Codice Penale art. 623 - Rivelazione di segreti scientifici o commerciali 1 2 .

Giovanna Verga

Rivelazione di segreti scientifici o commerciali12.

[I]. Chiunque, venuto a cognizione per ragioni del suo stato o ufficio, o della sua professione o arte, di segreti commerciali o di notizie destinate a rimanere segrete, sopra scoperte o invenzioni scientifiche, li rivela o li impiega a proprio o altrui profitto, è punito con la reclusione fino a due anni.

[II]. La stessa pena si applica a chiunque, avendo acquisito in modo abusivo segreti commerciali, li rivela o li impiega a proprio o altrui profitto.

      [III]. Se il fatto relativo ai segreti commerciali è commesso tramite qualsiasi strumento informatico la pena è aumentata.

      [IV]. Il colpevole è punito a querela della persona offesa.

 

competenza: Trib. monocratico

arresto: non consentito

fermo: non consentito

custodia cautelare in carcere: non consentita

altre misure cautelari personali: non consentite

procedibilità: a querela di parte

[1] Articolo sostituito dall'art. 9, comma 2,  d.lgs. 11 maggio 2018, n. 63. Ai sensi dell'art. 9, comma 3, d.lgs. n. 63, cit.: «Ai fini dell'articolo 623 del codice penale, nel testo riformulato dal presente articolo, le notizie destinate a rimanere segrete sopra applicazioni industriali, di cui alla formulazione previgente del medesimo articolo 623, costituiscono segreti commerciali».  Il testo dell'articolo era il seguente: «Rivelazione di segreti scientifici o industriali. Chiunque, venuto a cognizione per ragione del suo stato o ufficio, o della sua professione o arte, di notizie destinate a rimanere segrete, sopra scoperte o invenzioni scientifiche, o applicazioni industriali, le rivela o le impiega a proprio o altrui profitto, è punito con la reclusione fino a due anni. Il delitto è punibile a querela della persona offesa».

[2] Per un'ipotesi di aumento della pena, v. art. 36 l. 5 febbraio 1992, n. 104.

Inquadramento

Il codice Rocco colloca il delitto di rivelazione di segreto industriale tra i delitti contro la libertà individuale e subordina la sua punibilità alla presentazione della querela da parte della persona offesa, differenziandosi dal codice Zanardelli che lo inseriva tra i reati contro la fede pubblica e lo perseguiva d'ufficio (Cocco, 434). Il mutamento di collocazione viene ascritto nella Relazione ministeriale sul Progetto del codice penale (in Lav. prep., II, Roma, 1929, 432) all'individuazione dell'interesse tutelato in quello dello scopritore o inventore ad esigere la conservazione del segreto, dunque in un interesse relativo alla libertà individuale e, più genericamente, alla persona.

Traendo spunto da questa sistemazione in dottrina si è assimilato il bene tutelato dalla norma ai beni della personalità, in particolare alla libertà fisica o morale, all'onore, alla inviolabilità del domicilio e della corrispondenza, e lo si è qualificato come libera esplicazione della personalità (e della volontà) dell'imprenditore (Albamonte, 267; Brignone, 100; contra Cocco, 261, 265) o come creazione intellettuale, espressione del lavoro in tutte le sue forme e applicazioni (Oppo, 197).

Secondo questo indirizzo l'art. 623 opera una assimilazione del segreto industriale al diritto di inedito e si estende ad ogni scoperta, invenzione, idea innovativa meritevole di tutela in quanto manifestazione dell'attività intellettiva ed espressione essenziale della personalità a prescindere da un interesse economico allo sfruttamento della stessa, la cui esigenza di tutela è riconosciuta anche dalle norme costituzionali. Tale interpretazione assegna alla norma una sfera di tutela notevolmente ampia, riguardando qualsiasi scoperta o invenzione scientifica suscettibile oppure no di applicazione industriale, rilevante oppure no da un punto di vista economico. Questa interpretazione trova conferma in quella giurisprudenza secondo cui il reato in questione tutela il bene giuridico della libertà delle attività scientifiche, tecnica, inventiva ed il conseguente diritto alla riservatezza dell'attività stessa, cui corrisponde il dovere dei terzi di non violarla (Cass. 3 giugno 1977).

Un diverso orientamento osserva come la tutela del segreto non riguarda l'inventore ma chiunque risulti legittimato allo sfruttamento economico delle invenzione in regime di segreto. Contrariamente al delitto di inedito, il segreto industriale è rivolto ad uno sfruttamento economico più redditizio della creazione intellettuale (Mazzacuva, 304.). Secondo questa impostazione la norma tutela dunque l'esercizio indisturbato dell'attività industriale in relazione a quelle nozioni tecniche che costituiscono la base vitale delle imprese, sul piano della concorrenza (Antolisei, 272). In particolare l'interesse di natura patrimoniale tutelato dalla norma rileva sotto due profili: il profitto sul piano concorrenziale conseguente allo sfruttamento delle conoscenze che devono rimanere segrete (Crespi, 37) ed il costo per l'acquisizione di suddette conoscenze in termini di ricerca nell'ambito dell'impresa o di acquisto da terzi (Cocco, 262).

