Codice Civile art. 1323 - Norme regolatrici dei contratti.Norme regolatrici dei contratti. [I]. Tutti i contratti, ancorché non appartengano ai tipi che hanno una disciplina particolare [1322 2], sono sottoposti alle norme generali contenute in questo titolo. InquadramentoSono definiti atipici quei contratti la cui creazione è interamente rimessa al potere di regolamento dei privati interessi (Carresi, in Tr. C. M., 1987, 321). Nondimeno, tale potere riconosciuto dall'ordinamento rimane pur sempre circoscritto entro il limite imposto dal requisito della meritevolezza degli interessi oggetto di disposizione. Affinché un contratto possa essere qualificato come atipico occorre stabilire se le modifiche apportate allo schema tipico, pur forzandone la struttura propria, consentano ugualmente di ricomprendervi il contratto che le parti vanno a stipulare, o se questo invece si ribelli ad ogni tentativo di ricondurlo in alcuno degli schemi disciplinati espressamente dalla legge (Carresi, in Tr. C. M., 1987, 322). La previsione circa l'applicazione ai contratti atipici delle norme generali sul contratto non è tuttavia sufficiente per l'integrazione di una compiuta disciplina della singola ipotesi contrattuale atipica. Infatti, le norme generali sul contratto non risolvono le questioni che possono insorgere in relazione agli effetti contrattuali particolari. Al riguardo, si è ritenuto che la questione relativa alla disciplina normativa dei negozi atipici possa essere definita applicando la disciplina dei contratti tipici; e ciò all'esito dell'individuazione tra le norme che disciplinano gli effetti dei negozi tipici di quelle che meglio si adattano al rapporto atipico. In questa prospettiva, in difetto di un'espressa previsione negoziale, ai contratti atipici sono applicabili in via analogica le disposizioni contemplate per altri negozi ad essi assimilabili per natura e funzione economico-sociale (Scognamiglio, in Comm. S.B., 1992, 47). Il lineare rapporto tra parte generale sul contratto e parte generale sui singoli tipi contrattuali, come delineato dall'art. 1323, è sempre meno rispondente al diritto positivo, di fronte ad un'indubbia frammentazione della figura del contratto e ad una palese tendenza centrifuga verso discipline di singoli contratti sempre più lontane dalla disciplina generale. In senso contrario si è espressa la dottrina tradizionale, secondo cui le disposizioni generali sul contratto costituiscono norme comuni, suscettibili di essere applicate ad ogni singolo contratto in concreto (Messineo, in Tr. C. M., 1968, 12). Un contratto non può considerarsi atipico solo in relazione alla particolarità del suo oggetto o alla limitata frequenza statistica della sua stipulazione, ma solo in relazione alla non perfetta identità della sua causa con quella normativamente prevista e disciplinata dal diritto positivo (Cass. n. 2665/1980). In tema di ermeneutica contrattuale, il problema della qualificazione di un negozio giuridico si risolve in due distinte operazioni o fasi: la prima che si concreta nell'accertamento degli elementi costitutivi dell'attività negoziale e delle finalità pratiche perseguite dalle parti, la seconda consistente nell'attribuzione del nomen iuris, previa interpretazione sul piano giuridico dei suddetti elementi, in base al modello della sussunzione, cioè del confronto tra fattispecie contrattuale concreta e tipo astrattamente definito dalla norma per verificare se la prima corrisponde al secondo (Cass. n. 9996/2019; Cass. n. 13399/2005); pertanto, benché la determinazione della natura e del contenuto di un contratto, e correlativamente degli obblighi che ne derivano per le parti, dipenda dalla reale volontà negoziale quale manifestata, il giudice ben può dare al negozio sottoposto al suo esame una qualificazione giuridica diversa da quella data dai soggetti del negozio stesso, spettando al giudice — pur essendo libere le parti di regolare i propri interessi — di determinare gli effetti giuridici del disposto regolamento negoziale (Cass. n. 4346/1984). Ai contratti non espressamente disciplinati dal c.c. (atipici o innominati) sono applicabili — oltre alle norme generali in materia di contratti — quelle regolatrici dei singoli contratti nominati tutte le volte in cui il concreto atteggiarsi del rapporto, quale risultante dagli interessi delle parti, evidenzi l'esistenza di situazioni analoghe a quelle disciplinate da queste ultime (Cass. n. 574/2005; Cass. n. 18229/2003; Cass. n. 2069/2000). Ove, al contrario, la qualifica e la natura di un contratto nominato non siano alterate dalla presenza di elementi estranei a quelli che caratterizzano lo schema tipico, che rimangono prevalenti, la regolamentazione del