all'associazione contro il danno dell'arresto del (o di un) suo dirigente e tali stesse condizioni oggettive dimostrano il consapevole aiuto prestato all'associazione (Cass. II, n. 37762/2016). Si veda anche oltre, in tema di reati permanenti e reati associativi. Ipotesi attenuata (delitti puniti con pena pecuniaria e contravvenzioni) L'attenuante è applicabile per i delitti la cui pena edittale è esclusivamente pecuniaria, per cui non ricorre quando la pena edittale sia alternativa, pur se venga applicata in concreto solo quella pecuniaria (Cass. n. 49239/2012); a tale conclusione si giunge agevolmente in base alla lettera della disposizione. Stato di necessità; cure sanitarie Al reato di favoreggiamento è applicabile la particolare esimente di cui all'art. 384, al cui commento si rinvia. Al di fuori dell'ambito di applicazione dell'ipotesi di cui all'art 384, l'esimente dello stato di necessità viene spesso prospettata in relazione al reato di favoreggiamento personale in casi in cui si assume che la condotta favorevole al responsabile del reato presupposto sia resa necessaria da obiettive condizioni di rischio personale nel tenere una condotta diversa e collaborativa con la giustizia. Se anche si è ritenuta corretta la valutazione della sussistenza di simili condizioni, si è però chiarito che la parte non possa essere esentata da responsabilità laddove si limiti ad addure il generico timore di ipotetiche rappresaglie (Cass. VI n. 18155/2012). Se, poi, la condotta di obiettivo favoreggiamento sia posta in essere dalla vittima del reato presupposto, con negazione del fatto o della indicazione dei responsabili, la questione non andrà posta, in base a quanto già detto, in termini di “stato di necessità” ma in termini di finalizzazione o meno dell'azione; se questa sia funzionale ad esigenze della parte che sia vittima del reato presupposto, non avrà le caratteristiche obiettive del favoreggiamento punibile. Altra questione frequente e che trova spesso soluzione sotto il profilo dello stato di necessità, riguarda il rapporto tra l'attività dell'esercente la professione sanitaria in favore del latitante o del responsabile del reato presupposto ed atti che in vario modo possono presentarsi quale favoreggiamento: tipicamente si tratta di attività (medica) prestata nei confronti del latitante che ne abbia effettiva necessità ovvero attività di pronto soccorso non redigendo referti etc. Quale regola generale, si è ovviamente escluso ogni rilievo in sé alle cure sanitarie prestate, perché è dovere del medico prestare comunque le cure appropriate a chi ne abbia urgente necessità. Quindi non può dar luogo alla configurabilità del reato di favoreggiamento personale la condotta del sanitario il quale si limiti a prestare la propria opera a pazienti che versano in situazioni di conclamata illegalità, ancorché ciò permetta nei fatti l'insorgenza di ostacoli alla loro individuazione. Si rammenta anche che la stessa disposizione che impone l'obbligo di referto esenta da sanzione colui che non lo rediga per evitare il rischio di sottoposizione dell'assistito a procedimento penale. Il discorso cambia se, nella condotta del medico, si ravvisa un quid pluris rispetto a ciò che è funzionale alla diagnosi e alla terapia e che si traduce in un ausilio al paziente onde consentirgli di sottrarsi alle ricerche o alle indagini, sempre che, ovviamente, possa affermarsi la sussistenza dell'elemento soggettivo, Cass. VI, n. 38281/2015; Cass. VI, n. 35785/2020. Con riferimento alle cure in favore del latitante, si è affermato che integra il favoreggiamento la condotta del medico che per recarsi dal latitante, assuma a questo scopo cautele utili a preservare gli accorgimenti adottati dall'interessato per sottrarsi alle forze di polizia (Cass. V n. 11879/2013). Altro aspetto riguarda le condotte accessorie alla prestazione medica, in ordine alla documentazione della stessa, ovvero la mancata registrazione