Analogamente si è espressa la giurisprudenza più recente. La Suprema Corte ha affermato che il concetto di notizia destinata al segreto va elaborata sotto l'aspetto soggettivo con riferimento all'avente diritto al mantenimento del segreto stesso (titolare dell'azienda) e sotto l'aspetto oggettivo dell'interesse a che non vengano divulgate notizie attinenti ai metodi di caratterizzazione della struttura industriale (il cosiddetto know how); ne consegue che l'oggetto della tutela penale del reato in questione deve ritenersi il segreto industriale in senso lato intendendosi per tale quell'insieme di conoscenze riservate e di particolari modus operandi in grado di garantire la riduzione al minimo degli errori di progettazione e realizzazione e dunque la compressione dei tempi di produzione (Cass. V, n. 25174/2005; Cass. II, n. 2882/2003; Cass V, n. 25008/2001).

Cass. V, n. 11965/2010 ha affermato che oggetto di tutela penale è l'intero patrimonio cognitivo e organizzativo necessario per la costruzione, l'esercizio e la manutenzione di un apparato industriale.

L'art. 9, comma 2, d.lgs. n. 63/2018, che ha dato attuazione alla direttiva n. 2016/943 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'8 giugno 2016, sulla protezione del know-how riservato e delle informazioni commerciali riservate (segreti commerciali) contro l'acquisizione, l'utilizzo e la divulgazione illeciti, ha riformato l'art. 623. Procedendo a un mero raffronto comparativo tra la versione previgente e quella introdotta da questo decreto legislativo, emerge che, per quanto attiene il primo comma dell'art. 623, al di là di una mera modificazione formale nella parte iniziale di questa norma incriminatrice essendo stata sostituita la locuzione “Chiunque, venuto a cognizione per ragione del suo stato o ufficio”, con “Chiunque, venuto a cognizione per ragioni del suo stato o ufficio”, quello che maggiormente rileva è l'inserimento, tra quelle informazioni la cui rilevazione o impiego integra il presente illecito penale, anche dei segreti commerciali a loro volta definiti, dal “nuovo” art. 98, comma 1, secondo capoverso, codice  della  proprietà industriale di cui al d.lgs. n.  30/2005, introdotto dall'art. 3, comma  2, d.lgs. n. 63/2018, “le  informazioni  aziendali  e  le esperienze tecnico-industriali, comprese quelle commerciali, soggette al legittimo controllo del detentore, ove tali informazioni: a) siano segrete, nel senso che non  siano  nel  loro  insieme  o nella  precisa  configurazione  e  combinazione  dei  loro elementi generalmente note o  facilmente  accessibili  agli  esperti  ed  agli operatori del settore; b) abbiano valore economico in quanto segrete;  c) siano sottoposte, da parte  delle  persone  al  cui  legittimo controllo  sono  soggette,  a  misure  da  ritenersi  ragionevolmente adeguate a mantenerle segrete”.

La fattispecie criminosa, almeno nella sua ipotesi base, non cambia se non per l'inserimento di tale tipologia di segreti  che ha determinato un mutamento del titolo di questo delitto che non è più denominato “Rivelazione di segreti scientifici o industriali”, ma “Rivelazione di segreti  scientifici  o  commerciali”.

Altre novità, che connotano questa fattispecie di reato, riguardano l'inserimento di due ulteriori commi con i quali  è stabilito che la “stessa pena si applica a  chiunque, avendo  acquisito  in  modo abusivo segreti commerciali, li rivela o li impiega a proprio o altrui profitto” (comma 2), e che se “il fatto relativo ai segreti commerciali  è   commesso  tramite qualsiasi strumento informatico la pena e ' aumentata” (comma 3).

E' rimasta invariata la punibilità a querela.

Soggetto attivo

Il reato in esame è un reato proprio, perché ne sono autori coloro che hanno conosciuto il segreto industriale in ragione del proprio stato o ufficio, professione o arte. L'identità testuale di tale elencazione con quella contenuta nell'art. 622 fa ritenere sussistente un'identità di contenuti (Alessandri, 191; Manzini, 1037; Monaco, 2058; Mantovani, PS I, 633; Pedrazzi, 411; Petrone, 975) e, dunque, consente di rinviare per l'approfondimento al commento dell'art. 622. In questa sede va solo ricordato che la formula normativa è estremamente ampia, comprensiva di prestazioni lavorative intellettuali e manuali, effettuate con o senza vincolo di subordinazione: denominatore comune è la professionalità in senso lato del rapporto da cui discende l'acquisizione della notizia destinata a rimanere segreta (Alessandri, Riflessi, 207).

In giurisprudenza Cass. V, n. 25174/2005 fattispecie nella quale l'imputato era venuto a conoscenza per ragioni di collaborazione professionale di notizie sul prototipo di un dato dispositivo.

Secondo primo un orientamento (Bricola, Responsabilità penale per il tipo e per il modo di produzione (a proposito del «caso di Severo»), in QC, 1978, 108; Crespi, La tutela, 194; Crespi, Concorrenza sleale, 197; Mazzacuva, La tutela, 102, 160; Pisa, 5; Siniscalco, 156; Zuccalà, 191)i destinatari della norma sono unicamente i lavoratori dipendenti da intendersi in senso lato (anche l'institore, il procuratore e il dirigente d'azienda) poiché l'art. 623 sanzionerebbe la violazione di un obbligo di fedeltà a favore dell'imprenditore posto dall'art. 2105 c.c. che ne individua univocamente il destinatario nel titolare di un rapporto di lavoro subordinato (Crespi, La tutela, 193). Detta interpretazione si basa anche su una lettura a contrariis dell'art. 4, comma 3, l. 22 luglio 1961, n. 628 che stabilisce che la pena ex art. 623 si applica agli ispettori del lavoro che violino il segreto circa i processi di lavorazione ed ogni altro particolare della lavorazione stessa che abbiano compiuto nell'esercizio dei compiti istituzionali di vigilanza. È stato però osservato che quando si è voluto estendere la fattispecie penalistica a soggetti diversi dai lavoratori subordinati si è proceduto ad un espresso intervento normativo con la conseguenza che in sé considerato l'art. 623 non può applicarsi ad altri che ai dipendenti.

