Codice Civile art. 475 - Accettazione espressa.Accettazione espressa. [I]. L'accettazione è espressa quando, in un atto pubblico [2699] o in una scrittura privata [2702], il chiamato all'eredità ha dichiarato di accettarla [2648 2, 2685], oppure ha assunto il titolo di erede [2648 3, 2685]. [II]. È nulla la dichiarazione di accettare sotto condizione o a termine. [III]. Parimenti è nulla la dichiarazione di accettazione parziale di eredità. InquadramentoLa norma in commento afferma che l'accettazione è espressa quando il chiamato ha dichiarato, in una determinata forma, di accettarla oppure ha assunto il titolo di erede. Val quanto dire, anzitutto, che detta dichiarazione deve provenire dal chiamato e non da altri (Cass. n. 21902/2011, concernente un caso in cui il chiamato intendeva sostenere di aver accettato in forza di una dichiarazione di successione effettuata da propri congiunti). Nel riferirsi all'atto pubblico o alla scrittura privata la norma pone un requisito di forma ad substantiam, sotto pena di nullità. Perciò, una dichiarazione di accettazione dell'eredità o una assunzione del titolo di erede non effettuate in forma di atto pubblico o di scrittura privata, ancorché in forma esplicita e solenne (come ad es.: oralmente in presenza di testimoni), non configura un'ipotesi di accettazione espressa, ma, al più, può rilevare, se ne ricorrono gli elementi, come accettazione tacita. Richiedendosi come forma minima la scrittura privata, la dottrina appare concorde nel ritenere sufficiente uno scritto qualsiasi purché presenti gli estremi della scrittura privata e cioè anche la firma del dichiarante ex art. 2702 (Grosso e Burdese, in Tr. Vas., 257). Si può pensare, ad esempio, ad una lettera spedita a qualcuno (Ferri, in Comm. S.B., 265). In giurisprudenza è stato così escluso che potesse configurarsi come accettazione espressa la volontà manifestata dal chiamato in una comparsa di risposta che, come tale, non era stata sottoscritta dall'interessato ma solo dal suo legale (Trib. Salerno 11 febbraio 2004). Ed è stata altresì ravvisata una accettazione espressa dell'eredità in una lettera con la quale un avvocato, agendo in nome e per conto di un chiamato qualificato come «coerede», aveva chiesto ad un terzo informazioni sull'amministrazione dell'asse ereditario (App. Torino 11 febbraio 1997). Può altresì trattarsi di documenti del più vario genere, com'è stato detto, con riguardo alla domanda di pagamento dei ratei di pensione insoluti, rivolta alla p.a. nella qualità di erede del pensionato (C. conti 3 dicembre 2010, n. 825). ContenutoCirca il contenuto della dichiarazione, la norma sancisce che essa debba avere per oggetto l'accettazione dell'eredità o consistere nell'assunzione del titolo di erede. La dottrina ha osservato che le due espressioni enunciate dalla legge sono equipollenti e possano essere impiegate anche congiuntamente (Ferri, in Comm. S.B., 265). È sufficiente una mera enunciazione della qualità di erede, salvo ad indagare, sul piano dell'individuazione e interpretazione dell'ulteriore elemento negoziale della volontà del dichiarante, se veramente egli intendeva assumere tale qualifica sul presupposto dell'intenzione di accettare l'eredità (Grosso e Burdese, in Tr. Vas., 258). In giurisprudenza tale volontà è stata ad esempio esclusa in un caso in cui il chiamato aveva sottoscritto la relata di notificazione di un atto giudiziale ricevuto in qualità di erede (Cass. n. 4426/2009). L'accertamento se il chiamato all'eredità abbia assunto il titolo di erede in un atto pubblico o in una scrittura privata, al fine di ritenere che il medesimo abbia accettato espressamente l'eredita, si risolve in una quaestio facti ed è come tale rimesso al giudice del merito, la cui valutazione è insuscettibile di sindacato in sede di legittimità (Cass. n. 1486/1965). In generale, l'invalidità del negozio documentato dall'atto contenente l'accettazione espressa dell'eredità non travolge quest'ultima. In