della visita o la mancata predisposizione del referto (al di fuori dei casi in cui il medico non è obbligato a redigerlo). Anche in questo caso si deve considerare se si sia nell'ambito di un obbligo giuridico di attivarsi in modo da essere significativa una condotta omissiva strumentale a eludere le ricerche o le investigazioni. Mentre, quindi, è stato escluso che la semplice mancata registrazione della visita sia condotta finalizzata, anche solo oggettivamente, alle elusione delle indagini ed alla protezione della latitanza, (Cass. VI n. 26910/2005), sono state individuate alcune attività che qualificano la condotta come di favoreggiamento: è il caso del sanitario che ometteva la compilazione dellla cartella clinica nei confronti di una persona, implicata in una rapina, e si era attivato nella ricerca di un radiologo e di una clinica privata in cui ricoverare il paziente, escludendo i pubblici ospedali (Cass. VI n. 4069/1983), ovvero il caso del sanitario che aveva compilato, intestandola a falso nome, la cartella clinica concernente l'intervento operatorio eseguito in favore del ricercato (Cass. VI, n. 5446/1985) ovvero il caso del sanitario che richiedeva gli accertamenti diagnostici a proprio nome (Cass. VI, n. 12281/2016). Inesigibilità della condotta Nella decisione Cass. VI n. 6654/2016, nel particolare caso dei tecnici chiamati a riparare gli impianti elettrici della casa e della autovettura che l'indagato sapeva essere alterati nel funzionamento per la installazione di microspie, si è affermato che l'attività di riparazione rientrava nel “lecito perimetro della loro attività professionale” ed erano condotte inesigibili sia il rifiuto dell'intervento tecnico che l'effettuazione dello stesso riparando l'impianto ma lasciando le microspie. Attività dei difensori; diritto di difesa Nella casistica si pone frequentemente anche il tema dei limiti di esercizio dell'attività del difensore quando, non apparendo con immediatezza che si tratti dell’ordinario esercizio della difesa tecnica, abbia una obiettiva attitudine elusiva delle indagini. Ovviamente non si pone problema del ricorrere il reato quando il difensore promuova autentiche falsità ed inquini le prove, come nel caso in cui proponga ad un dichiarante di modificare la versione dei fatti resa alla polizia giudiziaria (Cass. VI, n. 20813/2010). Più ampio, invece, il ventaglio di ipotesi in relazione al dare informazioni utili a sfuggire alle misure cautelari. Innanzitutto va chiarito che non è tutelata l'attività di avvocato in sé, bensì l'attività svolta nei confronti del soggetto assistito. Per cui certamente integra il reato di favoreggiamento la condotta del difensore che fornisca a persone da lui non difese notizie assunte in virtù del proprio mandato espletato in favore di altro assistito, e che devono rimanere riservate ed al fine di aiutarle ad eludere le investigazioni in corso (Cass. III n. 16789/2014), dovendosi però fare la importante precisazione che il “cliente” può essere tale anche in assenza di uno specifico mandato in relazione ad un determinato procedimento, soprattutto a fronte di una generica conoscenza di possibile sottoposizione ad indagini e di stabile rapporto di assistenza (Cass. I n. 11547/2005) essendo in questo caso lecito comunicare notizie assunte nel corso della propria attività professionale. La questione si sposta, poi, sulla tipologia e modalità di acquisizione delle notizie; tipicamente si pone in riferimento alla possibile applicazione di misure cautelari. Se, ovviamente, è del tutto lecito che il difensore rappresenti all'assistito la probabilità di emissione della misura cautelare sulla scorta della propria esperienza, le cose cambiano se la notizia sia stata da lui acquisita in concreto e riportata all'interessato, in tale modo messo in grado di sfuggire alla cattura. Mentre, quindi, si è escluso che sia illecito comunicare la notizia appresa per puro caso perché erano stati