Di contrario avviso è la dottrina oggi dominante secondo cui la formula normativa di cui all'art. 623 è estremamente ampia, comprensiva di prestazioni lavorative intellettuali e manuali effettuate con o senza vincolo di subordinazione, avente quale unico denominatore comune la professionalità del rapporto da cui discende l'acquisizione della notizia destinata a rimanere segreta (Alessandri, 207). Vi è quindi una sostanziale identità tra soggetti attivi del reato di rivelazione di segreti professionali e di rivelazione di segreti industriali (Manzini, 1037; Picotti, 91), mentre i contenuti del dovere di segretezza di cui all'art. 623 non coincidono con quelli sanciti dall'art. 4 l. n. 628/1961 essendo questi ultimi estremamente più ampi. Il rinvio operato dall'art. 4 all'art. 623 è solo quoad poenam e le due norme restano su piani eterogenei di tutela. Analogamente sono profondamente diversi i contenuti degli obblighi di segretezza imposti dall'art. 623 e dall'art. 2105 c.c.; l'art. 2105 inibisce la divulgazione di notizie attinenti all'organizzazione aziendale, ciò che è invece indifferente ai sensi dell'art. 623 (Alessandri, 201; Cocco, 285; Mutti, 76; Picotti, 9). Conclusivamente sul piano della responsabilità penale, diversamente dalla responsabilità civile, il legislatore focalizza la sua attenzione sulla natura delle informazioni prescindendo dal rapporto di subordinazione, operando così una scelta che si giustifica in relazione alla rilevanza e spessore dei contributi tecnologici tutelati con il segreto.

Non è, dunque, dubbio che possano essere sanzionati penalmente ai sensi della fattispecie in esame soci, amministratori e liquidatori di società (Bortolotti, La tutela, 557), consulenti, periti, tecnici della manutenzione, programmatori.

Il cosiddetto spionaggio industriale, cioè il procacciamento abusivo delle notizie relativi al segreto scientifico-industriale da parte del soggetto estraneo (non è avente le qualifiche richieste dalla norma) non ricade nell'ambito applicativo dell'art. 623 a meno che non sussistano i presupposti del concorso eventuale ai sensi dell'art. 110. Al di fuori dell'ipotesi concorsuale, l'acquisizione di segreti da parte di soggetti diversi da quelli contemplati dall'articolo 623 potrebbe portare all'applicazione di talune fattispecie poste a tutela del patrimonio (ad esempio furto se la presa di cognizione avviene a seguito di impossessamento mediante sottrazione ovvero ricettazione in caso di successivo acquisto di detti oggetti) o d'altri titoli di reato quali l'art. 621, se all'apprendimento abusivo segue la rivelazione o l'impiego (Mantovani PtS 660; Alessandri, 254).

Anche il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio possono rientrare nel novero dei soggetti attivi del reato qualora la rivelazione riguarda le notizie apprese per ragioni di ufficio. Restano invece coperte dall'art. 326 le notizie d'ufficio. In sintesi l'applicabilità dell'art. 623 ai soggetti qualificati ex artt. 357 e 358 riguarda tutte le notizie apprese nello svolgimento delle loro attribuzioni ma non strettamente funzionali all'attività di ufficio in senso oggettivo (Alessandri, 212; Cocco, 291 e 315). Nell'ipotesi dell'impiego, invece prevarrà come norma speciale l'art. 325 (diversamente Mazzacuva, 176).

Parte della dottrina ritiene che tra i soggetti attivi del reato in esame può ricomprendersi anche il datore di lavoro quando non ricorrono le condizioni dell'art. 23 r.d. n. 1127/1939 ed il lavoratore dipendente gli comunichi, per l'esercizio del diritto di prelazione di cui all'art. 24 l. inv., di avere realizzato un'invenzione industriale che rientra nel campo di attività dell'azienda privata o pubblica a cui è addetto. In tal caso il datore di lavoro, ricevuta la comunicazione, è tenuto all'osservanza del segreto ed è, pertanto, considerato soggetto attivo del reato in esame (cfr. Romagnoli, 1521; Guidi, 738).

Si discute se possa rientrare tra soggetti attivi l'inventore. In senso affermativo Cocco, 289; contra Crespi, 202.

In senso contrario anche Pret. Bergamo 18 aprile 1997 che pretende invece che l'agente non abbia in alcun modo contribuito alla scoperta, ma ne abbia acquisito conoscenza esclusivamente in ragione del suo status.

Il segreto industriale

L'art. 623 prevede quale oggetto del segreto industriale le scoperte, invenzioni e applicazioni industriali, nozioni che non vengono definite nei loro contorni al punto da portare autorevole dottrina a prospettare la sussistenza di un sensibile vulnus della tassatività e determinatezza della fattispecie (Alessandri, 155; Mazzacuva, 306).