negozio seguirà la disciplina dello schema prevalente (Cass. n. 4346/1984). Il contratto mistoIl contratto misto, quale sottospecie del contratto atipico, contiene elementi propri di diversi contratti tipici ed è connotato da una causa mista, ma pur sempre unitaria (Carresi, in Tr. C. M., 1987, 310), ovvero da una pluralità di cause concorrenti in un rapporto unico (Bianca, 451). La dottrina discrimina la figura del contratto misto dalla figura del contratto complesso, il primo individuato dalla combinazione di frammenti di contratti tipici e il secondo risultante dalla combinazione di contratti tipici nella loro interezza (Sacco, in Tr. Vas., 1975, 810). Ma nel senso che i due termini si identificano è orientato altro autore (Costanza, 208). Il fenomeno del contratto misto si distingue da quello del collegamento tra contratti, attraverso cui sono perseguite più funzioni negoziali (Scognamiglio, in Comm. S.B., 1992, 46). Nei casi in cui ricorra un contratto misto, il criterio della prevalenza o dell'assorbimento, già oggetto di specifica previsione legislativa in materia di contratti agrari, definisce la disciplina giuridica applicabile ed è desumibile, in via generale, dal combinato disposto degli artt. 1322 e 1323 (Sacco, in Tr. Vas., 1975, 554). Ma altra dottrina ritiene che il criterio dirimente per la determinazione della disciplina applicabile è quello dell'analogia, impiegato per definire la disciplina dei contratti innominati in generale (Mirabelli, in Comm. Utet, 1984, 29; Scognamiglio, in Comm. S.B., 1992, 47; Messineo, 1948, 229). Secondo altra opinione, la disciplina applicabile dovrebbe essere individuata sulla scorta del criterio della combinazione, ossia del riferimento alle norme corrispondenti di ciascun tipo, in quanto compatibili, in base ai singoli aspetti concretamente controversi. Si avvicina a tale ultimo criterio quello dell'assorbimento attenuato, che di fatto realizza un contemperamento tra la teoria della prevalenza e quella della combinazione. In giurisprudenza il contratto è definito misto o complesso quando la combinazione di elementi propri di più contratti tipici sia attuata dalle parti all'interno di uno schema contrattuale unitario e in relazione ad una causa unitaria, nel senso che le plurime prestazioni, tra esse intimamente e organicamente connesse nonché reciprocamente condizionate nella loro essenza e modalità di esecuzione, risultano preordinate al raggiungimento di un medesimo intento, così da dar vita ad un rapporto convenzionale unitario e con propria individualità (Cass. n. 1346/1978). Qualora sia integrata una fattispecie di contratto misto, si ritiene che la disciplina applicabile debba essere individuata alla stregua della tesi dell'assorbimento o della prevalenza, secondo cui al contratto misto si applica la disciplina corrispondente al contenuto negoziale tipico e di maggior rilievo ovvero prevalente nelle finalità pratiche delle parti (Cass. n. 26485/2019; Cass. S.U. n. 11656/2008; Cass. n. 2642/2006; Cass. n. 9662/2000; Cass. n. 3578/1999; Cass. n. 1494/1979; Cass. n. 3301/1975; Cass. n. 1345/1970; Cass. n. 589/1970; Cass. n. 1118/1969), ma gli elementi del contratto assorbito (o non prevalente) sono regolati con norme proprie se queste non sono incompatibili con quelle del contratto prevalente (Cass. n. 13399/2005; Cass. n. 12199/1997). Il contratto mediante il quale taluno si impegna a tenere presso di sé degli abiti per darvi pulitura va considerato come contratto d'opera, che tuttavia contiene anche le obbligazioni della custodia e della riconsegna proprie del contratto di deposito. Ne deriva che il depositario, se la cosa va perduta o distrutta, è esente da responsabilità solo se fornisce la prova dell'adempimento del dovere della diligenza del buon padre di famiglia nella custodia della cosa affidata (Cass. n. 1619/2012). Ed ancora il contratto di cessione della proprietà di un'area in cambio di un fabbricato (o di parte di esso) da erigere sull'area medesima a cura e con mezzi del cessionario partecipa della natura giuridica del contratto di permuta di bene presente con altro futuro, ovvero del contratto misto vendita — appalto, a seconda che rispettivamente il sinallagma negoziale consista nel trasferimento reciproco del diritto di proprietà attuale del terreno e di quello futuro sul fabbricato (l'obbligo di erigere il medesimo restando su di un piano meramente accessorio e strumentale), ovvero la costruzione del fabbricato risulti l'oggetto principale della volontà delle parti, ad essa risultando strettamente funzionale la precedente cessione dell'area (Cass. n. 5322/1998). Il collegamento negozialeSe, per un verso, l'autonomia negoziale può tradursi nella predisposizione