Codice Penale art. 577 - Altre circostanze aggravanti. Ergastolo 1 .

Maria Teresa Trapasso

Altre circostanze aggravanti. Ergastolo 1.

[I]. Si applica la pena dell'ergastolo [289-bis3, 6303] se il fatto preveduto dall'articolo 575 è commesso:

1) contro l'ascendente o il discendente anche per effetto di adozione di minorenne o contro il coniuge, anche legalmente separato, contro l'altra parte dell'unione civile o  contro la persona stabilmente convivente con il colpevole o ad esso legata da relazione affettiva [540; 75 c.c.]2;

2) col mezzo di sostanze venefiche, ovvero con un altro mezzo insidioso;

3) con premeditazione;

4) col concorso di talune delle circostanze indicate nei numeri 1 e 4 dell'articolo 61.

[II]. La pena è della reclusione da ventiquattro a trenta anni, se il fatto è commesso contro il coniuge divorziato, l'altra parte dell'unione civile, ove cessata, la persona legata al colpevole da stabile convivenza o relazione affettiva, ove cessate, il fratello o la sorella [540] l'adottante o l'adottato nei casi regolati dal titolo VIII del libro primo del codice civile, il padre o la madre adottivi, o il figlio adottivo [291-309 c.c.], o contro un affine [78 c.c.] in linea retta [5822]3.

[III]. Le circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli articoli 62, numero 1, 89, 98 e 114, concorrenti con le circostanze aggravanti di cui al primo comma, numero 1, e al secondo comma, non possono essere ritenute prevalenti rispetto a queste4.

 

[1] Per ulteriori ipotesi di aumento di pena v. art. 71 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 relativo al caso che il fatto sia stato commesso da persona sottoposta a misura di prevenzione, nonché art. 36 l. 5 febbraio 1992, n. 104 e art. 1, l. 25 marzo 1985, n. 107.

[2] Le parole «anche per effetto di adozione di minorenne» sono state inserite e le parole «o contro la persona stabilmente convivente con il colpevole o ad esso legata da relazione affettiva» sono state sostituite alle parole «o contro la persona legata al colpevole da relazione affettiva e con esso stabilmente convivente» dall'art. 11, comma 1, lett. a), l. 19 luglio 2019, n. 69, in vigore dal 9 agosto 2019. Precedentemente il presente numero è stato modificato dall'art. 2, comma 1, lett. a), l. 11 gennaio 2018, n. 4, che, dopo le parole «il discendente» ha aggiunto le seguenti parole: «o contro il coniuge, anche legalmente separato, contro l'altra parte dell'unione civile o contro la persona legata al colpevole da relazione affettiva e con esso stabilmente convivente». Vedi, inoltre, quanto disposto, dagli articoli 9 e 13, l. 11 gennaio 2018, n. 4.

[3] Le parole «la persona legata al colpevole da stabile convivenza o relazione affettiva, ove cessate,» e le parole «l'adottante o l'adottato nei casi regolati dal titolo VIII del libro primo del codice civile,» sono state aggiunte dall'art. 11, comma 1, lett. b), l. 19 luglio 2019, n. 69, in vigore dal 9 agosto 2019.  Precedentemente il presente comma è stato modificato dall'art. 2, comma 1, lett. b), l. 11 gennaio 2018, n. 4, che, dopo le parole: «il coniuge» ha inserito le seguenti: «divorziato, l'altra parte dell'unione civile, ove cessata».

[4] Comma aggiunto dall'art. 11, comma 1, lett. c), l. 19 luglio 2019, n. 69, in vigore dal 9 agosto 2019. La Corte cost., con sentenza 30 ottobre 2023, n. 197, ha dichiarato  l’illegittimità costituzionale del presente comma, nella parte in cui vieta al giudice di ritenere prevalenti le circostanze attenuanti di cui agli artt. 62, primo comma, numero 2), e 62-bis cod. pen.

