Codice Civile art. 1207 - Effetti 1 .

Cesare Trapuzzano

Effetti1.

[I]. Quando il creditore è in mora, è a suo carico l'impossibilità della prestazione sopravvenuta per causa non imputabile al debitore [1256 ss., 1673]. Non sono più dovuti gli interessi [1282] né i frutti della cosa che non siano stati percepiti dal debitore.

[II]. Il creditore è pure tenuto a risarcire i danni derivati dalla sua mora e a sostenere le spese per la custodia e la conservazione della cosa dovuta.

[III]. Gli effetti della mora si verificano dal giorno dell'offerta [1208 ss.], se questa è successivamente dichiarata valida con sentenza passata in giudicato [324 c.p.c.] o se è accettata dal creditore.

[1] La Corte costituzionale, con sentenza 28 febbraio 2019, n. 29, ha dichiarato non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità del “ combinato disposto ” degli artt. 1206,1207 e 1217 del codice civile , sollevate in riferimento agli artt. 3,24,111 e 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.

Inquadramento

La mora accipiendi non determina l'estinzione dell'obbligazione, ma solo una modificazione del rapporto, senza pregiudizio per la struttura fondamentale. Può infatti investire esclusivamente singole obbligazioni di un rapporto più complesso, come avviene nelle obbligazioni a prestazioni successive in cui le prestazioni eseguite restano impregiudicate (Falzea, 270). La costituzione in mora non limita né attenua la responsabilità del debitore per eventuali inadempienze successive. La mora credendi impedisce il sorgere o determina la cessazione della mora debendi (art. 1220). La mora del creditore cessa quando il rapporto obbligatorio si estingue ovvero all'esito della semplice e seria dichiarazione del creditore, che sia effettivamente in grado di cooperare, che attesti la sua disponibilità all'adempimento.

Secondo la giurisprudenza, in presenza di mora accipiendi il vincolo obbligatorio persiste (Cass. n. 1790/1974).

L'impossibilità conseguente alla mora accipiendi

La primaria conseguenza che discende dalla mora accipiendi riguarda le obbligazioni con prestazioni corrispettive, costituendo l'effetto a tal uopo regolato una deroga al principio fissato dall'art. 1463 (Bigliazzi Geri, 6). Precisamente, quando il creditore sia in mora, è a suo carico l'impossibilità sopravvenuta, definitiva o temporanea, della prestazione per causa non imputabile al debitore. Infatti, quest'ultimo sarà comunque tenuto ad eseguire la prestazione che gli fa carico (Visintini, in Tr. Res., 1999, 146), benché dovrà corrispondere solo la differenza (corrispettivo netto) tra il corrispettivo pattuito e i vantaggi (recte risparmi e guadagni realizzati o realizzabili) conseguiti dal debitore a causa dell'impossibilità di dare attuazione alla propria prestazione (Cattaneo, in Comm. S.B., 1988, 105). Si tratta della controprestazione, non di un risarcimento, sicché rimangono ferme le connesse garanzie ed opererà comunque l'ordinario regime in tema di privilegi, prescrizione, etc. Qualora l'impossibilità sia solo parziale, non troverà applicazione l'art. 1464; piuttosto, il creditore riceverà esclusivamente la prestazione residua in cambio dell'esecuzione integrale della prestazione pattuita (Natoli-Bigliazzi Geri, 146). La norma non è applicabile quando operi a carico del creditore la regola res perit domino, ossia nei contratti ad efficacia traslativa immediata, come accade nel caso di consegna di cosa già trasferita per effetto del consenso legittimamente manifestato o sulla quale sia già stato costituito un diritto reale di godimento in favore del creditore. Infatti, in base all'art. 1465, comma 1, non già per gli effetti della mora accipiendi, il creditore moroso è tenuto ad eseguire per intero la prestazione corrispettiva (Natoli-Bigliazzi Geri, 145). Nel caso di vendita di genere, è discusso se l'atto di costituzione in mora possa valere come individuazione per gli effetti di cui agli artt. 1378 e 1465, comma 3 (in senso positivo Cattaneo, in Comm. S.B., 1988, 106). L'impossibilità temporanea che non estingua l'obbligazione impedisce al creditore di purgare la mora e non lo esonera dalle spese e dai danni. Nella fattispecie sarà applicabile un criterio analogo a quello di cui all'art. 1221, comma 1: dovrà negarsi la responsabilità del creditore in mora quando costui possa dimostrare che l'impossibilità della prestazione dovuta si sarebbe ugualmente verificata anche se avesse prontamente cooperato (Cattaneo, in Comm. S.B., 1988, 107). In alcuni casi il creditore può rispondere anche per un'impossibilità, sebbene temporanea, successiva alla purgazione della mora. L'esempio che in proposito si formula è il seguente: il creditore del trasporto consegna la merce al vettore con 10 giorni di ritardo, il trasporto richiede 3 giorni, ma dopo 2 giorni si verifica un impedimento (Cattaneo, in Comm. S.B., 1988, 107).

