Codice Civile art. 1206 - Condizioni 1 .Condizioni1. [I]. Il creditore è in mora quando, senza motivo legittimo, non riceve il pagamento offertogli nei modi indicati dagli articoli seguenti o non compie quanto è necessario affinché il debitore possa adempiere l'obbligazione [1175; 160 trans.]. [1] La Corte costituzionale, con sentenza 28 febbraio 2019, n. 29, ha dichiarato non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità del “ combinato disposto ” degli artt. 1206,1207 e 1217 del codice civile , sollevate in riferimento agli artt. 3,24,111 e 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. InquadramentoLa norma stabilisce che il creditore è in mora quando, nonostante il debitore si attivi per adempiere, il creditore non cooperi per consentire tale adempimento, ricevendo la prestazione nel caso di offerta del pagamento ovvero ponendo in essere le condotte indispensabili affinché il debitore possa adempiere l'obbligazione nel caso di prestazioni di dare che non presuppongano il pagamento o di facere. La previsione suggella il principio secondo cui nel rapporto obbligatorio esistono specifici obblighi di cooperazione che sono posti a carico non solo del debitore, ma anche del creditore e che sono finalizzati all'attuazione dell'obbligazione. In specie, la norma in commento definisce il contenuto degli obblighi che riguardano il creditore. Si tratta appunto di comportamenti positivi, la cui mancata integrazione implica, in concorso con l'offerta reale o per intimazione, la costituzione in mora del creditore (Giacobbe, 953). Non si tratta di una obbligazione assimilabile all'obbligazione principale che ricade sul debitore, bensì di obblighi strumentali o funzionali all'attuazione del rapporto obbligatorio (Falzea,38). Infatti, tali obblighi sono collocati nella categoria degli oneri (Bianca, 375), poiché la mora accipiendi non tutela un autonomo interesse del debitore, ma delimita l'area della difesa dell'interesse creditorio (Cattaneo, in Comm. S.B., 1988, 55). A questo inquadramento sfuggono solo alcune particolari situazioni, come quelle del conduttore che deve prendere in consegna la cosa locata, dell'esecuzione del mandato conferito anche nell'interesse del mandatario, dell'impresario che sia creditore dell'artista ingaggiato, dell'attuazione del rapporto di apprendistato, situazioni in cui si rinvengono veri e propri obblighi di cooperazione (Bianca, 375). Secondo altra prospettazione, gli obblighi di cooperazione non rientrano nel rapporto obbligatorio ma sono obblighi erga omnes, con la conseguenza che la loro violazione determina la realizzazione di un illecito. Ulteriore opinione riconduce la violazione di detti obblighi alla categoria dell'abuso del diritto a cura del creditore, cui la legge ricollega delle contromisure di natura equitativa (Natoli-Bigliazzi Geri 71; Bigliazzi Geri 2). In ogni caso, il potere del debitore di liberarsi dal vincolo obbligatorio costituisce un diritto potestativo (Natoli, in Tr. C.M., 1974, 65). La norma non trova applicazione con riferimento alle obbligazioni il cui adempimento non richiede alcuna collaborazione del creditore, come accade nelle obbligazioni negative o in alcune obbligazioni di fare, salvo che non sopravvengano particolari fattori che rendono indispensabile detta collaborazione (Cattaneo, in Comm. S.B., 1988, 17; contra Giacobbe, 956). La cooperazione del creditore è esclusa altresì nel caso di obbligazioni naturali (Falzea 127). La natura strumentale degli obblighi di cooperazione che fanno capo al creditore induce la giurisprudenza a ritenere che il loro inadempimento non giustifica il ricorso ad un'azione di condanna, ma ammette più semplicemente la sola azione di convalida del deposito (Cass. n. 809/1986). Si sostiene ancora che si tratti di onere (Cass. n. 376/1986). Anche la giurisprudenza esclude che il creditore sia tenuto a cooperare all'adempimento del debitore quando tale cooperazione non sia necessaria, aggiungendo che l'accertamento di tale necessità di cooperazione deve essere compiuto con riferimento alla portata obiettiva della obbligazione medesima, nel senso che l'attuazione del rapporto obbligatorio non sia giuridicamente possibile senza il concorso del creditore (Cass. n. 1694/1984). Il rifiuto di ricevere il pagamentoIl creditore deve ricevere il pagamento offertogli. Per pagamento si intende l'adempimento della prestazione e tanto sarebbe riferibile all'adempimento di ogni obbligazione che