Per scoperta scientifica si intende l'acquisizione di conoscenze relative ad aspetti della realtà, prima ignoti.

Per invenzione scientifica si intende la ideazione o combinazione coordinata di dati che porta alla produzione di un risultato pratico ripetibile all'infinito (Fiandaca Musco, 274).

Per applicazioni industriali si intendono le applicazioni pratiche delle scoperte od invenzioni.

Le scoperte, le invenzioni e le applicazioni industriali per costituire oggetto di tutela non devono essere contrarie alla legge, all'ordine pubblico e al buon costume.

Parte della dottrina (Crespi, La tutela, 185; Mazzacuva, Alcune precisazioni, 308; Crespi, La tutela, 113; Rocca, 585) ritiene che scoperte ed invenzioni scientifiche debbano presentare l'ulteriore requisito della industrialità, vale a dire della suscettibilità di avere applicazione industriale, come richiede l'art. 2585 c.c. e l'art. 45 d.lgs. n. 30/2005 per la brevettabilità. Di contrario avviso (Alessandri, Riflessi, 179; Brignone, 97; Cocco, Creazioni intellettuali, 267; Picotti, 11).

In quest'ultimo senso anche la giurisprudenza che ha, di recente, evidenziato che la tutela offerta dal reato in esame non richiede la sussistenza dei presupposti per la brevettabilità ai sensi dell'art. 2585 c.c. della scoperta o dell'applicazione rivelata (Cass. V, n. 11965/2010; Cass. V, n. 25174/2005; Cass. V, 23 giugno 2000).

Circa i rapporti tra segreto scientifico-industriale brevetto è pacifico che non sono coperte da segreto le innovazioni già oggetto di brevetto, poiché questo comporta, per sua natura, la pubblicità delle stesse.

Controversia esiste altresì sui due requisiti della novità e della originalità.

La dottrina tradizionale afferma che il legislatore avrebbe semplicemente dimenticato di menzionare i requisiti di novità ed originalità, impliciti nella natura stessa della scoperta un'invenzione, la quale ove non fosse nuova non potrebbe pretendere di rimanere segreta (Manzini, 1042; Rocca, 584). La dottrina più recente ritiene sufficiente che le notizie suscettibili di tutela ex art. 623 non siano notorie e contengano in ogni caso un quid novi, certo non ai sensi del diritto brevettuale, ma in una accezione più ristretta la, relativa al punto ad una qualsiasi possibilità di applicazione industriale (Brignone, 103; Crespi, 189, Albamonte, 272).

Anche la giurisprudenza di legittimità (Cass V, n. 25008/2001; Cass. 7 febbraio 1973) sottolinea la non necessità che le applicazioni industriali siano originali o nuove. È stato infatti affermato che premesso che la novità e l'originalità delle applicazioni industriali non sono elementi essenziali ai fini della configurabilità del reato di rivelazione di segreti industriali, rientra all'interno dell'espressione di «applicazione industriale», di cui all'art. 623, il concetto di «segreto industriale in senso lato» (c.d. know how aziendale), inteso come il complesso delle informazioni industriali necessarie per la costruzione, l'esercizio e la manutenzione di un impianto.

È necessario però che si tratti di notizie non notorie (ed in tal senso possono ritenersi originali: v. Mantovani, PS I, 643), non debbono, cioè, fare parte del bagaglio culturale di base, seppur raffinato, dell'esperto del ramo oppure dell'operatore medio, bagaglio in cui sono ricomprese anche le informazioni non ancora comuni e diffuse ma effettivamente accessibili mediante ordinarie indagini e ricerche (Mantovani, PS I, 643; Alessandri, Riflessi, 162).

Ad esempio quelle individuabili dall'esame a posteriori dell'oggetto prodotto: c.d. reverse engineering (App. Milano 5 maggio 1972; Trib. Bologna 23 luglio 1980).

Tale posizione trova consenso anche in giurisprudenza (Cass. V, 3 giugno 1977; Cass. II, 7 febbraio 1973; App. Milano 10 novembre 1992; contra, da ult., Pret. Bergamo 18 aprile 1997) che esclude, comunque, che il segreto possa avere a oggetto « una res communis omnium o un'idea inventiva riferibile allo stesso soggetto interessato ma da questi precedentemente divulgata ».

Le questioni applicative di maggior rilievo si pongono per le fasi parziali di ricerca, i c.d. tours de main, il Know how, il segreto c.d. commerciale ed il software.

Per quanto riguarda le fasi parziali di ricerca non ancora sfociate in scoperte ovvero le idee inventive non ancora portate a compimento, l'opinione dottrinaria prevalente (Alessandri, 181; Mazzacuva, 115) è nel senso che siano escluse dall'ambito di tutela dell'art. 623, in quanto le notizie di cui è vietata la rivelazione o l'impiego sono solo quelle che effettivamente racchiudono i risultati della ricerca tecnologica o scientifica giunta ad un determinato livello di computezza ed organicità.

In giurisprudenza è stata ammessa la configurabilità del reato nell'ipotesi di rivelazione da parte del soggetto che ne abbia conoscenza per ragioni professionali, di notizie riguardanti le operazioni fondamentali per la realizzazione del prototipo di un determinato impianto industriale, destinate a rimanere segrete (Cass. n. 25174/2006 nella specie si trattava delle operazioni che costituiscono il cuore degli impianti di un dispositivo di filtraggio ed erano il frutto della cognizione e della organizzazione della impresa).