La giurisprudenza, in applicazione di tale principio, ha ritenuto che in caso di sciopero parziale il datore di lavoro è tenuto a corrispondere la retribuzione ai non aderenti sospesi dal lavoro (Cass. n. 4985/1978).

La non dovutezza di interessi e frutti

Per effetto della mora credendi, non sono più dovuti dal debitore gli interessi né i frutti della cosa che non siano stati percepiti dal debitore medesimo. Gli interessi a cui allude la norma sono quelli corrispettivi e non quelli moratori, con i quali sussiste incompatibilità (Natoli-Bigliazzi Geri, 148; Cattaneo, in Comm. S.B., 1988, 124). Quanto ai frutti prodotti dalla cosa dovuta dal debitore, essi non sono dovuti solo se, per effetto della mora del creditore, questi non li abbia nel frattempo percepiti; ove li abbia percepiti, i frutti sono invece dovuti. Tuttavia, il debitore non è tenuto ad attivarsi con diligenza affinché la cosa produca frutti. Così, qualora il debitore abbia impiegato la somma dovuta durante la mora credendi, ad esempio ricollocandola a mutuo presso terzi, gli utili conseguiti devono essere qualificati come frutti percepiti, che devono essere perciò corrisposti al creditore (Natoli-Bigliazzi Geri, 150; contra Cattaneo, in Comm. S.B., 1988, 116). Ove manchi la dimostrazione di un particolare investimento della somma dovuta, si presume che il debitore percepisca un utile corrispondente alla misura legale (Bianca, 398).

Anche la giurisprudenza ritiene che gli interessi non dovuti siano solo quelli corrispettivi (Cass. n. 2736/1952). Sono invece dovuti gli utili conseguiti sulla somma nel frattempo data a mutuo, dovendosi tali utili qualificarsi come frutti percepiti (Cass. n. 1481/1952). Ancora, secondo la giurisprudenza, la liberazione dall'obbligo di corrispondere gli interessi consegue solo alla liberazione del debitore, ossia al deposito della somma a cura del debitore (Cass. n. 79/1983).

Il risarcimento dei danni

Mentre è dibattuto se ai fini della mora del creditore sia necessario che questi sia in colpa, il risarcimento dei danni derivati dalla mora esige la colpa del creditore. Al riguardo, sono applicabili le norme in tema di inadempimento (Natoli-Bigliazzi Geri, 153; Falzea, 286). In senso contrario, si reputa che si tratti si responsabilità da fatto illecito che trova giustificazione nel principio che esenta il debitore dal pregiudizio del fatto del creditore, indipendentemente dalla colpa (Bianca, 399). I danni ristorabili sono solo quelli diretti ed immediati (art. 1223), ossia causati dalla mancata liberazione tempestiva del debitore e non il vantaggio che il debitore avrebbe potuto conseguire eseguendo la prestazione (Cattaneo, in Comm. S.B., 1988, 120; Giacobbe, 972). Si pensi al debitore che, in esito al contegno del creditore, sia impossibilitato ad utilizzare per altri scopi la propria attività o i propri mezzi e locali. Di contro, non sono risarcibili i nocumenti arrecati alle cose e alla persona del debitore resi possibili dalla mora del creditore, come i danni ai locali dell'obbligato cagionati dalle merci che non si sono potute consegnare (Cattaneo, in Comm. S.B., 1988, 121).

La condotta del conduttore di un immobile ad uso diverso da quello abitativo - il quale rifiuti di traferirsi in altri locali per consentire l'esecuzione dei lavori idonei a neutralizzare un accertato pericolo di crolli, poi effettivamente verificatisi - può assumere rilievo nell'eziologia del danno ed essere ritenuta da sola sufficiente a provocarlo, ai sensi dell'art. 1227, comma 1, c.c., solo qualora il rifiuto sia ingiustificato ed il locatore possa ritenersi liberato dalla mora nell'adempimento dell'obbligazione di riparazione a seguito di formale intimazione ex art. 1207 c.c., accompagnata dalla proposta di un provvisorio trasferimento dell'attività in altro locale ( Cass. n. 5735/2023 ).

