Codice Civile art. 724 - Collazione e imputazione.

Giusi Ianni
aggiornato da Rossella Pezzella

Collazione e imputazione.

[I]. I coeredi tenuti a collazione, a norma del capo II di questo titolo [737 ss.], conferiscono tutto ciò che è stato loro donato.

[II]. Ciascun erede deve imputare alla sua quota le somme di cui era debitore verso il defunto e quelle di cui è debitore verso i coeredi in dipendenza dei rapporti di comunione.

Inquadramento

La norma si pone come premessa del successivo art. 725 e il combinato disposto tra le due norme mira a ristabilire l'uguaglianza tra i condividenti ai fini della realizzazione della divisione, qualora vi siano tra i condividenti stessi donatari dal de cuius ovvero debitori verso il defunto o verso i coeredi in dipendenza del rapporto di comunione, finché lo stesso è perdurato.

Trattasi, comunque, di operazioni che non comportano una divisione parziale dell'eredità, realizzando, piuttosto, un'attività di carattere meramente prodromico alle operazioni divisionali, che non determina lo scioglimento anticipato della comunione ereditaria (Cass. n. 25646/2008).

Le collazione e l'imputazione da parte dei condividenti

I condividenti che siano tenuti alla collazione ai sensi degli artt. 737 ss. (vale a dire figli e coniuge  e, a seguito dell'entrata in vigore della l. n. 76/2016, la parte dell'unione civile tra persone dello stesso sesso, che abbiano ricevuto donazioni, dirette o indirette, dal de cuius e non siano stati dispensati dalla collazione) devono, ai fini della divisione, conferire in natura ciò che è stato loro donato, al fine di far rientrare tali beni nella massa da dividere, ovvero devono imputare alla loro quota il valore dei medesimi beni.

La collazione per imputazione — che si differenzia da quella in natura per il fatto che i beni già oggetto di donazione rimangono di proprietà del medesimo condividente — dà vita ad un debito di valuta a carico del donatario, a cui si applica il principio nominalistico, con decorrenza dalla data di apertura della successione; ne consegue che anche gli interessi legali andranno rapportati a tale valore e decorreranno dal medesimo momento (Cass. n. 5659/2015). Ciascun erede deve, inoltre, imputare alla sua quota le somme di cui era debitore verso il defunto e quelle di cui è debitore verso i coeredi in dipendenza dei rapporti di comunione. Non è possibile per il coerede debitore del de cuius pagare direttamente gli altri coeredi in proporzione alle quote loro spettanti (Cass. n. 5092/2006). Con riferimento, invece, alla posizione dell'erede debitore di altri coeredi in dipendenza dei rapporti di comunione, si è affermata la possibilità per il medesimo di evitare l'imputazione estinguendo in moneta corrente il suo debito, purché ciò avvenga prima delle operazioni di prelevamento di cui all'art. 725, non potendosi ammettere che sia disatteso a posteriori un atto compiuto nel rispetto delle regole che stabiliscono i modi di graduazione delle operazioni divisionali (Cass. n. 569/1979). Di recente si è affermato che, nel caso in cui l'erede abbia pagato un debito ereditario in misura maggiore di quanto corrisponda alla propria quota (come le spese funerarie, per l'apposizione dei sigilli, per imposte di successione), questi acquista un mero diritto di credito nei confronti dei coeredi, in forza del quale può esperire l'azione di ripetizione, anche in pendenza dello stato di indivisione, oppure può chiedere che ciascun coerede imputi alla propria quota la somma di cui è debitore verso il coerede, ma, non avendolo fatto, non può vantare un diritto a quota maggiore di quella spettantegli (Cass. n. 28955/2023).

Secondo la giurisprudenza di legittimità, qualora la donazione di danaro fatta in vita dal de cuius venga dichiarata nulla, la relativa somma diviene oggetto di un credito del de cuius verso l'erede donatario, alla cui quota la somma stessa deve essere imputata, a norma dell'art. 724, comma 2 (Cass. n. 20633/2014).

La collazione non riguarda i beni oggetto di trasferimento a titolo oneroso (anche se a favore del coerede), salvo che sia accertata la natura simulata del relativo atto dispositivo in accoglimento di un'apposita domanda formulata in tal senso dal coerede che chiede la divisione. In tal caso il dies a quo del termine di prescrizione dell'azione di simulazione varia in rapporto all'oggetto della domanda: se questa è proposta dall'erede quale legittimario, facendo valere il proprio diritto alla riduzione della donazione (che si asserisce dissimulata) lesiva della quota di riserva, il termine di prescrizione decorre dal momento dell'apertura della successione; mentre se l'azione sia esperita al solo scopo di acquisire il bene oggetto di donazione alla massa ereditaria per determinare le quote dei condividenti e senza addurre alcuna lesione di legittima, il termine di prescrizione decorre dal compimento dell'atto che si assume simulato, subentrando in tal caso l'erede, anche ai fini delle limitazioni probatorie ex art. 1417., nella medesima posizione del de cuius (Cass. n. 3932/2016).

Bibliografia

Bonilini, Divisione, in Dig. Civ., Torino, 1990, 487 e ss.; Mora, Il contratto di divisione, Milano, 1994, 1 e ss.; Mora, La divisione. Effetti, garanzie e impugnative, Milano, 2014, 1 e ss.; Pischetola, La divisione contrattuale. Profili civilistici e fiscali, Roma, 1 ss.

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