Codice Civile art. 1668 - Contenuto della garanzia per difetti dell'opera.Contenuto della garanzia per difetti dell'opera. [I]. Il committente può chiedere che le difformità o i vizi siano eliminati a spese dell'appaltatore, oppure che il prezzo sia proporzionalmente diminuito, salvo il risarcimento del danno nel caso di colpa dell'appaltatore [1223]. [II]. Se però le difformità o i vizi dell'opera sono tali da renderla del tutto inadatta alla sua destinazione, il committente può chiedere la risoluzione del contratto [2226 3; 181 trans.]. InquadramentoNel caso di appalto il legislatore consente che il committente, oltre che la risoluzione del contratto e la riduzione del prezzo, possa agire per l'eliminazione dei vizi: questo, che è espressione del più generale principio di conservazione del contratto, si spiega in quanto la natura dell'opera può giustificare che essa non sia totalmente rifiutata e nemmeno accettata nello stato in cui si trova (ad esempio un immobile: per il committente potrebbe essere inutilizzabile se non conforme alle regole dell'arte ma egli potrebbe non voler attendere tempi lunghi per farlo edificare da altri). In tema di appalto, l'art. 1668, nell'enunciare il contenuto della garanzia prevista dall'art. 1667, attribuisce al committente, oltre all'azione per l'eliminazione dei vizi dell'opera a spese dell'appaltatore o di riduzione del prezzo, anche quella di risoluzione del contratto, salvo il risarcimento del danno in caso di colpa dell'appaltatore; sicché, trattandosi di azioni comunque riferibili alla responsabilità connessa alla garanzia per vizi o difformità dell'opera e destinate ad integrarne il contenuto, i termini di prescrizione e di decadenza di cui al citato art. 1667 si applicano anche all'azione di risoluzione del contratto ex 'art. 1668, comma 2, atteso che il legislatore ha inteso contemperare l'esigenza della tutela del committente a conseguire un'opera immune da difformità e vizi con l'interesse dell'appaltatore ad un accertamento sollecito delle eventuali contestazioni in ordine a un suo inadempimento nell'esecuzione della prestazione (Cass. n. 3199/2016; Cass. n. 815/2016). Natura della azioneLa tutela apprestata al committente si inquadra nell'ambito della normale responsabilità contrattuale per inadempimento e pertanto, qualora l'appaltatore non provveda direttamente alla eliminazione dei vizi e dei difetti dell'opera, il committente può sempre chiedere il risarcimento del danno, nella misura corrispondente alla spesa necessaria alla eliminazione dei vizi, senza alcuna necessità del previo esperimento dell'azione di condanna alla esecuzione specifica (Cass. n. 9033/2006). È innegabile che i rimedi prefigurati all'art. 1668, comma 1, hanno natura, valenza di strumenti di riparazione (Cass. n. 4839/1988, secondo cui l'azione di riduzione del prezzo dell'appalto, prevista dall''art. 1668, comma 1, pur avendo natura diversa da quella di risarcimento dei danni prevista dalla medesima norma, è anch'essa un rimedio che tende a riparare le conseguenze di un inadempimento contrattuale; pertanto, la somma liquidata a tale titolo non è soggetta al principio nominalistico ed è perciò rivalutabile in relazione al diminuito potere di acquisto della moneta). Del resto, per la Corte di Cassazione, qualora l'inadempimento dell'appaltatore si concretizzi in vizi o difformità dell'opera, i rimedi accordati al committente sono quelli previsti dalla norma speciale dell'art. 1668, (prevalente sulle regole generali dell'art. 1453), ai sensi del quale, se il committente medesimo opti per la eliminazione di detti vizi a cura e spese dell'appaltatore, anziché per la riduzione del prezzo, l'azione risarcitoria resta utilizzabile solo in via integrativa, per il pregiudizio che non sia eliminabile attraverso tale nuovo intervento dell'appaltatore (Cass. n. 2073/1988). In questi termini pur i rimedi speciali di cui all'art. 1668, devono soggiacere alle regole cardini in tema di risarcimento del danno espresse dagli insegnamenti di legittimità. Ovvero dall'insegnamento a tenore del quale il risarcimento del danno per inadempienza contrattuale deve ristabilire l'equilibrio economico turbato, mettendo il creditore nella stessa situazione economica nella quale si sarebbe trovato se il fatto illecito (inadempienza) non si fosse verificato, e, quindi, la somma liquidata a titolo di risarcimento deve essere equivalente all'effettivo valore dell'utilità perduta (Cass. n. 2458/1980). Ovvero dall'insegnamento a tenore del quale in tema di risarcimento del danno, la compensazione del pregiudizio arrecato e la restaurazione della situazione patrimoniale del soggetto leso non possono risolversi in un vantaggio, dovendo la determinazione delle