Codice Civile art. 1103 - Disposizione della quota.Disposizione della quota. [I]. Ciascun partecipante può disporre del suo diritto e cedere ad altri il godimento della cosa nei limiti della sua quota [1101, 1113, 2825; 873 c. nav.]. [II]. Per le ipoteche costituite da uno dei partecipanti si osservano le disposizioni contenute nel capo IV del titolo III del libro VI [2825; 263, 872 c. nav.]. InquadramentoIn materia di comunione ordinaria, ai sensi dell'art. 1103, vige il principio secondo cui ciascun partecipante può disporre del suo diritto e cedere ad altri il godimento della cosa nei limiti della sua quota. Libera disponibilità della quotaIl principio generale che regola il regime giuridico della comunione pro indiviso è quello della libera disponibilità della quota ideale, sicché ciascun comunista può autonomamente vendere o promettere di vendere la sua quota, salvo le autolimitazioni che all'esercizio di questa facoltà possono derivare dalla volontà delle parti interessate, nel senso che i condomini possono vincolarsi a non disporre delle proprie quote se non indivisamente ed insieme. Non può essere d'ostacolo alla disponibilità e trasferibilità della quota da parte di ciascun comproprietario la mancata determinazione, negli atti di provenienza, della misura dei suoi diritti sulla cosa comune, operando in questa ipotesi la presunzione di uguaglianza dei partecipanti sancita dall'art. 1101 (Cass. I, n. 2815/1990). Il diritto di ciascun partecipante di cedere ad altri il godimento della cosa, nei limiti della sua quota, implica che al partecipante medesimo deve riconoscersi anche la facoltà di costituire, sempre nei limiti della sua quota, un diritto reale di uso a favore di un terzo (Cass. II, n. 4706/1980). L'alienazione che il comproprietario faccia del suo diritto, ai sensi dell'art. 1103, determina l'ingresso dell'acquirente nella comunione soltanto nel caso in cui l'alienazione riguardi la quota o una frazione di questa, mentre se il comproprietario disponga di un singolo bene, avendo l'alienazione efficacia obbligatoria, della comunione continua a far parte il disponente, che, pertanto, resta titolare dell'azione di cui all'art. 1111 (Cass. II, n. 10629/1996). Se, dunque, il comproprietario aliena la sua quota ideale di comproprietà, la vendita ha per oggetto concreto quella parte dei beni comuni che sarà assegnata al venditore in sede di divisione. Se invece il partecipante aliena una porzione concreta e determinata della cosa comune, l'efficacia del negozio è sottoposta alla condizione sospensiva consistente nell'evento che il bene determinato oggetto della vendita sia assegnato in sede di divisione al condomino che l'ha venduto. Se poi l'alienazione riguarda non la quota ma la parte determinata corrispondente alla quota e vi sia l'assenso di tutti gli altri compartecipi, si ha una vera e propria divisione (Cass. II, n. 733/1988). Proprio perché la vendita di un bene, facente parte di una comunione ordinaria, da parte di uno solo dei comproprietari, ha solo effetto obbligatorio, fino al momento dell'assegnazione del bene al venditore, a seguito della divisione, il bene continua a far parte della comunione, e l'acquirente può avvalersi solo dei diritti di cui all'art. 1113 c.c., né è parte necessaria del giudizio di divisione, sicché la sua mancata evocazione in giudizio comporta unicamente che la divisione non abbia effetto nei suoi confronti (Cass. II, n. 25097/2022; Cass. VI, n. 4428/2018). Tuttavia, nel caso di vendita da parte di uno dei coeredi di bene ereditario che costituisce l'intera massa, l'effetto traslativo dell'alienazione non resta subordinato all'assegnazione in sede di divisione della quota all'erede alienante, dal momento che costui è proprietario esclusivo della frazione ideale di cui può liberamente disporre, sicché il compratore subentra, «pro quota», nella