Codice Civile art. 274 - Ammissibilità dell'azione (1) (2) (3).

Giuseppe Buffone
aggiornato da Annachiara Massafra

Ammissibilità dell'azione (1) (2) (3).

[I]. L'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità naturale è ammessa solo quando concorrono specifiche circostanze tali da farla apparire giustificata [279 2] (4).

[II]. Sull'ammissibilità il tribunale decide in camera di consiglio con decreto motivato, su ricorso di chi intende promuovere l'azione, sentiti il pubblico ministero e le parti e assunte le informazioni del caso [737 c.p.c.]. Contro il decreto si può proporre reclamo con ricorso alla corte d'appello, che pronuncia anche essa in camera di consiglio.

[III]. L'inchiesta sommaria compiuta dal tribunale ha luogo senza alcuna pubblicità e deve essere mantenuta segreta. Al termine della inchiesta gli atti e i documenti della stessa sono depositati in cancelleria ed il cancelliere deve darne avviso alle parti le quali, entro quindici giorni dalla comunicazione di detto avviso, hanno facoltà di esaminarli e di depositare memorie illustrative.

[IV]. Il tribunale, anche prima di ammettere l'azione, può, se trattasi di minore o d'altra persona incapace, nominare un curatore speciale che la rappresenti in giudizio [78 c.p.c.].

(1) L’art. 7, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154, ha sostituito il Titolo, modificando la rubrica del Titolo (la precedente era «Della filiazione»), e sostituendo la rubrica del paragrafo 2 della sezione I del capo II del libro primo del codice civile «Della dichiarazione giudiziale della paternità e della maternità naturale», con: «Capo V. "Della dichiarazione giudiziale della paternità e della maternità"»

(2) Articolo così sostituito dall'art. 2 l. 23 novembre 1971, n. 1047.

(3) La Corte cost., con sentenza 10 febbraio 2006, n. 50 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente articolo.

(4) Comma così sostituito dall'art. 117 l. 19 maggio 1975, n. 151. Successivamente la Corte cost., con sentenza 20 luglio 1990, n. 341 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente comma «nella parte in cui, se si tratta di minore infrasedicenne, non prevede che l'azione promossa dal genitore esercente la potestà sia ammessa solo quando sia ritenuta dal giudice rispondente all'interesse del figlio».

Inquadramento

La Corte cost., n. 50/2006, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo articolo.

Regime giuridico

Il codice civile del 1942 — come risulta dalla Relazione del Guardasigilli al Progetto definitivo — allo scopo di scoraggiare iniziative con finalità solo ricattatorie, introdusse, con l'art. 274, la previsione di un preventivo giudizio di delibazione in ordine all'ammissibilità dell'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità e maternità naturale, nel corso del quale, con indagine sommaria e segreta, si potesse valutare l'esistenza, o meno, di indizi tali da far apparire giustificata detta azione. Tale giudizio doveva svolgersi in camera di consiglio; l'inchiesta sommaria doveva avere luogo senza alcuna pubblicità, ed essere mantenuta segreta, e il decreto con cui si dichiarava ammissibile o inammissibile l'azione non era reclamabile.