L'imputazione delle spese di custodia e conservazione

Nelle obbligazioni di consegna di cose determinate all'esito della mora accipiendi non cessa l'obbligo di custodia e conservazione della res, nondimeno le spese sono addossate al creditore. Ove si tratti di obbligazioni di fare, il creditore deve indennizzare le spese che il debitore deve affrontare per tenere pronti i mezzi necessari per l'adempimento. Le spese devono comunque essere necessarie ed utili in rapporto alla possibilità di effettuare la prestazione (Cattaneo 119). Il rimborso di altre spese potrà avvenire esclusivamente ove ricorrano i presupposti della gestione di affari altrui o dell'arricchimento senza giusta causa. In ogni caso, anche le spese utili non potranno essere rimborsate qualora il creditore le abbia espressamente vietate. Nel caso in cui la prestazione sia tardivamente richiesta, non spetta comunque il diritto di ritenzione, ossia non vi è la possibilità di trattenere la cosa al fine di ottenere il risarcimento dei danni e/o il rimborso delle spese (Natoli-Bigliazzi Geri, 152; Falzea, 284; contra Cattaneo, in Comm. S.B., 1988, 124; Giacobbe, 973).

Secondo la giurisprudenza, il rimborso delle spese ha natura riparatoria e ricade, quindi, fra i debiti di valore, suscettibili di rivalutazione monetaria (Cass. n. 202/1985).

La decorrenza degli effetti

Gli effetti della mora credendi si producono solo a seguito dell'offerta formale, non essendo al riguardo sufficiente la mera offerta non formale prevista dall'art. 1220, che serve esclusivamente ad evitare la mora debendi. L'offerta formale deve essere valutata sotto il profilo della sua regolarità, il che può avvenire mediante l'accettazione del creditore ovvero, in mancanza, per mezzo di una sentenza di convalida che divenga sul punto inoppugnabile, sebbene tali effetti decorrano retroattivamente dal momento dell'offerta (Visintini, in Tr. Res., 1999, 145). L'accettazione consiste in una dichiarazione attraverso cui il creditore riconosce di essere stato validamente costituito in mora. La sentenza in tal caso sarebbe costitutiva della mora. La prescrizione ordinaria dell'azione di convalida spettante al debitore decorre dalla data dell'offerta; una volta che tale azione sia prescritta, il debitore può tuttavia chiedere l'accertamento giudiziale della validità del deposito, qualora dalla data di quest'ultimo non sia ancora trascorso il termine decennale: ciò in quanto l'offerta solenne non convalidata può essere fatta valere come offerta nelle forme d'uso, ai sensi dell'art. 1214 (Cattaneo, in Comm. S.B., 1988, 126). Qualora l'offerta provenga da un terzo, la legittimazione attiva alla proposizione dell'azione di convalida spetta anche al debitore. Quando ricorra solidarietà passiva, non debbono essere evocati in giudizio i coobbligati. Per converso, qualora vi sia una pluralità di creditori, vi sarà litisconsorzio necessario solo se l'offerta debba essere rivolta contemporaneamente a tutti (Cattaneo, in Comm. S.B., 1988, 126). Accettazione e sentenza di convalida fungono da condiciones iuris sospensive degli effetti della mora ed operano in senso alternativo, poiché è sufficiente l'integrazione di una di dette condizioni (Natoli-Bigliazzi Geri, 135).

Per la necessità dell'offerta formale ai fini della produzione degli effetti della mora del creditore si esprime anche la giurisprudenza (Cass. n. 5710/1987). Qualora sia proposta l'azione di convalida, convenuto è il creditore e non il terzo che abbia facoltà di ricevere, al quale sia stata indirizzata l'offerta, salvo che sia munito di rappresentanza processuale (Cass. n. 3865/1955). Oggetto dell'accertamento giudiziale non è solo la regolarità formale dell'offerta, ma anche l'esistenza e il contenuto dell'obbligo (Cass. n. 1681/1958), la scadenza del termine, la conformità tra bene offerto e bene dovuto, l'inesistenza di motivi legittimi. Deve essere instaurato un autonomo giudizio di convalida solo quando non sia già pendente una lite tra debitore e creditore (Cass. n. 1496/1965). In materia di esecuzione forzata, il creditore è legittimato all'esercizio dell'azione esecutiva anche se destinatario di atto di costituzione in mora credendi, in quanto esso, e la conseguente offerta di restituzione, vale unicamente a stabilire il momento di decorrenza degli effetti della mora, ma non anche a determinare la liberazione del debitore, che resta subordinata dalla legge all'esecuzione del deposito accettato dal creditore o dichiarato valido con sentenza passata in giudicato (Cass. n. 8711/2015).

Bibliografia

Bianca, Diritto civile, IV, L'obbligazione, Milano 1997; Bigliazzi Geri, voce Mora del creditore, in Enc. giur., Milano, 1990; Ghera-Liso, voce Mora del creditore (dir. lav.), in Enc. dir., Milano 1979; Giacobbe, voce Mora del creditore (dir. civ.), in Enc. dir., Milano, 1976; Falzea, L'offerta reale e la liberazione coattiva del debitore, Milano, 1947; Natoli-Bigliazzi Geri, Mora accipiendi e mora debendi, Milano, 1975.

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