Inquadramento

Perché l'aggravante trovi applicazione è necessario che il soggetto si rappresenti il vincolo di parentela che intercorre con il soggetto passivo. Quanto all'estensibilità ai concorrenti, nel caso di esecuzione plurisoggettiva della fattispecie, la giurisprudenza l'ha ammessa, ove il rapporto che lega l'offensore all'offeso sia conosciuto o ignorato per colpa (benché, si precisa, si tratti di circostanze soggettive, ex art. 70, comma 1, n. 2, Cass. I, n. 297/1991).

Con riguardo al figlio naturale, la giurisprudenza ha ritenuto configurabile l'aggravante in commento nel caso di figlio naturale del soggetto attivo (Cass. I, n. 15023/2004).

Si è affermata la compatibilità tra l'aggravante in commento e quella di cui all'art. 61 n. 11, concernente il c.d. abuso di autorità: questa ha infatti natura “oggettiva” e consiste in una relazione di fatto tra l'imputato e la parte offesa che agevola la commissione del delitto; mentre quella di cui all'art. 577, comma 1, n. 1, è di natura “soggettiva” ed incentrata esclusivamente sul legame genitoriale (Cass. I, n. 6587/2010).

L'art. 577 è stato interessato da interventi modificativi operati dalla legge n. 69/2019, c.d. Codice rosso, la quale ha previsto da un lato, l'ampliamento ad ipotesi prima non previste dell'aggravante in parola; dall'altro, una deroga all'operatività del principio del bilanciamento delle circostanze di segno opposto. Con riguardo al primo degli interventi segnalati, l'art.11 della legge di modifica estende l'applicazione dell'aggravante in commento ai discendenti per effetto di adozione (di minorenne), con riguardo al comma 1, n.1 ed alla persona legata al colpevole da stabile convivenza o relazione affettiva (ove cessate), aggiunte al secondo comma.

 La Corte costituzionale, con sentenza n. 197/2023, ha dichiarato  l’illegittimità costituzionale dell’art. 577, comma 3, c.p.., nella parte in cui vieta al giudice di ritenere prevalenti le circostanze attenuanti di cui agli artt. 62, primo comma, numero 2), e 62-bis c.p.. In tale sede si è ritenuto come il divieto di applicare le diminuzioni di pena previste dalla circostanza della “provocazione” (art. 62, comma 1, n. 2) e dalle c.d. “attenuanti generiche” (art. 62 bis c.p.) nei casi di omicidi commessi in contesti familiari o parafamiliari, contrasti con i principi di “parità di trattamento” di fronte alla legge, di “proporzionalità” e “individualizzazione” della pena, di cui agli artt. 3 e 27 Cost.. La Corte sottolinea la coerenza della decisione rispetto alle finalità del c.d. Codice rosso, osservando come l’assolutezza del divieto potrebbe comportare risultati contraddittori rispetto allo scopo della norma, in quanto finirebbe per applicare pene manifestamente eccessive in situazioni nelle quali “è proprio la persona vulnerabile, vittima di reiterati  comportamenti aggressivi all’interno del contesto familiare a compiere alla fine un atto omicida, sospinta dall’esasperazione per una situazione percepita come non più tollerabile” (§ 5.6)

Con riferimento al concorso di circostanze, l'intento di impedire una riduzione eccessiva della pena nelle ipotesi descritte ha indotto il legislatore a stabilire una deroga al criterio dell'ordinaria bilanciabilità delle circostanze di segno diverso, sottraendo le attenuanti di cui agli artt. 62, n. 1 cp (“l'aver agito per motivi di particolare valore morale o sociale”), 89 (“vizio parziale di mente”), 98 (relativo all'imputabilità dei minori degli anni diciotto), 114 (il c.d. contributo di minima importanza), all'eventuale giudizio di prevalenza con le aggravanti di cui al primo comma, n, 1, della norma in commento.

Con riguardo ai profili processuali, si è intervenuti inserendo talune ipotesi di cui all'articolo in commento, tra quelle per le quali è prevista una disciplina particolare con riguardo all'obbligo di riferire le notizie di reato, l'assunzione delle informazioni dalla persona offesa, le attività delegate dalla polizia giudiziaria.

