Codice Civile art. 1671 - Recesso unilaterale dal contratto.InquadramentoCon il recesso si consente al committente di troncare un rapporto contrattuale per il quale il suo interesse è venuto meno trattenendo la parte di opera o di servizio già eseguiti. Il legislatore, tuttavia, contempera questa esigenza con quella dell'appaltatore a non essere pregiudicato da un atto che non esige nemmeno una giustificazione: pertanto, questi ha diritto al compenso per quanto già eseguito e trattenuto dal committente nonché a ciò che avrebbe dovuto percepire se l'opera fosse stata compiuta per intero. Differenze tra risoluzione e recessoNon diversamente, peraltro, nell'ambito della disciplina privatistica dell'appalto, mentre è preclusa al committente la facoltà di risolvere unilateralmente il contratto per inadempimento dell'appaltatore, non essendo egli titolare di poteri di autotutela, l'esercizio del diritto di recesso non è subordinato a particolari presupposti, ma può aver luogo per qualsiasi causa, il cui accertamento non è neppure richiesto ai fini della legittimità del recesso, non essendo configurabile un diritto dell'appaltatore alla realizzazione dell'opera o allo svolgimento del servizio, la cui prosecuzione risponde esclusivamente all'interesse del committente (Cass. n. 9645/2011; Cass. n. 10742/2008; Cass. n. 20811/2014). Nei contratti a prestazione continuata o periodica (nella specie, l'appalto), la domanda di risoluzione del contratto per inadempimento è alternativa alla domanda di accertamento dell'esercizio del recesso, distinguendosene per causa petendi e petitum, atteso che, mirando la prima a una pronuncia di carattere costitutivo che faccia risalire la risoluzione al momento dell'inadempimento ed essendo fondata sulla commissione di un illecito (mentre, l'altra, sull'esercizio di una facoltà consentita dalla legge), il suo accoglimento preclude l'esame delle altre cause di scioglimento del medesimo rapporto contrattuale. Ne consegue, ulteriormente, che tra dette domande non vi è rapporto di continenza, sicché possono essere proposte nello stesso giudizio, dovendo il giudice, in caso di rigetto delle domande di risoluzione, esaminare se sia fondata quella di declaratoria di legittimo esercizio del diritto di recesso. (Cass. n. 7878/2011). Pertanto, il diritto di recesso che l'art. 1671 accorda al committente è da questi esercitabile in qualsiasi momento dell'esecuzione del contratto di appalto e per qualsiasi ragione che induca il committente medesimo a porre fine al rapporto, non essendo configurabile un diritto dell'appaltatore (cui spetta unicamente l'indennizzo previsto dalla norma) a proseguire nell'esecuzione dell'opera o del servizio. Deriva da quanto precede, pertanto, sciogliendosi il contratto esclusivamente per effetto dell'unilaterale iniziativa del recedente — ancorché il recesso possa essere giustificato anche dalla sfiducia verso l'appaltatore per fatti di inadempimento — non è necessaria alcuna indagine sull'importanza di detto inadempimento e/o sulla ricorrenza di una giusta causa di recesso. In tema di appalto, qualora il committente eserciti il diritto unilaterale di recesso ex art. 1671 c.c., non è preclusa la sua facoltà di invocare la restituzione degli acconti versati e il risarcimento dei danni subiti per condotte di inadempimento verificatesi in corso d'opera e addebitabili all'appaltatore; in tale evenienza la domanda risarcitoria non è sottoposta alla disciplina di cui alla garanzia speciale per le difformità e i vizi dell'opera e ai conseguenti termini decadenziali e prescrizionali previsti dall'art. 1667 c.c., posto che, a fronte della mancata ultimazione dell'opera, l'inadempimento contestato è attratto alla regolamentazione ordinaria e non a quella speciale (Cass. 421/2024). La dottrina (Rubino-Iudica, in Comm. S. B., 2007, 158) prevalente non ritiene necessario un preavviso. Lo scioglimento anticipato del rapporto di appalto — che ne sia la causa — lascia permanere le specifiche obbligazioni, riconducibili al contratto, rispettivamente dell'appaltatore di lasciare libero il fondo, essendo l'occupazione dello stesso giustificata dal fine della realizzazione o completamento dell'opera, e del committente di non ostacolare e rendere possibile l'attuazione del correlato diritto dell'appaltatore di smontare il cantiere e di ritirare gli attrezzi ed i materiali da lui forniti e non ancora utilizzati. Appalto di opera pubblicaIl recesso ad nutum, previsto dall'art. 