Codice Civile art. 463 - Casi d'indegnità.

Mauro Di Marzio

Casi d'indegnità.

[I]. È escluso dalla successione come indegno [466]:

1) chi ha volontariamente ucciso [575 ss. c.p.] o tentato di uccidere [56 c.p.] la persona della cui successione si tratta, o il coniuge, o un discendente, o un ascendente della medesima, purché non ricorra alcuna delle cause che escludono la punibilità a norma della legge penale [801];

2) chi ha commesso, in danno di una di tali persone, un fatto al quale la legge (1) dichiara applicabili le disposizioni sull'omicidio [801; 397, 579 2, 580 2 c.p.];

3) chi ha denunziato una di tali persone per reato punibile (2) con l'ergastolo [22 c.p.] o con la reclusione per un tempo non inferiore nel minimo a tre anni [23 c.p.], se la denunzia è stata dichiarata calunniosa in giudizio penale [368 c.p.]; ovvero ha testimoniato contro le persone medesime imputate dei predetti reati, se la testimonianza è stata dichiarata, nei confronti di lui, falsa in giudizio penale [801; 372 c.p.];

3-bis) chi, essendo decaduto dalla responsabilità genitoriale nei confronti della persona della cui successione si tratta a norma dell'articolo 330, non è stato reintegrato nella responsabilità genitoriale alla data di apertura della successione della medesima (3);

4) chi ha indotto con dolo [1439] o violenza [1434] la persona, della cui successione si tratta, a fare, revocare [679] o mutare il testamento, o ne l'ha impedita;

5) chi ha soppresso, celato o alterato il testamento dal quale la successione sarebbe stata regolata;

6) chi ha formato un testamento falso o ne ha fatto scientemente uso.

(1) La parola «penale» che seguiva dopo la parola «legge» è stata soppressa dall'art. 1 1a) l. 8 luglio 2005, n. 137.

(2) Le parole «con la morte,» che seguivano dopo la parola «punibile» sono state soppresse dall'art. 11b) l. n. 137, cit. Tuttavia per la perdita di efficacia del riferimento alla pena di morte a seguito dell'abolizione di tale pena v. art. 9 c.p.

(3) Numero inserito dall'art. 11c) l. n. 137, cit. Ai sensi dell’art. 105, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154, le parole: «potestà genitoriale», ovunque presenti, in tutta la legislazione vigente, sono sostituite dalle parole: «responsabilità genitoriale». Ai sensi dell’art. 108, d.lg. n. 154 del 2013, tale modifica è entrata in vigore a partire dal 7 febbraio 2014.

Inquadramento

L'istituto dell'indegnità affonda le origini nel diritto romano, ove si collocava accanto a quello della diseredazione. Mentre quest'ultima era volta alla tutela dell'interesse del testatore, trovando applicazione solo se da questi disposta, l'indegnità era posta a tutela di un interesse pubblico, giudicandosi ripugnante che l'autore di gravi condotte in danno del de cuius potesse poi succedergli.

Abolita la diseredazione (almeno come istituto espressamente disciplinato), è rimasta nel codice civile la sola indegnità, quale causa di esclusione dalla successione per fatti molto gravi: e tuttavia l'indegnità oggi vigente è ben altra cosa rispetto a quella della tradizione romana, in cui l'aspetto prevalentemente pubblicistico sanzionatorio era testimoniato dal fatto che i beni pervenuti all'indegno erano oggetto di ereptio, e cioè erano acquisiti dal fisco (Ferri, in Comm. S.B., 1997, 206).

Sulla scia della massima indignus potest capere sed non potest retinere (che Cicu, in Tr. C.M., 1961, 84, evidenzia peraltro essere richiamata a sproposito, per la ragione appena indicata), e della testuale formulazione della norma («È escluso dalla successione»), anche in considerazione dei lavori preparatori, si ritiene per lo più, in dottrina, che l'indegnità — nonostante la gravità delle condotte che la caratterizzano — non costituisca ipotesi di incapacità a succedere (v. art. 462; si tratta viceversa di incapacità tra gli altri per Ferri, in Comm. S.B., 1997, 176), e, cioè, non escluda la delazione ereditaria e la conseguente accettazione, ma consenta agli interessati, attraverso il ricorso al giudice (e nel contraddittorio necessario di tutti i successori legittimi: Cass. n. 1443/2022), di rimuovere, a mezzo di una pronuncia costitutiva, il già intervenuto acquisto ereditario, impedendo la conservazione del medesimo in capo all'indegno.

Anche per la giurisprudenza l'indegnità, pur essendo operativa ipso iure, deve essere dichiarata con sentenza costitutiva su domanda del soggetto interessato (e nel litisconsorzio necessario di tutti i successori legittimi: Cass. n. 4533/1986), atteso che essa non costituisce ipotesi di incapacità all'acquisto dell'eredità, ma solo causa di esclusione dalla successione (Cass. n. 5402/2009), non potendo dunque essere rilevata d'ufficio (Cass. n. 5411/2019).

Legittimati a chiedere la pronuncia di indegnità sono soltanto i potenzialmente idonei a subentrare al posto dell'indegno nella delazione ereditaria, e quindi anche i successibili per diritto di rappresentazione e coloro che hanno titolo di subentrare in caso di rinuncia di detti successibili all'eredità (Cass. n. 6859/1993). Nulla esclude che l'indegnità sia dichiarata dopo la morte dell'indegno, nei confronti dei suoi eredi (Cass. n. 3096/2005). 

Quanto all'onere probatorio, nel giudizio promosso per far dichiarare l'indegnità a succedere di colui che ha sottratto il testamento, l'attore ha l'onere di dimostrare il fatto della sottrazione ed il verosimile carattere testamentario del documento sottratto, mentre grava sul convenuto la prova dell'intrinseca natura del documento e del suo contenuto, specie se egli ne sia il detentore (Cass. n. 17870/2019).