erroneamente ostentati i dati da un addetto degli uffici giudiziari (Cass. VI n. 20813/2010), si è ritenuto che integri il favoreggiamento il fornire la notizia, utile alla elusione delle indagini od alla latitanza, acquisita in ragione di legami di amicizia e di favori reciproci tra il difensore ed un esponente delle forze dell'ordine (Cass. VI n. 35327/2013). Concorso nel reato, reato permanente e favoreggiamento della associazione per delinquere Sopra è stata indicata la regola in tema di distinzione tra concorso nel reato e favoreggiamento. La differenza tra le due ipotesi è particolarmente complessa nel caso dei reati permanenti e, in particolare, dei reati associativi ai quali si aggiunge anche la figura del concorso esterno nel reato associativo che tende particolarmente a confondersi con il favoreggiamento. La difficoltà di configurare in tali casi il favoreggiamento è evidente dalla lettura della giurisprudenza che, in alcuni casi, ha negato in radice la possibilità del favoreggiamento nei reati permanenti in corso di esecuzione (Cass. II, n. 282/2022Cass. III, n. 364/2020); con riferimento al particolare caso della detenzione di stupefacenti, si è sostenuto che qualsiasi agevolazione del colpevole, prima che la sua condotta sia cessata, si risolve inevitabilmente in un concorso, quanto meno a carattere morale (Cass. S.U., n. 36258/2012; Cass. VI, n. 2668/2017) e che il favoreggiamento personale richiede che il soggetto attivo non sia stato affatto coinvolto, né oggettivamente né soggettivamente, nella realizzazione del reato presupposto (Cass. II, n. 18376/2013). In altri casi, invece, si è affermato che il favoreggiamento è ipotesi non da escludersi per il reato permanente, purché non si tratti di una condotta che consista di fatto in un incoraggiamento o in un sostegno alla prosecuzione dell'attività delittuosa che rappresenterebbe, se efficace, una ipotesi di concorso (Cass. VI, n. 27720/2013). In tale diversa prospettiva, nel caso degli stupefacenti, si è sostenuto che sia possibile configurare il favoreggiamento nel caso di intervento per impedire la scoperta della sostanza; il discrimine tra concorso e favoreggiamento va ricercato nella intenzione dell'agente (Cass. IV, n. 6128/2018; Cass. IV, 28890/2019). Con riferimento al caso del delitto di partecipazione mafiosa si è affermato che la sua distinzione da quello di favoreggiamento consiste nel fatto che nel primo il soggetto interagisce organicamente e sistematicamente con gli associati quale elemento della struttura organizzativa del sodalizio criminoso, anche al fine di depistare le indagini della polizia volte a reprimere l'attività dell'associazione o a perseguirne i partecipi, mentre nel secondo egli aiuta in maniera episodica un associato, resosi autore di reati, rientranti o meno nell'attività prevista dal vincolo associativo, ad eludere le investigazioni della polizia o a sottrarsi alla ricerche di questa (Cass. VI, n. 15668/2011). Confermandosi quindi il presupposto che il favoreggiamento non possa che consistere nell'aiuto a carattere episodico in favore di singoli soggetti (Cass. I, n. 33243/2013), è stata qualificata come concorso esterno in associazione mafiosa la condotta dell'appartenente alla polizia giudiziaria che fornisca ai capi della banda notizie su indagini in corso ed iniziative di polizia in danno degli affiliati (Cass. VI, n. 11898/2013); la condotta del dipendente della banca che informava i vertici della associazione mafiosa delle indagini bancarie della GdF (Cass. V, n. 22582/2012); la condotta di chi aveva locato immobili destinati a base logistica ed a nascondiglio di strumenti utilizzati per la esecuzione dei delitti, ad un gruppo criminale (stavolta non mafioso) dedito alla perpetrazione di rapine, mantenendo siffatta disponibilità nei confronti del sodalizio per ogni occorrenza (Cass. VI, n. 3756/2014). Principi simili sono stati affermati anche per la frequente ipotesi