La giurisprudenza ha escluso dall'ambito di tutela dell'art. 623 i cosiddetti tours de main, o pratiche manuali, ossia gli accorgimenti utili alla produzione, le piccole genialità che spesso aiutano ad alleviare grandi problemi. Si tratta del cosiddetto segreto di fabbrica con tutti gli espedienti atti ad ottimizzare l'organizzazione aziendale (Pret. Monza 15 ottobre 1983 ha escluso la configurabilità del reato nel caso di un imprenditore che aveva progettato nuovi impianti avvalendosi dei ricordi di taluni dipendenti precedentemente in forza ad altra società).

La Cassazione ha esteso la tutela dell'art- 623 al know how inteso come insieme sistematico il coordinato di regole tecniche di per sé non inventive volte a governare in modo ottimale un processo industriale. Nello specifico il know how oggetto di tutela penale è costituito da qualsiasi notizia attinente a metodi di progettazione, produzione messa a punto dei beni prodotti che caratterizzano la struttura industriale, vale a dire quel patrimonio cognitivo ed organizzativo necessario per la costruzione, l'esercizio e la manutenzione di un apparato industriale. In altre parole, reputa oggetto del reato il segreto industriale in senso lato, comprensivo di quell'insieme di conoscenze riservate e di particolari modus operandi in grado di garantire la riduzione al minimo degli errori di progettazione e realizzazione e dunque la compressione dei tempi di produzione (Cass. 9 dicembre 2003; Cass. 20 giugno 2001 nella fattispecie si tratta della condotta di due ex dipendenti di una azienda operante nel settore della realizzazione di progetti software che, passando alle dipendenze di un'altra azienda, conferiscono le loro specifiche conoscenze per la realizzazione di un macchinario a «raggi x» destinato all'industria alimentare, realizzato con modalità e caratteristiche essenziali analoghe a quello prodotto nella prima.

Analogamente si esprime una parte della dottrina (Alessandri, 181; Cocco, 280; Sordelli, 93).

La giurisprudenza di merito (Trib. La Spezia 26 novembre 2007, in RP, 2008, 177), ha affermato che con l'entrata in vigore del codice della proprietà industriale (d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30) la nozione di segreto industriale ha subito una notevole riduzione, poiché l'art. 98, d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30 considera meritevoli di tutela le informazioni aziendali e le esperienze tecnico-industriali, comprese quelle commerciali, soggette al legittimo controllo del detentore, ove tali informazioni siano segrete, cioè non siano nel loro insieme o nella precisa configurazione e combinazione dei loro elementi generalmente note o facilmente accessibili agli esperti ed agli operatori del settore; abbiano valore economico in quanto segrete; e siano sottoposte misure di tutela adeguate;con la conseguenza che si escludono dalla tutela l'insieme di conoscenze riservate e i particolari «modus operandi» in grado di garantire la riduzione al minimo degli errori di progettazione e dunque la compressione dei tempi di produzione.

La dottrina ritiene escluso dalla tutela dell'art. 623 e ricomprese invece nell'ambito dell'art. 622 il cosiddetto segreto commerciale, ricomprendente l'organizzazione, i rapporti e i movimenti generali di affari della impresa, le pratiche commerciali o aventi comunque carattere negoziale. La giurisprudenza di legittimità ha riconosciuto la tutela dell'art. 623 nel caso di un impiegato di una società che aveva trasmesso per una gara d'appalto notizie segrete riguardanti la sua azienda a vantaggio della società rimaste aggiudicatarie dei lavori formulando per quest'ultima condizioni più vantaggiose di quelle offerte dalla società da cui dipendeva (Cass 12 aprile 1985; Cass 11 gennaio 1972).

La dottrina i esclude dalla tutela dell'art. 623 il software perché si esclude che i programmi possano essere annoverati tra le invenzioni (Alessandri, Riflessi, 188; Fioretta, Lago, 6087).

La giurisprudenza avendo accolto un concetto più ampio di segreto industriale ne ammette la tutelabilità (Cass. II, n. 6567/2003; Cass. V., n. 25008/2001:fattispecie relativa alla condotta di due dipendenti di una azienda operante nel campo della realizzazione di progetti software che, abbandonato l'impiego, erano passati alle dipendenze di altra ditta, cui avevano conferito le loro specifiche conoscenze per la realizzazione di un macchinario a raggi X destinato all'industria alimentare, realizzato con modalità e caratteristiche essenziali analoghe a quello prodotto nella prima azienda).

Materialità

Il reato in esame costituisce una norma a più fattispecie integrata alternativamente dalle condotte di rivelazione o utilizzazione.

La prima condotta è integrata dalla trasmissione dell'informazione al di fuori della cerchia degli autorizzati a conoscere. Rispetto alla previsione civilistica dell'art. 2105 c.c., che utilizza il sinonimo «divulgazione», l'art. 623 delimita sul piano oggettivo le notizie segrete, che per la norma civilistica sono tutte le notizie commerciali e industriali ancorché non segrete in senso tecnico (Alessandri, Riflessi, 264;Cocco, Creazioni intellettuali, 300).

Non è previsto il perseguimento di un profitto da parte dell'agente.

Con la sanzione dell'impiego si tutela la situazione di esclusiva nella disponibilità delle notizie, poiché tale condotta può anche non implicare la dissipazione della segretezza quando chi impiega abusivamente le informazioni le mantenga a sua volta in regime di segretezza (Alessandri, Riflessi, 268; Cocco, Creazioni intellettuali, 300).