L'uso di sostanze venefiche o di mezzi insidiosi (comma 1, n. 2)

A proposito delle sostanze venefiche — da intendersi quali sostanze pericolose per la vita o l'incolumità personale — si è affermato come non sia necessario che le stesse siano state causa esclusiva della morte, ritenendosi sufficiente che la loro somministrazione abbia agevolato, innescandolo, il processo causale determinante il decesso della vittima (Cass. I, n. 15860/2014). Si è tuttavia precisato come l'aggravante dell'uso delle sostanze venefiche (così come per l'ipotesi riguardante il mezzo insidioso), ricorra solo quando essa provochi direttamente la morte, e non quando costituisca un mera modalità dell'azione (es. sostanza utilizzata per assopire la vittima, ponendola in condizioni di non poter utilmente reagire, Cass. I, n. 65/1993; Cass. I, n. 6165/2020; Cass. I, n. 39762/2021). Quanto alla nozione di mezzo insidioso, è considerato tale quello che per la sua natura ingannevole o per il modo o le circostanze che ne accompagnano l'uso, reca in se un pericolo nascosto, tale da sorprendere l'attenzione della vittima e rendere ad essa impossibile o più difficile la difesa (Cass. V, n. 2925/2008; Cass. II, n. 29921/2002).

La premeditazione (comma 1, n. 3)

Superata l'idea della riconducibilità del contenuto della premeditazione alla “fredda lucidità” (Cass. I, n. 8375/1992), si ritiene che essa concerna esclusivamente la durata e la stabilità di un proposito omicida delineato con sufficienza (Pulitanò, 58), e sia pertanto indice di un dolo particolarmente intenso. In particolare si richiama il c.d. dolo di proposito, caratterizzato dalla persistenza e dalla intensità del proposito criminoso, che spiega la ratio dell'aggravamento di pena (in tal senso se ne esclude la compatibilità con il dolo eventuale, Fiandaca-Musco, I, 17, affermata invece con riguardo aldolo alternativo, Cass. I, n. 16711/2014 e confermata in sede di legittimità con  recente sentenza, Cass. I, n.  29013/2021).

La sua configurabilità viene ricollegata alla presenza di due elementi: l'uno cronologico, consistente in un apprezzabile intervallo di tempo tra risoluzione ed azione (sufficiente a far riflettere sulla decisione e consentire il recesso dal proposito criminoso); l'altro, ideologico, consistente nel perdurare nell'animo del soggetto di una risoluzione ferma e irrevocabile (Cass. V, n. 26406/2014; Cass. S.U., n. 337/2008). Spetta al giudice il compito di valutare se, alla luce dei mezzi impiegati e delle modalità della condotta, tale lasso di tempo sia stato sufficiente a far riflettere l'agente sulla grave decisione adottata e a consentire l'attivazione di motivi inibitori di quelli a delinquere (la S.C. ha escluso la configurabilità dell'aggravante in relazione all'omicidio consumato in un contesto di atti persecutori e al termine di un serrato susseguirsi di contatti tra la vittima ed il reo, culminati con l'insorgenza del proposito omicidiario, collocata con certezza solo un'ora prima della consumazione del delitto, spazio temporale ritenuto dalla Corte sintomatico di sola preordinazione del reato, Cass. I, n. 574/2020).

La mera preordinazione del delitto, intesa quale apprestamento dei mezzi minimi necessari all’esecuzione, non è sufficiente ad integrare la premeditazione, richiedendosi la persistenza costante ed il radicamento nella psiche del reo, del proposito omicida, Cass. I, n. 5147/ 2015).

Con riguardo alla quantificazione dell'intervallo di tempo, si è osservato come la sua consistenza minima non possa essere in astratto rigidamente quantificata, ma debba risultare in concreto sufficiente a far riflettere l'agente sulla decisione presa ed a consentire il prevalere dei motivi inibitori su quelli a delinquere (Cass. V, n. 18460/2016; Cass. I, n. 7970/2007). L'occasionalità della consumazione del delitto non necessariamente esclude la configurabilità dell'aggravante in commento, quando sia dimostrata la persistenza del proposito criminoso (Cass. V, n. 42576/2015).

