Codice Civile art. 149 - Scioglimento del matrimonio (1).

Giuseppe Buffone
aggiornato da Annachiara Massafra

Scioglimento del matrimonio (1).

[I]. Il matrimonio si scioglie con la morte di uno dei coniugi e negli altri casi previsti dalla legge (2).

[II]. Gli effetti civili del matrimonio celebrato con rito religioso, ai sensi dell'articolo 82 o dell'articolo 83, e regolarmente trascritto, cessano alla morte di uno dei coniugi e negli altri casi previsti dalla legge.

(1) Articolo così sostituito dall'art. 31 l. 19 maggio 1975, n. 151.

(2) V. l. 1° dicembre 1970, n. 898 e art. 4 l. 14 aprile 1982, n. 164.

Inquadramento

L'art. 149 regola i casi di scioglimento del matrimonio, mediante una norma di rinvio. Le ipotesi prese di mira dall'articolato sono diverse: il matrimonio celebrato davanti all'Ufficiale di Stato civile (che riceve integrale regolamentazione nell'ambito dell'Ordinamento civile); il matrimonio celebrato davanti a un ministro del culto cattolico (che è regolato in conformità del Concordato con la Santa Sede e delle leggi speciali sulla materia, art. 82); il matrimonio celebrato davanti a ministri dei culti ammessi nello Stato (che è regolato dalle disposizioni del capo seguente, salvo quanto è stabilito nella legge speciale concernente tale matrimonio; v. art. 83). L'istituto dello scioglimento riguarda, tuttavia, solo il matrimonio civile: negli altri casi, il giudice adito può limitarsi, sussistendone i presupposti, a pronunciare la cessazione degli effetti civili del matrimonio religioso restandone la validità regolata dall'Ordinamento di appartenenza.

È bene precisare, sul piano processuale, che la distinzione tra scioglimento e cessazione degli effetti civili del matrimonio è meramente terminologica in quanto la regolamentazione delle due forme è assolutamente identica nei presupposti e negli effetti. Pertanto, non rileva se la domanda di divorzio sia presentata nell'una o nell'altra forma, dovendo il giudice far riferimento al petitum e alla causa petendi sostanziali ed effettivi (Cass. n. 9236 del 2012).

Morte del coniuge

L'istituto del divorzio è stato introdotto in Italia nel 1970 con la legge n. 898. Per effetto della legislazione di nuovo conio, l'art. 149 è stato riscritto includendo, accanto alla morte del coniuge, anche lo scioglimento del vincolo matrimoniale e lo cessazione dei suoi effetti civili, quali cause di cessazione della vita comune sancita dal connubio matrimoniale. La morte del coniuge resta causa comune di scioglimento del rapporto matrimoniale. Per effetto del decesso del partner, il coniuge consegue nuovamente lo stato libero.

La giurisprudenza si pronuncia in modo difforme sulle sorti del giudizio di separazione o divorzio quando intervenga, nel corso del loro svolgimento, la morte di una parte e se, dunque, un evento simile determini la cessazione della materia del contendere. Un primo orientamento ritiene che la morte del soggetto obbligato, avvenuta nelle more del giudizio, non determina la cessazione della materia del contendere, permanendo l'interesse della parte richiedente l'assegno al credito avente ad oggetto le rate scadute anteriormente alla data del decesso, credito che risulterebbe trasmissibile nei confronti degli eredi. Pertanto il requisito della intrasmissibilità dell'obbligo di corresponsione dell'assegno divorzile non troverebbe applicazione, una volta proposta la domanda giudiziale, per il periodo successivo all'inizio del procedimento e fino alla data del decesso dell'ex coniuge obbligato, periodo nel quale permarrebbe l'interesse della parte richiedente l'assegno alla definitiva regolamentazione del suo diritto (Cass. n. 17041/2007; Cass. n. 9238/1996). Un diverso indirizzo afferma, al contrario, che l'articolo 149 c.c. prevede che il matrimonio si scioglie in conseguenza della morte di uno dei coniugi e che tale evento non solo deve considerarsi preclusivo della dichiarazione di separazione e di divorzio ma ha anche l'effetto di travolgere ogni pronuncia accessoria alla separazione e al divorzio emessa in precedenza e non ancora passata in giudicato (Cass. n. 18130/2013; Cass. n. 9689/2006). Più nel dettaglio, nell'ambito di questo filone, si precisa che il decesso comporta la declaratoria di cessazione della materia del contendere, con riferimento al rapporto di coniugio ed a tutti i profili economici (Cass. n. 18130/2013) mentre restano salve le domande autonome che, proposte nello stesso giudizio, riguardano diritti e rapporti patrimoniali indipendenti dalla modificazione soggettiva dello status, già acquisiti al patrimonio dei coniugi, e nei quali subentrano gli eredi, con la conseguenza che rispetto a tali domande il processo può proseguire ad istanza o nei confronti di costoro (Cass. n. 27556/2008). La sopravvenienza della morte in corso di causa ha, comunque, l'effetto di travolgere ogni pronuncia in precedenza emessa e non ancora passata in giudicato (Cass. n. 661/1980).

In tempi recenti, la Cassazione ha aderito a tale ultima linea interpretativa affermando che la morte del coniuge, anche nel corso del giudizio di legittimità, fa cessare la materia del contendere sia nel giudizio sullo "status" che in quello relativo alle domande accessorie, compreso il giudizio sulla richiesta di assegno divorzile, non assumendo alcun rilievo, in senso contrario, l'intervenuto passaggio in giudicato della sentenza non definitiva di divorzio, posto che l'obbligo di corresponsione di tale assegno è personalissimo e non trasmissibile agli eredi, trattandosi di posizione debitoria inscindibilmente legata a uno "status" personale, che può essere accertata solo in relazione alla persona cui detto "status" si riferisce (Cass. n. 4092/2018).