L'impiego deve essere a proprio o altrui profitto, formula intesa come di dolo specifico (Crespi, La tutela, 285), oppure di evento materiale (Mazzacuva, La tutela, 121, nt. 25), ed ancora, con soluzione intermedia e preferibile, come elemento oggettivo caratterizzante la condotta, la quale deve essere effettivamente idonea ad arrecare un vantaggio all'agente (Alessandri, Riflessi, 269). Il profitto, in considerazione del bene tutelato dal reato, non va inteso come vantaggio di qualsivoglia natura anche morale, ma come utilità confliggente con quella protetta dal segreto ed ha, pertanto, natura essenzialmente economica (Alessandri, Riflessi, 270; Cocco, Creazioni intellettuali, 301; Mazzacuva, La tutela, 122, nt. 27; Fioretta, Lago, 6092). D'altra parte, i casi di profitto non patrimoniale abitualmente citati a sostegno dell'opposta tesi, quale ad esempio la presentazione come propria di una scoperta altrui per ottenere una soddisfazione puramente morale, costituiscono in realtà ipotesi di rivelazione e non di impiego. Pertanto, l'uso strettamente personale per motivi di pura conoscenza non presenta l'estremo del vantaggio patrimoniale e, quindi, non è sanzionato penalmente (Alessandri, Riflessi, 271; Cocco, Creazioni intellettuali, 301).

Anche la giurisprudenza che adotta una nozione di profitto estesa ad ogni sorta di utilità sino a ricomprendere la soddisfazione di un rancore nutrito dall'agente nei confronti del soggetto passivo o della persona offesa dal reato (Cass. V, n. 39656/2010), in realtà si riferisce alla condotta di rivelazione a terzi, la cui integrazione non richiede alcun profitto. Fattispecie relativa alla condotto di un soggetto che, essendo in possesso, quale ex dipendente della Ferrari auto s.p.a., di notizie destinate a rimanere segrete riguardanti progetti di componenti aerodinamiche e meccaniche di vetture Ferrari di formula 1; nonché aspetti organizzativi dell'intero reparto di gestione sportiva della stessa Ferrari s.p.a., ha rivelato a fine di profitto dette notizie, mediante cessione di un CD rom denominato IM-72, nel quale le stesse erano contenute

L'art. 623 non richiede esplicitamente, diversamente dalle norme che lo precedono, la realizzazione di un nocumento e l'assenza della giusta causa, che però sono considerate da parte della dottrina come elementi impliciti di fattispecie in virtù del generale principio in materia di segreti della comparazione tra giusta causa e pregiudizio (Ichino, 1979, 233; Ichino, 1983, 416; Mazzacuva, La tutela, 213). Si è anche rilevato che il nocumento è in realtà implicito nella natura stessa dell'interesse alla conservazione del segreto (Alessandri, Riflessi, 273).

Quanto all'assenza di giusta causa, appare superflua la richiesta di tale ulteriore elemento della fattispecie posto che è difficile immaginare un interesse contrapposto e prevalente su quello sottostante alla conservazione del segreto sulle scoperte scientifiche e le loro applicazioni industriali. Rimane ovviamente ferma la possibilità di applicare la disciplina delle cause di giustificazione ove ne ricorrano i presupposti.

Cause di giustificazione

Nella materia trovano applicazione le cause di giustificazione (Petrone, 977), in particolare in tale istituto vanno ricompresi i casi usualmente riportati alla giusta causa di rivelazione, quali il diritto alla salute e le libertà sindacali (Alessandri, Riflessi, 272), e, dunque, vengono in rilievo l'esercizio di un diritto all'informazione e l'adempimento di un dovere finalizzato alla tutela dell'integrità fisica dei lavoratori all'interno di una fabbrica (Alessandri, Riflessi, 288; Bricola, Responsabilità, 107; Cocco, Creazioni intellettuali, 305; Ichino, Diritto dell'imprenditore, 433; Mazzacuva, Tutela, 279; Id., La tutela, 199; Mantovani, PS, I, 637).

Vi è, in particolare, nel nostro ordinamento una serie di norme che consentono di accedere ai dati relativi alla organizzazione produttiva, le quali richiedono una comunicazione da parte dei soggetti direttamente vincolati al segreto (in tema ampiamente Mazzacuva, La tutela, 3). Ad esempio l'acquisizione di dati tecnologici effettuata in vista della tutela dell'integrità fisica, prevista dagli art. 21, commi 2 e 4, l. 21 dicembre 1978, n. 843 e art. 9, l. 20 maggio 1970, n. 300 (c.d. Statuto dei lavoratori), nonché dalla direttiva Cee 24.6.1982, n. 82/501, dal D.P.R. 17 maggio 1988, n. 175 e dal D.P.C.M. 31 marzo 1989 in materia di industrie a rischio. In tali ipotesi — nelle quali la conoscenza strumentalmente necessaria al controllo prevenzionistico, per la complessità delle tecnologie, richiede spesso comunicazioni analitiche dei responsabili dell'organizzazione imprenditoriale, di per sé tenuti al segreto — la condotta di rivelazione costituisce l'adempimento di un dovere (Bricola, Responsabilità, 107; Cocco,Creazioni intellettuali, 305).