Indici sintomatici della ricorrenza della premeditazione: l'anticipata manifestazione del proposito delittuoso (Cass. I, n. 1910/1996); l'affidamento dell'incarico ad altro soggetto (Cass. I, n. 1061/1988); l'agguato (Cass. I, n. 864/2015; si è precisato tuttavia come, benché l'agguato sia in astratto indice di premeditazione, in quanto sinonimo di imboscata o di insidia preordinata, ciò non esima il giudice dal verificare il riscontro degli elementi — cronologico ed ideologico- caratterizzanti la premeditazione, esclusi nell'ipotesi di avvistamento casuale della vittima, o nel caso di agguato frutto di iniziativa estemporanea, Cass. V, n. 26406/2014). Di particolare rilievo, per la configurabilità della premeditazione, l'accertamento del movente, ritenuto elemento indiziante (Cass. I, n. 5147/ 2015, benché, si precisa, non sufficiente da solo ad integrarla).  Nel caso in cui l'attuazione del proposito criminoso sia condizionata al mancato verificarsi di un avvenimento ad opera della vittima (c.d. premeditazione condizionata, Cass. I, n. 42051/2014; Cass. I, n. 32746/2020), la giurisprudenza riconosce la configurabilità dell'aggravante in commento ove il proposito criminoso si concreti in una risoluzione ferma e precisa, e la condizione appaia come un avvenimento previsto atto a sospendere con efficacia risolutiva la decisione presa (Cass. I, n. 19974/2013; Cass. II, n. 2611/1993).

Circa i rapporti della premeditazione con l'attenuante della provocazione, si registrano posizioni diverse: in via astratta si è esclusa l'incompatibilità (Cass. I, n. 7472/1984; Cass. I, n. 4194/1985); si è tuttavia affermata la necessità di una sua valutazione in concreto, avuto cioè riguardo alle modalità del caso, come nel caso in cui sia presente l'elemento “non necessario”, della “freddezza d'animo” (Cass. V, n. 714/1985). In sede di legittimità se ne è affermata la ricorrenza nell'ipotesi di reazione iraconda del soggetto agente ad un fatto ingiusto altrui protratto nel tempo (Cass. I, n. 35957/2004). La compatibilità è stata affermata nella forma c.d. "per accumulo", in cui lo "stato d'ira", presupposto dell'attenuante, assume una caratteristica di "alterazione prolungata" non incompatibile, in presenza di un fattore scatenante, con una carica volontaristica di intensità tale da determinare il riconoscimento della premeditazione (Cass. I, n. 35512/2019).

La compatibilità tra il vizio parziale di mente e la premeditazione è attualmente oggetto di interpretazione sostanzialmente concordante in senso affermativo; si è infatti osservato come si tratti di istituti che operano su piani distinti: l'aggravante, sul piano del dolo; il vizio parziale di mente, su quello dell'imputabilità (necessitando tuttavia che il giudice accerti che la condizione psicologia dell'agente sia tale da consentire il riscontro dell'elemento psicologico della premeditazione, Cass. I, n. 5015/1987). Il limite all'asserita compatibilità è rappresentato dall'ipotesi in cui la premeditazione sia effetto patologico del vizio parziale di mente (Pulitanò, 58): nel senso che la malattia, che determina la diminuzione della imputabilità, incida sul processo intellettivo e volitivo, tanto da identificarsi con esso (Cass. I, n. 8771/1992); in particolare, laddove il proposito criminoso coincida con un'idea fissa ossessiva facente parte del quadro sintomatologico di quella determinata infermità (Cass. I, n. 36323/2022).

 In sede di legittimità si è precisato come, nell’ipotesi di accertato grave disturbo della personalità, collegato funzionalmente all’agire, e tale da incidere sulla capacità di volere, facendola scemare grandemente, l’accertamento della premeditazione richieda un approfondito esame delle emergenze processuali, che porti ad escludere con assoluta certezza, che la persistenza del proposito criminoso sia stata concretamente influenzata da uno degli aspetti patologici correlati alla formazione o alla persistenza della volontà criminosa (Cass. I, n. 17606/ 2016).

Concorso di persone. La comunicabilità dell'aggravante della premeditazione ai concorrenti registra soluzioni diverse; l'art. 118, così come modificato dalla l. n. 19/1990, imporrebbe l'esclusione dell'estensione dell'aggravante, concernendo essa l'“intensità del dolo”, ed essendo quindi applicabile solo alle persone cui si riferisce (Pulitanò, 58).

