Codice Penale art. 611 - Violenza o minaccia per costringere a commettere un reato.Violenza o minaccia per costringere a commettere un reato. [I]. Chiunque usa violenza [581 2] o minaccia [612] per costringere o determinare altri a commettere un fatto costituente reato è punito con la reclusione fino a cinque anni (1). [II]. La pena è aumentata [64] se concorrono le condizioni prevedute dall'articolo 339. (1) Per l'aumento delle pene, qualora il fatto sia commesso da persona sottoposta a misura di prevenzione, v. art. 71, d.lg. 6 settembre 2011, n. 159, che ha sostituito l'art. 7 1 l. 31 maggio 1965, n. 575. Per un'ulteriore ipotesi di aumento della pena, v. art. 36 l. 5 febbraio 1992, n. 104. competenza: Trib. monocratico (udienza prelim.) arresto: facoltativo fermo: non consentito custodia cautelare in carcere: consentita altre misure cautelari personali: consentite procedibilità: d'ufficio InquadramentoCon l'art. 611 viene incriminata una forma più grave di violenza privata caratterizzata dal fine di costringere o determinare taluno alla commissione di un fatto costituente reato. L'uso dell'espressione «fatto costituente reato», invece di quella semplice di «reato», non è senza significato, avendo il legislatore posto l'accento sul «fatto» (che deve essere previsto dalla legge come reato). Non è perciò necessario secondo la giurisprudenza che l'agente sia consapevole della qualificazione giuridica del fatto (Cass. n. 9382/1993), e neppure che in concreto gli autori di esso siano imputabili o punibili o si tratti di reato non perseguibile di ufficio (Cass. n. 9436/1993). In sintesi si fa riferimento al comportamento materiale del soggetto passivo e non alla sua qualificazione giuridica; l'espressione include quindi tutti quei comportamenti astrattamente inquadrabili nei delitti e nelle contravvenzioni previste dalla legislazione penale, indipendentemente dalla loro punibilità e dalla concreta realizzazione dell' illecito cui è diretta l'attività coercitiva dell'agente. Essenziale è, però, che il fatto alla cui commissione l'agente mira sia possibile. Il bene giuridico protetto è in via principale la libertà morale del soggetto passivo, con riguardo ad una particolare più grave forma di coazione che è quella finalizzata alla commissione di un reato. La fattispecie in esame si pone in un rapporto strutturale di specialità reciproca con il reato di violenza privata, in parte per aggiunta e in parte per specificazione: l'art. 610 è speciale per aggiunta rispetto all'art. 611, perché richiede l'effettiva coartazione del soggetto passivo (mentre per l'art. 611 è sufficiente l'uso della minaccia o della violenza per costringere); ma l'art. 611 è, a sua volta, speciale per specificazione, poiché considera una forma particolare del comportamento coartato (un illecito penale), laddove l'art. 610 si riferisce genericamente a un «fare, tollerare od omettere qualche cosa» (così Padovani, 356). Soggetto attivoIl soggetto attivo può essere chiunque, si tratta quindi di un reato comune. MaterialitàIl reato ha natura plurioffensiva perché oggetto di tutela è non solo la libertà morale del coartato ma anche l'esigenza di prevenzione generale. Si configura come illecito di mera condotta in quanto non richiede la commissione del reato oggetto di costrizione o determinazione, ma è sufficiente il fatto materiale della semplice minaccia o violenza. Secondo la giurisprudenza l'impossibilità del reato per inidoneità dell'azione va guardata in relazione al reato di cui all'art. 611 e non al reato fine, non essendo, infatti, richiesto che quest'ultimo sia consumato e neppure tentato; non si pone, in particolare, un problema di un'azione idonea del reato commesso per costrizione, perché quel che conta è che la violenza o la minaccia sia idonea, nel momento in cui viene esercitata, a determinare altri a commettere un fatto costituente reato (Cass. n. 42789/2003; Cass. n. 38222/2008; Cass. n. 9931/2015; Cass. n. 34318/2015). Se a seguito della coartazione la vittima compie il reato, di quest'ultimo risponderà il coartatore in base ai principi generali in tema di concorso di persone (in concorso con il delitto di cui all'art. 611) mentre l'autore del delitto coartato ne risponderà solo se non risulteranno integrati i presupposti degli artt. 46, 54 o 86 (costringimento fisico, stato di necessità, determinazione dello stato di incapacità)" (Cass. n. 4131/1989; Cass. n. 877/2013). Per quanto concerne la distinzione tra costrizione e determinazione è opportuno ricordare che autorevole dottrina (Mantovani, op. cit. 394; Manzini, 796) la considera una mera sovrabbondanza linguistica priva di un vero e proprio significato; ciò che rileva è la situazione di coazione che le due condotte sono in grado di creare. Consumazione e tentativoLa consumazione avviene nel momento e nel luogo della consumazione della minaccia Trattasi di reato di pericolo (solo eventualmente di danno) e istantaneo. Non è ammessa la figura del tentativo, giacché, con l'uso della violenza e della minaccia, si verifica già la consumazione, indipendentemente dalla realizzazione del reato-fine (Cass. n. 4555/1997). Elemento soggettivoIl dolo richiesto è specifico, e consiste nell'intenzione di costringere il soggetto passivo a commettere un fatto previsto dalla legge come reato (per tutti, Antolisei, 149). Quindi, l'art. 611 richiede: a) la coscienza e volontà della violenza o minaccia; b) il fine di costringere o determinare altri a commettere un fatto costituente reato, a nulla rilevando trattandosi di reato di pericolo e non di danno che quel fatto venga