Formazione professionale e segreto industriale

Un problema di particolare rilevanza è costituito dalla individuazione della linea di confine tra informazioni su cui può essere imposta la segretezza e la sfera delle conoscenze che fanno parte della formazione professionale del lavoratore, nella cui soluzione confliggono l'interesse alla libera utilizzabilità delle conoscenze acquisite con e nel lavoro e la pretesa di una sorta di permanente signoria sulle conquiste tecnologiche realizzate nell'impresa (Cocco, Creazioni intellettuali, 277; Crespi, Concorrenza sleale, 187).

In giurisprudenza si esclude dalla segretezza tutto ciò che si sostanzia nella conoscenza del proprio ramo di attività o nella propria capacità tecnica (Cass. Sez. I, n. 2356/1960; Pret. Monza 15 ottobre 1983).

In tal senso anche autorevole dottrina (Crespi, La tutela, 187; da ult. Mantovani, PS I, 635), secondo cui non sono segrete le conoscenze comuni e le informazioni accessibili all'esperto del settore ancorché con apposite ricerche, essendo indifferente che, di fatto, quel singolo lavoratore le abbia acquisiste nello svolgimento del lavoro dell'impresa.

Costituiscono l'oggetto di tutela dell'art. 623, invece, quei nuclei di notizie specificamente determinate e oggettivamente nuove ed inventive (Alessandri, Riflessi, 280).

Il dipendente è tenuto al segreto su tali notizie anche dopo l'estinzione del rapporto di lavoro (Crespi, La tutela, 193), giacché i rapporti di confidenza, supposti dal contratto e che hanno consentito al dipendente l'acquisizione del segreto, non vengono meno con la fine del rapporto di dipendenza (Crespi, Concorrenza sleale, 199; Crespi, La tutela, 199; Lamantea, 57). A ciò non conseguono limitazioni intollerabili alle capacità creative del lavoratore, cui viene interdetto di occuparsi della soluzione degli stessi problemi pervenendo alle stesse soluzioni coperte da segreto, giacché si tratta degli stessi limiti posti dalla tutela brevettuale (Cocco, Creazioni intellettuali, 279). La norma in esame, oltretutto, sarebbe del tutto inutile se circoscrivesse il vincolo del segreto al periodo di sussistenza del rapporto privilegiato in occasione del quale si è venuti a conoscenza della notizia: si pensi ai rapporti non durevoli di natura libero professionale, oppure al facile escamotage di interrompere il rapporto per poter liberamente sfruttare le conoscenze acquisite dei segreti (Cocco, Creazioni intellettuali, 279).

Il vincolo al segreto non è, dunque, legato alla vigenza del rapporto di lavoro subordinato né ad accordi con cui il datore di lavoro e il prestatore individuino all'atto dell'assunzione i dati aziendali che il dipendente trova già formati nel momento del suo ingresso nell'azienda oppure che il datore di lavoro acquisisce aliunde (Cocco,Creazioni intellettuali, 279).

Tuttavia, talvolta in giurisprudenza si è sostenuto il contrario, ritenendo tutelate solo quelle notizie che il datore di lavoro, al momento dell'assunzione del dipendente, aveva specificamente destinato al segreto (Trib. Milano 17 ottobre 1977; Trib. Milano 19 dicembre 1974).

Elemento soggettivo

L'elemento soggettivo del delitto in esame è integrato dal dolo generico (Cocco, Creazioni intellettuali, 302; Mazzacuva, La tutela, 120), salvo quanto detto in tema di profitto rispetto alla condotta di impiego.

Chi esclude la rilevanza oggettiva del nocumento ne nega il rilievo anche sul piano soggettivo, di cui si ritiene elemento essenziale invece la consapevolezza della segretezza della notizia, per la cui sussistenza assumono rilevanza le difese e le cautele apprestate dal titolare (Alessandri, Riflessi, 273).

In sede penale sono, invece, irrilevanti le condotte colpose dovute a imprudenza e negligenza, le quali possono comunque risultare in contrasto con il divieto di cui all'art. 2105 c.c. (Cocco, Creazioni intellettuali, 302), pertanto non sarà penalmente sanzionato il dipendente che per imprudenza lasci che un concorrente del datore di lavoro si introduca nello stabilimento di costui e venga a conoscenza di un segreto industriale; né il dipendente che riveli, senza adottare le opportune cautele, dei dati segreti sul processo produttivo a organi pubblici o privati che svolgono una funzione di informazione o controllo sulla attività industriale (Mazzacuva, La tutela, 123).

Consumazione e tentativo

Il reato si consuma nel momento e luogo della rivelazione o impiego a proprio profitto e senza autorizzazione del titolare da parte del possessore della notizia.

La giurisprudenza specifica che la presentazione del disegno industriale all'ufficio dei brevetti e dei marchi costituisce prova adeguata (Cass. V, n. 45509/2008).

