Codice Civile art. 817 - Pertinenze.

Antonio Scarpa

Pertinenze.

[I]. Sono pertinenze le cose destinate in modo durevole a servizio o ad ornamento di un'altra cosa [1640, 1641].

[II]. La destinazione può essere effettuata dal proprietario della cosa principale o da chi ha un diritto reale sulla medesima [246 ss., 862 ss. c. nav.].

Inquadramento

La norma in commento definisce le pertinenze come «cose destinate in modo durevole a servizio o ad ornamento di un'altra cosa», specificando che tale destinazione può essere effettuata dal proprietario della cosa principale o dal titolare di un diritto reale sulla medesima. La pertinenza è, quindi, volta a rendere possibile una migliore utilizzazione o godimento della cosa principale, o ad aumentarne il decoro. Il rapporto tra cosa principale e pertinenza non è una relazione di incorporazione, o di connessione materiale o strutturale, ma un vincolo economico e giuridico di strumentalità e complementarità funzionale, sicché esso non dà luogo ad un quid novi, né ad un'utilità diversa dalla somma delle utilità fornite dai due beni singolarmente considerati.

Elementi del rapporto pertinenziale

Il vincolo pertinenziale ha natura reale (DE Martino, in Comm. S. B., 1976, 53) e si sostanzia nella relazione di strumentalità e complementarità funzionale esistente tra due cose suscettibili di distinta individuazione e perciò non costituenti parti di un singolo bene caratterizzato da unitarietà strutturale ed organica. Il legame di pertinenza postula innanzitutto un elemento oggettivo, dato dalla destinazione di un bene al servizio (ovvero, alla gestione) o all'ornamento (ovvero, al miglioramento estetico) dell'altro (non essendo decisivo, al fine di individuare quale dei due sia la cosa principale, il rispettivo valore economico dei due beni); occorre poi un elemento soggettivo, costituito dalla rispondenza della destinazione impressa all'effettiva volontà dell'avente diritto di creare il suddetto vincolo (Biondi, in Tr. Vas., 1956, 127; Costantino-Bellantuono-Pardolesi, in Tr. Res., 1982, 54).

L'accertamento del requisito soggettivo dell'appartenenza del bene principale e di quello accessorio al medesimo soggetto, nonché del requisito oggettivo della contiguità tra i due beni, ai fini del quale il bene accessorio deve arrecare un'utilità a quello principale, e non al proprietario di esso, comporta un giudizio di fatto che, come tale, è incensurabile in sede di legittimità se espresso con motivazione immune da vizi logici (Cass. I, n. 11970/2018).

Per potersi ravvisare il vincolo pertinenziale tra due beni, tra loro distinti ed autonomi, è necessario che il proprietario della cosa principale abbia la piena disponibilità anche della cosa accessoria e che la destinazione pertinenziale, specie quando essa derivi da un atto non negoziale, sia attuale ed effettiva (e non meramente potenziale) e possa essere fatta risalire ad un comportamento oggettivamente valutabile che destini l'una cosa al servizio o all'ornamento dell'altra, postulando, peraltro, il vincolo anche l'esclusività della funzione accessoria dell'un bene rispetto all'altro. Pertanto, ove tale requisito manchi ed il bene accessorio sia adibito contemporaneamente a servizio di diversi beni appartenenti a soggetti differenti non si configura una pertinenza, ma un caso di proprietà comune del bene accessorio, ovvero un caso di servitù imposta su di esso (Cass. n. 14559/2004). La legittimazione alla creazione di un vincolo di pertinenzialità tra le cose spetta a chi abbia la proprietà, un diritto reale di godimento o comunque la piena disponibilità giuridica di entrambi i beni, implicando un atto reale di destinazione che può desumersi pure da fatti concludenti. Allorché il proprietario della cosa principale non abbia, invece, anche la libera disponibilità della pertinenza, la destinazione di una cosa al servizio di un'altra può avere luogo solo in forza di un rapporto obbligatorio costituito tra i rispettivi proprietari (Cass. II, n. 27636/2018).

Si veda Cass. II, n. 12440/2022, per la configurabilità della permanenza del rapporto pertinenziale nell'ipotesi di alienazione a soggetti diversi, per quote separate, del bene principale e della corrispondente parte del bene accessorio.

Per le cd. pertinenze "urbane" e, in specie, per i beni mobili posti ad ornamento di edifici, v.Cass. VI, n. 12731/2019. La locazione immobiliare include anche le pertinenze, se non diversamente stabilito da parte del proprietario di entrambe (Cass. II, n. 2976/2019).

Allorquando la destinazione di una cosa a servizio dell'altra, pur in presenza della proprietà dell'una e dell'altra in capo allo stesso soggetto, venga fatta da colui che abbia in locazione la cosa principale con la sola tolleranza o la mera conoscenza del proprietario locatore, il vincolo pertinenziale è escluso per difetto del suddetto elemento soggettivo (Cass. n. 19157/2005). Esula dalla nozione della pertinenza ex art. 817  la relazione di accessorietà tra parti comuni ed unità immobiliari, tipica del condominio di edifici (Cass. II, n. 6458/2019).