giurisprudenza si trova così affermato che l'accettazione espressa dell'eredità conserva appieno la sua validità, ancorché sia colpita da nullità la distinta convenzione eventualmente contenuta nello stesso documento (Cass. n. 3021/1969). Anche la dichiarazione di accettazione con il beneficio d'inventario, se ricevuta da organo incompetente (si trattava del pretore anziché dal cancelliere), pur invalida per quanto concernente il beneficio, costituisce, secondo la S.C. accettazione pura e semplice dell'eredità (Cass. n. 4780/1988). Poiché la rinuncia all'eredità è sottoposta a determinate solenni formalità, previste dall'art. 519, ma può essere nondimeno revocata, secondo l'art. 525, attraverso l'accettazione intervenuta fin tanto che il diritto di accettare l'eredità non sia prescritto, sempre che essa non sia stata già acquistata da altro dei chiamati, si è stabilito che l'accettazione successiva alla rinuncia possa avvenire soltanto in via espressa e non in forma di accettazione tacita (la S.C. ha capovolto il responso di Cass. n. 1938/1977, condivisa da Ferri, in Comm. S.B., 270; nel senso dell'ammissibilità della sola accettazione espressa, a seguito della rinuncia, Cass. n. 4846/2003; Cass. n. 21014/2011). Nullità dell'accettazione condizionata, a termine o parzialeAll'accettazione espressa, sia essa pura e semplice che con beneficio di inventario, si riferisce il principio sancito dai commi 2 e 3 della nullità della dichiarazione di accettazione sotto condizione o a termine ovvero parziale dell'eredità. Muovendo dalla condizione e del termine (il quale ultimo, iniziale o finale che sia, si ha per non opposto alle disposizioni a titolo universale, ai sensi dell'art. 637), occorre dire che la ratio della disposizione, risiederebbe nella natura dell'accettazione ereditaria, quale tipico atto di adesione. Vi sarebbe cioè incompatibilità del negozio di accettazione (o adesione) con ogni clausola limitatrice dei suoi effetti (Ferri, in Comm. S.B., 267). Altri autori individuano la ratio della disposizione nel principio della inderogabilità da parte dell'accettante del regime relativo alla delazione e all'operare della successione che ad essa si ricollega; a ciò si aggiunge lo scopo di porre fine al prolungamento di uno stato di incertezza circa le sorti dell'eredità (Grosso e Burdese, in Tr. Vas., 272). L'accettazione condizionata o a termine si considera nulla: conseguentemente il chiamato conserva la piena libertà di accettare o rinunciare all'eredità stessa. Nemmeno l'accettazione condizionata o a termine si può far rientrare nell'ambito dell'accettazione tacita non avendone i presupposti di volontà. Tale tipo di accettazione rimane quindi un atto irrilevante per la posizione del chiamato nei confronti della successione, tanto che non impedisce l'eventuale prescrizione (o decadenza) del diritto stesso di accettare. In giurisprudenza la ricorrenza di un'ipotesi di possibile accettazione condizionata è stata esclusa nel caso, frequente nella pratica, dell'esperimento contestuale dell'azione di simulazione di una compravendita nonché di riduzione della sottostante donazione dissimulata (Cass. n. 2200/1971). Un caso di accettazione condizionata è altresì venuta in questione con riguardo alla speciale normativa dettata in tema di maso chiuso (Cass. n. 2983/2012). Analoghe osservazioni possono farsi per l'atto di accettazione parziale. Taluni discorrono di impossibilità di porre in essere un atto di adesione o accettazione parziale (Ferri, in Comm. S.B., 267). Altri ricercano la ratio nell'inderogabilità da parte dell'accettante del regime relativo alla delazione e all'operare della successione che a essa si ricollega (Grosso e Burdese, in Tr. Vas., 273). Si considera accettazione parziale: i) l'accettazione per una quota, da parte di chi sia chiamato per l'intero; ii) l'accettazione per una quota minore a quella per la quale l'accettante sia stato chiamato; iii) l'accettazione con esclusione di qualche bene