Il tentativo è configurabile potendo la condotta materiale di rivelazione consistere in una pluralità di atti (non si tratta di reato c.d. unisussistente), come, ad esempio, la trasmissione di scritti o disegni contenenti la descrizione o la rappresentazione di quanto oggetto del segreto (Cocco, Creazioni intellettuali, 303; Mazzacuva, La tutela, 124; Rocca, 585; Siniscalco, 157). Si ritiene integrino il tentativo di rivelazione, inoltre, comportamenti necessariamente strumentali alla comunicazione a persone non autorizzate a conoscere, quali la sottrazione di campionature di materiali; la predisposizione di una completa descrizione della soluzione innovativa segreta qualora essa non sia normalmente necessaria allo svolgimento delle attività proprie del soggetto depositario delle informazioni; la copiatura dei documenti originali quando in aggiunta ad altri elementi appaia strumentale alla rivelazione; non invece la semplice copiatura che non è ancora univocamente finalizzata alla rivelazione o all'impiego del segreto (Alessandri, Riflessi, 275; Cocco, Creazioni intellettuali, 304). È dubbio, invece, che costituisca tentativo l'invito del direttore di una fabbrica al proprietario di fabbrica concorrente ad un incontro per la comunicazione di metodi segreti di produzione seguiti nella azienda diretta (Mazzacuva, La tutela, 89).

Concorso di persone nel reato

La possibilità di concorso dell'estraneo ex art. 110 costituisce uno strumento essenziale per l'efficace tutela del segreto industriale, in quanto colpisce il terzo beneficiario della rivelazione e, quindi, l'imprenditore responsabile dell'atto di concorrenza sleale (Alessandri, Riflessi, 234; Cocco, Creazioni intellettuali, 293; Mazzacuva, La tutela, 79).

Il concorso non sussiste nel caso di ricezione passiva della notizia da parte del destinatario della medesima, essendo necessario che egli abbia posto in essere un comportamento di istigazione o determinazione alla rivelazione.

Rapporti con altri reati

Non si applica la norma in esame ma sono integrate le fattispecie delittuose comuni nelle ipotesi di apprendimento abusivo del segreto industriale (Alessandri, Riflessi, 252; Mantovani, PS, I, 636). In particolare sussiste il delitto di furto nelle ipotesi sottrazione di modelli, campioni o prototipi che attuano o incorporano la nuova soluzione tecnologica, attraverso il cui esame (reverse engineering) è possibile ottenere informazioni altrimenti precluse. Ipotesi che oggi può acquistare un peso assai maggiore che nel passato in rapporto a soluzioni tecnologiche particolari, quali quelle dei procedimenti microbiologici e dei microorganismi ottenuti mediante tali processi, che costituiscono il campo di normale esplicazione dell'ingegneria genetica ed in genere della biotecnologia (Alessandri, Riflessi, 251). Sussiste il furto anche nel caso di sottrazione di dischi o nastri di elaboratori che contengono dati relativi a nuovi procedimenti industriali.

È integrato, invece, il delitto di appropriazione indebita quando l'agente, avendo il possesso di un oggetto altrui (un modello o un prototipo) per un titolo non professionale, quale il deposito o l'affidamento materiale della cosa per una attività eccezionale dell'agente, come nella consegna di un campione ad un amico perché ne esegua delle fotografie, brevetti a suo nome l'invenzione in esso racchiusa (Alessandri, Riflessi, 262).

In tali casi il successivo impiego del segreto costituisce un post factum non punibile che realizza il fine o l'evento di profitto (Mantovani, PS, I, 636). Tali reati comuni possono concorrere con la violazione del segreto industriale solo quando costituiscano un'ulteriore condotta successiva all'apprendimento della notizia in ragione dello status e finalizzata alla sua rivelazione e impiego (Cocco, Inviolabilità, 439).

In giurisprudenza da ultimo, per contro, si ammette in particolare il concorso tra furto d'uso (art. 626), e rivelazione di segreto industriale, sostenendo che la integrazione di quest'ultima fattispecie prescinde dalla liceità o illiceità della condotta di apprensione del segreto ed, in particolare, ritenendo che la condotta di acquisizione furtiva (nella fattispecie: di copie di disegni di macchine industriali) costituisca un mero antefatto rispetto alla rivelazione, elemento ulteriore e diverso rispetto alla prima (Cass. V, 31 marzo 1999). Oppure (Cass. II, 7 febbraio 1973; App. Milano 10 novembre 1993) si afferma la sussistenza del reato in esame e si esclude la sussistenza del reato contro il patrimonio nel caso di sottrazione di copia di documenti «per assoluta preminenza del tipo di notizie rivelate sui mezzi di apprensione e divulgazione, rimanendo la norma penale — in definitiva indifferente alle «modalità esecutive» della condotta». Egualmente è stata ritenuta sussumibile nella fattispecie in esame, e non già in quella di furto, l'asportazione di floppy disk contenente la documentazione di materiale riservato relativo all'attività produttiva aziendale (Pret. Cremona 17 gennaio 1995).

L'art. 623 è norma speciale rispetto all'art. 622; l'art. 621 può venire in gioco a sanzionare condotte di spionaggio industriale non sanzionate dall'art. 623 (in dottrina Mantovani, 603). L'art. 326 è speciale rispetto alla norma in esame per lo status richiesto al soggetto agente ed è integrato nell'ipotesi in cui il funzionario dell'ufficio centrale brevetti riveli l'oggetto di una domanda di brevetto ancora segreta (Cocco, Creazioni intellettuali, 291).

Non commette il reato di cui all'art. 615-bis, né quello di cui agli artt. 617 e 623 colui che assiste ad una conversazione telefonica svoltasi fra altre persone, in quanto autorizzato da una delle stesse (Cass. VI, n. 15003/2013).

Profili processuali

Il reato è procedibile a querela.

L’Autorità giudiziaria competente è il Tribunale monocratico.

L’arresto: non è consentito.

Il fermo di indiziato di delitto non è consentito.

Le misure cautelari personali non consentite.

Bibliografia

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