345, all. F, l. n. 2248/1865, art. 345, costituisce infatti espressione di un diritto potestativo, il cui esercizio, che determina lo scioglimento del contratto per iniziativa unilaterale del committente, può aver luogo in qualsiasi momento e non richiede particolari presupposti, ma solo un'apposita manifestazione di volontà della Amministrazione (Cass. n. 8565/1993; Cass. n. 1402/1972). Obbligazione indennitaria e riparto dell'onere della provaRelativamente all'oggetto dell'obbligo indennitario gravante sul committente che recede dal contratto, si osserva, in particolare, che il mancato guadagno è costituito dall'utile netto che l'appaltatore avrebbe potuto ricavare dal completamento dell'opera in riferimento ai lavori rimasti ineseguiti; e ciò in quanto i lavori già eseguiti devono essere pagati integralmente dal committente in base ai prezzi pattuiti, già comprensivi del guadagno dell'appaltatore. Pertanto, qualora il recesso avvenga prima dell'inizio dei lavori, il mancato guadagno si estende a tutto l'utile che l'appaltatore avrebbe ritratto dall'esecuzione dell'intera opera (Cass. n. 192/1942), ed è costituito dalla differenza tra il prezzo globale dell'appalto contrattualmente stabilito e le spese (non ancora sostenute e, quindi, non indennizzabili autonomamente ai sensi dell'art. 1671) che si sarebbero rese necessarie per l'esecuzione dei lavori. Infatti, dà luogo ad una obbligazione di valore di natura indennitaria l'esercizio, posteriore alla conclusione del contratto, della facoltà di recesso unilaterale attribuita dall'art. 1671 al committente, che è tenuto a tenere indenne l'appaltatore del danno emergente e del lucro cessante, da liquidare anche in via equitativa, tenendo conto della svalutazione monetaria sopravvenuta fino alla data della liquidazione (Cass. n. 17340/2003). Trattasi di obbligazione risarcitoria come emerge dal significato etimologico-lessicale dell'espressione «tenga indenne» e dal principio per cui pure i danni derivanti da attività lecite vanno risarciti al danneggiato incolpevole (Cass. n. 77/2003). La domanda dell'appaltatore volta a conseguire dal committente il corrispettivo previsto per l'esercizio della facoltà di recesso pattuita in suo favore ai sensi dell'art. 1373 presuppone l'esistenza di un patto espresso che attribuisca al committente la facoltà di recedere dal contratto prima che questo abbia avuto un principio di esecuzione, nonché l'avvenuto esercizio del recesso entro tale limite temporale, ed ha per oggetto la prestazione, in corrispettivo dello ius poenitendi, di una somma (multa poenitentialis) integrante un debito di valuta e non di valore; diversa, invece è, la domanda dello stesso appaltatore di essere tenuto indenne dal committente avvalsosi del diritto di recesso riconosciutogli dall'art. 1671, la quale presuppone l'esercizio, in un qualsiasi momento posteriore alla conclusione del contratto e quindi anche ad iniziata esecuzione del medesimo, di una facoltà di recesso che al committente è attribuita direttamente dalla legge ed ha per oggetto un obbligo indennitario (Cass. n. 5368/2018). Ovviamente, nell'ipotesi di recesso unilaterale del committente dal contratto, grava sull'appaltatore che chiede di essere indennizzato del mancato guadagno l'onere di dimostrare quale sarebbe stato il guadagno da lui conseguibile con l'esecuzione delle opere appaltate (differenza tra prezzo di appalto e costo delle stesse), restando salva per il committente la facoltà di provare che l'interruzione dell'appalto non ha impedito all'appaltatore di realizzare guadagni sostitutivi ovvero gli ha procurato vantaggi diversi (Cass. n. 1189/1966; Cass. n. 77/2003, relativa proprio ad una ipotesi di recesso esercitato dal committente prima dell'inizio dei lavori). In ipotesi di recesso unilaterale del committente dal contratto di appalto, ex art. 1671, grava sull'appaltatore, che chieda di essere indennizzato del mancato guadagno, l'onere di dimostrare quale sarebbe stato l'utile netto da lui conseguibile con l'esecuzione delle opere appaltate, costituito dalla differenza tra il pattuito prezzo globale dell'appalto e le spese che si sarebbero rese necessarie per la realizzazione delle opere, salva la facoltà, per il committente, di provare che l'interruzione dell'appalto non abbia impedito all'appaltatore di realizzare guadagni sostitutivi ovvero gli abbia procurato vantaggi diversi (Cass. n. 28402/2017). 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