di soggetti che forniscano aiuto ad elementi di vertice delle bande nel corso della latitanza: si è ritenuto integrare il delitto di partecipazione ad associazione mafiosa, e non quelli meno gravi di assistenza agli associati o di favoreggiamento personale, la condotta di colui che curi sotto il profilo logistico la latitanza del capo del sodalizio, assicurandogli nel contempo di mantenere contatti in maniera stabile con gli altri associati e di continuare a dirigere l'associazione (Cass. VI, n. 5909/2012). Se, invece, l'attività sia stata limitata alla protezione della latitanza del capo ricorrerà il favoreggiamento aggravato dalla finalità di avvantaggiare la banda mafiosa di appartenenza (Cass. V, n. 6199/2011). Stupefacenti La già citata sentenza Cass. S.U., n. 36258/2012, nell'affermare la tendenziale impossibilità di configurare il favoreggiamento e non il concorso ex art. 110 nel caso di ausilio a reati permanenti la cui condotta non sia cessata, ha ritenuto che vi sia concorso in una condotta di ausilio al possessore di una partita di droga per la quale venga offerto un nascondiglio (ma si veda anche la già citata Cass. IV, n. 6128/2018). Il tema del rapporto con il favoreggiamento si pone, invece, in relazione alle condotte utili a non fare scoprire lo spacciatore o a non fornire elementi determinanti a suo carico. In particolare, la condotta di favoreggiamento è stata riconosciuta a carico dell'acquirente di stupefacente per uso personale che, sentito come persona informata dei fatti, si rifiuti di fornire alla P.G. informazioni sulle persone da cui ha ricevuto la droga. Si tratta, peraltro, di una tipica ipotesi in cui può ricorrere l'esimente prevista dall'art. 384, comma 1, laddove il fornire le informazioni richieste possa comportare il danno consistente nell'applicazione delle misure previste dall'art. 75 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 a carico del tossicodipendente (Cass. S.U., n. 21832/2007; Cass. VI, n. 1176/2022); esimente che, evidentemente, non opera se la segnalazione sia già stata fatta e di ciò il dichiarante sia consapevole (Cass. VI, n. 12934/2015). Varie le interpretazioni di circostanze di fatto che riguardano il particolare rapporto tra consumatore/acquirente di droga e lo spacciatore: In applicazione del principio che l'idoneità della condotta a intralciare il corso della giustizia deve essere apprezzata sotto un profilo oggettivo, si è ritenuto che non possa affermarsi apoditticamente, che sia idonea a provocare intralcio una menzogna dell'acquirente per uso personale circa l'acquisto della droga, quando risulti che a carico dello spacciatore stesso erano già state acquisite prove, tali da consentire l'immediato sequestro della droga (Cass. VI, n. 51029/2013). È stato, invece, ritenuto il favoreggiamento, nella condotta di inghiottire la bustina dello stupefacente appena comprato dallo spacciatore. Rapporto con altri reati Innanzitutto si rileva come vi sia concorso formale tra il favoreggiamento e la procurata inosservanza di pena (art. 390) in tutte quelle situazioni in cui il soggetto favorito rivesta contemporaneamente la qualità di condannato in via definitiva e di persona sottoposta ad indagini (Cass. VI, n. 33868/2015). Rispetto al reato di cui all'art. 418 (assistenza agli associati, espressamente punibile solo quando il fatto non integri il favoreggiamento), il discrimine consiste nella esistenza di indagini e ricerche in atto che fonda il favoreggiamento (Cass. VI, n. 17065/2012). Il reato in esame è assorbito da quello di cui all'art. 371-bis (Cass. VI, n. 44698/2019). Come già detto, la mera omissione di una denunzia non costituisce reato di favoreggiamento, in quanto tale condotta, non sussistendo per il cittadino alcun obbligo di denunzia ma piena libertà al riguardo, non è di per sé mirata ad aiutare il reo ad eludere le indagini. Peraltro anche quando l'omissione di denunzia sia penalmente sanzionata ai