abbia ad oggetto una prestazione di dare o fare (Giacobbe, 958). Secondo altra prospettazione, invece, la previsione alluderebbe alle sole obbligazioni il cui adempimento si traduca in un pagamento in senso stretto, ossia nella consegna di una somma di denaro o di una cosa (Cattaneo, in Comm. S.B., 1988, 22). Il rifiuto della prestazione da parte del creditore può essere espresso o attuato mediante contegni concludenti, ivi compreso il silenzio che sia in concreto significativo di tale rifiuto. Si rientra comunque nell'ambito di una manifestazione negoziale di volontà (Visintini, in Tr. Res., 1999, 146). È discusso se possa configurarsi la mora ex re del creditore nel caso in cui questi rifiuti anticipatamente di ricevere la prestazione, atteso che l'art. 1217 si riferisce alle obbligazioni di fare. La giurisprudenza si è espressa nel senso che, in tema di obbligazioni pecuniarie, il pagamento effettuato mediante un sistema diverso dal versamento di moneta avente corso legale nello Stato, ma che comunque assicuri al creditore la disponibilità della somma dovuta, può essere rifiutato solo in presenza di un giustificato motivo, dovendo altrimenti il rifiuto ritenersi contrario a correttezza e buona fede. Nella specie, inviato dal debitore assegno bancario per un importo corrispondente all'ammontare del credito, avendo il creditore omesso di comunicare le proprie determinazioni in merito alla non accettazione del pagamento, nonché di seguito intimato il precetto ed iniziato l'esecuzione continuando a detenere l'assegno ricevuto, portandolo all'incasso dopo la scadenza dei termini per la presentazione, è stata confermata la decisione con cui il giudice dell'esecuzione, in accoglimento dell'opposizione proposta dal debitore, aveva escluso la mora debendi e, dunque, la decorrenza degli interessi sulla somma costituente oggetto dell'obbligazione, proprio in ragione della ravvisata contrarietà a buona fede del contegno assunto dal creditore della prestazione pecuniaria (Cass. n. 14531/2013). Allo stesso modo, l'offerta di pagamento della somma dovuta fatta dal debitore con l'invio, a mezzo posta, di assegno circolare al domicilio del creditore al tempo della scadenza dell'obbligazione integra la fattispecie di cui all'art. 1220, che vale ad escludere soltanto la mora del debitore, salvo che l'offerta sia rifiutata dal creditore per un motivo legittimo (Cass. n. 18240/2002). Il mancato compimento delle attività necessarie all'adempimentoLa norma soggiunge che la mora del creditore si determina anche quando il creditore non compia quanto sia in concreto necessario affinché il debitore possa adempiere l'obbligazione. Il che presuppone che la prestazione possa attuarsi solo per effetto di un contegno cooperativo posto in essere dal creditore. Orbene, secondo alcuni, la locuzione sarebbe onnicomprensiva, tanto da annoverare anche l'ipotesi del ricevimento del pagamento, che pure rappresenta una condotta di cooperazione e che costituisce una specificazione del più generale obbligo di attivazione del creditore (Giacobbe, 955). In base ad altra ricostruzione, la previsione avrebbe un contenuto residuale, ossia includerebbe tutte le prestazioni che non si traducano in un pagamento e, segnatamente, le obbligazioni di fare (Cattaneo, in Comm. S.B., 1988, 22). La mancata cooperazione si manifesta attraverso un comportamento omissivo, a fronte degli specifici obblighi che nella fattispecie concreta siano indispensabili ai fini di rendere possibile l'adempimento del debitore. La mora del creditore può realizzarsi anche quando l'offerta provenga da un terzo e anche nei confronti del terzo la prestazione offerta può essere rifiutata per un motivo legittimo. In questo caso gli effetti della mora operano a vantaggio del debitore e non del terzo e il debitore è legittimato a farli cessare anche dichiarando in una seconda fase di opporsi all'intervento del terzo (Cattaneo, in Comm. S.B., 1988, 24). Anche nell'appalto di opere pubbliche, stante la natura privatistica del contratto, è configurabile, in capo all'amministrazione committente, creditrice dell'opus, un dovere — discendente dall'espresso riferimento contenuto nell'art. 1206 e, più in generale, dai principi di correttezza e buona fede oggettiva che permeano la disciplina delle obbligazioni e del contratto — di cooperare all'adempimento dell'appaltatore attraverso il compimento di quelle attività, distinte rispetto al comportamento dovuto da questi e