La giurisprudenza prevalente invece, in senso opposto a quello appena descritto, estende l’applicazione ai concorrenti, condizionata alla prova della consapevolezza dell’altrui premeditazione (Cass. I, n. 40237/2007; Cass. VI, n. 56956/2017 che la estende al concorrente che non abbia partecipato all'originaria deliberazione volitiva, qualora questi ne abbia acquisito piena consapevolezza precedentemente al suo contributo all'evento ed a tale distanza di tempo da consentire che la maturazione del proposito criminoso prevalga sui motivi inibitori)Si esclude l’estensione nella sola ipotesi di concorso anomalo, in ragione dell’assenza del dolo rispetto al reato diverso, Cass. I, n. 12875/2009).

L'aver commesso il fatto per motivi abietti o futili, sevizie e crudeltà (comma 1, n. 4)

Motivi abietti o futili

Per motivo abietto si intende un motivo che trae origine dalla particolare malvagità dell'agente e, come tale, ripugna al sentimento morale collettivo (Cass. I, n. 12930/1980); la nozione di motivo futile viene fatta consistere in una determinazione criminosa indotta da uno stimolo esterno di tale “levità, banalità e sproporzione”, rispetto alla gravità del reato, da apparire secondo il comune sentire assolutamente insufficiente a provocare l'azione criminosa, potendosi piuttosto considerare come un mero pretesto per lo sfogo di un impulso violento (Cass. V, n. 41052/2014). Tratto caratterizzante di esso è dunque la sproporzione tra “movente” e “azione delittuosa” (Cass. I, n. 19925/2014). L'accertamento della circostanza in commento, dovendo svolgersi con metodo bifasico, richiede la duplice verifica del dato oggettivo, costituito dalla sproporzione tra il reato concretamente realizzato e il motivo che lo ha determinato e del dato soggettivo, costituito dalla possibilità di connotare detta sproporzione quale espressione di un moto interiore assolutamente ingiustificato, tale da configurare lo stimolo esterno come mero pretesto per lo sfogo di un impulso criminale. (Fattispecie relativa alle lesioni aggravate procurate alla vittima con un pugno, a seguito della spinta che l'agente asseriva di aver ricevuto nel contesto di una partita amatoriale di calcetto, Cass. V, n. 45138/2019).

Il motivo abietto non si identifica nel fine di commettere un altro reato e può concorrere con l'aggravante del nesso teleologico quando gli elementi costitutivi di quest'ultima consentano di qualificare come abietto il movente del reato mezzo. (Cass. I, n. 7918/2022).

La natura di circostanza soggettiva non ne preclude l'estensione al concorrente che, attraverso il proprio contributo, abbia dato adesione alla realizzazione del reato rappresentandosi la condotta realizzata dall'autore materiale del reato, e facendo propria anche la sua intensità del dolo (Cass. I, n. 6775/2005). Con riguardo alla compatibilità tra l'aggravante in commento e la seminfermità mentale, si è osservato come tali istituti operino su piani diversi, in quanto la seminfermità attiene all'imputabilità, mentre l'aggravante dei motivi abietti o futili, al dolo (alla sua intensità, sotto il profilo dell'abnormità del movente): il seminfermo può valutare l'eventuale abnormità o futilità del movente, salvo che esso non sia espressione della stessa infermità (Cass. I, n. 3732/1985, Cass. I, n. 10435/1984). Il cosiddetto dolo d'impeto è compatibile con la circostanza aggravante dei motivi abietti e futili. (Fattispecie in tema di omicidio volontario, Cass. I, n. 12930/2019).

La gelosia può integrare l'aggravante dei motivi abietti o futili, quando sia connotata non solo dall'abnormità dello stimolo possessivo verso la vittima od un terzo che appaia ad essa legata, ma anche nei casi in cui sia espressione di spirito punitivo, innescato da reazioni emotive aberranti a comportamenti della vittima percepiti dall'agente come atti di insubordinazione (Cass. I, n. 49673/2019).