sensi dell'art. 361, la condotta non può dirsi di per sé mirata all'aiuto e comunque ove in concreto lo fosse, l'art. 361 c.p. per il principio di specialità prevarrebbe sul disposto dell'art. 378 (Cass. VI, n. 15923/2013). L'omissione di denuncia obbligatoria può, invece, costituire il reato di favoreggiamento quando sia parte della condotta volutamente mirata ad aiutare il reo (Cass. VI, n. 36494/2011). Ed in un simile caso la condotta di favoreggiamento che comprende anche l'omessa denuncia di reato da parte del pubblico ufficiale (e non si esaurisce in essa come nel caso sopra indicato) comporta che la fattispecie di cui all'art. 361 risulti assorbita in quella dell'art. 378 (Cass. VI, n. 29836/2012). I reati di favoreggiamento e di falsa testimonianza possono concorrere così come i reati di favoreggiamento e di dichiarazioni false rese alla polizia giudiziaria o al p.m. in quanto violano obbiettività giuridiche differenti, poste a tutela dell'amministrazione della giustizia all'accertamento e alla repressione dei reati nel favoreggiamento e alla veridicità e completezza della testimonianza o della informazione negli altri reati (Cass. VI n. 43103/2011). In modo simile il delitto di calunnia concorre con il favoreggiamento personale nella condotta di colui che accusi falsamente taluno di aver commesso un reato al fine di sviare le indagini dal vero autore dello stesso (Cass. VI, n. 18082/2011). Il delitto di favoreggiamento concorre con il delitto di resistenza a pubblico ufficiale nel caso in cui l'aiuto al ricercato si risolva nell'uso della violenza o minaccia al pubblico ufficiale, poiché, con lo stesso comportamento, vengono violati interessi giuridici diversi (Cass. VI, n. 32852/2009); concorre anche con il reato di corruzione propria e quello di favoreggiamento personale, posto che le rispettive fattispecie incriminatrici tutelano beni diversi, quali sono l'imparzialità ed il buon andamento della pubblica amministrazione per un verso, e il buon funzionamento dell'attività giudiziaria per l'altro. (Cass. VI, n. 1252/2003). Ricorre concorso di reati anche in relazione al reato di rivelazione di segreto ex art. 326 quando questo sia volto a favorire un soggetto nei cui confronti siano in corso o anche siano imminenti indagini (Cass. VI, n. 16148/2012). Autofavoreggiamento Discende dalle regole anzidette che non è punibile il favoreggiamento di sé stesso. Ciò comporta che la punibilità per il favoreggiamento del terzo è esclusa quando questo sia l'unico mezzo per l'auto favoreggiamento (Cass. VI n. 2007/1992). CasisticaOltre ai casi già sopra indicati, in giurisprudenza se ne rilevano numerosi altri che appaiono significativi: Presta aiuto idoneo a eludere le investigazioni circa gli autori di un furto, chi, sentito dai Carabinieri, nega falsamente che la merce sia arrivata, così sviando le indagini verso altre ipotesi tra cui quella del coinvolgimento del corriere (Cass VI, n. 34102/2011); costituisce aiuto rilevante fornire al ricercato un luogo di stabile dimora, ignoto e non agevolmente rinvenibile alle forze dell'ordine (Cass. VI, n. 31750/2015); nonché l'aiuto (avvertimento della presenza di agenti della polizia) prestato al soggetto che ha violato la sorveglianza speciale con l'obbligo di soggiorno (Cass. VI, n. 31959/2013); l'aver contribuito alla realizzazione di un bunker in favore di un soggetto latitante investito di un ruolo apicale all'interno di un sodalizio di tipo mafioso (Cass. VI n. 9989/2015). È stata ritenuta condotta di favoreggiamento la minuziosa e ripetuta ispezione di uno studio legale, per dare certezza ai favoriti della esistenza all'interno del detto studio di una microspia idonea alla registrazione delle conversazioni e nell'individuare il punto esatto in cui la stessa era stata celata (Cass. VI n. 24535/2015). Costituisce favoreggiamento la condotta dell'ex vigile urbano ausiliario che aveva avvisato l'autore di lavori edilizi abusivi