Codice Civile art. 519 - Dichiarazione di rinunzia.

Mauro Di Marzio

Dichiarazione di rinunzia.

[I]. La rinunzia all'eredità [320 3, 374 n. 3, 524-527] deve farsi con dichiarazione [1350 n. 13], ricevuta da un notaio o dal cancelliere del tribunale del circondario in cui si è aperta la successione [456], e inserita nel registro delle successioni [52, 53 att.; 133 trans.] (1).

[II]. La rinunzia fatta gratuitamente a favore di tutti coloro ai quali si sarebbe devoluta la quota del rinunziante non ha effetto finché, a cura di alcuna delle parti, non siano osservate le forme indicate nel comma precedente.

(1) Comma così modificato dall'art. 146 d.lg. 19 febbraio 1998, n. 51.

Inquadramento

Il chiamato all'eredità può accettarla ed acquistare così la qualità di erede (artt. 470 ss.), attraverso i diversi congegni che la legge prevede; può rimanere nella condizione di semplice chiamato all'eredità fintanto che il diritto di accettare non si sia prescritto (se non è in possesso di beni ereditari e se non abbia chiesto l'erezione dell'inventario); può, infine, secondo la disposizione in commento, rinunciare all'eredità. Non può invece rinunciare chi già è erede, in ossequio al principio semel heres semper heres (Cass. n. 7695/1992, ove si chiarisce che anche l'erede beneficiato può rinunciare al beneficio, ma non all'eredità; da ult. Cass. II, n.15663/2020).

La rinuncia ha natura di atto unilaterale tra vivi (pensabile solo dopo l'apertura della successione: prima di essa darebbe luogo a patto successorio) non recettizio (tali caratteri hanno indotto la giurisprudenza ad escludere la configurabilità di una simulazione di detto atto: Cass. n. 970/1967; Cass. n. 1026/1967; Cass. n. 4162/2015), limitatamente revocabile (v. sub art. 525), con cui il chiamato dichiara espressamente di voler dismettere il diritto di accettare l'eredità, senza trasferirlo ad altri, nel qual caso trova applicazione in dottrina l'art. 478 (Cicu, in Tr. C. M. 1961, 208). Si tratta inoltre di un actus legitimus, che non sopporta cioè l'apposizione di condizione o termine (v. sub art. 520). La rinuncia all'eredità è atto di straordinaria amministrazione, con quanto ne consegue nel caso in cui essa venga posta in essere da un incapace, che deve a seconda dei casi essere rappresentato o assistito rispettivamente dal legale rappresentante o dal curatore, il quale deve munirsi delle necessarie autorizzazioni (artt. 320, 374 e 411). La rinuncia non costituisce liberalità, neppure indiretta, giacché, sul piano negoziale, determina la dismissione del diritto di accettare l'eredità, ma non l'ulteriore delazione dell'eredità (a seconda dei casi per accrescimento, rappresentazione o sostituzione) che discende invece dalla legge (nelle prime due ipotesi menzionate) o dal testamento (in caso di sostituzione).

In giurisprudenza si afferma che l'atto in questione non costituisce atto di rinuncia in senso proprio, ma un semplice rifiuto, e non produce l'effetto della dismissione di beni entrati nel patrimonio del chiamato, ma quello d'impedirne l'ingresso (Cass. n. 2394/1974).

Da detta rinuncia va tenuto distinto il diverso fenomeno della perdita del diritto di accettare l'eredità che si produce se il chiamato non accetta nel termine fissato attraverso l'esercizio dell'actio interrogatoria di cui all'art. 481, ovvero se, secondo dottrina, non essendo in possesso dei beni ereditari, abbia eretto l'inventario non preceduto dalla dichiarazione di accettazione, senza accettare nel termine di quaranta giorni previsto dall'art. 487 (Ferri, in Comm. S.B. 1970, 73). Tale distinzione ha rilievo perché la perdita del diritto di accettare l'eredità non può essere oggetto di revoca, come invece è previsto per la rinuncia vera e propria dall'art. 525. Dalla rinuncia all'eredità va distinta la rinuncia a far valere il testamento, che non necessariamente implica la volontà di rimanere estranei alla successione, ma può dar corso all'apertura della successione legittima (Cass. n. 5666/1988; Cass. n. 4469/1988; per i requisiti formali della rinuncia a far valere il testamento, Cass. n. 12685/2014). Va inoltre tenuta distinta dalla rinuncia all'eredità, la rinuncia alla legittima da parte del legittimario leso che non eserciti l'azione di riduzione: in questo caso la rinuncia si realizza mediante un comportamento concludente, irrilevante ai fini della rinuncia all'eredità, che è un atto rigorosamente formale. La rinuncia all'eredità non comporta ricadute sugli eventuali legati di cui rinunciante sia beneficiario, attesa l'indipendenza della qualità di erede rispetto a quella di legatario.