necessarie affinché il medesimo possa realizzare il risultato cui è preordinato il rapporto obbligatorio (Cass. n. 12698/2014). Più in generale, l'appaltante è tenuto a cooperare all'adempimento dell'appaltatore qualora tale cooperazione sia necessaria per l'oggetto particolare dei servizi appaltati (Cass. n. 26260/2013). La responsabilità del creditoreUn filone della dottrina ritiene che affinché si realizzi la mora accipiendi è necessario che il comportamento omissivo del creditore sia colposo (Falzea, 177); infatti, se tale contegno non gli fosse imputabile, non sarebbe ragionevole individuare a suo carico un obbligo di risarcire il danno (art. 1207). Ma l'orientamento prevalente reputa che la mora del creditore non esige la colpa poiché il risarcimento non costituisce la sanzione per un illecito commesso, ma è dovuto in ragione del maggior sacrificio a cui il debitore deve sottoporsi per eseguire la prestazione a causa della mancata cooperazione del creditore (Bianca, 393; Cattaneo, in Comm. S.B., 1988, 64). Sicché la colpa non è richiesta né per costituire in mora il creditore né per procedere al deposito liberatorio (Visintini, in Tr. Res., 1999, 146). Pur non trattandosi di responsabilità per colpa, deve escludersi però che si ricada in un'ipotesi di responsabilità oggettiva e ciò perché l'imputabilità del comportamento deve essere vagliata alla stregua dei motivi legittimi che integrano una causa di giustificazione dell'omessa cooperazione nel caso concreto (Giacobbe, 965). Non è richiesto che il debitore dimostri di essere pronto ad adempiere; spetterà eventualmente al creditore provare che il debitore non lo è, allo scopo di escludere gli effetti della mora (Cattaneo, in Comm. S.B., 1988, 65). Il creditore può incorrere in mora anche quando il difetto di cooperazione sia riconducibile al suo ausiliario, sebbene il debitore abbia fornito il suo consenso alla scelta di questo. Diverso è il caso in cui la scelta sia effettuata d'accordo tra creditore e debitore ed il terzo sia ausiliario di entrambi (Cattaneo, in Comm. S.B., 1988, 63). In specie, ricorre la mora accipiendi quando il pagamento debba essere necessariamente ricevuto da un terzo, come il fallimento, a prescindere dalla colpa del creditore. In tema di locazione, nell'ipotesi in cui l'immobile offerto in restituzione dal conduttore si trovi in stato non corrispondente a quello descritto dalle parti all'inizio della locazione, ovvero, in mancanza di descrizione, si trovi, comunque, in cattivo stato locativo, per accertare se il rifiuto del locatore di riceverlo sia o meno giustificato, occorre distinguere a seconda che la cosa locata risulti deteriorata per non avere il conduttore adempiuto all'obbligo di eseguire le opere di piccola manutenzione durante il corso della locazione, ovvero per avere il conduttore stesso effettuato trasformazioni e/o innovazioni, così che, nel primo caso (trattandosi di rimuovere deficienze che non alterano la consistenza e la struttura della cosa, e non implicano l'esplicazione di un'attività straordinaria e gravosa) l'esecuzione delle opere occorrenti per il ripristino dello status quo ante rientra nel dovere di ordinaria diligenza cui il locatore è tenuto per non aggravare il danno, ed il suo rifiuto di ricevere la cosa è conseguentemente illegittimo, salvo diritto al risarcimento dei danni, mentre, nel secondo caso (poiché l'esecuzione delle opere di ripristino implica il compimento di un'attività straordinaria e gravosa), il locatore può legittimamente rifiutare la restituzione della cosa locata nello stato in cui essa viene offerta (Cass. n. 16685/2002). Il motivo legittimo L'integrazione dei motivi legittimi deve essere valutata in ragione dei parametri della correttezza e buona fede (Natoli-Bigliazzi Geri, 126). Una diversa opinione colloca diversamente il ruolo dei motivi legittimi: essi non interferiscono con l'imputabilità delle circostanze che hanno impedito la cooperazione, ma attengono all'esistenza di un interesse legittimo del creditore che, pur potendo cooperare nell'adempimento, sia indotto ad astenersi dal prestare alcuna collaborazione (Cattaneo, in Comm. S.B., 1988, 61). Così sarebbe integrato il motivo legittimo quando l'offerta della prestazione sia effettuata dal debitore in un tempo o in un luogo tale da rendere eccessivamente gravoso o addirittura impossibile il relativo ricevimento ovvero quando sussista il rischio di una revoca del pagamento (artt. 2091 e 67 