Successivamente, la Corte costituzionale dichiarò la illegittimità costituzionale dell'art. 274, comma 2, nella parte in cui disponeva che la decisione avesse luogo con decreto non motivato e non soggetto a reclamo, nonché per la parte in cui escludeva la necessità del contraddittorio e dell'assistenza dei difensori, per violazione dell'art. 24, comma 2, Cost., relativo al diritto inviolabile della difesa, nonché, sempre in riferimento allo stesso principio, la illegittimità costituzionale del terzo comma dell'art. 274, per la parte in cui disponeva la segretezza dell'inchiesta anche nei confronti delle parti (Corte cost. n. 70/1965). Con la stessa pronuncia la Corte, con riguardo all'art. 30 Cost., rilevò testualmente: «è chiaro che la ricerca della paternità viene così considerata come una forma fondamentale di tutela giuridica dei figli nati fuori del matrimonio, e, come tale, è fatta oggetto di garanzia costituzionale» ed aggiunse: «la stessa norma costituzionale, però, stabilisce che la legge ordinaria pone i limiti per la detta ricerca: limiti che potranno derivare dalla esigenza, affermata nel comma 3, di far sì che la tutela dei figli nati fuori del matrimonio sia compatibile con i diritti della famiglia legittima e dall'esigenza di salvaguardare, in materia tanto delicata, i fondamentali diritti della persona, tutelati anch'essi dalla Costituzione, dai pericoli di una persecuzione in giudizio temeraria e vessatoria». A seguito di questa pronuncia fu approvata la l. n. 1047/1971 (Proroga dei termini per la dichiarazione di paternità e modificazione dell'art. 274), contenente all'art. 2 una nuova disciplina del giudizio di ammissibilità dell'azione, la quale stabilì l'obbligo di motivazione del decreto e la sua reclamabilità alla corte d'appello, confermando peraltro la non pubblicità dell'inchiesta sommaria compiuta dal tribunale e l'obbligo di mantenerla segreta. La riforma del diritto di famiglia del 1975 ha lasciato poi immutata la struttura del procedimento, limitandosi a sostituire le «specifiche circostanze» agli «indizi» di cui al testo originario dell'art. 274, quali elementi la cui sussistenza è richiesta ai fini del giudizio di ammissibilità di cui si tratta. La Corte costituzionale ha successivamente dichiarato la illegittimità costituzionale dell'art. 274. nella parte in cui, se si tratta di minore infrasedicenne, non prevede che l'azione promossa dal genitore esercente la potestà sia ammessa solo quando sia ritenuta dal giudice rispondente all'interesse del minore (Corte cost. n. 341/1990), ma ha ritenuto sufficiente, ai fini dell'ammissibilità dell'azione, l'esistenza di elementi anche di tipo presuntivo idonei a far apparire l'azione verosimile, precisando che «il procedimento in esame è ispirato pertanto a due finalità concorrenti e non in contrasto fra loro, essendo posto a tutela non solo del convenuto contro il pericolo di azioni temerarie e ricattatorie, ma anche e soprattutto del minore, il cui interesse sta nell'affermazione di un rapporto di filiazione veridico, che non pregiudichi la formazione e lo sviluppo della propria personalità» (Corte cost. n. 216/1997). A ciò bisogna poi aggiungere che la costante giurisprudenza della Corte di cassazione ha valutato le «specifiche circostanze» cui fa riferimento l'art. 274 alla stregua di criteri di verosimiglianza e non di certezza, ritenendo sufficiente che la dichiarazione della madre sia supportata da un fumus boni iuris (Cass. n. 151/1998, Cass. n. 2346/1994, Cass. n. 7742/1995), rinviando al giudizio di merito l'esame delle contestazioni sollevate dal convenuto e limitandosi a conoscere delle eccezioni di improponibilità dell'azione (per decadenza, giudicato, transazione) in via meramente delibativa al solo fine di emettere la decisione sull'ammissibilità dell'azione instauranda (Cass. n. 2979/1976). In tal modo la stessa Corte di cassazione ha fornito conferma alla opinione di quanti avevano definito il giudizio di ammissibilità di cui si tratta un “ramo secco” dell'ordinamento che limita il diritto dei figli all'accertamento della paternità senza più salvaguardare le esigenze del preteso genitore. In definitiva, detto giudizio può ormai considerarsi un inutile duplicato idoneo solo a favorire istanze dilatorie. Ed, infatti, la descritta evoluzione della disciplina procedimentale del giudizio di ammissibilità ha totalmente vanificato la funzione in vista della quale tale giudizio era stato originariamente previsto dal legislatore, e cioè la protezione del convenuto da iniziative «temerarie e vessatorie» perseguita attraverso la sommarietà e la segretezza della cognizione, devoluta in questa fase all'organo giudicante; con la conseguenza che il giudice è abilitato dalla norma attualmente in vigore a dare alla sua cognizione l'estensione ritenuta più opportuna e pertanto tale da spaziare, come ha statuito la giurisprudenza di legittimità, dalla ammissione di accertamenti tecnici idonei a definire il giudizio di merito, senza che ciò incida sulla necessità della sua successiva proposizione, fino alla sufficienza delle sole affermazioni della parte ricorrente. Da qui la pronuncia di incostituzionalità del 10 febbraio 2006 (Corte cost. n. 50/2006): in questa decisione, la Corte Costituzionale afferma che l'intrinseca, manifesta irragionevolezza della norma (art. 3 Cost.) fa sì che il giudizio di ammissibilità ex art. 274 si risolva in un grave ostacolo all'esercizio del diritto di azione garantito dall'art. 24 Cost., e ciò per giunta in relazione ad azioni volte alla tutela di diritti fondamentali, attinenti allo status ed alla identità biologica; così come da tale manifesta irragionevolezza discende la violazione del precetto (art. 111, comma 2, Cost.) sulla ragionevole durata del processo, gravato di una autonoma fase, articolata in più gradi di giudizio, prodromica al giudizio di merito, e tuttavia priva di qualsiasi funzione Né può tacersi che l'evoluzione della tecnica consente ormai di pervenire alla decisione di merito, in termini di pressoché assoluta certezza, in tempi estremamente concentrati. Da quanto precede deriva l'incostituzionalità dell'art. 274 per violazione degli artt. 3, comma 2, 24 e 111 Cost.

Bibliografia

Auletta, Diritto di famiglia, Torino, 2014; Bianca C. M., Istituzioni di diritto privato, Milano, 2014; Buffone, Le novità del “decreto filiazione”, Milano, 2014; Cian-Trabucchi (a cura di), Commentario breve al codice civile, Padova, 2011; Finocchiaro F., in Comm. S. B., artt. 84-158, Bologna-Roma, 1993; Jemolo, in La famiglia e il diritto, in Ann. fac. giur. Univ. Catania, Napoli, 1949, 57; Oberto, La comunione legale tra i coniugi, in Tr. C.M., Milano, 2010; Perlingieri, Manuale di Diritto Civile, Napoli, 2005; Sesta (a cura di), Codice della famiglia, Milano, 2015.

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