D'alto canto, la norma in commento postula una destinazione attuata «in modo durevole», e ciò perché una destinazione transitoria ed episodica non darebbe luogo al vincolo pertinenziale, il che spiega pure il motivo per cui si richiede che esso sia posto in essere da un soggetto qualificato, ovvero da chi abbia la proprietà della cosa principale o un diritto reale sulla medesima (La Torre, 267).

Altresì a proposito dell'art. 2 d.lgs. n. 504/1992, in tema di ICI, si è affermato che l'esclusione, ivi prevista, dell'autonoma tassabilità delle aree pertinenziali, fonda l'attribuzione della qualità di pertinenza su un criterio oggettivo e fattuale, ossia sulla destinazione effettiva e concreta della cosa al servizio od ornamento di un'altra in applicazione dell'art. 817, e su uno soggettivo, consistente nella volontà di dar vita ad un vincolo di accessorietà durevole, senza che rilevi l'intervenuta graffatura catastale, che ha esclusivo rilievo formale, sicché, anche in tale ipotesi, permane a carico del contribuente l'onere di provare la ricorrenza in concreto dei predetti presupposti (Cass . V, n. 13742/2019; Cass. VI, n. 2128/2019;Cass. V,  n. 13606/2018).

Casistica

È stata riconosciuta in giurisprudenza la qualificazione giuridica di pertinenze alla stregua dell'art. 817: agli affreschi che adornano gli appartamenti (Cass. n. 3610/2001); al posto macchina sito nell'autorimessa condominiale rispetto all'appartamento destinato ad abitazione (Cass. n. 370/1997); alla cantina di un appartamento (Cass. n. 109/1980); alla veranda posta a servizio di un appartamento (Cass. n. 3574/1999); alle strade interpoderali poste al servizio di fondi latistanti (Cass. n. 5811/1979); alle scorte di un fondo agricolo destinate al servizio del fondo stesso (Cass. n. 3242/1986); alla striscia di terreno contigua ad un fabbricato che funge da spazio di isolamento (Cass. n. 273/1984); all'impianto di autoradio rispetto all'autoveicolo (Cass. n. 4540/1993). Il vincolo di subordinazione tra accessorio e il principale, richiesto dall'art. 817, è stato, invece, negato: nel caso della cucina, del bagno e della soffitta posti al servizio esclusivo di un bene immobile, ma essenziali al suo completamento (Cass. n. 2016/1998); l'appartamento costruito come sua abitazione dal proprietario di una farmacia per raggiungere da esso più rapidamente il luogo di lavoro (Cass. n. 6671/1984).

Spazi destinati a parcheggi privati

Quanto agli spazi destinati a parcheggi privati negli edifici condominiali, si sono susseguiti diversi interventi legislativi incidenti sulla limitazione dell'autonomia privata in ordine non soltanto alle dimensioni minime di tali spazi, ma anche al loro regime di circolazione. In particolare, vanno distinti: a) i parcheggi soggetti ad un vincolo pubblicistico di destinazione, produttivo di un diritto reale d'uso in favore dei condomini e di un vincolo pertinenziale «ex lege» che non ne esclude l'alienabilità separatamente dall'unità immobiliare, disciplinati dall'art. 18 l. n. 765/1967, il quale prescrive che, nelle nuove costruzioni e nelle aree di pertinenza delle stesse, devono essere riservati appositi spazi per parcheggi in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni venti metri cubi di costruzione; b) i parcheggi soggetti al vincolo pubblicistico d'inscindibilità con l'unità immobiliare, introdotti dall'art. 2 l. n. 122/1989, assoggettati ad un regime di circolazione controllata e di utilizzazione vincolata e, conseguentemente non trasferibili autonomamente; c) i parcheggi non rientranti nelle due specie sopra illustrate, perché realizzati in eccedenza rispetto agli spazi minimi inderogabilmente richiesti dalla disciplina normativa pubblicistica, ad utilizzazione e a circolazione libera; d) i parcheggi disciplinati dall'art. 12, comma 9, l. n. 246/2005, che ha modificato l'art. 41-sexies l. n. 1150/1942, ed in base al quale gli spazi per parcheggio possono essere trasferiti in modo autonomo rispetto alle altre unità immobiliari, con conseguente liberalizzazione del regime di circolazione e trasferimento delle aree destinate a parcheggio, riferita tuttavia esclusivamente al futuro, ovvero alle costruzioni non ancora realizzate e a quelle per le quali non fosse ancora intervenuta la stipulazione delle vendite delle singole unità immobiliari al momento della sua entrata in vigore (Cass. II, n. 2265/2019).

Bibliografia

Biondi, voce Cosa mobile ed immobile (diritto civile), in Nss. D.I., IV, Torino 1959, 1024 ss.; La Torre, Il bene «duale» nella teoria delle cose, in Giust. civ. 2008, 267 ss.; Scozzafava, I beni e le forme giuridiche di appartenenza, Milano, 1982, 90; Trimarchi, Universalità di cose, in Enc. dir., XLV, Milano 1992, 820.

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