conseguenze patrimoniali negative limitarsi alla perdita subita ed al mancato guadagno (Cass. n. 12578/1995, ove, sulla scorta dell'affermato principio, si puntualizza che, nel caso in cui il committente, in seguito all'inadempimento del contratto d'appalto, abbia fatto eseguire da altri la prestazione non esattamente adempiuta dall'appaltatore, con il compimento di un'opera di maggior pregio, in virtù dell'impiego di materiali più costosi di quelli previsti nell'originario contratto d'appalto, il risarcimento del danno per l'inadempimento non s'estende a compensare il costo dei materiali più onerosi di quelli pattuiti). Ovvero dall'insegnamento a tenore del quale in tema di appalto il risarcimento del danno in caso di vizi dell'opera appaltata, rimedio alternativo ed autonomo rispetto alle tutele (riduzione del prezzo e risoluzione) approntate a favore del committente dall'art. 1668, e normalmente consistente nel ristoro delle spese sopportate dall'appaltante per provvedere, a cura di terzi, ai lavori ripristinatoli, deve essere raccordato con la particolare natura dell'opus commissionato; ne consegue che, se l'oggetto dell'appalto sia costituito dalla realizzazione di una res, gli interventi emendativi si rapportano all'opera come sarebbe dovuta risultare, ove realizzata a regola d'arte; mentre, se oggetto dell'appalto sia l'esecuzione di un'attività sul bene del committente, alla luce dei medesimi criteri di proporzionalità tra oggetto dell'appalto e danno, il risarcimento non può concretarsi in un radicale intervento di ripristino della cosa (come avvenuto nella specie, per la messa a punto dei motori di un natante), facendo altrimenti conseguire al danneggiato una res qualitativamente migliore rispetto a quella anteriore, nella quale pure l'originario oggetto dell'appalto viene ricompreso (Cass. n. 19103/2012; Cass. n. 4161/2015). In tema di appalto, l'impegno dell'appaltatore ad eliminare i vizi della cosa o dell'opera costituisce, alla stregua dei principi generali non dipendenti dalla natura del singolo contratto, fonte di un'autonoma obbligazione di facere, la quale si affianca all'originaria obbligazione di garanzia, senza estinguerla, a meno di uno specifico accordo novativo; tale obbligazione, pertanto, è soggetta non già ai termini di prescrizione e decadenza stabiliti per quella di garanzia, ma all'ordinario termine di prescrizione decennale fissato per l'inadempimento contrattuale (Cass. n. 62/2018). Quanto agli aspetti risarcitori, la Cassazione ha affermato che la garanzia per vizi nel contratto di appalto, a norma degli artt. 1667 e 1668 c.c., comporta il diritto del committente ad ottenere l'integrale risarcimento del danno in modo tale da garantire allo stesso l'eadem res debita ovvero l'effettiva corrispondenza dell'opera alla struttura e alla destinazione concordate nel contratto, sicché sono a carico dell'appaltatore tutte le conseguenze dell'inesatto adempimento. Ne consegue che, nel caso in cui le spese sostenute dal committente per il suo intervento riparatorio non abbiano consentito la eliminazione permanente dei vizi ed il superamento definitivo del pregiudizio lamentato, l'appaltatore è tenuto a sopportare l'intero peso economico in modo da garantire il risultato preventivamente concordato con l'esatta esecuzione del contratto di appalto e non solo quello derivante dalle spese per far fronte temporaneamente ai vizi insorti (Cass. n. 31975/2023). Presupposti per l'operatività della normaLa garanzia spettante in favore del committente ai sensi dell'art. 1668, contempla, alternativamente, l'azione di esatto adempimento, mediante l'eliminazione delle difformità e dei vizi dell'opera a spese dell'appaltatore, la riduzione del prezzo (comma 1), ovvero la risoluzione del contratto (comma 2). Quest'ultima azione, a differenza delle altre due che presuppongono unicamente l'inesatto adempimento, si basa su di una sola condizione ulteriore, costituita dall'essere le difformità o i vizi tali da rendere l'opera del tutto inadatta alla sua destinazione. Tale condizione, a sua volta, non richiede affatto né che l'appaltatore sia stato previamente posto in condizione di eliminare i difetti, né che l'eventuale tentativo sia stato esperito senza esito, di guisa che è del tutto irrilevante, ai fini dell'accoglimento dell'azione di risoluzione, che l'opera sia stata smantellata dal committente senza consentire all'appaltatore di emendarne i vizi o le difformità. La circostanza che il venditore sia anche il costruttore del bene compravenduto non vale ad attribuirgli le veste di appaltatore nei confronti dell'acquirente con la conseguenza che quest'ultimo non acquista la qualità di committente nei confronti del primo. L'acquirente non può