L'aver adoperato sevizie o agito con crudeltà verso le persone

Si tratta di un’aggravante di natura soggettiva, caratterizzata da una condotta eccedente rispetto alla normalità causale (Cass. S.U., n. 40516/ 2016, in tale sede è stato precisato come per “sevizie” debba intendersi una condotta studiata e specificamente finalizzata a cagionare sofferenze ulteriori e gratuite, rispetto alla “normalità causale del delitto perpetrato; mentre si ha “crudeltà” quando l’inflizione di un male aggiuntivo, denotante la spietatezza della volontà illecita manifestata dall’agente, non è frutto di una sua scelta operativa preordinata), il cui  fondamento della circostanza è stato ravvisato nell'esigenza di punire più severamente l'agente in ragione della sua volontà di infliggere sofferenze aggiuntive rispetto a quelle ordinariamente implicate dalla produzione dell'evento (non configurano la predetta aggravante gli elementi di disvalore di per se insiti nel finalismo omicidiario, come il numero di colpi inferti o l'aver abbandonato la vittima in uno stato di agonia, Cass. I, n. 8163/2015; si ritiene tuttavia come la reiterazione dei colpi — di coltello - integri l'aggravante della crudeltà, ove essi, per il numero dei colpi inferti, non sia solo funzionale al delitto, ma costituisca espressione della volontà di infliggere alla vittima sofferenze che esulano dal normale processo di causazione dell'evento, Cass. I, n. 27163/2013). Si ritiene necessario che il reo agisca con la coscienza e volontà di infliggere alla vittima sofferenze aggiuntive rispetto al normale processo di causazione della morte (Cass. I, n. 19966/2013). È irrilevante che la vittima abbia potuto o meno percepire l'afflittività di tutti gli atti di crudeltà (Cass. I, n. 16473/2006); si è tuttavia precisato come l'aggravante si configuri finché il soggetto passivo sia vivo: intervenuta la morte, gli atti di crudeltà compiuti contro le sue spoglie possono integrare un reato diverso, non l'aggravante (Cass. I, n. 35187/2002).

Il vizio parziale di mente esclude la configurabilità dell'aggravante quando la condotta inumana e crudele sia l'effetto della riscontrata malattia (Cass. I, n. 20995/2011).

Si è affermato come l'aggravante in commento, implicando l'intenzionalità della condotta, non sia estensibile al “concorrente anomalo” (Cass. I, n. 9883/2010).

L'aver commesso il fatto in danno di prossimi congiunti (art. 577, comma 2)

L'ipotesi viene definita come “parricidio improprio”, avendo ad oggetto soggetti passivi “prossimi congiunti”, legati da vincoli di sangue meno stretti o non di sangue (Mantovani, 106).

L'aggravante, nel caso specifico riguardante il rapporto di coniugio, viene riconosciuta anche nel caso di separazione legale tra coniugi  (da ultimo, Cass. V, n. 13273/2020); si è infatti osservato come l'eliminazione di taluni obblighi (quale quello della coabitazione), non faccia venir meno lo status di coniuge, con i corrispondenti obblighi ad esso afferenti (status che viene meno solo con lo scioglimento del matrimonio, Cass. I, n. 7198/2011; Cass. I, n. 53/1985).

Si esclude l'applicazione dell'aggravante nel caso di persona unita da matrimonio religioso non trascritto o da matrimonio annullato o sciolto (Mantovani, 106).L'introduzione dell'art. 574 ter, con cui l'ordinamento ha esteso il termine “matrimonio” anche alla costituzione di un'unione civile tra persone dello stesso sesso, consente di riconoscere la qualità di “coniuge” anche ai soggetti parte di questa unione (d.lgs. n. 6 del 19 gennaio 2017, art. 1, comma 1, lett. b).