comproprietà del bene comune (Cass. II, n. 26051/2014). La vendita di quota di bene indiviso è ammissibile e valida, senza che gli altri comproprietari abbiano diritto di opporsi, e, pertanto, se in un contratto di vendita è indicato che il bene appartiene a più persone e solo alcune di esse lo sottoscrivono, non può negarsi a priori la validità della vendita delle singole quote, a meno che non ricorra l'inscindibilità della prestazione (Cass. II, n. 5647/1982). Anche nell'ipotesi in cui il contratto concluso da un comproprietario consideri il bene come un unicum inscindibile, l'alienazione rimane valida, ma inopponibile al comproprietario che non abbia preso parte alla stipula dell'atto (Cass. II, n. 2701/2019; Cass. II, n. 4965/2004). La compravendita di un bene comune predisposta per la partecipazione di tutti i comproprietari, ma stipulata da uno solo di essi, si considera, quindi, inefficace con riferimento all'intera «res empta», ma, trattandosi di inefficacia soltanto relativa, legittimato a farla valere è soltanto il titolare dell'interesse all'acquisto all'intero bene, cui va, peraltro, riconosciuta facoltà di chiedere, in sede giudiziale, l'accertamento dell'efficacia del contratto in relazione alla quota del comproprietario validamente intervenuto alla stipula, senza che quest'ultimo possa a ciò opporsi, in assenza di un apprezzabile interesse a che la cosa indivisa sia venduta per l'intero, a meno che, dal contratto di compravendita, non risulti che il negozio sia stato comunemente inteso come vendita unitaria: in tale ipotesi, ciascuno degli stipulanti che vi abbia interesse è, difatti, legittimato a far valere la nullità della convenzione negoziale, ed il giudice ben può rilevarla d'ufficio (Cass. II, n. 4902/1998). Anche la locazione di quota ideale del bene comune è consentita dalla disposizione di cui all'art. 1103, potendo inoltre il conduttore cui sia stato concesso il godimento della cosa comune nei limiti di una quota detenere il bene insieme agli altri condomini possessori (Cass. III, n. 165/2005). Rapporti con la comunione ereditariaLo scioglimento di una comunione ereditaria, cioè della contitolarità dei rapporti attivi e passivi che formavano il patrimonio del de cuius al momento della morte, si verifica quando i condividenti abbiano proceduto con le operazioni previste dagli artt. 713 ss. ad eliminare la maggior parte delle relative componenti. Peraltro, lo scioglimento della comunione ereditaria non è incompatibile con il perdurare di uno stato di comunione ordinaria rispetto a singoli beni già compresi nell'asse ereditario in divisione. Ove a seguito della divisione si determini tale situazione di comunione ordinaria fra alcuni coeredi per la congiunta attribuzione ad essi di un bene, non trova applicazione il retratto successorio, ex art. 732, avendo esso la finalità di impedire l'intromissione di estranei nello stato di indivisione determinato dall'apertura della successione mortis causa. In materia di comunione ordinaria vige, invero, il diverso principio di cui all'art. 1103, né l'art. 732 potrebbe operare in virtù del rinvio di cui all'art. 1116, che estende alla divisione ordinaria le norme sulla divisione ereditaria, essendo escluse dall'estensione le norme incompatibili con quelle tipiche della comunione ordinaria (Cass. II, n. 6293/2015). BibliografiaBranca, Comunione. Condominio negli edifici, in Comm. S.B., artt. 1100 - 1139, Bologna-Roma, 1982; Fragali, La comunione, in Tr. C.M., XIII, t. 1, Milano, 1973; Palazzo, Comunione, in Dig. civ., III, Torino, 1988, 158 ss., 168 s.; Scozzafava, voce Comunione, in Enc. giur., VII, Roma, 1988, 2 ss.; Fedele, La comunione, Torino, 1986; Scarpa, Disciplina del “condominio minimo”: duo faciunt collegium?, in Immobili & diritto, 2005, 30 ss.; Busnelli, L'obbligazione soggettivamente complessa, Milano, 1974. |