pertanto esercitare l'azione per ottenere l'adempimento del contratto d'appalto e l'eliminazione dei difetti dell'opera a norma degli artt. 1667 e 1668 c.c., spettando tale azione, di natura contrattuale, esclusivamente al committente nel contratto d'appalto, diversamente da quella prevista dall'art. 1669 c.c. di natura extracontrattuale operante non solo a carico dell'appaltatore ed a favore del committente, ma anche a carico del costruttore ed a favore dell'acquirente (Cass. n. 29349/2022, fattispecie relativa alla richiesta di risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali da parte di due acquirenti, che avevano acquistato un immobile con un impianto di condizionamento d'aria non funzionante). Inoltre, in tema di appalto, quando sia richiesta l'eliminazione dei vizi per le opere già eseguite, ma non ancora ultimate, è esclusa l'operatività della speciale garanzia ex art. 1668, la quale presuppone il totale compimento dell'opera, mentre può essere fatta valere la comune responsabilità contrattuale exartt. 1453 e 1455, non preclusa dalle disposizioni di cui agli artt. 1667 e 1668, in quali integrano, senza negarli, i normali rimedi in materia di inadempimento contrattuale (Cass. n. 1186/2015). Pertanto, in presenza di vizi costruttivi che, senza pregiudicare in assoluto la normale destinazione dell'opera, ne limitano in modo notevole l'ordinario godimento, il committente può agire ai sensi dell'art. 1668, contro l'appaltatore anche, soltanto con l'azione di risarcimento, senza, cioè, chiedere anche la risoluzione del contratto (Cass. n. 10772/1995; Cass. n. 909/1995; Cass. n. 19825/2014). In questa ipotesi, qualora il committente, rilevata l'esistenza di vizi dell'opera, non ne pretenda l'eliminazione diretta da parte dell'esecutore del lavoro, chiedendo, invece, il risarcimento del danno per l'inesatto adempimento, il credito dell'appaltatore per il corrispettivo permane invariato (Cass. n. 6009/2012). Peraltro, in tema di appalto, l'art. 1668, comma 1, si interpreta nel senso che l'appaltatore ha l'obbligo di eseguire gli interventi di correzione e di riparazione dell'opera senza diritto ad alcun ulteriore compenso — salva la possibilità, per il committente, in caso di rifiuto del primo, di avvalersi del procedimento per l'esecuzione forzata degli obblighi di fare — e non anche che i vizi debbono necessariamente essere eliminati da un terzo, ponendosi a carico dell'appaltatore il solo rimborso delle spese (Cass. n. 19482/2014). Da ultimo si deve evidenziare che ai fini della risoluzione del contratto di appalto per i vizi dell'opera si richiede un inadempimento più grave di quello richiesto per la risoluzione della compravendita per i vizi della cosa, atteso che, mentre per l'art. 1668, comma 2, la risoluzione può essere dichiarata soltanto se i vizi dell'opera sono tali da renderla del tutto inidonea alla sua destinazione, l'art. 1490 stabilisce che la risoluzione va pronunciata per i vizi che diminuiscano in modo apprezzabile il valore della cosa, in aderenza alla norma generale di cui all'art. 1455, secondo cui l'inadempimento non deve essere di scarsa importanza, avuto riguardo all'interesse del creditore. Pertanto la possibilità di chiedere la risoluzione del contratto di appalto è ammessa nella sola ipotesi in cui l'opera, considerata nella sua unicità e complessità, sia assolutamente inadatta alla destinazione sua propria in quanto affetta da vizi che incidono in misura notevole — sulla struttura e funzionalità della medesima sì da impedire che essa fornisca la sua normale utilità, mentre se i vizi e le difformità sono facilmente e sicuramente eliminabili, il committente può solo richiedere, a sua scelta, uno dei provvedimenti previsti dal primo comma dell'art. 1668, salvo il risarcimento del danno nel caso di colpa dell'appaltatore (Cass. n. 5250/2004). In materia di espropriazione per pubblica utilità, qualora venga accolta la domanda giudiziale di retrocessione proposta dal privato espropriato, con determinazione del relativo prezzo, l'effetto reale del trasferimento della proprietà si determina ex nunc nel momento del passaggio in giudicato della sentenza che accoglie tale domanda e a prescindere dal pagamento del relativo prezzo. Ne consegue che, ove il privato espropriato sia rimasto nel possesso del bene durante lo svolgimento della procedura di espropriazione e del successivo giudizio di retrocessione, il mancato pagamento, da parte sua, del prezzo stabilito in sentenza costituisce inadempimento, ma non impedisce il venire meno del carattere abusivo di tale occupazione ai fini del risarcimento del danno spettante alla Pubblica Amministrazione (Cass. n. 9304/2023). 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