La giurisprudenza ha ritenuto altresì compatibile l'aggravante di cui all'art. 61 n. 11 (abuso di relazioni domestiche), con la previsione in commento, sulla base del diverso fondamento oggettivo e della diversa ratio: la prima, di natura oggettiva, consistente in una relazione di fatto tra l'imputato e la persona offesa che agevola la commissione del reato; la seconda, di natura soggettiva, incentrata sul vincolo coniugale, a prescindere dall'eventuale coabitazione (Cass. I, n. 5378/1990). Nel caso di uccisione del patrigno, l'aggravante trova applicazione anche nel caso in cui la madre dell'uccisore non sia più viva: la limitazione di cui all'ultimo comma dell'art. 307, non trova infatti applicazione laddove non riprodotta nelle disposizioni che richiamano espressamente determinati vincoli di parentela (Cass. V, n. 11254/1982).

Casistica

Integra la circostanza dei motivi abietti il fine di conseguire nel territorio un incontrastato controllo criminale in vista dello sfruttamento illecito dello stesso attraverso ulteriori attività delinquenziali di tipo mafioso (Uff. ind. prel. Napoli, 2275/2014). È stata riconosciuta l'aggravante della crudeltà nei confronti dell'imputato che adoperando un ventilatore e soprattutto le assi chiodate di una cassetta di legno, colpiva più volte la vittima mentre questa giaceva riversa sul letto incapace di reagire, e le provocava gravi lesioni consistite un plurimi traumi fratturativi (Cass. I, n. 48829/2014). È stata riconosciuta l'aggravante della premeditazione nel tentato omicidio commesso dall'imputato in danno di una donna, essendosi accertato che l'imputato ne aveva programmato l'omicidio per il caso in cui la vittima, di cui si era invaghito, si fosse rifiutata di fuggire con lui, Cass. I, n. 28795/2013). Con riferimento alla componente cronologica della premeditazione, la S.C. ha cassato la decisione dei giudici di merito che non avevano spiegato in modo adeguato perché avessero ritenuto che l'ora intercorsa tra gli insulti della vicina alla moglie dell'imputato e il tentativo di omicidio ai danni della vittima fosse un tempo sufficiente ad integrare l'elemento cronologico della premeditazione (Cass. I, n. 18922/2013). È stata ritenuta configurabile la premeditazione (nella forma c.d. condizionata), a proposito di un omicidio programmato per il caso in cui la vittima avesse ribadito il rifiuto di riallacciare il rapporto di convivenza con il reo (Cass. I, n. 19974/2013). 

Il mandato a uccidere affidato dal soggetto apicale di un'associazione mafiosa a taluni affiliati, con delega all'organizzazione del delitto e alla scelta dei tempi e dei modi per la sua esecuzione, ove non sia modificato nel tempo l'ordine impartito, è idoneo a integrare gli elementi costitutivi, cronologico e ideologico, della circostanza aggravante (Cass.I, n. 28567/2022).

Profili processuali

Per la configurabilità dell'aggravante dei motivi abietti o futili occorre che il movente del reato sia identificato con certezza, non potendo l'ambiguità probatoria sul punto ritorcersi a danno dell'imputato (Cass. I, n. 45326/2008). Ai fini dell'accertamento penale, i fatti che integrano circostanze aggravanti, pur accedendo al fatto reato al cui titolo vengono riferiti, non si sottraggono alla regola dell'art. 187 c.p.p., come fatti secondari che incidono direttamente sulla pena, e quindi alla regole di valutazione stabilite nell'art. 192 c.p.p. (Cass. V, n. 41322/2006).

Il delitto punibile con la pena dell'ergastolo, commesso prima della modifica dell'art 157 (l. n. 251/2005), è imprescrittibile, pur in presenza del riconoscimento della circostanza attenuante da cui derivi l'applicazione della pena detentiva temporanea (Cass. S.U., n. 19756/ 2015).

Ai fini della determinazione della pena per il delitto tentato aggravato, occorre: a) individuare preliminarmente la cornice edittale relativa alla fattispecie consumata, tenendo conto di tutte le circostanze aggravanti ritenute nella fattispecie concreta; b) determinare, in relazione a questa, la cornice edittale del delitto circostanziato tentato applicando l'art. 56 c.p.; c) commisurare, entro tale ultima cornice edittale, la pena da irrogare in concreto, specificando la pena base e gli aumenti applicati per ciascuna circostanza aggravante (Cass.I, n. 7557/2021).