determinato o di tutti o alcuni degli obblighi o dei legati ereditari; iv) l'accettazione della sola quota in cui si sia chiamati ex lege e non di quella in cui si sia chiamati ex testamento o viceversa (la dottrina prevalente ritiene infatti che in tali casi si abbia comunque un'unica delazione); v) l'accettazione di quanto spetti, pur nell'ambito della stessa successione legittima, ad esempio a titolo di coniuge anziché di parente o viceversa; vi) l'accettazione limitata solo alla quota attribuita all'accettante con esclusione delle quote che vi si fossero già aggiunte, o vi si dovessero aggiungere per accrescimento. Non viene considerata accettazione parziale, invece, quella accompagnata dalla riserva di impugnare in tutto o in parte il testamento in quanto l'accettazione ereditaria non implica in alcun modo adesione alle disposizioni testamentarie (si consideri anche a tal proposito che un'eventuale impugnazione del testamento prima di un'accettazione importerebbe sicuramente accettazione tacita dell'eredità). Occorre ulteriormente sottolineare, nel discorrere dell'invalidità dell'accettazione parziale, che l'accettazione — come si è accennato nell'elencazione che precede — si estende automaticamente al complesso delle attività e passività ereditarie, indipendentemente dal titolo della delazione, la quale può aver simultaneamente luogo in parte per legge ed in parte per testamento (art. 457), in caso di coincidenza del chiamato per testamento con il chiamato per legge. Ciò discende dalla considerazione che, in tale ipotesi, si verifica un'unica delazione, sebbene complessa. Milita in tal senso il rilievo che l'accettante è sottoposto al suo l'onere di individuare il soggetto della cui eredità si tratta, ma non anche il titolo della delazione, in mancanza di alcuna prescrizione normativa in tal senso (Ferri, 93). D'altro canto, se si ammettesse l'accettazione della delazione legale e la rinuncia a quella testamentaria, o viceversa, si finirebbe per ammettere proprio l'accettazione parziale che l'art. 475 esclude. In giurisprudenza si osserva difatti che il vigente ordinamento giuridico non prevede una distinta accettazione della eredità a secondo del titolo della delazione (testamentaria o legittima), ma un solo diritto di accettazione che ha per oggetto il diritto alla eredità e non il titolo della delazione ereditaria. Pertanto, l'accettazione della eredità da parte del chiamato ab intestato, avendo per oggetto il diritto alla eredità e non il titolo della delazione ereditaria, estende i suoi effetti anche alla delazione testamentaria eventualmente dovuta alla successiva scoperta di un testamento, in relazione alla quale non è conseguentemente configurabile una autonoma prescrizione del diritto di accettazione (Cass. n. 12575/2000; Cass. n. 1933/1993). BibliografiaAndrioli, Fallimento (dir. priv. e dir. proc. civ.), in Enc. Dir, XVI, Milano, 1967, 405; Busani, L'accettazione ereditaria del fallito, in Fall. 1992, 1176; Cariota-Ferrara, Le successioni per causa di morte, Napoli, 1991; D'Auria, Sull'atipicità dell'atto di fondazione istituita per testamento, in Riv. dir. civ. 2009, 737; De Nova, Novelle e diritto successorio: l'accettazione di eredità beneficiata degli enti non lucrativi, in Riv. not. 2009, 1; Giannattasio, Delle successioni. Successioni testamentarie, Torino, 1961; Montanari, Fallimento e vicende successorie per causa di morte relative all'imprenditore assoggettato alla procedura, in Fam. pers. e succ. 2008, 833; Natoli, L'amministrazione dei beni ereditari, I, L'amministrazione durante il periodo antecedente all'accettazione dell'eredità, Milano, 1968; Onofri, Riflessi di diritto successorio dell'amministrazione di sostegno, in Riv. not. 2005, 880; Padovini, Per l'abrogazione dell'art. 473 del codice civile: una proposta, in Riv. not. 2009, 737; Prestipino, Delle successioni in generale, in Comm. c.c., diretto da De Martino, Roma, 1981; Ricci, Lezioni sul fallimento, II, Milano, 1998. |