Quanto ai termini, si è accennato che la rinuncia può essere compiuta entro il termine di prescrizione del diritto di accettare l'eredità. Un termine più breve trova tuttavia applicazione se il chiamato è nel possesso dei beni ereditari, operando in tal caso il congegno previsto dall'art. 485, secondo cui ha l'onere di fare l'inventario entro tre mesi dall'apertura della successione, divenendo altrimenti erede puro e semplice, senza poter quindi più rinunciare (Cass. n. 4845/2003; Cass. n. 11018/2008).

Forma della rinunzia

La rinunzia all'eredità è un negozio formale, giacché richiede l'osservanza delle forme stabilite dalla disposizione in esame (Ferri, in Comm. S.B. 1970, 79).

Anche in giurisprudenza si osserva che nel sistema delineato dagli artt. 519 e 525, in tema di rinunzia all'eredità, la quale determina la perdita del diritto all'eredità ove ne sopraggiunga l'acquisto da parte degli altri chiamati, l'atto di rinunzia deve essere rivestito di forma solenne, ossia dichiarazione resa davanti a notaio o al cancelliere e iscrizione nel registro delle successioni (Cass. n. 4846/2003, la quale ne trae la conseguenza dell'inammissibilità di una revoca tacita della rinunzia; nello stesso senso Cass. n. 21014/2011; ma su questo punto v. in difformità Cass. n. 6070/2012, che ammette l'accettazione tacita dell'eredità dopo la rinuncia; alla soluzione tradizionale torna Cass. n. 37927/2022). La forma richiesta, ossia la dichiarazione ricevuta da un notaio o dal cancelliere del tribunale competente, non può essere sostituita da una scrittura privata autenticata (Cass. n. 4274/2013).

Si ritiene che, mentre il cancelliere non possa essere se non quello previsto dalla norma, il rinunciante possa rivolgersi a qualunque notaio (Ferri, in Comm. S.B. 1970, 88).

Quanto all'inserzione dell'atto di rinuncia all'eredità nel registro delle successioni, è stato affermato che tale adempimento costituisce una forma di pubblicità funzionale a rendere la rinuncia opponibile ai terzi e non rileva ai fini della sua validità (Cass. n. 3346/2014; e già Cass. n. 2008/1960). Ai sensi dell'art. 519 costituiscono cioè condizioni per la validità e l'efficacia di fronte ai terzi della rinuncia all'eredità la sua forma solenne (dichiarazione resa davanti a notaio o al cancelliere) e la sua iscrizione nel registro delle successioni (Cass. n. 11634/1991).

Anche la dottrina prevalente condivide l'affermazione secondo cui l'inserzione nel registro delle successioni non influisce sulla validità della rinuncia, ma solo della sua opponibilità ai terzi (Cicu, in Tr. C. M. 1961, 211). La dottrina questa volta unanime esclude che la rinunzia all'eredità debba essere trascritta stante l'inapplicabilità dell'art. 2643, n. 5, il quale prevede la trascrizione degli atti tra vivi di rinunzia a diritti reali immobiliari, dal momento che la rinunzia all'eredità ha ad oggetto il diritto di accettare, e non diritti su beni immobili, anche quando questi siano compresi nell'asse ereditario (Cicu, in Tr. C. M. 1961, 209).

Rinuncia gratuita

Il comma 2 della disposizione in commento si riferisce alla rinuncia gratuita all'eredità in favore di tutti coloro ai quali si sarebbe devoluta la quota del rinunziante, e disciplina così un'ipotesi diversa da quella considerata dall'art. 478 della rinuncia a favore di alcuni soltanto dei chiamati, rinuncia che comporta invece l'effetto opposto, ossia l'accettazione dell'eredità. La rinuncia gratuita prevista dal comma 2 ora in esame si distingue altresì tanto dalla rinuncia fatta verso corrispettivo, che dà luogo ad accettazione ai sensi dello stesso art. 477, nonché dalla donazione, vendita o cessione dei diritti di successione, che, ai sensi dell'art. 477, comportano parimenti accettazione dell'eredità.

Secondo alcuni la norma, nel fare menzione delle «parti», implicherebbe non già il compimento di un atto unilaterale, come nel caso previsto dal comma 1, bensì la stipulazione di vero e proprio accordo al quale verrebbe esteso il regime formale richiesto per la rinunzia unilaterale, fatta eccezione per la possibilità che l'inserzione nel registro delle successioni venga effettuata non dal rinunciante ma da altro degli interessati (Grosso-Burdese, in Tr. Vas. 1977, 336; Prestipino, in Comm. De M. 1981, 422). Altri ritengono invece inesatto l'impiego dell'espressione «parti», sicché la rinuncia conserverebbe il carattere dell'atto unilaterale (Ferri, in Comm. S.B. 1970, 74; Capozzi, 320).

Bibliografia

Capozzi, Successioni e donazioni, Milano, 2009; Natoli, L'amministrazione dei beni ereditari, I, L'amministrazione durante il periodo antecedente all'accettazione dell'eredità, Milano, 1968.

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