l. fall.; per la nuova disciplina del predetto art. 67, v. art. 166, d.lgs. n. 14/2019 – Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza). Ancora, si sostiene che i motivi legittimi si consacrano nell'impedimento obiettivo della cooperazione e non concernono il contenuto dell'obbligo, con la conseguenza che la mora credendi si realizza in ragione della semplice inerzia del creditore mentre ogni contestazione relativa all'esattezza della prestazione attiene allo stadio della lite sull'adempimento. Anche la valutazione in ordine alla sussistenza di un onere del creditore di dichiarare, al momento dell'offerta o dell'intimazione, o in un tempo immediatamente successivo, il motivo legittimo deve essere compiuta caso per caso, in base al parametro della buona fede. Il motivo legittimo del rifiuto deve essere letto alla luce dei principi generali di correttezza e buona fede ed in rapporto alla situazione cristallizzata al momento in cui è effettuata l'offerta (Cass. n. 1355/1968). L'impossibilità della prestazioneLa mora accipiendi deve essere distinta dall'impossibilità della prestazione per causa non imputabile al debitore, poiché il legislatore prevede per le due situazioni conseguenze eterogenee. Nel primo caso gli effetti sono regolati dall'art. 1207 (l'impossibilità sopravvenuta della prestazione per causa non imputabile è a carico del creditore, non sono dovuti gli interessi e i frutti, spetta il risarcimento dei danni derivanti dalla mora, il creditore è onerato delle spese per la custodia e conservazione della cosa) mentre nel secondo ne deriva l'estinzione dell'obbligazione, sebbene la controprestazione sia ugualmente dovuta qualora l'impossibilità sia ascrivibile al creditore. Gli impedimenti sopravvenuti che incidono sull'adempimento del debitore determinano l'impossibilità sopravvenuta ai sensi dell'art. 1256, indipendentemente dalla loro imputabilità al creditore, mentre è la mancata attività di cooperazione del creditore ad integrare i presupposti della sua costituzione in mora (Cattaneo, in Comm. S.B., 1988, 70). Tuttavia, qualora l'impossibilità della prestazione dipenda da atto imputabile al creditore, si reputa applicabile in via analogica l'art. 1207, senza necessità di previa costituzione in mora del creditore e fatta salva per il resto l'applicazione del regolamento relativo all'impossibilità sopravvenuta. La mora accipiendi prescinde dalla possibilità per il creditore di prestare la dovuta cooperazione, ma si basa sul fatto oggettivo della mancata cooperazione, con la conseguenza che il legittimo motivo del rifiuto dell'offerta nulla avrebbe a che vedere con la causa non imputabile di cui all'art. 1218 (Cass. n. 1037/1995), riguardando esclusivamente l'idoneità della prestazione oggetto dell'offerta a soddisfare l'interesse creditorio (Cass. n. 1341/1981). Le prestazioni lavorative L'istituto desta particolare interesse quando sia il datore di lavoro a rifiutare volontariamente di porre in essere l'attività necessaria perché il lavoratore esegua la propria prestazione, a tempo determinato o indeterminato, oppure l'omissione dipenda da sua colpa o dei suoi ausiliari. Secondo una prima opinione, le operae non prestate restano definitivamente ineseguite, con l'effetto che non è possibile la loro tardiva esecuzione e l'applicazione della disciplina sulla mora credendi, piuttosto la fattispecie sarà soggetta alla disciplina dell'impossibilità della prestazione (Cattaneo, in Comm. S.B., 1988, 73). In base ad una ricostruzione più articolata, occorre distinguere il caso in cui venga meno per vicende sopravvenute il substrato della prestazione lavorativa, cioè l'elemento oggettivo su cui si fonda l'esecuzione della prestazione (come le materie prime), ed il caso in cui il datore di lavoro non predisponga quanto necessario affinché il lavoratore possa adempiere. Nella prima evenienza si determina l'impossibilità della prestazione, nella seconda è possibile applicare la disciplina sulla mora accipiendi. Ai fini di una netta distinzione tra i due momenti bisogna fare riferimento all'imputabilità o meno al datore di lavoro della causa impeditiva dell'adempimento (Ghera-Liso, 981). Anche quando vi sia sciopero parziale, il datore di lavoro non è tenuto ad accettare la prestazione del lavoratore che non partecipa allo sciopero, poiché lo sciopero rappresenta una causa di forza maggiore e come tale non è imputabile all'imprenditore (Ghera-Liso, 985). In giurisprudenza si