di schemi contrattuali in nessun modo riconducibili ai tipi regolati dal legislatore, per altro verso, essa può esprimersi nella enucleazione di forme di connessione obiettiva nell'ambito di una pluralità di contratti tra loro indipendenti, dando così luogo alla figura del collegamento tra contratti (Carresi, in Tr. C. M., 1987, 314). Sotto l'aspetto della funzionalità economica, ai fini dell'operatività del collegamento negoziale, non è necessaria l'identità delle parti in ciascuno dei contratti collegati (Bianca, 456). Inoltre tale collegamento può essere reciproco o unilaterale, a seconda che le sorti di un contratto influiscano sull'altro e viceversa ovvero che le sorti di un contratto si ripercuotano sull'altro senza che si verifichi il caso inverso (Bianca, 481). Il collegamento negoziale può essere genetico, quando incide sulla formazione di altri contratti, o funzionale, ove incida sullo svolgimento del rapporto derivante da altro contratto (Carresi, in Tr. C. M., 1987, 319). Ai contratti collegati si applicano (nei limiti del collegamento, unilaterale o bilaterale) le regole della nullità parziale, dell'impossibilità parziale sopravvenuta, dell'inadempimento parziale, dell'eccezione di inadempimento (Bianca, 483; Sacco, in Tr. Vas., 1975, 555). Nel caso di più dichiarazioni contestuali aventi, se considerate l'una indipendentemente dalle altre, individualità ed efficacia proprie, occorre distinguere l'ipotesi in cui ciascuna dichiarazione viene in considerazione come un distinto negozio giuridico, per cui alla pluralità di dichiarazioni corrisponde una molteplicità di negozi, da quella in cui le varie dichiarazioni risultino combinate fra loro sì da dar vita ad un negozio giuridico unitario. Mentre in quest'ultima ipotesi si ha un solo negozio, complesso o misto, caratterizzato dall'unificazione dell'elemento causale, nella prima ipotesi si ha invece un insieme di negozi che possono essere collegati funzionalmente o anche solo occasionalmente. In particolare, ove si tratti di una pluralità di negozi collegati, il collegamento deve ritenersi meramente occasionale quando le singole dichiarazioni, strutturalmente e funzionalmente autonome, sono solo casualmente riunite, mantenendo l'individualità propria di ciascun tipo negoziale in cui esse si inquadrano, sicché la loro unione non influenza di regola la disciplina dei singoli negozi in cui si sostanziano; il collegamento è invece funzionale quando i diversi e distinti negozi, cui le parti diano vita nell'esercizio della loro autonomia contrattuale, pur conservando l'individualità propria di ciascun tipo negoziale, vengano tuttavia concepiti e voluti come avvinti teleologicamente da un nesso di reciproca interdipendenza, sicché le vicende dell'uno debbano ripercuotersi sull'altro, condizionandone la validità e l'efficacia (Cass. n. 14372/1999; Cass. n. 6864/1983; Cass. n. 4291/1981; sulla distinzione tra collegamento occasionale e funzionale vedi anche Cass. n. 7524/2007; Cass. n. 7852/2001; Cass. 7415/1991; Cass. n. 6586/1984). Perché possa configurarsi un collegamento di negozi in senso tecnico, che come tale imponga la considerazione unitaria della fattispecie, è necessario che ricorra sia un profilo oggettivo, costituito dal nesso teleologico tra i negozi, sia un profilo soggettivo, costituito dal comune intento delle parti di volere non solo l'effetto tipico dei singoli negozi in concreto posti in essere, ma anche il collegamento e il coordinamento di essi per la realizzazione di un fine ulteriore, non essendo sufficiente che detto fine sia perseguito da una sola parte all'insaputa e senza la partecipazione dell'altra. Resta comunque ferma la necessità che i detti negozi si caratterizzino, ai fini della loro autonoma validità, ciascuno in funzione di una propria causa e conservino ciascuno una propria giuridica individualità (Cass. n. 9447/2007; Cass. n. 5851/2006; Cass. n. 13580/2004; Cass. n. 9970/2003; Cass. n. 8070/1996; Cass. n. 12401/1992). Il collegamento negoziale non dà luogo ad un nuovo ed autonomo contratto, ma è un meccanismo attraverso il quale le parti perseguono un risultato economico unitario e complesso, che viene realizzato non per mezzo di un singolo accordo, ma attraverso una pluralità coordinata di contratti, che conservano una loro causa autonoma anche se ciascuno è finalizzato ad un unitario regolamento dei reciproci interessi, sicché, pur determinandosi, tra loro, un vincolo di reciproca dipendenza, in virtù del quale le vicende relative all'invalidità, all'inefficacia ed alla risoluzione dell'uno possono ripercuotersi sugli altri, ciascuno di essi mantiene una propria individualità giuridica (Cass. n. 20726/2014; Cass. n. 7255/2013). La sussistenza