Relativamente agli interventi modificativi operati dalla l. n. 69/2019 concernenti le disposizioni processuali, si segnala come le previsioni di cui all'art. 577, comma 1, n. 1, e comma 2, cp siano state incluse nel testo dell' art. 64 bis (Norme di attuazione del codice di procedura penale ), introdotto dalla legge c.d. Codice rosso, tra le ipotesi in cui, in sede di decisione dei procedimenti di separazione personale dei coniugi e delle cause relative ai figli minori o all'esercizio della potestà genitoriale, è previsto l' obbligo di trasmissione senza ritardo al giudice procedente della copia delle ordinanze con cui si applicano misure cautelari personali o se ne dispone la sostituzione o la revoca, dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, del provvedimento con il quale è disposta l'archiviazione e della sentenza emessa nei confronti di una delle due parti.

La volontà del legislatore di impedire attraverso la presunzione assoluta di urgenza, che il decorso del tempo determini un aggravamento delle conseguenze dannose o pericolose del reato, lo ha indotto altresì a modificare l'art. 347, comma 3, c.p.p., estendendo alle ipotesi di cui all'art. 577, comma 1, n.1, e comma 2, il regime speciale di cui all'art. 407, comma 2, a), nn.1-6, c.p.p. che impone alla polizia giudiziaria di comunicare al PM le notizie di reato immediatamente, anche in forma orale (art. 1, legge c.d. Codice rosso). Si tratta di un intervento normativo che si iscrive coerentemente nell'ambito delle indicazioni provenienti dalla Direttiva 2012/29/UE, il cui proponimento è quello di garantire la rapida instaurazione del procedimento per pervenire il più rapidamente possibile all'adozione di provvedimenti protettivi e di “non avvicinamento”.

L' ipotesi di cui all'art. 577, comma 1, n.1, e comma 2, c.p., rientra nel novero dei casi per i quali l'art. 362 c.p.p. modificato(si v. art. 2, l. n. 69/2019) stabilisce per il PM l'obbligo di procedere all'assunzione delle sommarie informazioni dalla vittima del reato entro tre giorni dalla iscrizione del procedimento.

Il legislatore della riforma ha altresì provveduto ad integrare l'art. 370 c.p.p. (art. 3,  l. n. 69/2019 c.d. Codice rosso), prevedendo per la polizia giudiziaria l'obbligo di procedere senza ritardo al compimento degli atti delegati dal PM. Pari tempestività viene richiesta per la documentazione e per la messa a disposizione dell'autorità giudiziaria dei risultati compiuti.

La concessione della sospensione condizionale della pena, per le ipotesi di cui all'art. 577, comma 1, n.1, e comma 2,  è stata inoltre subordinata alla partecipazione a specifici percorsi di recupero presso enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero di soggetti condannai per i medesimi reati (si v. art. 165, modificato dall'art. 6, l. n. 69/2019 c.d. Codice rosso).

La particolare attenzione che si è voluta riservare alle persone offese, ha altresì indotto il legislatore delle legge c.d. Codice rosso a prevedere anche per il reato di cui all'art. 576, comma 1, nn. 2,5,5.1, l'effettuazione delle comunicazioni di cui all'art. 90 ter c.p.p. “Comunicazione dell'evasione e della scarcerazione”. Nel caso in cui venga disposta la scarcerazione del condannato il PM che cura l'esecuzione ne dà immediata comunicazione, a mezzo della polizia giudiziaria, alla persona offesa e, se nominato, al suo difensore (comma 1 bis, art. 659 c.p.p., introdotto dall'art. 15, comma 5, l. n. 69/2019 c.d. Codice rosso).

Bibliografia

Alibrandi, Appunti in tema di premeditazione, in Riv. pen., 1988, 150; Basile, Motivi futili ad agire: ma futili per chi quando il reato è culturalmente motivato?, in Giur. it., 2014, 978; Contieri, La premeditazione, Napoli, 1980; Parise, La premeditazione e il nuovo regime di valutazione delle circostanze aggravanti nel concorso di persone, in Cass. pen., 1996, 2940; Ragno, Premeditazione e vizio parziale di mente, Milano, 1960. V. inoltre bibliografia sub art. 576.

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