del sopraggiungere di un controllo del Comune e della P.G. nel cantiere (Cass. VI n. 43774/2008); la condotta di un ufficiale della Guardia di Finanza che, su richiesta di un politico, disponga il trasferimento di un ufficiale della polizia giudiziaria che sta conducendo indagini di vasta portata in materia di fatturazione per operazioni inesistenti (reato presupposto) e ciò allo scopo di intralciare le indagini in corso nei confronti di un industriale e di evidenziare le protezioni che l'industriale poteva vantare (Cass. VI n. 37384/2003). Profili processualiLa necessità che “esista” il reato presupposto comporta che la sentenza di condanna per favoreggiamento deve essere revocata se, per il reato presupposto, intervenga una assoluzione «perché il fatto non sussiste». Si realizza, difatti, una situazione di incompatibilità tra i fatti stabiliti a fondamento delle due sentenze, come tale rilevante a norma dell'art. 630, comma 1, lett. a), c.p.p. e che, quindi, consente il giudizio di revisione. Il principio è stato affermato in tema di favoreggiamento reale ma è chiaramente riferibile anche al favoreggiamento personale (Cass. I n. 35419/2014). Gli istituti Il reato in esame è procedibile d'ufficio ed è di competenza del tribunale monocratico; è prevista la citazione diretta a giudizio. Nel caso del terzo comma può essere emesso il decreto penale. Per i primi due commi: l'arresto in flagranza è consentito ed è consentita l'applicazione delle misure cautelari personali. Nell'ipotesi attenuata del secondo comma possono essere applicate misure diverse dalla custodia in carcere solo nell'ipotesi di arresto in flagranza (art. 391, comma 5, c.p.p.) BibliografiaBorrelli, Contiguità mafiosa e delitti di favoreggiamento dopo la sentenza «Carnevale» (Nota a Cass., sez. V, 3 settembre 2004, Iovino), in Cass. pen., 2005, 2252; Cauteruccio, Il reato di favoreggiamento del difensore, in Riv. pen., 2012, 25; Costantini, Il favoreggiamento personale del difensore, in Giur. mer., 2010, 193; Gallo, Brevi note a margine degli art. 110, 416, 416 bis, 378, 379 c.p., in Indice pen., 2016, 685; Genovese, Le informazioni reticenti dell'acquirente di modifiche quantità di sostanze stupefacenti, in Dir. pen. e proc., 2008, 1042; Giannelli e Maglio, Elementi comuni e differenziali tra il delitto di favoreggiamento personale e quello di favoreggiamento reale, in Riv. pen., 2012, 357; Iadecola, Cura del latitante e favoreggiamento personale - L'esercizio della medicina tra la protezione della salute e il non intralcio - ed anzi la collaborazione - con la giustizia penale (Nota a Cass., sez. VI, 5 aprile 2005, Di Fina), in Cass. pen., 2006, 1798; Lepera, Il consiglio a non presentare una denuncia non integra il reato di favoreggiamento personale (Nota a Cass. pen., sez. VI, 21 marzo 2013, n. 16391, Fusta), in Cass. pen., 2013, 3973; Li Vecchi, Favoreggiamento personale, reale o concorso esterno in associazione mafiosa? - Un nodo gordiano tuttora insoluto, in Riv. pen., 2005, 785; Lottini, Il favoreggiamento dell'acquirente di modeste quantità di sostanza stupefacente (Nota a Cass., sez. un., 22 febbraio 2007, Morea), in Dir. pen. e proc., 2008, 349; Marini, Favoreggiamento personale e reale, in Nss. d. I.; Mezza, La corte di cassazione estende l’applicabilità dell’art. 384 c.p. al convivente more uxorio - E la riforma sulle unioni civili? (Nota a Cass. pen., sez. II, 30 aprile 2015, n. 34147), in Riv. nel diritto, 2016, 891; Padovani, Favoreggiamento, in Enc. giur. Treccani; Parodi, Ancora sul favoreggiamento del medico (Nota a Cass., sez. VI, 16 maggio 2002, Giampiero), in Dir. pen. e proc., 2002, 1497; Pisa, Favoreggiamento personale e reale, in D.I.; Rinaldini, Il favoreggiamento personale, Padova, 2005; Rossi Vannini, Favoreggiamento personale e reale [aggiornamento-2000], in D.I.; Zanotti, Sul problematico rapporto tra favoreggiamento personale e diritto di difesa, Critica del diritto, 2005, 276. |