o non venga commesso (in giurisprudenza Cass. n. 10172/2007). Per quanto riguarda la coscienza della criminosità del fatto deve ritenersi sufficiente la conoscenza di una generica valutazione in termini penalistici (Mantovani, 342) Secondo la prevalente dottrina (Fiandaca-Musco, 185; Pulitanò, 334) il dolo è escluso nel caso in cui il soggetto ritenga per errore che il fatto, alla cui commissione si vuole costringere il terzo, non costituisca reato, in quanto trattasi di errore su legge diversa da quella incriminatrice con la conseguenza che l'errore su tale norma si converte in errore sul fatto ai sensi dell'art. 47 comma 3; in tal caso sarà applicabile il reato di violenza privata. Circostanze aggravantiL'art. 611, comma 2, richiama le circostanze di cui all'art. 339, analogamente a quanto accade per la violenza privata. Il reato è altresì aggravato se commesso da persona sottoposta a misura di prevenzione (cfr. art. 7, l. 31 maggio 1965, n. 575). Rapporti con altri reatiIl reato previsto all'art. 336 (violenza o minaccia a pubblico ufficiale), nell'ipotesi in cui l'atto contrario ai doveri del pubblico ufficiale costituisca di per sé reato, è in rapporto di specialità con quello previsto dall'art. 611, che riguarda il compimento di un qualsiasi fatto costituente reato anche da parte di chi non possiede la qualità di pubblico ufficiale. Pertanto fra i suddetti reati non è configurabile il concorso ed è stato ritenuto che nell'ipotesi in cui la qualità di pubblico ufficiale è connessa con la funzione di testimone, il reato previsto dall'art. 611 ricorre prima dell'assunzione formale di tale funzione, che si acquista con la citazione, indipendentemente dalla prestazione del giuramento (Cass. n. 8412/1989), e si conserva finché il processo non esaurisce definitivamente il suo corso, anche dopo che ha termine la deposizione, in quanto il teste già sentito può essere nuovamente escusso nella stessa fase o in quella successiva del processo (Cass. n. 15789/2005). Nella sentenza Cass. n. 4932/2006 è stato ritenuto sussistente il reato previsto dall'art. 611 in luogo di quello originariamente contestato di minaccia a pubblico ufficiale (art. 336) in assenza di certezza dell'avvenuta assunzione formale della qualità di testimone in seguito a regolare citazione. È stato ritenuto configurabile il concorso formale tra la minaccia messa in opera per costringere taluno a rendere falsa testimonianza e la partecipazione soggettiva nel delitto previsto dall'art. 372 commesso dal soggetto minacciato (Cass. n. 25711/2003; Cass. n. 9921/2012). Tra la fattispecie di cui all'art. 611 e quella di cui all'art. 629, nella forma consumata o tentata, non sussiste alcun rapporto di specialità che si presenti riconducibile alla nozione accolta nell'art. 15, in quanto — a parte la diversità di beni giuridici tutelati dalle due fattispecie — nel primo reato la condotta presa in considerazione dalla legge è quella diretta a costringere altri a commettere un reato, mentre nel secondo reato la condotta incriminata è quella diretta a conseguire — in coerenza con la natura di reato contro il patrimonio che è propria della figura dell'estorsione — un ingiusto profitto con altrui danno patrimoniale, sicché si riscontra in ciascuna delle due ipotesi criminose una diversità di condotte finalistiche, una diversità di beni aggrediti ed una diversità di attività materiali che non lascia sussistere tra esse quella relazione di omogeneità che le rende riconducibili ad unum nella figura del reato speciale ex art. 15 (in tal senso in giurisprudenza Cass. n. 40837/2008: fattispecie in cui è stato affermato il concorso formale dei due reati, con riguardo a reiterate minacce di morte alla persona offesa dirette a costringerla alla consegna, per mezzo della simulazione di una rapina ai suoi danni, di due autocisterne di sua proprietà e sottoposte a sequestro dalla Guardia di Finanza; Cass. II, n. 2709/1997). Il reato di violenza o minaccia per costringere a commettere un reato, commesso in danno di persona in condizione analoga alla schiavitù per indurla a perpetrare furti, concorre con i reati di riduzione in schiavitù e di alienazione e acquisto di schiavi di cui agli art. 600 e 602, dovendosi escludere che si versi in una ipotesi di reato complesso o progressivo. (Cass. n. 3909/1990; Cass. n. 30570/2011). CasisticaLa condotta del marito che, con violenza e minaccia, costringa la moglie ad interrompere la gravidanza è stata ritenuta integrare il delitto di aborto procurato e non quello meno grave previsto dall'art. 611, atteso che l'interruzione della gravidanza da parte della donna non è un fatto costituente reato a meno che non ricorra la speciale ipotesi di cui all'art. 19 l. n. 194/1978 (Cass. n. 8777/2013). Cass n. 4437/1992: alla vittima della concussione, verso cui venga esercitata una mera vis compulsiva, si può ugualmente attribuire il fatto reato alla cui realizzazione sia costretta o determinata, non ricorrendo le ipotesi né del costringimento fisico né dello stato di necessità da cui discende l'impunità del coartato (nella specie, la Corte di cassazione ha ritenuto non censurabile la decisione del giudice di merito che aveva condannato la vittima della concussione per il reato di concorso con i concussori nel reato di truffa aggravata). Profili processualiL'arresto è facoltativo in flagranza (art. 381). Il fermo non è consentito. Le misure cautelari sono consentite (artt. 280, 287). La procedibilità è d'ufficio. Competente è il Tribunale monocratico. BibliografiaPulitanò, L'errore di diritto nella teoria del reato, 1976. |