Divorzio

La famiglia ha il fine di realizzare lo sviluppo della personalità dei membri che la compongono: ne consegue che ove il rapporto familiare non garantisca più a detti membri una tale finalità, lo scioglimento del rapporto costituisce un diritto. Nell'ordinamento italiano il regime divorzile è regolato dalla l. n. 898/1970. Eccezionalmente, sono ammessi casi di cd. divorzio diretto in cui i coniugi possono ricorrere direttamente alla pronuncia divorzile senza avere prima ottenuto la separazione: è il caso, ad esempio, della inconsumazione del matrimonio. Fuori dai casi in esame, per proposizione della domanda di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, le separazioni devono essersi protratte ininterrottamente da almeno dodici mesi dalla data dell'udienza di comparizione dei coniugi nella procedura si separazione personale (ovvero per i procedimenti pendenti prima del 28 febbraio 2023 dall'avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale) e di sei mesi nel caso di separazione consensuale, anche quando il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale ovvero dalla data certificata nell'accordo di separazione raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita da un avvocato ovvero dalla data dell'atto contenente l'accordo di separazione concluso innanzi all'ufficiale dello stato civile. I termini così riferiti (12 mesi e 6 mesi) sono stati introdotti dalla l. n. 55/2015(prima il termine era di tre anni). Deve inoltre evidenziarsi che l'art. 473-bis.49 c.p.c., introdotto dal d.lgs. n. 149/2022 prevede la innovativa possibilità per le parti di proporre, negli atti introduttivi del procedimento di separazione personale, anche la domanda di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio e le domande a questa connesse. Le domande così proposte sono procedibili decorso il termine a tal fine previsto dalla legge e previo passaggio in giudicato della sentenza che pronuncia la separazione personale.

Nulla osta, comunque, a riconoscere in Italia sentenze straniere in cui il divorzio è stato pronunciato senza preventiva separazione, non costituendo un requisito di ordine pubblico (Cass. n. 16978/2006).

Divorzio e rettificazione del sesso

Con la sentenza (Corte cost. n. 170/2014), la Corte cost. ha dichiarato l'illegittimità delle norme in tema di rettifica del sesso (artt. 2 e 4 l. n. 164/1982 e art. 31, comma 6, d.lgs. n. 150/2011) nella parte in cui non prevedono la possibilità di mantenere in vita il rapporto di coppia con altra forma di convivenza giuridicamente riconosciuta, con modalità da statuire dal legislatore. La Suprema Corte, al lume di questa pronuncia del giudice delle Leggi, ha precisato che la sentenza n. 170/2014 non è di mero monito ma autoapplicativa, con la conseguenza che è costituzionalmente necessario conservare alla coppia il riconoscimento dei diritti e doveri conseguenti al matrimonio fino a quando il legislatore non intervenga (Cass. n. 8097/2015). La giurisprudenza di merito ha dunque affermato che il coniuge che muti sesso ha diritto a conservare, d'accordo con il partner, il legame affettivo consolidatosi nel tempo accedendo alla diversa forma di unione regolata dalla Legge. In particolare, in occasione del procedimento giurisdizionale di rettifica dell'attribuzione di sesso, i coniugi possano formulare istanza al giudice per essere autorizzati a mantenere in vita la coppia, anche se in forma diversa dal matrimonio; in difetto, la sentenza produce naturalmente e fisiologicamente lo scioglimento del matrimonio o la cessazione dei suoi effetti civili, senza necessità di intervento giudiziale e tramite gli strumenti della rettifica promossi dall'ufficiale dello Stato Civile. Pertanto è in occasione del procedimento che “trasforma” l'identità di genere del coniuge che i partners, (entrambi da considerarsi, quindi, litisconsorti necessari), possono richiedere al giudice di pronunciare anche il diritto al passaggio alla diversa forma di convivenza: in difetto, invece, segue ope legis il divorzio cd. imposto a cui può provvedere l'Ufficiale dello Stato Civile, sulla scorta della lettura del dispositivo della sentenza di rettifica (Trib. Milano 22 aprile 2015)

Il d.lgs. n. 7/2017 - Adeguamento delle disposizioni dell'ordinamento dello stato civile in materia di iscrizioni, trascrizioni e annotazioni, nonché modificazioni ed integrazioni normative per la regolamentazione delle unioni civili, ai sensi dell'art. 1, comma 28, lett. a) e c), l. 20 maggio 2016, n. 76all'art. 31 del d.lgs. n. 150/2011, dopo il comma 4 ha inserito il comma 4-bis ove si prevede che: « Fino alla precisazione delle conclusioni la persona che ha proposto domanda di rettificazione di attribuzione di sesso ed il coniuge possono, con dichiarazione congiunta, resa personalmente in udienza, esprimere la volontà, in caso di accoglimento della domanda, di costituire l'unione civile, effettuando le eventuali dichiarazioni riguardanti la scelta del cognome ed il regime patrimoniale. Il tribunale, con la sentenza che accoglie la domanda, ordina all'ufficiale dello stato civile del comune di celebrazione del matrimonio o di trascrizione se avvenuto all'estero, di iscrivere l'unione civile nel registro delle unioni civili e di annotare le eventuali dichiarazioni rese dalle parti relative alla scelta del cognome ed al regime patrimoniale».

Bibliografia

Bruno, Le controversie familiari nell'Unione Europea. Regole, fattispecie, risposte, Milano, 2018; Buffone, Fondo a tutela del coniuge in stato di bisogno (DM 15 dicembre 2016) in Guida dir. 2017, 7, 13 e ss.; Buffone, Le novità del “decreto filiazione”, Milano, 2014; Sesta - a cura di -, Codice della famiglia, Milano, 2015.

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