di un collegamento negoziale tra due negozi giuridici si desume dalla volontà delle parti, le quali possono anche concordare che uno soltanto dei contratti sia dipendente dall'altro, se il regolamento di interessi che l'uno é volto a disciplinare non dipende da quello dell'altro (Cass. n. 24792/2008). Il collegamento può essere sia genetico, ove uno dei due negozi trovi la sua causa in un rapporto scaturito dall'altro, sia funzionale, nel caso in cui le parti abbiano voluto collegare i due negozi sotto il profilo del nesso teleologico (Cass. n. 7640/2003). La fattispecie del collegamento negoziale è configurabile anche quando i singoli atti siano stipulati tra soggetti diversi, purché essi risultino concepiti e voluti come funzionalmente connessi e tra loro interdipendenti, onde consentire il raggiungimento dello scopo divisato dalle parti (Cass. n. 18655/2004). Il collegamento negoziale può essere anche di fonte legale, ossia stabilito dalla legge, come accade tra i contratti di credito al consumo finalizzati all'acquisto di determinati beni o servizi ed i contratti di acquisto dei medesimi, ipotesi che prescinde dalla sussistenza di una esclusiva del finanziatore per la concessione di credito ai clienti dei fornitori (Cass. n. 19522/2015; Cass. n. 20477/2014). Il collegamento tra negozi, tutti già dedotti in giudizio, può essere individuato dal giudice di merito anche d'ufficio, rientrando nel suo potere di verifica e valutazione dei fatti costitutivi della pretesa attorea in base all'interpretazione degli atti negoziali sottoposti alla sua attenzione. Ne consegue che l'esistenza del collegamento negoziale non è oggetto di eccezione in senso stretto, ma di mera difesa, deducibile dalla parte convenuta anche con l'atto di appello (Cass. n. 17899/2015). Tale verifica è riservata al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici (Cass. n. 1875/2012; Cass. n. 415/2006; Cass. n. 11240/2003; Cass. n. 8844/2001). Nell'esercizio dell'autonomia contrattuale, le parti possono dar vita, con un solo atto, a diversi e distinti contratti, i quali, pur conservando l'individualità propria di ciascun tipo negoziale e rimanendo sottoposti alla relativa disciplina, sono tra loro collegati funzionalmente e in rapporto di reciproca interdipendenza, in modo che le vicende dell'uno si ripercuotano sugli altri, condizionandone la validità e l'efficacia. Ne consegue che, ai sensi dell'art. 1419, la nullità parziale di uno dei contratti o quella di singole clausole importa la nullità, rilevabile d'ufficio, dell'intero contratto, senza che le parti, che non abbiano mostrato interesse — dandovi esecuzione — a mantenere in vita l'altro contratto, siano tenute ad allegare la situazione di interdipendenza funzionale tra i singoli rapporti (Cass. n. 13888/2015). ). Le operazioni finanziarie a catena (ossia investimenti e disinvestimenti in successione) in valori mobiliari integrano contratti autonomi esecutivi del contratto quadro originariamente stipulato dall'investitore con l'intermediario, atteso che l'insieme delle operazioni non è riconducibile né al paradigma del contratto complesso (di cui non ricorre la combinazione di schemi negoziali che dia luogo ad un contratto nuovo e differenziato) né a quello del collegamento negoziale (di cui non ricorre il requisito oggettivo, costituito dal nesso teleologico tra i negozi, quanto il requisito soggettivo, costituito dal comune intento pratico delle parti di volere, non solo gli effetti tipici dei negozi in concreto posti in essere, ma anche il loro coordinamento per la realizzazione di un fine che tali effetti trascende, per assumere una propria autonomia causale). Ne consegue che, costituendo ciascuna operazione un distinto atto di natura negoziale, il passaggio in giudicato della sentenza dichiarativa della nullità dell'ultima operazione finanziaria non preclude l'esperibilità dell'azione risarcitoria traente origine da altra che l'aveva preceduta (Cass. n. 29111/2017). In caso di collegamento negoziale tra un negozio per il quale sia richiesta la forma scritta ad substantiam ed uno a forma libera è necessario che anche il secondo negozio rivesta la forma prescritta per la validità del primo (Cass. n. 26693/2020). BibliografiaAllara, La teoria generale del contratto, Torino, 1955; Benedetti, Dal contratto al negozio unilaterale, Milano, 1969; Betti, Teoria generale del negozio giuridico, Torino, 1960; Bianca, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 1997; Bigliazzi Geri-Breccia-Busnelli-Natoli, Diritto civile, 1.2, Fatti e atti giuridici, Torino, 1990; Cariota Ferrara, Il negozio giuridico, Napoli, 1948; Cataudella, I contratti. 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