sostiene che la mora accipiendi è inapplicabile ai rapporti di lavoro quando l'impossibilità della prestazione discenda da forza maggiore, come accade nel caso di intervento di fatti naturali (Cass. n. 4987/1988), o da fatto del terzo, come accade nel caso di occupazione degli impianti (Cass. n. 3159/1983). Il datore di lavoro non può unilateralmente sospendere il rapporto di lavoro, salvo che ricorrano, ai sensi degli artt. 1463 e 1464, ipotesi di impossibilità della prestazione lavorativa totale o parziale, la esistenza delle quali ha l'onere di provare, senza che a questo fine possano assumere rilevanza eventi riconducibili alla stessa gestione imprenditoriale, compresa la diminuzione o l'esaurimento dell'attività produttiva. Ne consegue che il dipendente “sospeso” non è tenuto a provare di aver messo a disposizione del datore di lavoro le sue energie lavorative nel periodo in contestazione, in quanto, per il solo fatto della sospensione unilaterale del rapporto di lavoro, la quale realizza un'ipotesi di mora credendi, il prestatore, a meno che non sopravvengano circostanze incompatibili con la volontà di protrarre il rapporto suddetto, conserva il diritto alla retribuzione (Cass. n. 37716/2022; Cass. n. 7300/2004). Nel caso di sciopero parziale la giurisprudenza ritiene che l'imprenditore non è esonerato dal consentire che gli altri lavoratori eseguano la prestazione, salvo che lo sciopero non renda impossibile il funzionamento dell'impresa ovvero sia assolutamente impossibile utilizzare la prestazione dei lavoratori non aderenti (Cass. n. 150/1988). Nello stesso senso, nel caso di sciopero a singhiozzo il datore di lavoro non può rifiutare la prestazione qualora essa consista in un'attività utile, proficua e redditizia (Cass. n. 7092/1986). Analogamente avviene per lo sciopero a scacchiera (Cass. n. 2282/1987). Sempre nella materia del lavoro, si è osservato che il lavoratore che, ottenuta una pronunzia di conversione in un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato di una pluralità di rapporti di lavoro a termine, contrastanti con le previsioni della l. n. 230/1962 (ratione temporis applicabile), non venga riammesso in servizio, ha diritto al ristoro del danno commisurato al pregiudizio economico derivante dal rifiuto di riassunzione del datore di lavoro, nei cui confronti trovano applicazione le regole sulla mora del creditore e in particolare quella concernente l'obbligo risarcitorio, con conseguente necessità di riconoscere al lavoratore il diritto alla retribuzione per l'attività lavorativa ingiustificatamente impeditagli, comprensivo del trattamento spettante ai dipendenti che svolgono analoghe mansioni (Cass. n. 8851/2013; Cass. n. 15515/2009). Allo stesso modo è inadempiente per mora credendi il datore di lavoro che rifiuti la prestazione del lavoratore il quale, assente dal lavoro per malattia, chieda di riprendere l'attività, allegando e documentando la cessazione della malattia stessa ante tempus (Cass. n. 12501/2012). In ultimo, si è ritenuto che, nel caso di rigetto della domanda di posticipazione del collocamento a riposo, sul dipendente della p.a., che cessi l'esecuzione della prestazione lavorativa alla scadenza del termine previsto e che non abbia beneficiato della proroga pur tempestivamente richiesta, incombe l'onere di allegare e provare il danno conseguito all'interruzione del rapporto e che tale danno equivale alle retribuzioni perdute a causa della mancata esecuzione delle prestazioni lavorative, sempre che queste ultime siano state offerte dal lavoratore medesimo ed il datore le abbia illegittimamente rifiutate, configurandosi la costituzione in mora del datore di lavoro come elemento costitutivo della domanda risarcitoria (Cass. n. 28847/2008). Anche il lavoratore può incorrere nella mora credendi ove il datore di lavoro dimostri di avere offerto un adeguato tempo per il godimento delle ferie, di cui il lavoratore non abbia usufruito, non spettando in tal caso neanche l'indennità sostitutiva (Cass. n. 2496/2018). BibliografiaBianca, Diritto civile, IV, L'obbligazione, Milano 1997; Bigliazzi Geri, voce Mora del creditore, in Enc. giur., Milano, 1990; Ghera-Liso, voce Mora del creditore (dir. lav.), in Enc. dir., Milano 1979; Giacobbe, voce Mora del creditore (dir. civ.), in Enc. dir., Milano, 1976; Falzea, L'offerta reale e la liberazione coattiva del debitore, Milano, 1947; Natoli-Bigliazzi Geri, Mora accipiendi e mora debendi, Milano, 1975. |