L'indegnità non esclude l'operatività della rappresentazione a favore dei discendenti del diseredato (Cass. n. 11195/1996; in dottrina Grosso-Burdese, in Tr. Vas., 1977, 130) e fa venir meno anche gli acquisti a titolo di legato, compreso il legato per riconoscenza o remunerazione (Cass. n. 11979/1992).

Casi di indegnità

I casi di indegnità possono essere ricondotti a due categorie: da un lato la norma colpisce gli attentati alla personalità fisica o morale del defunto (nn. 1, 2, 3, 3-bis); dall'altro gli attentati alla libertà di testare.

Quanto all'omicidio consumato o tentato, deve trattarsi di omicidio volontario (Cass. n. 3096/2005), sicché l'indegnità è esclusa se sia esclusa l'imputabilità dell'autore (Cass. n. 6669/1984). Non è riconducibile all'ipotesi il delitto di abbandono di minore o di persona incapace (art. 591 c.p.), anche nella sua forma aggravata dall'evento morte (art. 591, comma 3, c.p.), salvo che l'abbandono sia stato realizzato con la volontà di cagionare la morte (Cass. n. 13266/2022).

La l. n. 137/2005, ha introdotto quale causa di indegnità la decadenza dalla potestà genitoriale (v. art. 330); occorre che sia stata dichiarata con pronuncia definitiva su ricorso dei legittimati ai sensi dell'art. 336 la decadenza del genitore dalla potestà parentale.

Dolo e violenza di cui al n. 4 devono avere le stesse caratteristiche delle analoghe cause di annullamento del testamento (Cicu, in Tr. C.M., 1961, 98).

In giurisprudenza si osserva che, al fine della sussistenza dell'indegnità a succedere di cui all'art. 463, n. 4, mentre la violenza morale consiste nella coartazione psichica diretta del testatore, sì che questi manifesti una volontà diversa da quella effettiva, riferibile così al coartatore più che al de cuius, per la sussistenza della captazione, che deve essere configurata come il dolus malus causam dans trasferito dal campo contrattuale a quello testamentario, non basta una qualsiasi influenza esercitata sul testatore tramite sollecitazioni, consigli, blandizie e promesse, ma è necessario il concorso di mezzi fraudolenti, i quali, valutati in relazione all'età, alle condizioni psichiche e allo stato di salute del de cuius, siano idonei ad ingannarlo e ad indurlo a disporre in modo difforme da come avrebbe deciso se il suo libero orientamento non fosse stato artificiosamente e subdolamente deviato (Cass. n. 5209/1986;  Cass. n. 4653/2018; Cass. n. 25521/2023).

Quanto a soppressione, celamento o alterazione del testamento dal quale la successione sarebbe regolata, il celamento non è ravvisabile nella violazione dell'obbligo ex art. 620 del possessore di un testamento olografo di presentarlo ad un notaio per la pubblicazione appena avuta notizia della morte del testatore (Cass. n. 3309/1984). Per l'integrazione della figura del celamento menzionata al n. 5 dell'art. 463, occorre un comportamento volto ad impedire il realizzarsi delle ultime volontà del de cuius attraverso il nascondimento di un testamento valido ed efficace, sì da produrre un regolamento della successione con modalità difformi dalla volontà espressa dal testatore nel testamento celato (Cass. n. 9274/2008). Gli atti indicati nel n. 5 in esame debbono inoltre incidere non già su un testamento invalido, bensì su un atto destinato a regolare la successione, quindi su uno scritto che, per i suoi requisiti intrinseci ed estrinseci, sia un testamento efficiente (Cass. n. 3309/1984).

È indegno a succedere, infine, chi abbia formato un testamento falso o ne abbia fatto scientemente uso. L'indegnità colpisce soltanto chi abbia tentato di violare sostanzialmente la volontà del testatore (Cass. n. 314/1946), sicché non ricorre l'indegnità qualora l'erede dimostri di non aver inteso arrecare offesa a detta volontà, per il che egli deve provare che il contenuto delle disposizioni corrisponde alla volontà del de cuius (Cass. n. 272/1966) e che lo stesso aveva acconsentito al suo intervento sula scheda (Cass. n. 15375/2000; Cass. n. 1997/1974). Non è dunque indegno colui che abbia sorretto e guidato la mano del testatore durante la redazione del testamento, senza intervenire sulla sua volontà (Cass. n. 681/1949). Per converso, la formazione o l'uso consapevole di un testamento falso è causa d'indegnità a succedere, se colui che viene a trovarsi nella posizione d'indegno non provi di non aver inteso offendere la volontà del de cuius, perche´ il contenuto della disposizione corrisponde a tale volonta` e il de cuius aveva acconsentito alla compilazione della scheda da parte dello stesso nell'eventualità che non fosse riuscito a farla di persona, ovvero che il de cuius aveva la ferma intenzione di provvedervi per evitare la successione ab intestato. (Cass. II, n. 19045/2020 che ha affermato l'indegnità a succedere di colui che aveva apposto la data e la firma falsa sul testamento redatto dal de cuius, vertendosi in ipotesi di formazione o di uso consapevole di un testamento falso).Il giudice può decidere sulla sussistenza del falso denunciato ai fini della pronuncia dell'indegnità a succedere dell'autore (Cass. n. 1689/1964).

Bibliografia

Cariota-Ferrara, Le successioni per causa di morte, Napoli, 1991; Prestipino, Delle successioni in generale, in Comm. c.c. diretto da De Martino, Roma 1981.

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